In linea di principio quanto al diritto al panorama si osserva che, in assenza di una espressa previsione codicistica, la giurisprudenza ha più volte riconosciuto l’esistenza di una servitù di panorama, che si configura come una servitù “altius non tollendi”, ove l’utilitas è rappresentata dalla particolare amenità di cui il fondo dominante gode per la veduta, che non può essere pregiudicata dall’innalzamento di costruzioni o alberature. La servitù in questione è una servitù negativa, perché conferisce al suo titolare non la facoltà di compiere attività o di porre in essere interferenze sul fondo servente, ma di vietare al proprietario di quest’ultimo un particolare e determinato uso del fondo stesso. Inoltre si è sostenuto che, in presenza di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta, anche la servitù di panorama possa essere acquisita, oltre che per titolo negoziale, per usucapione e destinazione del padre di famiglia. Ed infatti è stato affermato che:il riconoscimento in capo al proprietario di un immobile del diritto di veduta dal proprio terrazzo, in ragione della preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile, viola il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali, giacché è vero che una servitù altius non tollendi (ovvero una servitù negativa e non apparente) può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta. Può allora ritenersi, in linea con quest’ultimo indirizzo della Cassazione, che sia possibile acquistare una servitù di panorama, consistente nella particolare amenità del fondo dominante per la visuale di cui gode, anche per usucapione (o per destinazione del padre di famiglia), però la stessa necessita di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la servitù di veduta, altrimenti questa comporterebbe sempre quella, e specificamente destinate all’esercizio della servitù invocata.
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Corte d’Appello|Catania|Sezione 2|Civile|Sentenza|10 giugno 2022| n. 1263
Data udienza 31 maggio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI CATANIA
-SECONDA SEZIONE CIVILE
La Corte d’Appello di Catania – Seconda Sezione Civile – composta da:
1) Dott. Maria Stella Arena Presidente rel.
2) Dott. Massimo Lo Truglio Consigliere
3) Dott. Francesco Billè Consigliere ausiliario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 374/2021 R.G.,
tra
(…), nato a Catania il (…), c.f. (…), res. in Tremestieri Etneo Via (…),
(…), nata a Catania il (…), res. in Tremestieri Etneo Via (…), entrambi rappresentati e difesi dall’avv. (…) e dall’avv. Diego Geraci giusta procura in atti;
parte appellante
contro
(…), nato a Catania il (…), residente in Viagrande (CT) alla via (…), cod. fisc. (…),
(…), nata a Catania il (…), ivi residente alla via (…), rappresentati e difesi, giusta procura in atti congiuntamente e disgiuntamente dagli avv.ti (…);
parte appellata e appellante in via incidentale
All’udienza cartolare del 22.2.2022, sulle conclusioni precisate dalle parti come da note depositate in atti, la causa veniva posta in decisione con l’assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
In fatto e in Diritto
Con sentenza n. 533/2021, resa nel procedimento n. 90201076/2011 R.G. il Tribunale di Catania condannava (…) e (…) a rimuovere “il telo ombreggiante plastificato posto per tutta la lunghezza del confine, le piante di alloro, gli alberi di alto fusto a 3 ml dal confine “, nonché al pagamento, in favore degli attori (…) e (…), della somma di euro 4000,00 a titolo di risarcimento del danno; rigettava le domande riconvenzionali dei convenuti di demolizione di opere asseritamente realizzate a distanza illegale dal confine; condannava, infine, i convenuti al pagamento delle spese legali, ponendo definitivamente a loro carico anche le spese di CTU.
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto appello i coniugi (…) e hanno chiesto, in riforma della stessa per i motivi di seguito esaminati, di dichiarare inesistente il diritto di servitù di panorama in favore dell’immobile della controparte e a carico del loro, e di revocare ogni statuizione conseguente sia di natura ripristinatoria che di natura risarcitoria.
Instauratosi il contraddittorio, si sono costituiti i coniugi (…) e hanno chiesto il rigetto dell’impugnazione perché infondata e, in via incidentale, hanno chiesto il riconoscimento della servitù altius non tollendi a carico del fondo (servente) dei coniugi (…) – (…) e dichiarare la condanna della controparte alla rimozione di ogni ulteriore albero, posto anche a distanza superiore a ml. 3, esistente sulla linea di panorama e che impedisca la relativa veduta.
La causa, sulle conclusioni precisate dalle parti come da note in atti, alla udienza del 22.2.2022 – trattata cartolarmente – è stata posta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Con l’unico motivo di appello la parte (…) censura la sentenza del primo giudice per aver ritenuto sussistente un’asserita servitù di “panorama” a carico del proprio fondo e a favore di quello della controparte. In particolare, deduce che nella specie non ricorrono i due elementi imprescindibili per la configurabilità della fattispecie acquisitiva della usucapione: 1) la durata ultraventennale dell’esercizio e 2) l’apparenza e la non precarietà, nonché la specifica destinazione, delle opere destinate all’esercizio della servitù per il tempo necessario ad usucapire.
Soggiunge che l’espletata CTU, infatti, ha rilevato che non esiste alcun sito specifico destinato ad esercitare il presunto panorama bensì soltanto un semplice spazio antistante la villetta degli attori posto sulla stessa quota della unità immobiliare.
Va osservato che la sentenza impugnata riconosce una servitus altius non tollendi a carico dell’immobile degli appellanti, acquistata per usucapione in forza della esistenza nella villetta dei coniugi (…), sin dall’epoca di costruzione della stessa, di una terrazza da cui le parti esercitano “il diritto di veduta”; e ha ritenuto che l’apposizione del telo ombreggiante sul muro di confine e la piantumazione di una siepe e la messa a dimora di alberi, di per sé legittimi, ostacolino la fruizione del panorama.
Osserva la Corte in linea di principio quanto al diritto al panorama che, in assenza di una espressa previsione codicistica, la giurisprudenza ha più volte riconosciuto l’esistenza di una servitù di panorama, che si configura come una servitù “altius non tollendi”, ove l’utilitas è rappresentata dalla particolare amenità di cui il fondo dominante gode per la veduta, che non può essere pregiudicata dall’innalzamento di costruzioni o alberature. La servitù in questione è una servitù negativa, perché conferisce al suo titolare non la facoltà di compiere attività o di porre in essere interferenze sul fondo servente, ma di vietare al proprietario di quest’ultimo un particolare e determinato uso del fondo stesso (cfr. Corte Cass. sent. n. 10250/1997; Consiglio di Stato sent. n. 362/2015). In due sentenze (Cass.10250/1997 e 2973/2012) la Corte di Cassazione, discostandosi dall’orientamento più rigido espresso in altri provvedimenti (cfr. Cass. Civ., Sez II, 14 Aprile 2000, n. 4816), ha sostenuto che, in presenza di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta, anche la servitù di panorama possa essere acquisita, oltre che per titolo negoziale, per usucapione e destinazione del padre di famiglia. La Corte ha infatti affermato che: “il riconoscimento in capo al proprietario di un immobile del diritto di veduta dal proprio terrazzo, in ragione della preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile, viola il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali, giacché è vero che una servitù altius non tollendi (ovvero una servitù negativa e non apparente) può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta”.
Può allora ritenersi, in linea con quest’ultimo indirizzo della Cassazione, che sia possibile acquistare una servitù di panorama, consistente nella particolare amenità del fondo dominante per la visuale di cui gode, anche per usucapione (o per destinazione del padre di famiglia), però la stessa necessita di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la servitù di veduta, altrimenti questa comporterebbe sempre quella, e specificamente destinate all’esercizio della servitù invocata.
Passando, ora, all’esame della fattispecie concreta, è evidente che l’azione proposta è diretta alla tutela del diritto di servitù ai sensi dell’art. 1079 c.c.
Per tale ipotesi, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che “L’attore che agisce in confessoria servitutis, ai sensi dell’art. 1079 c.c., ha l’onere di provare l’esistenza del relativo diritto, presumendosi la libertà del fondo, che si pretende servente, da pesi e limitazioni” (cfr. ex plurimis Cass. n. 18809/2014).
Nel caso in esame, emerge dalla CTU espletata in primo grado, a firma dell’ing. (…), che gli immobili delle parti in causa si trovano in una zona prettamente agricola che degrada verso il mare con terrazzamenti in pietra lavica, sicché, per la conformazione dei luoghi e la differenza di quote, dal fondo dei coniugi (…), posto più a monte, in effetti vi è una visuale sul mare (che è quella per cui si chiede tutela).
Cionondimeno, osserva la Corte che non sussistono, nella specie, opere visibili e permanenti a servizio della dedotta servitù, tali cioè da rivelarsi, per la loro oggettiva struttura, dirette all’esercizio della servitù in modo da rendere evidente il peso imposto su un fondo a vantaggio di un altro (v. in motivazione Cass. n. 10250/1997, cit.), quale potrebbe essere, ad esempio, un terrazzo vista mare sul tetto o un osservatorio.
Tale non può considerarsi infatti il terrazzo, posto a livello della villetta degli appellati, (indicato dal primo giudice) se sol consideri che, in ragione delle caratteristiche oggettive che presenta, questo appare destinato ad altri utilizzi, e segnatamente ad estendere all’esterno la superfice abitativa realizzando una zona pavimentata e protetta da tettoia in muratura, non rilevando invece alcun chiaro nesso di strumentalità con il diritto di panorama (vedasi documentazione fotografica allegata alla CTU e versata in atti dalle parti).
Alla stregua delle superiori considerazioni, la sentenza del primo giudice va riformata nella parte relativa al riconoscimento dell’esistenza di una servitù di panorama che, seppur non esplicitato nella parte dispositiva, costituisce la premessa logico-giuridica dell’accoglimento delle domande attoree ripristinatorie e risarcitorie.
Ne discende che, in accoglimento dell’appello, siffatte domande devono essere rigettate e, per l’effetto vanno revocate le relative statuizioni di condanna contenute nella sentenza impugnata.
Dall’accoglimento dell’appello principale discende l’infondatezza dell’appello incidentale con cui i coniugi Ne discende hanno chiesto una declaratoria della esistenza della servitù e l’estirpazione anche di ulteriori alberi posti sulla linea di panorama.
Quanto alle spese processuali, com’è noto, il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale.
Ritiene la Corte che le spese di entrambi i gradi di giudizio vadano poste a carico di parte appellata nella misura indicata in dispositivo, confermando per il primo grado la liquidazione effettuata dal primo giudice (non oggetto di censura) e applicando per il secondo grado i parametri minimi stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014 n. 55, in considerazione della non particolare complessità delle questioni trattate e tenuto conto del valore dichiarato della controversia (scaglione da euro 26.000,01 a euro 52.000,00 previsto per le cause di valore indeterminabile a complessità bassa)).
Invece le spese della CTU espletata in primo grado vanno poste a carico di entrambe le parti in solido in quanto l’accertamento è stato disposto nell’interesse di entrambi, anche con riferimento alla domanda riconvenzionale formulata dalla parte (…).
In considerazione del rigetto dell’appello incidentale, va infine dato atto della sussistenza dei presupposti (ex art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115/2002) per il versamento, da parte di (…), appellati e appellanti incidentali, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Catania, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 374/2021 R.G., in riforma della sentenza del Tribunale di Catania n. 533/2021, rigetta le domande proposte da (…) e (…) nei confronti dei coniugi (…);
rigetta l’appello incidentale;
conferma nel resto.
Condanna (…) e (…) al pagamento, in favore di parte appellante delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, spese che liquida, quanto al primo grado, in complessivi euro 4.050,00 per compensi e, quanto al secondo grado, in complessivi euro 4.111,50, di cui Euro 804,00 per spese vive e 3.307,50 per compensi, (di cui Euro 980,00 per fase di studio, Euro 675,00 per fase introduttiva ed Euro 1.652,5 per fase decisoria), oltre IVA e CPA e rimborso spese forfettarie nella percentuale del 15%, del compenso totale per la prestazione.
Pone le spese della CTU espletata in primo grado, liquidate come in atti, definitivamente a carico di entrambe le parti, in solido.
Da atto della sussistenza dei presupposti (ex art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115/2002) per il versamento, da parte di (…) e (…), appellanti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Catania il 31 maggio 2022 nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Appello.
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2022.
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