il diritto di recedere dal contratto e di trattenere la caparra ricevuta (ovvero di pretendere il doppio della caparra versata) in caso di inadempimento della controparte costituisce l’effetto proprio della clausola con cui le parti hanno convenuto, nel concludere il contratto, la dazione di una somma di denaro quale caparra confirmatoria, esprimendo per tale via la loro volontà di applicare al negozio la disciplina propria di tale istituto, cui va riconosciuta la funzione di una preventiva e convenzionale liquidazione del danno per inadempimento, e di derogare, nel contempo, sia pure in forma non definitiva, essendo sempre salva la facoltà per la parte non inadempiente di avvalersi del diverso rimedio della risoluzione, la disciplina generale in materia di inadempimento contrattuale.
La norma di cui all’art. 1385 c.c. mette a disposizione del creditore due discipline “alternative”: la parte “non in torto” può scegliere se avvalersi del rimedio posto dal secondo comma dell’art.1385 c.c. (il recesso/risoluzione con richiesta della caparra o del suo doppio) ovvero se avvalersi del rimedio di cui al terzo comma della norma (esecuzione o risoluzione giudiziale e risarcimento del danno).
La “scelta” del creditore è fra due diversi assetti di interessi e non può avvalersi di entrambi i rimedi cumulativamente.
Il recesso legale con diritto alla caparra sostituisce il risarcimento secondo i criteri ordinari e la facoltà di provocare la risoluzione secondo la disciplina comune.

Tribunale Savona, civile Sentenza 5 febbraio 2019, n. 99

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI SAVONA

SEZIONE CIVILE

in persona della dott.ssa C. Tabacchi, in funzione di Giudice unico,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 3776/2016 R.G. promossa da:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. GA.EV. elettivamente domiciliato in CORSO (…), 110 10121 TORINO, presso il difensore avv. GA.EV.

– attore/i –

contro

(…) S.R.L. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. DI.GI., elettivamente domiciliato in PIAZZA (…) 20100 MILANO, presso il difensore avv. DI.GI.

– convenuto/i –

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione ritualmente notificato, la Signora (…) conveniva in giudizio la (…), chiedendo l’accertamento dell’inadempimento della (…) S.r.l. alla obbligazioni assunte con il contratto preliminare di compravendita concluso tra le parti in data 27 giugno 2015; l’accertamento della legittimità del diritto di recesso esercitato dalla Signora (…) dal suddetto contratto; la condanna della società convenuta al pagamento del doppio della caparra versata dalla Signora (…) per Euro 142.000,00, oltre rivalutazione, interessi e spese di lite.

La Signora (…) affermava di aver riscontrato la presenza di irregolarità edilizie presso l’immobile oggetto della promessa di vendita.

In particolare era stata riscontrata la realizzazione, non autorizzata dal Comune di Alassio, di un vano ascensore posto al piano ammezzato prospicente l’immobile, nonché la presenza di un’area scoperta non delimitata da alcun cancelletto di ingresso con ringhiera di altezza non conforme al regolamento edilizio locale.

A ciò aggiungeva il fatto che la (…) S.r.l. non aveva prestato alcuna garanzia in ordine alla cancellazione dell’ipoteca iscritta su tutta la palazzina in favore di (…) S.p.A.

Si costituiva in giudizio la (…) S.r.l. con comparsa del 1 febbraio 2017, contestando integralmente le domande attoree, chiedendone la reiezione delle richieste e, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto preliminare per fatto e colpa dell’attrice, con diritto per la (…) di trattenere l’importo di Euro 71.000,00 versato per la caparra confirmatoria e condanna della Signora (…) al rilascio dell’immobile ed al pagamento di Euro 19.000,00 a titolo di indennità di occupazione, oltre Euro 1.000,00 per ogni mese successivo sino all’effettivo rilascio ed oltre interessi e rivalutazione monetaria.

All’udienza del 3 marzo 2017, il Giudice concedeva i termini per il deposito delle memorie istruttorie e rinviava la causa all’udienza dell’8 giugno 2017.

Decidendo sulle istanze istruttorie formulate dalle parti, il Giudice, con provvedimento del 1 agosto 2017 ammetteva le prove orali ritenute ammissibili e rilevanti.

All’esito delle prove testimoniali rigettava la richiesta di C.T.U. formulata dalla (…) in ordine al valore locatizio dei beni immobili di cui è causa, in quanto ritenuta esplorativa e fissava udienza per la precisazione delle conclusioni al 28 settembre 2018. Precisate le conclusioni dalle parti, il Giudice tratteneva la causa a decisione d assegnava i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.

2. In fatto si osserva che con contratto preliminare datato 27/6/2015, atto a rogito del Notaio (…) rep. n. (…) – Raccolta n. (…), (…) S.r.l. prometteva di vendere all’attrice che prometteva di acquistarle alcune unità immobiliari site in A. (S.), via (…) e precisamente: l’appartamento posto al piano terzo dell’edificio, il locale ad uso rimessa posto al piano terra ed un appezzamento di terreno di circa 20 mq (doc. n. 2 attrice ); per la compravendita veniva pattuito il complessivo prezzo di Euro 260.000,00.

Il contratto stabiliva testualmente all’art. 3 (“Precisazioni”) che: “Parte promittente venditrice, per impegni precedentemente assunti dovrà installare una piattaforma elevatrice con trasporto verticale dal piano ammezzato fino al secondo piano entro il termine di vendita dell’immobile ubicato al secondo piano del fabbricato, sempre di proprietà della promittente venditrice.

Qualora la parte promittente acquirente fosse intenzionata a far sì che il trasporto verticale della piattaforma elevatrice raggiunga il livello dell’appartamento mansardato al terzo piano, dovrà comunicare tale interesse alla parte promittente venditrice per iscritto, facendosi carico delle spese per tale implementazione e degli oneri accessori e/o complementari”; sempre nel contratto era presente la garanzia che le planimetrie catastali allegate erano pienamente conformi allo stato di fatto degli immobili (art. 1).

Alla stipula del contrato preliminare, la Signora (…) veniva immessa nel possesso dell’immobile. In esecuzione del contratto, la Signora (…) versava 35.000,00 euro, mediante la consegna di assegni, a titolo di caparra confirmatoria al momento della conclusione del contratto preliminare; successivamente versava, sempre a titolo di caparra confirmatoria, 15.000,00 Euro entro il 31 agosto 2015, 20.000,00 euro entro il 31 maggio 2016 e la prima rata mensile pari a 1.000,00 Euro di cui all’art. 7, punto e) del contratto, per l’importo totale di Euro 71.000,00 a titolo di acconto sul prezzo e di caparra confirmatoria;

Secondo la narrazione di parte attrice all’inizio del mese di luglio 2016, la Signora (…) aveva modo di riscontrare la presenza di alcune irregolarità edilizie esistenti presso l’immobile oggetto di promessa di vendita.

In particolare si trattava della realizzazione, non autorizzata dal comune di Alassio, di un vano ascensore posto al piano ammezzato prospiciente l’immobile, nonché della presenza di un’area scoperta non delimitata da alcun cancelletto di ingresso e con una ringhiera di altezza non conforme al regolamento edilizio locale (come da relazione del consulente di parte Geom. (…), sub doc. n. 3 attrice).

Quanto alla costruzione abusiva del vano ascensore il professionista incaricato dalla Signora (…) rilevava che l’opera insiste su di un terreno a rischio idrogeologico ove la falda freatica potrebbe interagire con la struttura determinando possibili allagamenti o infiltrazioni.

Solo in occasione di tali rilievi, l’attrice aveva modo di appurare che l’elaborato grafico allegato “b” del contrato preliminare di compravendita, contrariamente a quanto asserito in atto, non rispecchiava lo stato dei luoghi, trattandosi soltanto di una bozza di progetto per l’eventuale installazione dell’elevatore, bozza peraltro mai presentata al Comune di Alassio; veniva precisato dal Geom. (…): “le planimetrie allegate all’atto definito preliminare di compravendita non rispecchiano lo stato dei luoghi in quanto non sono conformi”.

A ciò aggiungendosi il fatto che il contratto preliminare di compravendita riporta l’impegno della (…) S.r.l. alla cancellazione dell’ipoteca iscritta su tutta la palazzina in favore di (…) S.p.A. per Euro 1.332.000,00 alla stipula dell’atto definitivo di compravendita, impegno cui il terzo non aveva dato adesione la Signora (…) si determinava a comunicare, mediante lettera raccomandata a firma del proprio legale scrivente, il recesso dal contratto preliminare di compravendita per inadempimento della (…) S.r.l., alla quale chiedeva contestualmente il pagamento del doppio della caparra da lei versata (doc. n. 5 attrice).

3. La domanda della attrice ha perciò ad oggetto l’inadempimento della controparte, che si assume rilevante ai sensi dell’art. 1455 c.c., consistito a) dalla impossibilità nella realizzazione dell’ascensore previsto dall’art. 3 del contratto; b) dalla presenza di opere abusive; c) dalla presenza di area scoperta con ringhiere di altezza non conforme; d) dalla mancata corrispondenza tra le planimetrie allegate al contratto e lo stato dei luoghi; e) dalle mancate garanzie sulla cancellazione dell’ipoteca.

3.1. La stessa non può trovare accoglimento.

L’art. 1385 co. 2 del c.c. che disciplina il recesso dal contratto ed il diritto di ripetere il doppio della caparra, presuppone sempre l’altrui inadempimento di rilevanza non diversa da quella dell’art. 1455 del c.c., il che non si verifica nel caso di specie in cui le doglianze attoree paiono riguardare profili che solo marginalmente toccano il contenuto delle pattuizioni contrattuali e sono di scarsa rilevanza nell’economia generale del rapporto.

In particolare la risoluzione, come il recesso invocato dall’attrice, sarebbe in violazione del criterio di proporzionalità che la parte di obbligazione inadempiuta ha rispetto al tutto, non potendosi ritenere che si sia verificata una sensibile alterazione degli equilibri contrattuali a danno dell’attrice.

La stessa fonda il rilievo dell’inadempimento sulla circostanza che la costruzione dell’impianto elevatore fosse stata da lei espressamente richiesta, essendosi determinata a concludere il contratto unicamente in considerazione di tale futura realizzazione.

La circostanza sarebbe implicitamente confermata da quanto contenuto nelle pubblicità di vendita degli appartamenti siti in loco e prodotta sub doc. 1 di parte attrice per cui ancora in data 26 agosto 2016, su internet appariva l’annuncio di vendita recante la seguente dicitura: “a breve lo stabile sarà servito da ascensore”. La stessa promessa che aveva convinto la Signora (…) a concludere l’accordo.

All’accoglimento di detta tesi ostano numerose considerazioni:

è principio costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità che la valutazione della gravità dell’inadempimento si fonda sia su criteri oggettivi che su criteri soggettivi; considerati questi alla stregua dell’interesse concreto ad una esatta prestazione, che la parte creditrice intende realizzare con il contratto. (Cass. n. 15363/2010; n. 14034/2005; n. 11784/2000; n. 7083/2006; n. 9800/2000; n. 1773/2001).

Con riguardo ai criteri soggettivi ( cfr. Cass. n. 15363/2010 secondo cui : “In tema di contratti, il principio, sancito dall’art. 1455 c.c. secondo cui il contratto non può essere risolto se l’inadempimento ha scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altra parte, va adeguato anche ad un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale. Pertanto, la gravità dell’inadempimento di una delle parti contraenti, non va commisurata all’entità del danno, che potrebbe anche mancare, ma alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse dell’altra parte all’esatta e tempestiva prestazione”) non si può addivenire a giudicare “importante” l’inadempimento costituito dalla ipotetica impossibilità di realizzazione dell’ascensore.

Innanzitutto infatti, si deve considerare che, a differenza di quanto assume la sig.ra (…), la (…) s.r.l. non è tenuta ad installare alcun impianto. All’art. 3 del contratto preliminare, infatti, la convenuta si è limitata a dare atto che avrebbe installato una piattaforma elevatrice, a servizio del primo e del secondo piano dell’edificio (e non quindi del terzo, dove si trova l’appartamento oggetto del preliminare) e che, una volta eseguita tale opera, la sig.ra (…) avrebbe avuto la facoltà di prolungarne, a sue spese, la corsa fino al terzo piano.

Il testo della clausola, riportata anche nel corpo dell’atto di citazione, è assolutamente chiaro nello stabilire una facoltà per la Sig.ra (…) (ovvero quella di ottenere, se interessata, il prolungamento della piattaforma elevatrice fino all’immobile del terzo piano) ma nessun obbligo per la venditrice, per quanto concerne la realizzazione di tale impianto elevatore.

In secondo luogo, giova osservare che, comunque, dal contratto preliminare, risulta che la (…) s.r.l. avrebbe realizzato tale piattaforma elevatrice, al servizio del primo e del secondo piano, solo successivamente all’alienazione dell’unità immobiliare, sita al secondo piano dello stabile.

Tale appartamento non è ancora stato venduto tanto che il termine, per l’adempimento della prestazione, non sarebbe ancora scaduto.

Irrilevante è poi il fatto di subordinare la realizzazione della piattaforma alla vendita dell’appartamento del secondo piano dell’edificio, dal momento che – non essendoci obblighi di sorta- nessuna conseguenza deriva dall’avveramento o meno della condizione.

La (…) srl ha, infine, dato prova di avere conferito incarico ad un mediatore locale, di cercare potenziali acquirenti, interessati all’acquisto dell’unità immobiliare del secondo piano senza che per ora, sia pervenuta alcuna offerta ( cfr. teste (…), udienza del 25 Settembre 2017).

Non può trascurarsi poi che la regola di proporzionalità, posta dall’art. 1455 c.c., fa si che la risoluzione del vincolo contrattuale sia collegata unicamente all’inadempimento delle obbligazioni che abbiano una notevole rilevanza nell’economia del rapporto, per la cui valutazione occorre tener conto dell’esigenza di mantenere l’equilibrio tra prestazioni di eguale peso, talché l’importanza dell’inadempimento non deve essere intesa in senso subiettivo, in relazione alla stima che la parte creditrice abbia potuto far del proprio interesse violato, ma in senso obiettivo, in relazione, cioè, all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune intento negoziale (cfr., ex plurimis, Cass. 18515/2009, Cass. 21/7/2004, n. 13601; Cass. 14/6/2001, n. 8063; Cass. 13/2/1990, n. 1046; Cass. 26/10/1985, n. 5277).

In altri termini, ai fini della risoluzione del contratto, nel caso dell’inadempienza deve tener conto del valore, determinabile mediante il criterio di proporzionalità, che la parte dell’obbligazione non adempiuta ha rispetto al tutto, nonché considerare se per effetto dell’inadempimento si sia verificata ai danni della controparte una sensibile alterazione dell’equilibrio contrattuale, estendendosi altresì, in ipotesi di deduzione di inadempimenti reciproci, ad una valutazione comparativa del comportamento dei contraenti, con riferimento ai rapporti di proporzionalità e causalità delle rispettive inadempienze, allo scopo di individuare la parte responsabile dell’esito non regolare del contratto, senza rilievo per le situazioni meramente psicologiche delle parti (cfr. Cass. 9/6/1983, n. 3969; Cass. 10/2/1984, n. 1021; Cass. 7/6/1993, n. 6367).

3.2. Altra problematica da risolvere sulla base dei medesimi principi attiene alla lamentata sussistenza di una irregolarità urbanistica. In particolare, secondo la tesi dell’attrice, tale irregolarità urbanistica consisterebbe nella realizzazione abusiva del vano, in cui la convenuta dovrebbe installare la piattaforma elevatrice.

L’eccezione della sig.ra (…), tuttavia, risulta inammissibile. Giova rilevare, infatti, che il vano di cui si tratta costituisce un bene del tutto estraneo, rispetto a quelli che la (…) srl si è impegnata ad alienare alla sig.ra (…).

Dall’esame del contratto intercorso fra le parti, infatti, risulta, chiaramente, che la convenuta si è impegnata a trasferire, a favore dell’attrice, solo la proprietà dell’unità immobiliare, sita al terzo piano dell’edificio di via (…), di un’autorimessa, sita al piano terreno dello stabile ed un piccolo appezzamento di terreno, limitrofo allo stabile. Il vano, all’interno del quale la convenuta si è riservata di realizzare l’ascensore, quindi, non è compreso fra i beni oggetto della promessa di vendita.

Tale vano è estraneo all’appartamento, all’autorimessa ed all’appezzamento di terreno, oggetto del contratto preliminare per cui è causa e non costituisce neppure una parte condominiale.

Dal contratto preliminare, infatti, risulta che, attualmente, il vano di cui si tratta è destinato, esclusivamente, al servizio delle unità immobiliari del primo e del secondo piano dell’edificio. Pertanto, si deve escludere che l’acquisto dell’unità immobiliare oggetto di causa comporti anche la comproprietà di tale vano.

Rilevato che il vano di cui si tratta non è compreso nell’ambito dei beni oggetto della promessa di vendita, si deve escludere che l’attrice sia legittimata a far valere le presunte irregolarità urbanistiche di cui si tratta. L’eccezione della sig.ra (…) risulta, quindi, inammissibile e, pertanto, non può trovare accoglimento.

Per la stessa ragione non può avere rilievo il fatto che tale vano insista – circostanza che peraltro la convenuta nega recisamente tramite produzione di certificato di idoneità statica ( doc. 21 convenuta) e perizia di fattibilità statica ( doc. 22 convenuta) – su area a rischio idrogeologico, dal momento che il vano non è di pertinenza del contratto preliminare.

E’ poi pacifico ( si veda la deposizione del teste (…), di parte attrice, all’udienza del 25 settembre 2017) che il volume in sé – compreso il piano di calpestio su cui deve transitare chi faccia ingresso nell’appartamento del terzo piano – sia esistito fin dalla edificazione della palazzina, mentre ciò che sarebbe stato realizzato ex novo, dopo l’acquisto all’asta da parte della (…), sarebbe stato il vano contenuto in tale volume, ricavato svuotando lo stesso dai materiali di risulta che vi erano stati accumulati in precedenza: il rischio potrebbe al più attenere alla necessità di individuare un altro spazio per i macchinari a servizio della piattaforma, mentre in nessun modo si dà prova della possibilità che possa essere inibita l’utilizzazione del terrazzo.

3.3. Parimenti, si devono ritenere infondate le ulteriori doglianze della sig.ra (…), in ordine alla sussistenza di vizi e difetti dei beni oggetto del preliminare.

In particolare l’appezzamento di terreno, oggetto del preliminare, comprenderebbe anche una terrazza scoperta, priva di cancello e munita di una ringhiera di altezza inferiore, rispetto a quanto sarebbe previsto dal regolamento urbanistico.

La lettura della perizia di parte attrice ( doc. 3 allegato all’atto di citazione), perizia volta non tanto ad identificare i vizi del bene quanto a stimare lo stesso, fa emergere, a volerla ritenere attendibile stante la conferma in sede di deposizione testimoniale, che la difformità consisterebbe in una minore altezza di 20 cm ( 90 invece di 110 ) nella ringhiera del terreno e di 10 cm ( 1 metro invece che 1 metro e 10) nella ringhiera della scala: trattasi di vizi di minima entità, anche la mancata installazione di un cancello può incidere per qualche centinaia di Euro, che mai potrebbero costituire inadempimento importante nel senso già indicato.

Inoltre l’attrice all’art. 3 del preliminare ha dichiarato di aver ispezionato accuratamente i beni in argomento, prima della conclusione del contratto e di averli trovati di suo gradimento e di averne valutato le caratteristiche e le qualità, anche ai fini della determinazione del prezzo d’acquisto.

Orbene, tale dichiarazione contrattuale costituisce manifestazione di piena accettazione dei beni, senza alcuna riserva e comporta, di conseguenza, la rinunzia a far valere contestazioni, in merito alla qualità dei beni oggetto del preliminare.

In ogni caso, la sig.ra (…), pur essendo stata immessa nel possesso dei beni in data 27 Giugno 2015, contestualmente alla stipulazione del contratto preliminare, non ha denunziato la sussistenza di alcuna difformità, nemmeno negli otto giorni successivi.

Pertanto, si deve ritenere che ella sia certamente decaduta dal diritto di far valere vizi e difformità dei beni di cui si tratta.

3.4. Altrettanto irrilevanti ed altrettanto tardiva è la denuncia con riguardo all’ultimo profilo, ovvero a quello secondo cui la planimetria, allegata come documento B al preliminare, sarebbe difforme dallo stato dei luoghi.

L’irrilevanza deriva dal fatto che non vi è alcun obbligo di allegare, al contratto preliminare, le planimetrie relative ai beni promessi in vendita.

Nel caso di specie, le planimetrie sono state allegate al negozio, solo al fine di individuare, con maggior precisione, le unità immobiliari oggetto del contratto preliminare di cui si tratta.

All’art. 3 del preliminare, la sig.ra (…) ha dichiarato di aver visitato i beni prima della stipulazione dell’accordo, di averli trovati di suo gradimento e di averne valutato le caratteristiche, anche ai fini della determinazione del prezzo.

Il consenso dell’attrice, quindi, non si è formato sulla base risultanze delle planimetrie, ma sulla base di una conoscenza diretta dei beni oggetto della promessa di vendita.

La tardività dalla considerazione che la sig.ra (…) è stata immessa nel possesso dei beni in data 27 Giugno 2015, contestualmente alla sottoscrizione dell’accordo e, se avesse rilevato delle difformità rispetto al bene sul quale si era formato il consenso, avrebbe avuto l’onere di denunciare negli otto giorni successivi.

Pertanto, ai sensi dell’art. 1490 c.c., si deve ritenere che quest’ultima sia certamente decaduta dal diritto di far valere eventuali difformità dei beni di cui si tratta.

3.5. Stupisce, infine, che possa costituire oggetto di lamentela fatto che gli immobili promessi in vendita siano gravati da un’ipoteca, iscritta a favore di (…) spa, presso la conservatoria immobiliare di F. L., ai nn. 11907/2256.

Secondo l’attrice, l’esistenza di tale iscrizione ipotecaria attribuirebbe, a quest’ultima, il diritto di recedere dal vincolo preliminare stipulato con la convenuta.

Tale tesi, tuttavia, è del tutto infondata.

Come ammette la stessa sig.ra (…) e, comunque, come risulta dall’art. 6 del contratto preliminare, la (…) srl, al momento della stipulazione del negozio, ha dichiarato, espressamente, la sussistenza di tale ipoteca. Pertanto, si deve escludere che l’attrice possa pretendere di sciogliersi dal vincolo preliminare.

Come è noto, infatti, il disposto dell’art. 1482 c.c. esclude la facoltà di sciogliersi dal vincolo contrattuale, nel caso in cui la sussistenza dei vincoli, a favore di terzi, sia stata dichiarata al momento della stipulazione del contratto.

Inoltre, l’attrice, prestando il consenso rispetto al contenuto del contratto preliminare, ha accettato il rischio di obbligarsi all’acquisto di beni che, al momento della stipulazione del preliminare, risultavano gravati da una garanzia reale, fatto peraltro del tutto ordinario, così come accade ordinariamente che la cancellazione avvenga al momento della stipulazione del definitivo: è allora che il creditore ipotecario, una volta ricevuto il pagamento integrale, è tenuto a prestare il consenso, per la cancellazione dell’ipoteca.

4. Dal rigetto della domanda dell’attrice e ritenuta pertanto l’illegittimità del recesso, discende la necessità di esaminare la domanda riconvenzionale della società convenuta, la quale, a fronte dell’inadempimento della promittente compratrice sostiene di avere diritto a ritenere la caparra all’epoca versata dalla (…), chiedendo ulteriormente il risarcimento del danno, derivante dalla occupazione dell’immobile.

Sostiene la convenuta che la parte non inadempiente che, avendo ricevuto il pagamento della caparra recede dal contratto in seguito all’inadempimento dell’altra parte, chiedendo di trattenere la caparra, può chiedere il riconoscimento di un’ulteriore somma a titolo di risarcimento, qualora dimostri di aver subito un danno maggiore.

Non si concorda con tale affermazione.

In particolare afferma la giurisprudenza prevalente che “il diritto di recedere dal contratto e di trattenere la caparra ricevuta (ovvero di pretendere il doppio della caparra versata) in caso di inadempimento della controparte costituisce l’effetto proprio della clausola con cui le parti hanno convenuto, nel concludere il contratto, la dazione di una somma di denaro quale caparra confirmatoria, esprimendo per tale via la loro volontà di applicare al negozio la disciplina propria di tale istituto, cui va riconosciuta la funzione di una preventiva e convenzionale liquidazione del danno per inadempimento, e di derogare, nel contempo, sia pure in forma non definitiva, essendo sempre salva la facoltà per la parte non inadempiente di avvalersi del diverso rimedio della risoluzione, la disciplina generale in materia di inadempimento contrattuale” (Cass. n. 6463/2008).

La norma di cui all’art. 1385 c.c. mette a disposizione del creditore due discipline “alternative”: la parte “non in torto” può scegliere se avvalersi del rimedio posto dal secondo comma dell’art.1385 c.c. (il recesso/risoluzione con richiesta della caparra o del suo doppio) ovvero se avvalersi del rimedio di cui al terzo comma della norma (esecuzione o risoluzione giudiziale e risarcimento del danno).

La “scelta” del creditore è fra due diversi assetti di interessi e non può avvalersi di entrambi i rimedi cumulativamente. Il recesso legale con diritto alla caparra sostituisce il risarcimento secondo i criteri ordinari e la facoltà di provocare la risoluzione secondo la disciplina comune.

4.1. Ma la questione, nel caso che ci occupa, rileva solo limitatamente stante che – in forza delle medesime considerazioni che hanno portato a rigettare la domanda della attrice – devono essere rigettate anche le domande di parte convenuta in ordine alla legittimità del recesso ovvero alla risoluzione del contratto, stante che si reputa che anche l’inadempimento della (…), come quello della (…) non rivesta quei caratteri di importanza che sono necessari per pervenire alla pronuncia della risoluzione.

Si perviene a tale conclusione sulla base di due considerazioni:

– per quanto attiene al pagamento delle rate mensili (rispetto alle quali l’inadempimento ammonterebbe ad Euro 16.000,00), veniva in effetti pattuita la corresponsione di 24 rate mensili dell’importo di Euro 1.000,00 ciascuna, sempre a titolo di caparra confirmatoria, da computarsi in conto prezzo. Tuttavia veniva espressamente pattuito che “i termini di cui innanzi sono da considerarsi essenziali e non prorogabili, ad eccezioni di quelli di cui alla lettera e) che precede”, trattasi appunto dei termini per il pagamento delle rate mensili da Euro 1.000,00. Tant’è che nel corso del rapporto contrattuale la (…) non ha provato di avere mai sollecitato il versamento di dette mensilità. Il mancato versamento in assenza di termine essenziale non può allora costituire inadempimento significativo;

– con riguardo alle rate di corresponsione del prezzo il preliminare di compravendita prevedeva la corresponsione del prezzo di Euro 260.000,00 secondo scansioni predefinite. In ossequio al contratto la Signora (…) versava: – Euro 35.000,00 a titolo di caparra confirmatoria al momento della sottoscrizione del preliminare; – Euro 15.000,00, sempre a titolo di caparra confirmatoria, entro il 31 agosto 2015; – Euro 20.000,00, sempre a titolo di caparra confirmatoria, entro il 31 maggio 2016.

Sostiene la convenuta che l’inadempimento sarebbe rappresentato dal mancato versamento della rata di Euro 60.000,00 scadente al 20 luglio 2016, ma è pacifico che in data 13 luglio 2016 la Signora (…) abbia comunicato il proprio recesso dal contratto preliminare (vedasi docc. 5,6,7 allegati all’atto di citazione, dai quali si desume che senz’altro in data 19 luglio la (…) era informata del recesso perché a quella data risale la risposta del legale della convenuta).

A fronte della manifesta intenzione di recedere – ancorché poi verificato che non fosse legittima – pare giustificato il mancato versamento della rata di imminente scadenza, e comunque non classificabile come inadempimento rilevante.

4.2. Ciò non esime il Tribunale dal pronunciarsi circa la sorte del contratto, che entrambe le parti chiedono di dichiarare risolto per inadempimento ex adverso.

In tema di inadempimento reciproco, è noto che, secondo il pacifico insegnamento giurisprudenziale, il Giudice dovrebbe procedere ad una valutazione unitaria e comparativa delle condotte inadempienti e della loro rilevanza sul sinallagma contrattuale, non essendo consentito pronunciare la risoluzione con addebito ad entrambe le parti e dovendosi invece scrutinare quale sia l’inadempimento principale al quale ascrivere la risoluzione, valutando il comportamento delle parti sino alla proposizione delle domande e tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche dei rapporti di causalità e proporzionalità tra le prestazioni inadempiute e l’incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto (cfr. Cass. n. 43/2007, Cass. n. 18640/2006, Cass. n. 13365/2006, Cass. 20614/2009, Cass. 13840/2010, Cass. 14648/2013).

Nel caso in cui il vincolo contrattuale non può considerarsi risolto per grave inadempimento di alcuna delle due parti, lo si dovrà ritenere sciolto per mutuo dissenso, desumibile dall’intervenuta reciproca comunicazione della risoluzione del vincolo contrattuale per inadempienza e, quindi, della manifesta volontà di non dare esecuzione al contratto, anche in forza del disposto dell’art. 1453 II comma c.c.

4.3. Deve pertanto integralmente rigettarsi anche la domanda riconvenzionale, non avendo parte convenuta proposto espressamente domanda subordinata di arricchimento senza causa rispetto al godimento dell’appartamento da parte della (…).

5. Trattandosi di ipotesi di soccombenza reciproca le spese di giudizio andranno integralmente compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale di Savona, in persona del Giudice Unico dr.ssa Cristina Tabacchi, definitivamente pronunciando nel giudizio introdotto da (…) nei confronti di (…) S.r.l., così provvede:

ogni altra istanza disattesa

1) DICHIARA la risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare intercorso fra le parti in data 27/6/2015, atto a rogito del Notaio (…) rep. n. (…) – Raccolta n. (…), per mutuo dissenso;

2) CONDANNA (…) all’immediato rilascio, libero da persone o cose, favore della (…) srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, delle unità immobiliari oggetto del contratto preliminare intercorso fra le parti, site a A., in via (…), così descritte al catasto edilizio urbano dei fabbricati: appartamento sito al terzo piano dell’edificio, censito al foglio (…), particella (…), sub. (…), locale ad uso autorimessa, censito al foglio (…), mappale (…), sub. (…), appezzamento di terreno limitrofo all’edificio di circa venti metri quadrati, da stralciare dalla maggior consistenza della corte descritta al mappale (…);

3) CONDANNA (…) alla restituzione, in favore di (…), della somma di Euro 71.000,00, maggiorata degli interessi maturati e maturandi al tasso legale via via vigente dall’epoca dei singoli pagamenti al saldo;

4) RIGETTA ogni altra domanda;

5) COMPENSA integralmente le spese del presente giudizio.

Così deciso in Savona il 4 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.