Ai consorzi di tutela delle D.O.P. (Denominazioni di Origine Protetta) non si applica la disciplina dei rapporti tra marchi, D.O.P. e I.G.P. (Indicazioni di Origine Protetta) di cui all’art. 14, comma 2, del regolamento CE n. 510 del 2006, che tutela, a determinate condizioni, il marchio registrato o acquisito con l’uso in buona fede prima della data di deposito della domanda di registrazione della D.O.P. o della I.G.P., con la conseguenza che è soggetto a sanzione amministrativa per violazione dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 297 del 2004 (emanato in applicazione del regolamento CEE n. 2081 del 1992) il consorzio di tutela che nella sua ragione sociale usi una D.O.P. attribuita dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ad un altro consorzio.
Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|26 aprile 2023| n. 10952
Data udienza 9 novembre 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARRATO Aldo – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. ROLFI Federico – Consigliere
Dott. AMATO Cristina – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32181-2020 proposto da:
(OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di liquidatore e legale rappresentante pro tempore del Consorzio denominato ” (OMISSIS)”, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato “ex lege” in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 324/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, pubblicata il 3/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9.11.2022 dal Consigliere CRISTINA AMATO.
RILEVATO
CHE:
1. Con verbale n. 09/489 notificato il 16.06.2009 al Consorzio Olio Bruzio di Qualita’ (costituito in data 12.06.2002) e al (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di liquidatore e legale rappresentante pro tempore del suddetto Consorzio, l’Ispettorato Centrale per il Controllo dei Prodotti Agroalimentari contestava ai destinatari la violazione del Decreto Legislativo 19 novembre 2004, n. 297, articolo 5, comma 1, (recante disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari), per aver usato nella propria ragione e denominazione sociale la denominazione protetta “Bruzio”. In data 13.01.2005, infatti, era intervenuto il riconoscimento della D.O.P. Bruzio per un altro consorzio, il Consorzio per la Tutela e Valorizzazione dell’Olio Extravergine di Oliva D.O.P. Bruzio, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22.01.2005, quale consorzio costituito ai sensi dell’articolo 2602 c.c. per assolvere alle funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore previste dalla L. 24 aprile 1998, n. 128, articolo 53 (successivamente sostituito dalla L. 21 dicembre 1999, n. 526, articolo 14). Il 15.07.2009 veniva deliberato lo scioglimento e la messa in liquidazione del Consorzio Olio Bruzio di Qualita’.
2. Con ordinanza n. 786 del 5.06.2013, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ingiungeva al Consorzio Olio Bruzio di Qualita’ e, in solido, a (OMISSIS) il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 26.000,00, con riferimento alla contestata violazione di cui al su richiamato verbale di accertamento.
3. Avverso detta ordinanza-ingiunzione proponevano opposizione il Consorzio Olio Bruzio di Qualita’ e il (OMISSIS) dinanzi al Tribunale di Catanzaro, il quale – con sentenza del 18.08.2014, n. 1976 – la rigettava, confermando il provvedimento sanzionatorio amministrativo.
4. Contro la citata sentenza di primo grado formulavano appello il Consorzio Olio Bruzio di Qualita’ e il (OMISSIS) innanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, deducendo – per quanto qui rileva – l’insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi costitutivi dell’illecito amministrativo contestato.
5. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 324/2020, rigettava il gravame, siccome infondato.
A sostegno della sua decisione la Corte osservava che:
– la mancata soppressione da parte degli appellanti, entro il termine di 180 giorni prescritto dal Decreto Legislativo n. 297 del 2004, articolo 5 della menzione relativa alla DOP Olio Extra Vergine di Oliva Bruzio, gia’ inserita nella propria denominazione consortile, era stata correttamente considerata dal giudice di prime cure di per se’ sola, indipendentemente dal concreto svolgimento o meno dell’attivita’ inerente all’oggetto sociale (peraltro coincidente con quella del Consorzio per la Tutela e Valorizzazione dell’Olio Extravergine di Oliva D.O.P. Bruzio, riconosciuto con apposito decreto ministeriale), come integrante la violazione amministrativa contemplata dal Decreto Legislativo n. 297 del 2004, citato articolo 5, comma 1;
– a tal fine, rilevava, innanzitutto, la formulazione letterale della norma in esame, in virtu’ della quale puo’ considerarsi integrata la fattispecie sanzionatoria gia’ solo per effetto della condotta, consistente nell’inserimento della menzione della denominazione di origine protetta nella denominazione sociale – non soppressa entro il termine prescritto – di una struttura diversa dal consorzio riconosciuto, sotto il profilo del pericolo di potenziale compromissione dell’efficace esercizio delle funzioni di garanzia e tutela da parte del consorzio riconosciuto, a prescindere dall’effettiva operativita’ di detta diversa organizzazione;
– era, inoltre, rilevante la ratio sottesa alla previsione dell’illecito amministrativo, ricollegabile a funzioni di salvaguardia e di valorizzazione delle denominazioni di origine e/o indicazioni geografiche protette attribuite ad uno specifico consorzio di tutela all’uopo costituito, avente i requisiti necessari per ottenere il riconoscimento del Ministero competente. Il riferimento alla D.O.P. inserita nella denominazione di qualsiasi altra struttura doveva considerarsi idonea ad ingenerare confusione nei soggetti del settore interessati, ossia produttori, trasformatori, distributori e, non ultimi, consumatori finali;
– nel caso di specie, inoltre, essendo gli scopi sociali indicati nel relativo statuto del Consorzio Olio Bruzio di Qualita’ coincidenti con quelli del Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione dell’Olio Extravergine di Oliva D.O.P. Bruzio, successivamente riconosciuto – come gia’ rimarcato – con apposito decreto ministeriale, la mancata eliminazione da parte del primo della denominazione entro il termine prescritto integrava, di per se’, un pericolo sotto il profilo dell’efficace esercizio delle funzioni di garanzia e tutela del consorzio riconosciuto;
– quanto al profilo della pretesa condizione di buona fede in cui il Consorzio Olio Bruzio di Qualita’ sosteneva di aver agito, andava evidenziato che la pubblicazione nella G.U. del 22.01.2005 del Decreto Ministeriale di riconoscimento del consorzio di tutela valeva, da detta data, a rendere pienamente conoscibile tale evenienza e, quindi, inescusabile l’ignoranza di essa da parte degli appellanti.
6. Impugnavano la suddetta sentenza della Corte d’Appello per la cassazione il Consorzio Olio Bruzio di Qualita’ e il (OMISSIS), affidando il ricorso a due motivi.
Resisteva con controricorso il Ministero delle politiche Agricole e Forestali.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 19 novembre 2004, n. 297, articolo 5, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), sostenendosi la mancanza degli elementi, oggettivi e soggettivi, costitutivi dall’illecito amministrativo contestato, nonche’ l’applicazione dell’articolo 14, comma 2, del Regolamento CE n. 510 del 2006.
In particolare, i ricorrenti lamentano che la conclusione cui e’ giunto il giudice di seconde cure si fonda sull’erroneo presupposto di un divieto di indicare la denominazione di origine protetta nella ragione sociale di altra organizzazione, diversa da quella formalmente riconosciuta; cio’ al fine di scongiurare il pericolo di indurre in errore il consumatore mediante diciture evocative, utilizzate da un’organizzazione avente i medesimi scopi sociali.
Secondo gli stessi ricorrenti, tale ricostruzione sarebbe priva di pregio logico-giuridico, anche alla luce della normativa Europea in materia e dei recenti orientamenti giurisprudenziali. Al caso di specie, infatti, troverebbe applicazione l’articolo 14, comma 2, Reg. 510/2006/CE, in materia di protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli ed alimentari, disposizione riferita ai rapporti tra marchi acquisiti anteriormente alla data di protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti e queste ultime.
Ad avviso dei medesimi ricorrenti, detta disposizione consente il proseguimento dell’uso di tali marchi, acquisito in buona fede, sul territorio comunitario (purche’ non ricorrano le condizioni di nullita’ o decadenza previste dalla normativa comunitaria): essa avrebbe potuto trovare applicazione analogica all’indicazione geografica Bruzio di cui e’ causa, inserita nella ragione sociale del Consorzio odierno ricorrente (si cita Cass. n. 27194/2019). Da questa ricostruzione deriverebbe un’interpretazione restrittiva del Decreto Legislativo n. 297 del 2004, articolo 5 in virtu’ della quale l’inserimento dell’indicazione geografica nella ragione sociale di un Consorzio, in assenza di qualsivoglia attivita’ commerciale, non sarebbe in grado di integrare la condotta illecita oggetto di divieto, stante la sua inidoneita’ offensiva.
1.1. Rileva il collegio che il motivo e’ infondato per le ragioni che seguono.
Si osserva che la L. n. 297 del 2004, articolo 5, comma 1, di cui si discute, rubricato “Tutela dei Consorzi incaricati”, cosi’ recita: “L’uso della denominazione protetta, nella ragione o denominazione sociale di una organizzazione diversa dal Consorzio di tutela di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), n. 1), trascorsi centottanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto di riconoscimento del predetto Consorzio e di affidamento dell’incarico a svolgere le funzioni di cui alla L. 24 aprile 1998, n. 128, articolo 53, comma 15, come sostituito dalla L. 21 dicembre 1999, n. 526, articolo 14 ovvero in caso di Consorzio gia’ riconosciuto, dalla data di pubblicazione del presente D.Lgs., e’ sottoposto alla sanzione amministrativa pecuniaria di Euro ventiseimila ed alla sanzione accessoria dell’inibizione all’uso della ragione o denominazione sociale”. La norma riportata rappresenta la disposizione sanzionatoria adottata in applicazione del Regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, successivamente abrogato dal Reg. (CE) n. 510/2006 (oggi anch’esso abrogato dal Reg. (UE) n. 1151/2012, tuttavia non applicabile ratione temporis al caso che ci occupa), che ha sostituito l’articolo 13 e articolo 14, comma 2, sostanzialmente confermandone i contenuti e gli obiettivi.
1.2. Il Reg. CE n. 510/2006 e’ ispirato dalla volonta’ del legislatore Europeo di tutelare prodotti agricoli o alimentari identificabili in relazione all’origine geografica (gia’ definiti da taluni Stati membri “denominazione d’origine controllata”): tali denominazioni si sono diffuse e sono apprezzate dai produttori che conseguono risultati migliori in termini di reddito quale contropartita per lo sforzo qualitativo effettivamente sostenuto, nonche’ dai consumatori che dispongono di prodotti pregiati che offrono una serie di garanzie sul metodo di fabbricazione e sulla loro origine. Pertanto, “Un quadro normativo comunitario che contempli un regime di protezione consente di sviluppare le indicazioni geografiche e le denominazioni d’origine poiche’ garantisce, tramite un approccio piu’ uniforme, condizioni di concorrenza uguali tra i produttori dei prodotti che beneficiano di siffatte diciture, migliorando la credibilita’ dei prodotti agli occhi dei consumatori” (cfr. considerando 6). Il Regolamento, Europeo, dunque, disciplina il beneficio di un D.O.P. o di un I.G.P.; prevede la conformita’ a disciplinari (articolo 4); norma le modalita’ di registrazione del D.O.P. e I.G.P. (articolo 5), demandando il controllo, oltre che alla Commissione Europea, agli Stati membri, i quali, a loro volta, designano l’autorita’ competente incaricata dei controlli (articolo 10).
1.3. In tale contesto Europeo, la L. n. 128 del 1998, articolo 53, comma 1, (e succ. modif.) attribuisce al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali la funzione di autorita’ nazionale preposta al coordinamento dell’attivita’ di controllo, responsabile della vigilanza sullo stesso. Lo stesso articolo 53, al comma 15, assegna ai consorzi di tutela delle D.O.P. (soggetti di diritto privato ex articolo 2602 c.c.) funzioni “di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi alle denominazioni”. La disposizione citata conferisce anche funzioni di controllo, nel senso di predisporre “programmi recanti misure di carattere strutturale e di adeguamento tecnico finalizzate al miglioramento qualitativo delle produzioni in termini di sicurezza igienico sanitaria, caratteristiche chimiche, fisiche, organolettiche e nutrizionali del prodotto commercializzato” (articolo 53, comma 15, lettera b); nonche’ la funzione di “collaborare secondo le direttive impartite dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, alla vigilanza, alla tutela e alla salvaguardia delle D.O.P. della I.G.P. o dell’attestazione di specificita’ di abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio delle denominazioni tutelate e comportamenti comunque vietati dalla legge; tale attivita’ e’ esplicata ad ogni livello e nei confronti di chiunque, in ogni fase della produzione, della trasformazione e del commercio” (articolo 53, comma 15, lettera d).
I consorzi di tutela rivestono, quindi, la qualificazione di soggetti privati incaricati di pubbliche funzioni; pertanto, le attivita’ di controllo del rispetto del disciplinare delle D.O.P. attribuite ai consorzi di tutela sono dirette alla protezione della qualita’ del prodotto nell’interesse del consumatore: si tratta di una funzione di interesse generale che rientra nei compiti essenziali dello Stato in materia di tutela dell’alimentazione (Cass. Sez. 1, n. 355 del 10.01.2008).
1.4. Al di fuori di questa funzione si colloca, invece, la disciplina dei rapporti tra marchi, D.O.P. e I.G.P., di cui all’articolo 14, comma 2, Reg. (CE) n. 510/2006: la norma riguarda un’ipotesi di conflitto tra una D.O.P. o un’I.G.P. registrata e un marchio preesistente, quando l’uso di quest’ultimo corrisponde ad una delle ipotesi previste dall’articolo 13 del regolamento n. 2081/92, ed il marchio sia stato registrato, ovvero acquisito con l’uso in buona fede, prima della data di deposito della domanda di registrazione della D.O.P. o dell’I.G.P. L’effetto previsto in quest’ipotesi e’ di consentire la prosecuzione dell’uso, nonostante la registrazione della denominazione, quando il marchio non e’ colpito dalle cause di nullita’ o di decadenza previste rispettivamente dagli articoli 3, n. 1, lettera c) e g), nonche’ 12, n. 2, lettera b), della prima direttiva 89/104 (Corte di Giustizia UE, C-343/97 del 02.07.2009, Bavaria, n. 119; Cass. Sez. 1, n. 27194 del 23.10.2019, 3.5.2.). Si tratta, dunque, di una disciplina specifica, tesa a regolare rapporti e interessi prevalentemente di natura privatistica, riassumibili nel vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine e’ in grado di garantire al prodotto, a valle di distinti procedimenti di registrazione. Per tale ragione deve, dunque, escludersi la trasposizione al caso di specie della norma segnalata dalle parti ricorrenti (articolo 14, comma 2, Reg. (CE) n. 510/2006), posto che qui si discute della diversa situazione che vede la coesistenza sul mercato, per ben quattro anni, di due diversi consorzi di tutela, aventi scopo sociale assimilabile (v. p. 6 della sentenza impugnata, righi 5 – 15), uno solo dei quali – il Consorzio per la Tutela e Valorizzazione dell’Olio Extravergine di Oliva D.O.P. Bruzio – aveva ottenuto il riconoscimento del Mi.P.A.F. per le finalita’ di pubblico interesse come sopra evidenziate, a valle della verifica del possesso dei necessari requisiti di equilibrata rappresentanza negli organi sociali delle categorie dei produttori e dei trasformatori interessati alle D.O.P. e I.G.P.; laddove l’altro, il Consorzio Olio Bruzio di Qualita’, odierno ricorrente, pur avendo inoltrato richiesta al Ministero in data 18.10.2004 (cfr. pp. 3, 11 del ricorso), non aveva ottenuto il Decreto Ministeriale di riconoscimento.
Tanto basta, altresi’, ad escludere la rilevanza – piu’ volte ribadita dai ricorrenti – del mancato utilizzo della dicitura D.O.P. nei rapporti commerciali, ai fini dell’esclusione della concreta offensivita’ della condotta, posto che – come sopra argomentato – le finalita’ pubbliche affidate al consorzio privato (confermate da espresse disposizioni statutarie: cfr. p. 3 del ricorso) erano quelle di tutelare la salute alimentare attraverso la valorizzazione dei prodotti di qualita’ controllati nella loro origine.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 3, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), nonche’ l’omesso esame di fatti decisivi.
I ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto – in violazione della L. n. 689 del 1981, citato articolo 3, – della buona fede dell’autore della condotta che, nell’ambito del procedimento sanzionatorio amministrativo, si atteggia a causa di esclusione della responsabilita’.
La buona fede – ad avviso dei ricorrenti – sarebbe dimostrata dal non utilizzo dell’acronimo D.O.P. nell’indicazione geografica, nonche’ dall’immediata cessazione e cancellazione del Consorzio Olio Bruzio di Qualita’ dopo aver appreso del riconoscimento della D.O.P. in capo ad altro ente, tale da superare la presunzione semplice di sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa carico del destinatario della sanzione, L. n. 689 del 1981, ex articolo 3.
2.1. Anche questo motivo e’ privo di fondamento per le ragioni di seguito specificate.
Va rilevato che, ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 3, comma 2, per integrare l’elemento soggettivo delle violazioni cui e’ applicabile una sanzione amministrativa nell’ipotesi di violazione commessa per errore sul fatto, e’ sufficiente la semplice colpa, che si presume a carico dell’autore della condotta vietata, riservando a questi l’onere di provare di aver agito senza (Cass. n. 2406 del 2016; Cass. n. 13610 del 2007).
Questa Corte ha gia’ avuto modo di stabilire che, a concretizzare quella buona fede che esclude la responsabilita’ dell’autore dell’illecito, non e’ sufficiente che al momento dell’infrazione costui si trovi in uno stato di mera ignoranza circa la concreta sussistenza dei presupposti ai quali l’ordinamento positivo riconduce il suo obbligo (punito in caso di inosservanza con la detta sanzione) di tenere una determinata condotta, o sia convinto della liceita’ della stessa; occorre, invece, che tale stato di ignoranza sia incolpevole (Cass. n. 14107 del 2003, citata dallo stesso ricorrente), ossia che non sia superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza (Cass. n. 13011 del 1997; Cass. n. 5047 del 2001).
Pertanto, se l’errore sul fatto esclude la responsabilita’ dell’agente solo quando non e’ determinato da sua colpa, ne consegue che la norma limita la rilevanza della causa di esclusione alle sole ipotesi in cui l’errore sul fatto sia dovuto a caso fortuito o forza maggiore (Cass. n. 24803 del 2006), e che l’onere della prova dell’erroneo convincimento grava su chi lo invoca (Cass. n. 5877 del 2004), non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio (Cass. n. 15195 del 2008). Peraltro, e’ stato ulteriormente precisato da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 2, n. 18469 del 4.09.2020; Cass. Sez. 2, n. 20219 del 31.07.2018; Cass., Sez. 2, n. 33441 del 17.12.2019) che l’esimente della buona fede rileva come causa di esclusione della responsabilita’ amministrativa (al pari di quanto avviene per quella penale in materia di contravvenzioni) solo quando sussistano elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceita’ della sua condotta, e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso.
Rapportando tali principi al caso di specie, il collegio condivide la conclusione cui e’ pervenuto il giudice di appello, secondo cui l’aver costituito il consorzio in data antecedente al riconoscimento ministeriale in capo all’altro consorzio, nonche’ l’immediata cessazione e cancellazione del consorzio solo dopo (il 15.07.2009) aver appreso il riconoscimento della D.O.P. in capo ad altro ente a seguito della notificazione, avvenuta il 16.06.2009, del verbale n. 09/489, non possono rappresentare ne’ elementi positivi idonei a sostenere la convinzione di liceita’ della condotta, ne’ costituiscono atti idonei a conformarsi al precetto, posto che il Consorzio Olio Bruzio di Qualita’ era un soggetto operante nel settore, dunque interessato ad evenienze di questa natura (riconoscimenti ministeriali attribuiti ad altri enti) e, pertanto, istituzionalmente tenuto ad informarsi adeguatamente, in modo da poter agire nei tempi di legge per conformarsi al precetto.
3. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento dei compensi del presente giudizio nella misura di cui in dispositivo.
Occorre, infine, dare atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido fra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento dei compensi del presente giudizio, liquidati in Euro 2.000,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido fra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis.