la parte che contesti l’autenticita’ del testamento olografo deve pertanto proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e grava su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo (Cass. 4 gennaio 2017, n. 109) e che, pertanto, e’ sufficiente la contestazione dell’autenticita’ del testamento olografo effettuata nell’atto di citazione, cosi’ come disposto nel caso di specie.
Per ulteriori approfondimenti in materia di successioni e donazioni, si consigliano i seguenti articoli:
Il testamento olografo, pubblico e segreto.
Eredità e successione ereditaria
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3127
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1768/2014 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso in forza di procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato (OMISSIS), presso il cui studio e’ elettivamente domiciliato in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi in forza di procura speciale in atti dall’avvocato (OMISSIS), presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in (OMISSIS);
– resistenti –
avverso la sentenza n. 2546/2013 della Corte d’appello di Milano, depositata il 19 giugno 2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 novembre 2017 dal Consigliere Gianluca Grasso;
vista la memoria scritta depositata dal ricorrente ai sensi DELL’ART. 380 Bis c.p.c., comma 1.
RITENUTO
che con atto di citazione notificato il 22 dicembre 2005 (OMISSIS) e (OMISSIS), cugini di (OMISSIS), deceduto in data (OMISSIS), convenivano in giudizio. (OMISSIS), proclamandosi “unici eredi legittimi” del de cuius e dichiarando di disconoscere il testamento olografo del 15 aprile 1990, pubblicato il 18 ottobre 2005, con il quale (OMISSIS) aveva lasciato a (OMISSIS), oltre al “conto in banca per quello che restera’ da riscuotere”, anche due beni immobili, costituiti dalla casa di abitazione in (OMISSIS), con relativo box, e da altro appartamento sito in (OMISSIS);
che, costituendosi in giudizio, il convenuto contestava la fondatezza degli assunti avversari e proponeva istanza di verificazione al fine di far emergere l’autenticita’ della scheda testamentaria;
che, disposta perizia grafologica, il Tribunale di Milano, con sentenza depositata in data 5 agosto 2011, accertava che il testamento olografo non era stato redatto e sottoscritto da (OMISSIS), dichiarando che (OMISSIS) e (OMISSIS) erano gli eredi legittimi di (OMISSIS). Condannava (OMISSIS) a restituire i beni immobili indicati in atti, nonche’ l’importo di Euro 232.000,00, oltre al pagamento delle spese legali e di CTU;
che avverso tale sentenza proponeva appello (OMISSIS), deducendo che i fratelli (OMISSIS) non avevano mai formalmente disconosciuto il testamento olografo oggetto di causa dopo la relativa produzione avvenuta con la memoria istruttoria 29 marzo 2007, per cui lo stesso doveva intendersi riconosciuto ai sensi dell’articolo 215 c.p.c., dolendosi, in ogni caso, delle conclusioni raggiunte dal CTU e fatte proprie dal Tribunale;
che si costituivano (OMISSIS) e gli eredi di (OMISSIS), medio tempore deceduto, insistendo per il rigetto del gravame;
che la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 19 giugno 2013, rigettava il gravame;
che per la’ cassazione della pronuncia della Corte d’appello ricorre (OMISSIS) sulla base di tre motivi;
che (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) resistono in giudizio con memoria depositata ai sensi dell’articolo 378 c.p.c.
CONSIDERATO
che, preliminarmente, va respinta l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’appello di Milano, essendo stato il ricorso notificato presso la cancelleria della Corte d’appello. Alla data di notifica del ricorso (20 dicembre 2013) non era infatti entrato in vigore il Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-sexies convertito con la L. n. 221 del 2012, come modificato dal Decreto Legge n. 90 del 2014, articolo 52, comma 1, lettera b) convertito con la L. n. 114 del 2014, per cui, in materia di notificazioni al difensore, a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’ordine di appartenenza non e’ piu’ possibile procedere – ai sensi del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82 – alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresi’ la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (Cass. 11 luglio 2017, n. 17048);
che con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto riferita agli articoli 214 e 215 c.p.c. Parte ricorrente evidenzia che i fratelli (OMISSIS) non hanno mai disconosciuto nei modi, nei tempi e nelle forme previste dal codice di rito il testamento olografo del 15 aprile 1990. La difesa degli attuali controricorrenti, infatti, nell’atto di citazione, aveva avanzato, ai sensi dell’articolo 214 c.p.c., istanza di disconoscimento del testamento olografo senza essere in possesso e senza aver depositato l’originale del documento, ne’ una sua copia. Tale circostanza era stata evidenziata dal procuratore della parte convenuta in occasione della comparsa di risposta ma non era stata valutata dal Tribunale. Il testamento veniva prodotto dallo stesso convenuto in occasione della memoria istruttoria del 29 marzo 2007 mentre nessun formale disconoscimento sarebbe mai stato effettuato;
che il motivo e’ infondato;
che le Sezioni Unite di questa Corte, in caso di contestazione del testamento olografo, hanno adottato una terza via tra l’indirizzo favorevole al semplice disconoscimento della scheda testamentaria ex articolo 214 c.p.c. e la tesi della querela di falso, stabilendo la necessita’ di proporre un’azione di accertamento negativo della falsita’ (Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12307);
che la parte che contesti l’autenticita’ del testamento olografo deve pertanto proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e grava su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo (Cass. 4 gennaio 2017, n. 109);
che, pertanto, e’ sufficiente la contestazione dell’autenticita’ del testamento olografo effettuata nell’atto di citazione, cosi’ come disposto nel caso di specie;
che con il secondo motivo di gravame si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’omesso esame dei rilievi critici alla CTU. La Corte d’appello di Milano avrebbe omesso di esaminare le puntuali contestazioni mosse alla consulenza d’ufficio e, in particolare, la’ circostanza che il consulente di parte avesse concluso la propria perizia sostenendo che la sottoscrizione apposta in calce al testamento fosse autentica e che dall’esibizione dei documenti bancari, disposta ex articolo 210 c.p.c., fosse emerso che il (OMISSIS) avesse deciso di condividere i suoi beni con (OMISSIS), cointestando all’odierno ricorrente una serie di conti correnti e titoli bancari e postali;
che il motivo e’ inammissibile;
che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 convertito con la L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario nel cui ambito non e’ inquadrabile la censura concernente deficienze argomentative della decisione in punto di recepimento delle conclusioni della CTU, esigendo, piuttosto, l’indicazione delle circostanze secondo le quali quel recepimento, sulla base delle modalita’ con cui si e’ svolto, si sia tradotto nell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti (Cass. 26 luglio 2017, n. 18391);
che gli elementi dedotti dal ricorrente non configurano l’omesso esame di un fatto decisivo, avendo la corte d’appello esaminato tutti profili considerati nella relazione del consulente tecnico, alla luce delle deduzioni del consulente di parte, nelle pagine da sette a nove della sentenza impugnata e che formano oggetto di contestazione da parte del ricorrente, il quale prospetta, in maniera inammissibile – in base al nuovo articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – delle conclusioni diverse, alla luce di quanto affermato dal proprio consulente;
che il profilo riguardante l’esibizione di documenti bancari non appare decisivo, facendo riferimento a circostanze esterne all’accertamento dell’autenticita’ del documento impugnato e ritenuto apocrifo con valutazione in questa sede insindacabile;
che il ricorrente, invero; mira a una inammissibile rivalutazione dell’apprezzamento compiuto dal giudice del merito;
che con il terzo motivo di gravame si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’avvenuta cancellazione dall’albo dei periti, per motivi disciplinari, della consulente nominata dal Tribunale. Ad avviso del ricorrente, infatti, dalla mancanza in capo alla consulente dei requisiti per potere essere iscritta all’albo dei consulenti presso il Tribunale di Milano o comunque dei requisiti previsti dalla legge per potere svolgere l’incarico di consulente tecnico d’ufficio, discenderebbe la nullita’, o quanto meno la scarsa attendibilita’, della consulenza svolta;
che il motivo e’ infondato, non costituendo la deduzione svolta alcun motivo di invalidita’ ne’ della consulenza ne’ della pronuncia resa sulla base della perizia depositata dal consulente tecnico d’ufficio, la cui vicenda disciplinare – come prospettato nella memoria dei resistenti – risulta peraltro successiva all’incarico espletato;
che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
che poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione’ del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai resistenti, che si liquidano in complessivi Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.