l’art. 2719 cod. civ., che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche, è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, e, nel silenzio normativo sui modi e termini in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione.
Corte d’Appello Milano, Sezione 4 civile Sentenza 4 aprile 2019, n. 1510
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI MILANO
SEZIONE IV CIVILE
nelle persone dei seguenti Magistrati:
dott. Marina Marchetti – Presidente
dott. Marisa Gisella Nardo – Consigliere
dott. Mery De Luca – Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al N. 5085/2017 R.G. promossa in grado d’appello
DA
(…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in Milano, Piazza (…), presso lo studio dell’Avv. Ad.Al. (C.F. (…)), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine dell’atto di citazione in appello
Appellante
CONTRO
(…) S.P.A. (P.IVA (…) – già (…) S.p.A. – con sede in M., Via (…), in persona del Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore, (…)R., rappresentata e difesa, giusta procura generale alle liti del 12/12/2011, in autentica Notaio (…) di M., rep. n. (…), dall’Avv. Cl.Fe. (C.F. (…)), con studio in Milano, Via (…), ivi elettivamente domiciliata
Appellata
Avente ad oggetto: Appalto: altre ipotesi ex art. 1655 e ss. c.c. (ivi compresa l’azione ex 1669c.c.)
MOTIVAZIONE IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza n. 7103/2017, pubblicata il 23/06/2017, il Tribunale di Milano rigettava la domanda proposta da (…) nei confronti di (…) S.p.A. (già (…) S.p.A.) volta alla condanna della convenuta al pagamento di complessivi Euro 160.000,00 (ovvero della maggior o minor somma ritenuta di giustizia), a saldo del corrispettivo spettante in ragione del contratto d’appalto stipulato in forma orale fra le parti.
In parziale accoglimento delle domande riconvenzionali proposte da (…) S.p.A. – che aveva lamentato, fra l’altro, vizi e difetti nelle opere eseguite e la mancata esecuzione di alcune di quelle appaltate – condannava (…) a pagare alla società Euro 20.140,00, oltre Iva e interessi legali dalla domanda al saldo. Poneva in via definitiva a carico di (…) le spese della consulenza grafologica disposta in corso di causa addossandogli altresì, per intero, le ulteriori spese di lite.
Secondo il Tribunale la domanda attrice doveva essere respinta posto che dall’istruttoria svolta, ed in particolare dalla consulenza grafologica, era emerso – in conformità con quanto sostenuto dalla società appaltante – che le parti in causa avevano concluso in data 08/11/2004, in forma scritta, un contratto d’appalto finalizzato alla ristrutturazione dell’immobile sito in Via (…) per un corrispettivo Euro 118.000,00 e che (…), con dichiarazione del 16/02/2006, aveva rinunciato all’incarico dichiarando di non essere in grado di portare a termine i lavori e riconoscendo che, con l’erogazione dell’ultimo pagamento ivi indicato, nulla aveva più a pretendere per le opere eseguite.
Quanto alle domande riconvenzionali proposte da (…) S.p.A. rilevava che nulla doveva esserle restituito perché i pagamenti ulteriori, rispetto al corrispettivo indicato nel contratto, dovevano essere imputatati ad opere extra; erano risultate invece parzialmente riscontrate le contestazioni dell’appaltante, sia in relazione al mancato completamento di alcuna opere sia al risconto di vizi e difetti in alcune di quelle eseguite, in relazione alle quali la società aveva dimostrato di essere ricorsa all’intervento di terzi sostenendo un esborso complessivo di Euro 20.140, 00 oltre Iva; non era invece stata fornita prova alcuna di danni ulteriori.
Regolava le spese secondo soccombenza.
Avverso detta sentenza ha interposto tempestivo appello (…) affidando il gravame a tre motivi.
Con il primo, ha denunciato la violazione dell’art. 2702 c.c. per avere il Tribunale riconosciuto efficacia probatoria ai documenti prodotti sub (…) e (…) da (…) S.p.A. e fondato la decisione sugli esiti della disposta consulenza grafologica – invece inammissibile – non essendo mai stati prodotti in originale i documenti anzidetti – e, comunque, inattendibile, perché condotta su copie.
Con il secondo, ha censurato l’accoglimento della domanda riconvenzionale in relazione ai vizi e difetti denunciati dall’appaltante nonostante l’intervenuta decadenza e prescrizione del diritto, ex art. 1667 c.c., eccezioni sulle quali il primo giudice aveva omesso di pronunciarsi
Con il terzo, ha denunciato come altrettanto erronea la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto provato il pagamento, da parte di (…) S.p.A., di complessivi Euro 183.890,20, prova che invece non era stata fornita posto che i documenti da essa prodotti attestavano il versamento della minor somma di Euro 80.000,00, sicché il Tribunale avrebbe dovuto condannare la società a pagare, a titolo di residuo prezzo, quanto meno, l’importo di Euro 103,890,20.
(…) S.p.A., ritualmente costituitasi, ha resistito eccependo l’inammissibilità dell’appello, ex art- 342 c.p.c., sollecitandone, comunque, il rigetto per infondatezza.
All’udienza dell’08/11/2018, le parti hanno precisato come in epigrafe le rispettive conclusioni.
Decorsi i termini di cui all’art. 352 c.p.c., la causa è stata discussa e decisa dalla Corte all’udienza camerale del 06/02/2019.
Va disattesa la preliminare eccezione sollevata dall’appellata con rifermento all’art. 342 c.p.c.
L’indicazione dei motivi ex artt. 342 e 434 c.p.c., pur dopo la novella introdotta dall’art. 54, L. n. 134 del 2012, non deve, infatti, necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello richiedendosi, invece, soltanto un’esposizione chiara ed univoca sia della domanda rivolta al giudice del gravame sia delle ragioni della doglianza.
L’atto introduttivo risponde ad entrambi i requisiti perché indica, pur in difetto di formule sacramentali, che la norma comunque non richiede, le ragioni ed il contenuto della domanda nonché le critiche, in fatto ed in diritto, mosse alla decisione del primo giudice e le relative modifiche come è dato evincersi già dalla sintetica esposizione dei contenuti che si è svolta sopra (cfr. Cass. n. 2143/2015; cfr. altresì Cass. n. 20124/2015; cfr., da ultimo, Cass. S.U. n. 27199/2017).
Ciò osservato ritiene la Corte che l’appello, benché ammissibile, sia infondato e debba perciò essere disatteso.
Con il primo motivo (…) censura come erronea la decisione del Tribunale per avere posto a fondamento della decisione i documenti prodotti sub (…) e (…) da (…) S.p.A. – ossia il contratto d’appalto in data 08/11/2004 e la dichiarazione, del 16/02/2006, con la quale l’appaltatore ha dichiarato di non essere più in grado di proseguire nell’esecuzione del contratto e di essere stato saldato dei lavori eseguiti – la cui sottoscrizione egli aveva disconosciuto e sui quali il primo giudice aveva poi disposto una consulenza grafologica i cui esiti – benché negativi per esso appellante ( in quanto conclusasi con la riferibilità di entrambe le firme allo stesso F.) non potevano essere utilizzati per inattendibilità dell’accertamento tecnico, pacificamente condotto su copia, non avendo (…) S.p.A. mai prodotto gli originali.
Ritiene la Corte che la censura non possa trovare accoglimento.
La stessa muove infatti dal presupposto che il disconoscimento delle scritture, effettivamente prodotte in copia dalla convenuta all’atto della sua costituzione, sia stato tempestivo.
Il che, tuttavia, non è dato ravvisarsi, nella fattispecie, ove esso è avvenuto solo con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. e limitatamente alla firma apposta sul contratto, mentre quanto alla dichiarazione del 16/02/2006, ne è stata ivi contestata non già la sottoscrizione bensì “il carattere di dichiarazione confessoria in quanto il Sig. F. non ha mai rinunciato al pagamento di cui è causa” (cfr. pag. 3, memoria depositata il 23/09/2013). Solo con la successiva “memoria integrativa” dell’11/02/2014, l’odierno appellante ha espressamente disconosciuto la firma apposta in calce a detto documento.
Sul punto va, infatti, richiamato il consolidato arresto della Suprema Corte secondo il quale “l’art. 2719 cod. civ., che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche, è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, e, nel silenzio normativo sui modi e termini in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione” (cfr. Cass. n. 2374/2014; Cass. ord. 16/01/2018-Rv. 646669 – 01).
Trattandosi di disconoscimento tardivo – in quanto, alla prima udienza, l’appellante si è limitato a riservarsi di verificare e/o contestare la sottoscrizione dei documenti in parola (cfr. verb. 09/07/2013) – deve concludersi che il Tribunale li ha legittimamente posti a fondamento della sua decisione, correttamente apprezzandone l’efficacia probatoria ai sensi degli artt. 2702 e 2719 c.c.
Resta perciò superata anche l’ulteriore censura fondata sulla dedotta inattendibilità della consulenza grafologica perché condotta su copie.
Con il secondo motivo l’appellante si duole del fatto che il Tribunale abbia accolto la domanda riconvenzionale dell’appaltante, condannandolo al pagamento di Euro 20.140, 00 a ristoro dei vizi e difetti denunciati, benché in relazione a detta norma, da ricondursi, sempre secondo detta parte, al paradigma normativo di cui all’art. 1667 c.c., egli avesse eccepito l’intervenuta decadenza e la prescrizione.
La doglianza è infondata.
Costituisce, infatti, orientamento consolidato quello secondo cui, nell’ipotesi in cui l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto – il che è senz’altro avvenuto, nella fattispecie, laddove il mancato completamento dell’opera, oltre ad essere ammesso dallo stesso appellante nella dichiarazione sopra ricordata, è stato confermato dai testi (cfr. dep. testi A. e G.) – la disciplina applicabile nei suoi confronti è senz’altro quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt.1453 e 1455 c.c., laddove la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti (cfr., Cass . n. 13983/2011; Cass. n.1186/2015).
La statuizione del primo giudice nella parte in cui ha accolto la domanda in relazione ai costi sostenuti (anche) per opere rimediali non può perciò che trovare conferma.
Con il terzo motivo l’appellante assume che il Tribunale, pur riconoscendo che (…) S.p.A. aveva effettuato pagamenti per importi superiori a quelli indicati nel contratto (imputandoli ad opere extra e perciò disattendendo la domanda di restituzione proposta in via riconvenzionale dall’appaltante), aveva respinto le domande attrici non considerando che la società non aveva dato prova di avere effettivamente pagato, come dalla stessa sostenuto, Euro 183.890,20.
Risultando, a detta dell’appellante, dai documenti prodotti il pagamento di soli Euro 80.000,00, il Tribunale avrebbe perciò dovuto accogliere la sua domanda quanto meno nella misura di Euro 103.890,20, pari alla differenza fra gli importi indicati.
L’assunto, a giudizio della Corte, non merita condivisione.
Il Tribunale ha infatti rigettato la domanda di pagamento del saldo, proposta da (…), sul rilievo che era stato lo stesso appaltatore, in sede di recesso dal contratto, a dichiarare di avere ricevuto tutto quanto dovutogli a titolo di corrispettivo in relazione alle opere eseguite.
Tale essendo la ratio della decisione – non efficacemente contrastata in ragione del rigetto del primo motivo d’appello – a nulla rileva che (…) S.p.A., costituendosi in prime cure, abbia sostenuto di avere pagato Euro 183.890,23.
Nella prospettazione dell’appaltante l’allegazione era infatti funzionale alla domanda di restituzione, poi disattesa dal primo giudice, introdotta sull’assunto che la somma di Euro 183.890,23, in tesi versata, eccedesse il valore delle opere realizzate sicché tale indicazione non può essere assunta, come vorrebbe l’odierno appellante, quale riconoscimento di debito.
Ciò proprio in considerazione del fatto che la maggior somma era stata indicata come pagata ma non come interamente dovuta, sicché anche sotto tale profilo il gravame non può trovare accoglimento, fermo restando che l’appellante, anche a voler prescindere dal contenuto delle scritture anzidette, non ha offerto prova idonea del maggior credito vantato, non avendo trovato puntuale riscontro, nelle testimonianze assunte, nemmeno le deduzioni circa l’entità delle opere effettivamente eseguite (cfr. dep. teste M., verb. ud. 21/01/2015; all’escussione dell’ulteriore teste l’attore, odierno appellante, ha invece rinunziato- cfr. verb. ud. 09/12/2015).
Le spese del grado seguono la soccombenza, ex art. 91 c.p.c.
La regolazione rimane affidata al dispositivo in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 ragguagliati al valore della causa e all’attività defensionale in concreto svolta dalle pari (e quindi senza riconoscimento alcuno per la fase di trattazione, non tenutasi).
Nonostante il rigetto dell’impugnazione, non sussistono a carico dell’appellante i presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato di cui all’art. 17, comma 1, L. n. 218 del 2012.
(…) è stato, infatti, ammesso al patrocinio a spese dello Stato anche in relazione al presente giudizio di appello (cfr. Provv. del 5 ottobre 2017, in atti) e ne rimane perciò esente, ex artt. 11 e 131, D.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. n.13935/2017).
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando, sull’appello proposto da (…) contro (…) S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 7103/2017, pubblicata il 23/06/2017, ogni diversa domanda eccezione e deduzione disattesa, così dispone:
1. Rigetta l’appello proposto da (…) avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 7103/2017, pubblicata il 23/06/2017, che, per l’effetto, integralmente conferma.
2. Condanna (…) a pagare a (…) S.p.A. le spese processuali del grado liquidate in complessivi Euro 6.000,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
Così deciso in Milano il 6 febbraio 2019.
Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2019.