in ordine alla distanza tra le costruzioni riferita ex lege all’intera parete e non solo alle sue sezioni finestrate, si deve fare applicazione del principio secondo cui: due fabbricati, per essere antistanti, non devono necessariamente essere paralleli, ma possono anche fronteggiarsi con andamento obliquo, purché tra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Da tale principio discende che non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, né quelli in cui sono gli spigoli opposti a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l’altro”, per affermare la carenza di presupposto fattuale per l’applicabilità del divieto di cui all’art. 9, D.M. n. 1444/68, vale a dire l’esistenza di due pareti “antistanti”, formando la sagoma dei due fabbricati un angolo retto.
Puoi scaricare la presente sentenza in formato PDF, effettuando una donazione in favore del sito, attraverso l’apposito link alla fine della pagina.
Corte d’Appello|Napoli|Sezione 6|Civile|Sentenza|23 giugno 2022| n. 2916
Data udienza 20 maggio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Napoli, Sezione VI Civile, riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:
Dott.ssa Assunta D’Amore Presidente
Dott. Antonio Quaranta Consigliere
Avv. Fabrizio Carmina Giudice Ausiliario Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 1970 del R.G. per gli affari contenziosi dell’anno 2016, posta in deliberazione all’udienza collegiale del 21.01.2022, vertente
Tra
(…) e (…) entrambi elettivamente domiciliati in Benevento, Via (…), presso lo studio degli Avv.ti Ni.Ma., Fi.Ma. e Lu.Ma. che li assistono e difendono in virtù di procura in calce all’atto di citazione in appello;
– Appellanti –
Contro
(…) e (…) entrambi elettivamente domiciliati in Benevento, Viale (…), presso lo studio dell’Avv. An.Po. che unitamente all’Avv. An.Vi. li assiste e difende in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione in appello.
– Appellati –
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato in data 20.11.2009 i coniugi (…) e (…) evocavano in giudizio avanti il Tribunale Civile di Benevento i germani (…) e (…) per sentir dichiarare l’atto pubblico del 18.09.2006 viziato nella parte in cui avrebbe riconosciuto in loro favore la mera servitù di passaggio e non anche la comproprietà della strada di larghezza di mt. 4,50 che attraversa il fondo dei confinanti, nonché del piazzale e della fascia di terreno di larghezza di mt. 6,00, come previsto nella scrittura privata di compravendita inter partes del 10.12.2001 e, per l’effetto, disporre obbligo a carico dei convenuti di eliminare alcune piante e manufatti in cemento in osservanza delle non rispettate misure stabilite in atti e delle norme sulle distanze dalle costruzioni, con ordine di trascrizione dell’emananda sentenza e vittoria di spese processuali.
Sostenevano gli attori di aver acquistato dagli (…) l’immobile di cui è causa ubicato in Benevento, alla Via (…), giusta scrittura privata di compravendita con cui era altresì disposta in loro favore la cessione in comproprietà con i venditori di un piazzale e di una fascia di terreno, entrambi delimitati da un muro in mattoni, che originava da un cancello principale e giungeva al detto piazzale, e che nel successivo atto pubblico, nonostante la totale assenza di rinuncia da parte degli acquirenti al convenuto regime di comproprietà dei cennati anditi, veniva loro concessa una mera servitù di passaggio, vedendo violato il loro diritto stante la realizzazione di due manufatti costruiti a fianco il piazzale in spregio alle norme regolatrici delle distanze tra le costruzioni.
Gli attori chiedevano, poi, nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., 6 comma, la condanna dei convenuti all’espletamento delle necessarie attività per il ripristino della mutata destinazione d’uso avuta dal piano terra del bene loro trasferito, da pertinenza agricola ad abitazione.
Si costituivano in giudizio (…) e (…) opponendosi alla domanda proposta sul presupposto della carenza di discrasia tra quanto concordato nella scrittura privata e quanto trasfuso nel successivo atto pubblico, formulando domanda riconvenzionale per la condanna degli attori alla rimozione di rifiuti edili, della condotta del gas e di una baracca esistenti su fondo di loro proprietà, nonché di un’ulteriore struttura metallica poiché realizzata dagli istanti in violazione delle norme sulle distanze dalle costruzioni.
I convenuti concludevano per il rigetto della pretesa attorea e per il contestuale accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata, con vittoria di spese di lite.
Sulla base degli assunti delle parti veniva disposta e acquisita agli atti C.T.U. descrittiva dello stato dei luoghi, sicché la causa era trattenuta in decisione e regolata con la sentenza n. 591/16 resa in data 12-22.2016, in forza della quale il Tribunale adito rigettava la domanda attorea e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava i coniugi (…)/(…) alla rimozione della parte del manufatto realizzato su fondo dei convenuti, del materiale di risulta ivi sversato e della tubazione del gas servente l’immobile di loro proprietà, oltre alla demolizione in parte della struttura metallica antistante il fondo (…), ponendo, con parziale compensazione, la metà delle spese di lite a carico degli attori.
Riteneva anzitutto il giudice monocratico che la scrittura privata di compravendita del 10.12.2001 assumesse piena efficacia reale e che dal suo contenuto non potessero rilevarsi discrasie o difformità rispetto alle convenzioni pattuite nel successivo atto pubblico, il quale avrebbe fedelmente ricalcato l’oggetto della cessione e ogni diritto nascente dal suo trasferimento, come previsto nel risalente atto inter partes.
In tal senso non è risultato possibile, dal tenore della scrittura privata, individuare le parti rivendicate dagli attori quali aree cedute loro in comproprietà, beni non più menzionati nel definitivo atto pubblico che contempla il solo trasferimento di una porzione del piazzale antistante l’ingresso dell’immobile ceduto (p.lla (…)) e di una striscia di terreno retrostante (p.lla (…)), da intendersi quali pertinenze del fabbricato.
Al contempo, dalla documentazione fotografica dei luoghi e da quanto rilevato dalla disposta C.T.U., si è potuto accertare che i corpi di fabbrica costruiti dai convenuti in aderenza all’immobile degli attori in tempi antecedenti alla conclusione dell’atto pubblico del 2006 non violassero le norme sulle distanze dalle costruzioni, vigendo nel caso di specie la disciplina dettata dal D.M. n. 1444/68 che non impone distacchi minimi dal confine, mentre veniva valutata domanda nuova, dunque inammissibile, quella diretta alla verifica del parziale mutamento di destinazione d’uso dell’immobile venduto ai coniugi istanti.
Ha infine trovato accoglimento la domanda riconvenzionale svolta dai convenuti, poiché dall’accertamento tecnico disposto sono emersi da un lato la natura illegittima di parte della baracca insistente sul fondo di proprietà dei germani (…), così come dei materiali di risulta e della tubazione del gas da questi non autorizzata, dall’altro il mancato rispetto della distanza dalle costruzioni, ai sensi del sopracitato D.M., della struttura metallica posta dagli attori al confine tra i due fondi.
Avverso la suddetta pronuncia interponevano appello (…) e (…), con atto di citazione notificato in data 15.04.2016, eccependo nel merito quattro distinti motivi di gravame.
Con il primo rilievo veniva contestata violazione degli artt. 1418, 1346, 2697, 2702 e 2719 c.c. per erronea interpretazione delle dedotte discrasie e difformità correnti tra la scrittura privata di compravendita e il successivo atto pubblico, laddove si è fatto esplicito richiamo al trasferimento in comproprietà alle parti acquirenti del piazzale e della fascia di terreno delimitati con muro in mattoni che il C.T.U. non ha valorizzato, escludendo potessero detti anditi riferirsi all’estensione del viale (…) attraverso il cancello di accesso all’intero lotto, immette sulla pubblica via e sul quale era concessa una servitù di transito pedonale e carrabile, già prevista nella stesura degli accordi originari.
Con il secondo argomento di censura veniva dedotta violazione dell’art. 9, 1° comma, n. 2 del D.M. n. 1444/68 e degli artt. 1418, 1346, 2697, 2702 e 2719 c.c. per erronea interpretazione della distanza tra le costruzioni fissata per legge in relazione all’intera parete e non solo alle sue sezioni finestrate, così da dichiarare gli (…) tenuti al rispetto dei distacchi dal piazzale in comproprietà antistante il fabbricato degli appellanti.
Con il terzo motivo di doglianza gli appellanti lamentavano violazione degli artt. 112, 116 e 183 c.p.c. per aver ritenuto domanda nuova quella, validamente formulata dagli stessi nelle memorie ex art. 183 c.p.c., 6° comma, 1° termine, relativa al contestato mutamento della destinazione d’uso dei beni loro trasferiti, affermando che tra le denunciate difformità tra i due negozi di compravendita militasse anche quella relativa alla modifica urbanistica degli immobili alienati.
Con il quarto e ultimo argomento critico veniva rilevata violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., 1027, 1173 e 1132 c.c. e il D.M. n. 1444/68 in relazione all’erronea valutazione circa la negata esistenza di un limite di distanza legale delle altrui costruzioni al fondo in comproprietà antistante il loro fabbricato.
Concludevano gli appellanti per l’accoglimento del gravame proposto e delle domande svolte, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
Si costituivano in atti (…) e (…) per contestare l’appello azionato in quanto inammissibile ex art. 342 c.p.c. e infondato nel merito, non ravvisando vizio di sorta nell’atto pubblico di compravendita, né discrasie rispetto alla scrittura privata inter partes, evidenziando la regolarità dei beni trasferiti in forza di concessioni edilizie ben note alle parti acquirenti e la conformità dei due corpi di fabbrica da essi realizzati alle vigenti norme sulla distanza tra le costruzioni, deducendo, infine, la corretta analisi svolta in sede tecnica dal C.T.U. in relazione all’accoglimento delle domande riconvenzionali spiegate.
Riportandosi ai medesimi temi difensivi svolti in primo grado, i germani (…) concludevano per la declaratoria di rigetto dell’impugnazione, con conseguente conferma della decisione appellata e vittoria di spese di lite del secondo grado.
Nel corso dell’udienza con trattazione scritta del 21.01.2022, svolta con le modalità indicate dall’art. 83, co. 7, lett. h), del D.L. n. 18/2020, la Corte assegnava il fascicolo al G. Rel. Avv. Fa.Ca. e tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusivi e delle note di replica.
La domanda di riforma della sentenza impugnata non appare sostenuta da convincenti argomenti logico-giuridici che consentano di confutare l’iter motivazionale espresso, non potendo dunque trovare accoglimento.
In riferimento al primo motivo di censura con cui veniva eccepito di non aver dato rilievo alle discrasie e difformità derivanti dal raffronto tra il contenuto della scrittura privata di compravendita del 10.12.2001 e quello del successivo atto pubblico del 18.09.2006, segnatamente alla comproprietà del piazzale e della fascia di terreno delimitati con muro in mattoni antistante il fabbricato che il C.T.U. non ha individuato in loco, escludendo potesse riferirsi al viale (…) si estende fino al cancello che immette sulla pubblica via – sul quale gli appellati venditori concedevano ab origine una servitù di transito pedonale e carrabile – si osserva che la verifica congiunta del titolo di trasferimento della proprietà e la successiva formalizzazione della cessione mediante atto pubblico impediscono la naturale identificazione, nella loro concreta materialità, delle porzioni rappresentate nella scrittura di compravendita, nonostante il ricorso al ragionevole uso delle norme che presiedono l’interpretazione del contratto (artt. 1362 e seguenti c.c.).
Le stesse parti appellanti non sono state in grado di fornire utili dettagli esplicativi sulla corrispondenza delle aree dalle stesse rivendicate in comproprietà, fornendo, ad esempio, comparazioni tra lo stato dei luoghi risalente al momento della conclusione della scrittura di compravendita e quello palesatosi all’ausiliario al momento dell’accesso eseguito.
In materia di criteri di identificazione dell’oggetto del contratto si afferma che la sua determinabilità in tanto sussiste “in quanto l’oggetto medesimo possa essere in concreto determinato con riferimento ad elementi prestabiliti dalle parti ed aventi una preordinata rilevanza obiettiva” (Cass. Civ. Sent. n. 6519/07), circostanza che nel caso di specie risulta evidentemente carente, non potendo sostenersi la sufficienza descrittiva di un andito senza menzionarne i confini, l’estensione, la conformazione, l’ubicazione rispetto ad altri elementi preesistenti e dunque noti, infine l’esatta individuazione degli estremi catastali.
Lo stesso C.T.U., ad evasione del quesito sottoposto, ha concluso circa l’impossibilità di giungere all’accertamento di quale potesse essere il piazzale e la striscia di terreno ceduti in comproprietà con la scrittura del 2001, in totale carenza di indicazioni grafiche e metriche e in considerazione dello stato dei luoghi rinvenuto.
Né appare ipotizzabile, come argomentato dalle parti appellanti senza tuttavia fornire analisi di riscontro, che la dedotta comproprietà possa riferirsi all’area occupata dal viale (…) attraversando il fondo degli appellati, giunge, dal primo cancello sulla pubblica via, al secondo varco corrispondente all’accesso individuale antistante il fabbricato dei coniugi (…)/(…), esistendo sul descritto passaggio una mera servitù di transito riconosciuta in favore degli appellanti nella scrittura di compravendita e confermata nel successivo rogito notarile.
Non rinvenendo discrasie tra i due atti dispositivi, né contrasti o inesattezze in merito alle indagini compiute dall’ausiliario nominato, non può che condividersi la tesi valutativa espressa dal Tribunale che viene in questa sede confermata, dovendo, per l’effetto, disattendere il motivo di gravame dedotto poiché non dimostrato nella sua causalità.
Con riguardo al secondo argomento di censura con cui veniva dedotta erronea interpretazione dei criteri applicati in ordine alla distanza tra le costruzioni riferita ex lege all’intera parete e non solo alle sue sezioni finestrate, si deve riportare al principi giurisprudenziali recentemente ribaditi dal TAR Toscana (Sent. n. 762/20) e confermati dalla S.C. (Sent. n. 24471/19) secondo cui “Due fabbricati, per essere antistanti, non devono necessariamente essere paralleli, ma possono anche fronteggiarsi con andamento obliquo, purché tra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Da tale principio discende che non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, né quelli in cui sono gli spigoli opposti a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l’altro”, per affermare la carenza di presupposto fattuale per l’applicabilità del divieto di cui all’art. 9, D.M. n. 1444/68, vale a dire l’esistenza di due pareti “antistanti”, formando la sagoma dei due fabbricati – quello unico degli appellanti con l’altro degli appellati in entrambe i fronti sezionali Sud-Ovest e Nord-Est – un angolo retto.
La C.T.U. ha potuto anche chiarire che la realizzazione dei due nuovi fabbricati laterali da parte degli appellati risulti di epoca anteriore alla conclusione dell’atto pubblico di vendita dell’anno 2006, si che gli acquirenti (…)/(…) fossero ben a conoscenza dello stato dei luoghi, ancor più considerando che ne avessero la disponibilità già dal mese di Maggio 2002 in occasione della consegna dell’alloggio.
Deriva dalle argomentazioni che precedono che gli (…), accertata la regolarità ex art. 9, D.M. n. 1444/68 delle costruzioni dagli stessi eseguite, non fossero tenuti, in assenza di aree di distacco in comproprietà con gli appellanti, ad attenersi a distanze qualificate se non a quelle riportate dai confini tra le proprietà che non risultano violate, secondo le verifiche espletate in sede tecnica.
Per le cennate ragioni il rilievo critico non può trovare accoglimento.
Con il terzo motivo di doglianza gli appellanti lamentavano la valutazione operata dal Tribunale per aver ritenuto domanda nuova quella utilmente formulata nei termini ex art. 183 c.p.c., 6 comma, relativa al parziale mutamento della destinazione d’uso dei beni loro trasferiti, dovendo ritenere incluse nelle dedotte difformità tra i due negozi di compravendita anche quella relativa alla modifica urbanistica degli immobili alienati.
Dall’esame del gravame proposto derivano una serie di obiezioni.
Anzitutto è doveroso precisare che l’intervento catastale avente ad oggetto la variazione della distribuzione interna dei vani e della destinazione d’uso dei locali oggetto di compravendita da parte degli appellanti era stato oggetto di Concessione Edilizia in sanatoria n. 7385/02 che gli acquirenti ben conoscevano al momento del trasferimento del bene.
V’è poi da rilevare, come già evidenziato dal C.T.U. nell’elaborato redatto (pag. 13), che con dichiarazione separata contestualmente alla conclusione dell’atto pubblico di compravendita i comparenti davano reciprocamente atto e si dichiaravano a conoscenza del contenuto delle concessioni edilizie in forza delle quali veniva realizzata l’unità abitativa con destinazione a fabbricato rurale e che “in tale stato di fatto e di diritto è stato venduto e accettato dagli acquirenti, avendo di tanto tenuto conto le parti in sede di determinazione del prezzo”.
Infine si deve qualificare domanda nuova quella svolta dagli appellanti, pur nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., 6 comma, avente ad oggetto l’accertamento della mutata destinazione d’uso dei locali acquistati, alla stregua dell’indirizzo più volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “Esorbita dai limiti di una consentita “emendatio libelli” il mutamento della ‘causa petendi’ che consista in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente” (Cass. Civ. Sent. n. 32146/18).
Appare in tale ottica più che evidente che la domanda originariamente proposta dai coniugi (…)/(…) vertesse sul riconoscimento delle discrasie tra i due successivi atti dispositivi unicamente con riguardo al regime di comproprietà di anditi esterni e, per l’effetto, alla declaratoria di arretramento da parte degli appellati di opere e manufatti realizzati in violazione delle norme sulla distanza dalle costruzioni.
Orbene è innegabile che la domanda tesa alla verifica di una non consentita variazione di destinazione d’uso dei locali interni al fabbricato acquistato dagli appellanti, non costituendo una mera modifica interpretativa del fatto costitutivo del diritto invocato o del petitum, rappresenta un tipico caso di mutatio libelli idoneo a trasferire il tema d’indagine e i termini della controversia in altri campi del diritto, con l’effetto di alterare le valutazioni giuridiche già prospettate in atti.
Né può ritenersi l’accertamento delle distanze tra le costruzioni, richiesto con domanda riconvenzionale dagli (…) all’atto della loro costituzione in giudizio, domanda da cui possa connettersi, anche in via potenziale, quella formulata per la variazione della destinazione d’uso.
Pertanto si condivide, trovando qui piena conferma, quanto espresso nella motivazione della pronuncia gravata.
Quanto al quarto e ultimo argomento critico con cui gli appellanti deducevano erronea valutazione riguardo la negata esistenza di un limite di distanza legale delle altrui costruzioni dal proprio fondo in comproprietà, si ritiene, in conformità a quanto argomentato in precedenza, non sussistere alcun andito esterno in comunione tra le parti e che, dunque, siano stati rispettati i limiti per la realizzazione di opere e manufatti da parte degli appellati come verificato dal C.T.U..
Di contro, l’accertamento della presenza di manufatti attribuiti all’attività degli appellanti, quale la struttura metallica non adeguatamente posta a distanza legale dal fondo degli (…), nonché i materiali di risulta riversati al di sopra della proprietà dei suddetti, la condotta del gas e la baracca parzialmente sconfinanti sul terreno degli appellati, ha correttamente indotto il Tribunale a dichiarare la sussistenza delle violazioni poste in essere dai coniugi (…)/(…).
Ciò posto, si conclude per l’integrale conferma della pronuncia gravata.
In ragione dei motivi sopra esposti a fondamento del rigetto dell’appello, risulta interamente assorbita ogni ulteriore valutazione nel merito e di natura istruttoria prospettata dalle parti appellanti.
Le spese del grado seguono la soccombenza degli appellanti e sono liquidate con riferimento ai parametri medi per ciascuna fase processuale (istruttoria ridotta del 50%) di cui al D.M. n. 55/2014, tenuto conto delle questioni trattate e del valore della lite dichiarato in atti, trovando applicazione, in quanto trattasi di procedimento avviato in data successiva al 28.12.2012, la norma dettata dall’art. 13, com. 1, quater del D.P.R. n. 115/02, introdotto dall’art. 1, com. 17, della L. 228/12, a mente del quale quando l’impugnazione, principale o incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Napoli – VI Sezione Civile – definitivamente pronunciando nell’appello promosso da (…) e (…) nei confronti di (…) e (…) per la riforma della sentenza n. 591/16 resa dal Tribunale Civile di Benevento in data 12-22.02.2016, così provvede:
a) rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
b) condanna (…) e (…), in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite del presente grado in favore di (…) e (…), che liquida in complessivi Euro 4.650,00 oltre rimborso spese generali, IVA e CPA, con distrazione in favore degli Avv.ti (…) e (…) dichiaratisi procuratori antistatari;
c) attesta che sussistono per le parti appellanti i presupposti per il loro assoggettamento alla contribuzione ulteriore come previsto per legge.
Così deciso in Napoli il 20 maggio 2022.
Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2022.
Puoi scaricare il contenuto in allegato effettuando una donazione in favore del sito attraverso il seguente link