in tema di divisione ereditaria o di cose in comunione non e’ necessario formare delle porzioni assolutamente omogenee, poiche’ il diritto del condividente ad una porzione in natura dei beni compresi nelle categorie degli immobili, dei mobili e dei crediti in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entita’ appartenenti alla medesima categoria. L’articolo 727 c.c. – che prescrive che “salvo quanto e’ disposto dagli articoli 720 e 722, le porzioni devono essere formate… comprendendo una quantita’ di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualita’, in proporzione dell’entita’ di ciascuna quota” – impone con tale prescrizione, dunque, solo proporzionale divisione dei beni rientranti nelle suddette tre categorie, dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti.
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Eredità e successione ereditaria
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 26 settembre 2018, n. 22987
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25686/2013 proposto da:
CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS) IN (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SPA, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SPA;
– intimati –
avverso la sentenza non definitiva n. 2204/00 della Corte d’Appello di Roma e avverso la sentenza n. 4681/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/05/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con citazione del 9/5/1991 (OMISSIS) ha convenuto innanzi al tribunale di Rieti (OMISSIS) e (OMISSIS) rispettivamente padre e zio dell’istante -, la curatela del fallimento della societa’ di fatto tra gli stessi (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) – coniuge del predetto zio -, nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a. – quali acquirenti di beni venduti dal padre in giacenza dell’eredita’ della madre e in pregiudizio dell’istante allora minore. (OMISSIS) ha dedotto essere egli unico erede della madre (OMISSIS) giusta testamento olografo del 22/2/1978 pubblicato il 16/1/1989 e dover ricadere i beni venduti dal padre, facenti parte della comunione legale con (OMISSIS), in quota nella massa ereditaria materna, per cui ha spiegato azione di petizione, chiedendo dichiararsi nulli o inefficaci gli atti di disposizione effettuati dal padre stesso, nonche’ ha domandato lo scioglimento delle comunioni incidentali e la divisione del relitto.
2. Intervenuti la s.r.l. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) s.p.a., impugnato di falso dalla curatela e dai convenuti (OMISSIS) il testamento e domandata in riconvenzionale da tutti la riduzione del lascito in quanto lesivo della legittima di spettanza di (OMISSIS), con sentenza depositata il 30/1/1997 il tribunale – esperita c.t.u. grafologica – ha rigettato la querela di falso e ha rigettato la domanda di (OMISSIS) in assenza di massa per essere stati i beni acquistati in separazione dei beni.
3. (OMISSIS) ha proposto impugnazione e, sulla resistenza degli appellati, con sentenza non definitiva depositata il 22/6/2000 la corte d’appello di Roma ha accolto il gravame per quanto di ragione e per l’effetto ha dichiarato acquisiti alla defunta (OMISSIS) e indi al patrimonio dell’appellante erede, i diritti pari alla meta’ sui beni nel dispositivo della sentenza indicati; ha annullato le vendite effettuate da (OMISSIS) pure in dispositivo indicate; ha pronunciato talune altre statuizioni e disposto per la prosecuzione del giudizio ai fini della divisione.
4. Conferito mandato a c.t.u. per la redazione di progetto per lo scioglimento delle comunioni, previe osservazioni delle parti con sentenza definitiva depositata il 27/9/2012 la corte d’appello ha dichiarato sciolta la comunione tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS), assegnando i beni come in dispositivo della sentenza e compensando le spese.
5. Per la cassazione delle sentenze definitiva e non definitiva ha proposto ricorso la curatela del fallimento “(OMISSIS)” nonche’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) in proprio, articolando dieci motivi. Ha resistito (OMISSIS) con controricorso. Non hanno svolto difese gli altri intimati.
6. All’esito dell’udienza pubblica in data 26/10/2017 con ordinanza n. 71 depositata il 4/1/2018 la corte ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.p.a. All’esito in prossimita’ dell’udienza pubblica la curatela ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso e’ ammissibile, in quanto – diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente – la sommaria esposizione dei fatti consente di comprendere le questioni rilevapti ai fini del decidere.
2. Con il primo motivo di ricorso si deduce nullita’ della sentenza non definitiva e del procedimento per omessa pronuncia nonche’ violazione e falsa applicazione degli articoli 536, 540 e 554 c.c.; la curatela ricorrente sostiene che erroneamente la corte d’appello non abbia pronunciato sulla domanda di riduzione proposta da essa per il fallito (OMISSIS), reputandola erroneamente non riproposta in appello.
2.1. Il motivo e’ inammissibile. Nel o’ formulare la censura la ricorrente avrebbe dovuto trascrivere, onde consentire le verifiche necessarie, le espressioni contenute nell’atto di costituzione in appello attraverso le quali sarebbe stata richiamata la domanda di riduzione formulata in primo grado, domanda di cui – con motivazione tutt’altro che “fugace”, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente in ricorso (p. 21) – la corte d’appello con apposito paragrafo (n. 28 alla p. 24 della sentenza) ha dato atto delle non riproposizione ai sensi e per gli effetti dell’articolo 346 c.p.c..
2.2. Non varrebbe opporre che, qualora siano denunciati errores in procedendo, quale e’ in sostanza quello’ denunciato (al di la’ della formulazione anche di una censura di violazione delle norme in tema di riduzione, non sussistente), la corte suprema e’ giudice anche del fatto e puo’ quindi controllare direttamente il contenuto degli atti; infatti questo potere – come la giurisprudenza ha chiarito – sussiste solo nell’ambito della valutazione della fondatezza del motivo, mentre prima di potervi procedere la corte deve essere posta in condizione di conoscere – senza operare scelte a proprio arbitrio, in difetto del potere di rilevare il vizio denunciato d’ufficio – i luoghi degli atti processuali a ricercarsi, su cui la parte – al cui impulso defensionale sono rimesse le relative scelte di impugnazione – fonda la propria tesi; in tal senso, va data continuita’ principio di diritto per cui “nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, la corte di legittimita’ diviene anche giudice del fatto (processuale) ed ha, quindi, il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali.
Tuttavia, non essendo il vizio processuale rilevabile ex officio, e’ necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione” (v. ad es. Cass. n. 2771 del 02/02/2017, n. 9536 del 19/04/2013, n. 9526 del 22/04/2010 (nel testo), n. 5836 del 13/03/2007, n. 20405 del 20/09/2006).
3. E’ in via consequenziale assorbito il secondo motivo, con cui si deduce violazione degli articoli 556, 746 e 747 c.c., per essere stati valutati gli immobili ai fini dello scioglimento della comunione tenendo conto degli ampliamenti e le edificazioni successive al decesso’ della de cuius, dovendo invece effettuarsi valutazione al momento dell’apertura della successione in relazione all’esercizio dell’azione di riduzione. Invero, stante l’inammissibilita’ del precedente motivo, e’ irretrattabile la circostanza che l’azione di riduzione non risulta (piu’) esercitata.
4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che la corte d’appello abbia, con violazione dell’articolo 789 c.p.c., disapplicato il procedimento speciale di scioglimento delle comunioni omettendo di fissare una udienza di discussione di un progetto di divisione.
4.1. Il motivo e’ infondato. Va data sul punto continuita’ alla giurisprudenza di questa corte (v. Cass. n. 13621 del 30/05/2017 e n. 242 del 11/01/2010) per cui nel procedimento per lo scioglimento di comunione non occorre una formale osservanza delle disposizioni previste dall’articolo 789 c.p.c. – ovvero la predisposizione di un progetto di divisione da parte del giudice istruttore, il suo deposito in cancelleria e la fissazione dell’udienza di discussione dello stesso essendo sufficiente che il medesimo giudice istruttore faccia proprio, sia pure implicitamente, il progetto approntato e depositato dal c.t.u., cosi’ come non e’ necessaria la fissazione dell’apposita udienza di discussione del progetto quando le parti abbiano gia’ escluso, con il loro comportamento processuale, la possibilita’ di una chiusura del procedimento mediante accettazione consensuale della proposta divisione, in tal modo giustificandosi la diretta rimessione del giudizio alla fase decisoria.
4.2. Nel caso di specie, invero, la sentenza da’ atto che al progetto sono state mosse “censure… prevalentemente dal fallimento” in ordine alla stima di alcuni beni, oggetto di rettifiche da parte del c.t.u., al pari di altre contestazioni mosse da altre parti (p. 4 della sentenza definitiva). Ne deriva, stante tale comportamento processuale delle parti, la correttezza della rimessione in decisione, previa precisazione delle conclusioni (nella quali peraltro non consta, per mancata trascrizione, che la curatela abbia chiesto la regressione del procedimento alla fase di discussione del progetto, anche. da tal punto di vista quindi profilandosi l’infondatezza del motivo).
5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta che la corte d’appello abbia, con violazione dell’articolo 729 c.c., in presenza di lotti eguali in valore (e comunque comprendenti denaro), omesso di procedere all’estrazione a sorte, avendo proceduto senza alcuna motivazione a diretta assegnazione alle parti.
5.1. Il motivo e’ assorbito, alla luce del parziale accoglimento per quanto si va a enunciare – del motivo successivo in tema di formazione delle quote; invero, la cassazione della sentenza impugnata per la ragione assorbente di cui in appresso imporra’ una nuova disamina da parte del giudicante di merito in ordine allo scioglimento concreto della comunione con estrazione a sorte o no.
6. Con il quinto motivo la ricorrente si duole della disomogeneita’ delle quote in violazione degli articoli 718 e 727 c.c., sottolineando in particolare la conseguenza della diversita’ sensibile degli apporzionamenti del denaro e dei rischi per possibili perdite degli immobili in alcune porzioni in esito a contenzioso con terzi.
6.1. Il motivo e’ parzialmente fondato e parzialmente infondato.
6.2. Dalla lettura dell’impugnata sentenza si evince che le quote sono state formate da quattro appartamenti nella scala A di un fabbricato, da quattro appartamenti nella scala B dello stesso fabbricato, dai quattro lotti edificabili e da un lotto inedificabile. I lotti edificabili e non, pur su diverse quote, sono in effetti confluiti sulla curatela quale legittimata per (OMISSIS) e (OMISSIS); quanto agli apporzionamenti in denaro, vi e’ stata confluenza sulla medesima curatela di quello maggiore per (OMISSIS) e quello minore per (OMISSIS).
6.3. Quanto al rischio di perdita all’esito di giudizi in corso di beni attualmente inclusi nella massa (tema su cui si ritornera’ in riferimento a successivi motivi), su cui e’ imperniato un profilo di censura, la censura stessa e’ infondata. Il rimedio al rischio in parola non puo’ essere individuato nell’impugnazione per violazione dell’articolo 727 c.p.c., ante tempus, di sentenza che, pacificamente, ha pronunciato, salvo quanto in appresso, su cespiti in atto oggetto della divisione. Senza che qui possa procedersi a disamina, va richiamato che il tema trova riferimento nell’istituto della garanzia che i coeredi si devono vicendevole per le molestie ed evizioni derivanti da causa anteriore alla divisione, per cui se alcuno dei coeredi subisce evizione, il valore del bene evitto, calcolato al momento dell’evizione, deve essere ripartito tra tutti i coeredi, in proporzione del valore che i beni attribuiti a ciascuno di essi hanno al tempo dell’evizione e tenuto conto dello stato in cui si trovano al tempo della divisione (articoli 758 e 759 c.c.).
6.4. Viceversa, e’ fondata la parte di censura relativa alla denunciata violazione dell’articolo 727 c.c., atteso che la sentenza impugnata erroneamente applica la regula iuris confacente.
6.5. In argomento, va data continuita’ alla giurisprudenza (v. Cass. n. 9282 del 16/04/2018, n. 27405 del 06/12/2013, n. 3652 del 29/10/1975) che, in applicazione di detta norma codicistica, ha chiarito che in tema di divisione ereditaria o di cose in comunione non e’ necessario formare delle porzioni assolutamente omogenee, poiche’ il diritto del condividente ad una porzione in natura dei beni compresi nelle categorie degli immobili, dei mobili e dei crediti in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entita’ appartenenti alla medesima categoria. L’articolo 727 c.c. – che prescrive che “salvo quanto e’ disposto dagli articoli 720 e 722, le porzioni devono essere formate… comprendendo una quantita’ di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualita’, in proporzione dell’entita’ di ciascuna quota” – impone con tale prescrizione, dunque, solo proporzionale divisione dei beni rientranti nelle suddette tre categorie, dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti.
6.6. In tale logica, ad esempio, qualora’ nel patrimonio comune vi siano piu’ immobili da dividere, spetta al giudice del merito accertare se il diritto della parte sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entita’ immobiliari oppure per mezzo dell’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio, dovendo pero’ assegnarsi elementi della categoria di beni a ogni condividente, per quanto possibile. Analogamente deve dirsi per i mobili e per i crediti. Quindi – come si e’ detto – il contenuto del diritto dei condividendi a una porzione di beni comuni (ad es. immobili), qualitativamente omogenea all’intero, consiste nella proporzionale divisione dei cespiti considerati nel genere (nell’esempio, immobili), contrapposti agli altri generi patrimoniali (nell’esempio, mobili e crediti) e non necessariamente in un frazionamento quotistico delle singole entita’ del genere (nell’esempio: fabbricati, terreni, ecc.) comprese nella massa dividenda.
6.7. Esaminando alla luce di tali principi l’apporzionamento effettuato dalla corte d’appello di Roma con la sentenza depositata il 27.9.2012, seppure in ogni quota risultano apporzionati sia immobili sia crediti (onde risulta rispettato il criterio della inclusione per categorie dei beni di cui all’articolo 727), la “quantita’ di mobili, immobili e crediti” non risulta “di eguale natura e qualita’, in proporzione dell’entita’ di ciascuna quota”, risultando anzitutto assai sproporzionate rispetto alle quote le attribuzioni mobiliari, a fronte della presenza di numerosi immobili che avrebbero potuto essere diversamente assegnati (e in assenza di ogni motivazione giustificativa, ad es., della non assegnabilita’ dei singoli appartamenti appartenenti a scale di edifici, ad es. per complementarita’ di valore o altro).
6.8. In argomento, e’ necessario chiarire che, per l’ipotesi che l’applicazione del criterio della proporzionalita’ delle inclusioni dei beni delle diverse categorie in ciascuna porzione (di cui all’articolo 727 c.c.) conduca, per la possibile “ineguaglianza in natura”, a differenziali rispetto alle quote-valore spettanti, la legge stessa prevede quale correttivo esclusivamente, ex articolo 728 c.c., i “conguagli in denaro” (cfr., analogamente, per l’attribuzione dei singoli immobili non divisibili, l'”addebito dell’eccedenza” di cui all’articolo 720 c.c.). Ne deriva che – mentre in linea di massima l’attribuzione di non proporzionali somme di denaro esistenti nella massa puo’ giustificarsi per compensare ineguaglianze. in natura, equivalendo tali apporzionamenti all’effetto che sortirebbero i “conguagli in denaro” a fronte, invece, di iniziali proporzionali attribuzioni del denaro della massa – non si giustifica una non adeguata ripartizione di altri beni mobili, soprattutto se crediti, posta la diversa natura e qualita’ dei relativi diritti (con problematiche – per i crediti – di esazione, con i connessi costi ecc.) rispetto al denaro.
6.9. L’esigenza di rispettare il criterio di proporzionalita’ quanto ai beni mobili (crediti) assorbe ogni altra considerazione circa la eguaglianza di “natura e qualita’” dei beni immobili al loro interno, per come apporzionati nella sentenza impugnata, anche in riferimento alla diversita’ di trattamento accordato alla curatela e alle persone fisiche.
6.10. La sentenza va dunque cassata sul punto.
7. Con il sesto motivo la ricorrente ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo, indicato nell’esistenza di plurimi giudizi idonei a modificare la massa o il valore dei beni a dividersi.
Con il settimo motivo la ricorrente ha lamentato nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 295 c.p.c., per non avere la corte d’appello accolto richiesta della curatela di sospendere il giudizio divisionale sino all’esito di procedimento di appello suscettibile di “determinare la radicale eliminazione dalla massa di una somma pari a circa 600.000 Euro ossia, piu’ o meno, la meta’ dell’intera massa”; non essendo stato il denaro ripartito in misura eguale, la sua ripetizione sarebbe suscettibile di colpire i coeredi in maniera diversa.
Con l’ottavo motivo – formulato nell’ipotesi di ritenuta inapplicabilita’ dell’articolo 295 c.p.c. – la ricorrente ha reiterato la medesima doglianza di nullita’ della sentenza quale violazione dell’articolo 337 c.p.c., comma 2, in cui la fattispecie dovrebbe sussumersi.
Con il nono motivo, poi, la ricorrente ha formulato altra doglianza per nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 295 c.p.c., per l’ingiusto rifiuto della sospensione del procedimento divisionale in riferimento alla pendenza di altro contenzioso concernente quattro occupanti di cespiti, l’accoglimento delle cui pretese sarebbe suscettibile di far uscire dalla massa beni del valore di circa Euro 300.000, pari un quarto di essa.
7.1. I quattro motivi di cui innanzi, strettamente connessi tra loro, vanno esaminati congiuntamente.
7.2. Premesso che, da un lato, la questione sollevata fa diretto riferimento all’istituto della sospensione necessaria del processo. ex articolo 295 c.p.c. (onde del tutto fuor di luogo e’ il riferimento, inammissibile, all’articolo 337 c.p.c., che disciplina l’invocazione dell’autorita’ di una sentenza nel processo, qui non pertinente); senza che rilevi autonomamente il dedotto omesso esame della pendenza di plurimi giudizi di cui al sesto motivo, va richiamato che la giurisprudenza di questa corte ha costantemente affermato che la sospensione necessaria del processo, ove non imposta da specifiche disposizioni di legge, ha per fondamento non solo l’indispensabilita’ logica dell’antecedente avente carattere pregiudiziale, ma anche l’indispensabilita’ giuridica, nel senso che l’antecedente logico venga postulato con efficacia di giudicato, per evitare un possibile conflitto tra giudicati tra le stesse parti. Tale e’ lo scopo della norma di cui all’articolo 295 c.p.c., che puo’ trovare applicazione solo quando, in altro giudizio, deve essere decisa, con efficacia di giudicato, una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico e non quando sussista solo una questione pregiudiziale in senso logico. Va, quindi, esclusa l’applicabilita’ dell’articolo 295 c.p.c., nelle ipotesi di specie, per carenza dei requisiti applicativi (giudizi verso terzi, con assenza di pregiudizialita’ giuridica), che trovano soluzione mediante altri istituti (v. in generale Cass.’n. 18673 del 13/08/2010, n. 4314 del 20/02/2008, n. 19293 del 14/09/2007, n. 6159 del 16/03/2007, n. 9901 del 28/04/2006 e n. 661 del 21/01/2000). Quanto alla garanzia dell’evizione in materia di scioglimento della comunione, si richiama quanto precedentemente chiarito.
7.3. Ne deriva l’inammissibilita’ dei predetti motivi.
8. Con il decimo motivo la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 713, 1110 e 1111 c.p.c., per avere la corte d’appello, senza dar seguito alla controdeduzioni della curatela alla relazione di c.t.u., proceduto a includere in una porzione un immobile (fabbricato a uso negozio in (OMISSIS)) senza dar seguito a nota a verbale del 12/6/2003 della curatela. La controricorrente nega la rilevanza della questione, a fronte della mancata menzione nella sentenza impugnata.
8.1. Il motivo e’ assorbito per effetto dell’accoglimento del quinto motivo.
9. Dall’accoglimento del quinto motivo discende che va dunque cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla corte d’appello di Roma, in diversa sezione, per rinnovato esame (nel cui ambito potranno trovare trattazione anche le questioni investite dai profili assorbiti) nonche’ per il governo delle spese anche del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
la corte dichiara inammissibili il primo, il sesto, il settimo, l’ottavo e il nono motivo di ricorso; rigetta il terzo e parzialmente il quinto motivo di ricorso; accoglie il quinto motivo nei limiti di cui in motivazione, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese dei giudizio di legittimita’, alla corte d’appello di Roma in diversa sezione.