in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale ‘da uccisione’, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni – nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto.
Tribunale Rieti, civile Sentenza 28 gennaio 2019, n. 71
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI RIETI
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice designato dott. Gianluca Morabito, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 773 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014, posta in decisione all’udienza del 02.10.2018 e vertente
TRA
(…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)) E (…) (C.F. (…))
elettivamente domiciliati in Rieti, via (…), presso lo studio dell’avv. Giovanni Magi, che li rappresenta e difende come da procura a margine dell’atto di citazione
(…)
ATTORI
E
(…) S.P.A. (C.F. (…))
elettivamente domiciliata in Rieti, via (…), presso lo studio dell’avv. Ce.Ch., che la rappresenta e difende in virtù di delega in calce all’originale della comparsa di costituzione e risposta
(…) CONVENUTA
E
(…)
CONVENUTO CONTUMACE
OGGETTO: risarcimento danni da sinistro stradale.
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato (…), (…) e (…), in proprio e quali eredi di (…), convenivano in giudizio (…) e la (…) S.p.A., per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis, sub specie di danno biologico – con adeguata personalizzazione, attese le circostanze illustrate nel corpo dell’atto – patito dalla congiunta in vita, nonché del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale sofferto in proprio a seguito del decesso della sig.ra (…) avvenuto in data 05.08.2005.
Esponevano, tra l’altro, gli attori a sostegno: che il 13.07.2005 alle ore 18,00 circa la sig.ra (…), mentre attraversava, in loc. B. S. P. di P. B., la strada provinciale n. 2 all’altezza del km. 10+000, era stata investita dal quadriciclo modello (…) tg. (…), di proprietà di (…) e dallo stesso condotto, che sopraggiungendo in direzione Poggio Bustone, non si era avveduto della presenza del pedone intento ad attraversare, urtandolo e provocandone la rovinosa caduta a terra; che a seguito dell’impatto la sig.ra (…) era stata trasportata all’Ospedale S. Camillo De Lellis ove, accertato e refertato un evidente politrauma, era stata immediatamente sottoposta ad intervento chirurgico per l’asportazione della milza e ricoverata presso il reparto di rianimazione; che il ricovero era perdurato sino ad agosto, quando era stata dimessa; che tuttavia subito dopo la stessa aveva evidenziata un malessere, cui aveva fatto seguito il peggioramento delle condizioni di salute; che stante il progressivo aggravamento, la sig.ra (…) il 05.08.2005 era stata nuovamente sottoposta a ricovero, durante il quale, per embolia conseguente al trauma ricevuto a causa dell’investimento, era deceduta; che a seguito dell’instaurazione del giudizio penale nei confronti del conducente del quadriciclo, il GUP del Tribunale di Rieti con sentenza n. 147/07 del 06.12.2007 aveva condannato il sig. P. per il reato, di cui all’art. 589, I e II co., c.p., riconoscendolo esclusivo responsabile della morte della sig.ra (…); che con detta decisione l’imputato era stato, altresì, condannato al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili (…), (…) e (…), riconoscendo in loro favore una provvisionale di Euro 10.000,00; che la compagnia di assicurazioni convenuta, ripetutamente richiesta di corrispondere il risarcimento dei danni, aveva provveduto al risarcimento per un importo pari alla sola provvisionale ammontante ad Euro 4.067,73 per ciascun erede; che con sentenza n. 6733/11 la Corte d’Appello di Roma aveva confermato la sentenza del GUP di Rieti, impugnata dall’imputato; che sussisteva il diritto di essi attori ad ottenere il risarcimento iure hereditario del danno biologico sofferto dalla congiunta, con adeguata personalizzazione in considerazione del fatto che durante tutto l’arco temporale del ricovero la sig.ra (…), nonostante le grandi sofferenze, era rimasta sempre cosciente del proprio stato, acquisendo progressiva consapevolezza dell’approssimarsi della morte, nonché iure proprio del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.
La (…) S.p.a., costituitasi in giudizio, in via preliminare rilevava ed eccepiva come il veicolo coinvolto nel sinistro fosse all’epoca dei fatti assicurato per la RCA con polizza n. (…) con massimale di Euro774.685,00 e che, quindi, essa convenuta non poteva essere condannata oltre tale somma, in ordine all’an dava atto di non contestare il fatto storico in sé, ma evidenziava, tra l’altro, l’inefficacia della sentenza penale di condanna nei propri confronti ex art. 651 c.p.p., attesa la mancata citazione del responsabile civile a seguito della costituzione di parte civile nel giudizio penale e nel merito deduceva, tra l’altro, che vi era stato un concorso di colpa della anziana donna nella determinazione del sinistro, riscontrato dal giudice penale e non fatto oggetto di impugnativa, nonché degli stessi attori per aver omesso di esercitare i doveri di cura e vigilanza su soggetto invalido totale e permanente e con “impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnamento”, che in sede penale non era stata adeguatamente approfondita la rilevanza della condizione di salute già altamente compromessa della donna al momento del sinistro e contestava, altresì, la quantificazione dei danni avversaria, concludendo: per il rigetto della domanda in quanto inammissibile, non fondata e comunque non provata; in subordine e nella denegata ipotesi di accoglimento, anche parziale, della domanda, per l’accertamento e la declaratoria del concorso della sig.ra (…) nella determinazione del sinistro, con conseguente riduzione del risarcimento nei limiti del giusto e del provato anche in relazione al nesso causale tra danno ed evento.
(…), pur ritualmente evocato in giudizio, non si costituiva ed era, pertanto, dichiarato contumace all’udienza dell’11.11.2014.
Era espletata CTU ed all’esito la causa veniva trattenuta in decisione, previa assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.
Tanto premesso, con riguardo alla prova del fatto illecito, può dirsi accertata la verificazione dei fatti descritti da parte attrice a seguito dell’acquisizione delle sentenze penali del Tribunale di Rieti n. 174/07 e della Corte d’Appello di Roma n. 6733/11, ormai coperte dal giudicato.
Ed invero, ai sensi dell’art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, tra l’altro, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile instaurato per il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.
Già in base alle predette pronunce – per effetto delle quali il convenuto (…) è stato condannato in via definitiva in ordine al reato di cui all’art. 589, nn. 1 e 2 c.p. – risulta, pertanto, positivamente accertata – nei riguardi del (…) – la sussistenza del “fatto colposo” che concorre ad integrare l’illecito civile, di cui al suddetto art. 2043 c.c.
In particolare, con la pronuncia del GUP di Rieti è stata accertata, sotto il profilo del nesso causale, la sussistenza del “…nesso di causalità materiale tra l’evento morte e le lesioni riportate dalla (…) in conseguenza e per effetto del sinistro, non ravvisandosi concause dotate di efficacia eziologica autonoma” ed è stato, altresì, ritenuto sussistente in capo al conducente del mezzo investitore il “…profilo di colpa specifica oggetto di contestazione”.
La (…) S.p.A., al riguardo, non contesta il fatto storico e la responsabilità del proprio assicurato, come accertata, ma eccepisce in prima battuta l’inefficacia della sentenza nei propri confronti, per non essere stata essa convenuta citata come responsabile civile nel giudizio penale.
Sul punto, deve in effetti rilevarsi come la compagnia di assicurazioni convenuta non sia stata citata, né sia intervenuta nel giudizio penale conclusosi con la sentenza di condanna del proprio assicurato.
Ciò posto, l’esame degli atti del procedimento penale ed in primis delle sopra citate sentenze – pienamente utilizzabili quali prove tipiche nel processo civile, specie alla luce del loro passaggio in giudicato – consente, peraltro, a questo giudice di accertare e dichiarare – anche in questa sede ed anche nei confronti della (…) S.p.A. – la responsabilità di (…) nella determinazione del sinistro per cui è causa, responsabilità che in chiave civilistica rinviene il proprio referente normativo nell’art. 2054, I co., c.c., disposizione ai sensi della quale il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è responsabile del danno provocato a terzi dalla circolazione, se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, laddove nella specie pacifico è risultato, per l’appunto, l’investimento del pedone da parte del (…), avvenuto mentre il convenuto si trovava alla guida del proprio mezzo.
Quanto all’elemento psicologico, la norma sopra richiamata pone una presunzione di colpa a carico del conducente vincibile esclusivamente dimostrando, per l’appunto, di avere fatto tutto quanto possibile per evitare il danno.
Ebbene, detta presunzione – pienamente operante nella fattispecie – non risulta essere stata in alcun modo superata all’esito dell’istruttoria, attese le risultanze processuali – si legge, anzi, a pag. 5 della sentenza (che riporta brani della perizia) che il (…) “…per ragioni ignote, ha reagito ed attuato la manovra di emergenza con un ritardo di circa 1,5 sec, in termini temporali, e di circa 17-18 m in termini di spazi percorsi: una reazione più tempestiva avrebbe sicuramente consentito di evitare l’incidente”) – e considerato che il suddetto convenuto, regolarmente citato, non si è neppure costituito in giudizio al fine di fornire una diversa ricostruzione dei fatti.
Dovrà essere, in conclusione, accertata e dichiarata – con effetto anche nei riguardi della (…) S.p.A. – la responsabilità del (…), quale proprietario e conducente del mezzo (…) tg. (…), in ordine al sinistro per cui è causa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2054, I e III co., c.c.
Sostiene, altresì, la compagnia di assicurazioni convenuta che in sede penale sarebbe stato accertato un concorso di colpa della sig.ra (…) nella determinazione del sinistro per cui è causa e che di detto contributo dovrebbe tenersi conto ai fini della quantificazione del danno risarcibile, da ridursi in ragione della quota di concorso ascrivibile alla sig.ra (…).
Al riguardo, per giurisprudenza la presunzione di colpa del conducente dell’autoveicolo investitore prevista dall’art. 2054, I co., c.c. non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana: pertanto, la circostanza che il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione non preclude l’indagine in ordine all’eventuale concorso di colpa ex art. 1227, I co., c.c. del pedone investito, sussistente laddove il comportamento di quest’ultimo sia stato improntato a pericolosità ed imprudenza (Cass. civ. n. 6168/09; n. 29887/08).
Ciò posto e pacifica essendo risultata, alla luce dell’accertamento compiuto in sede penale ed ormai coperto dal giudicato, la responsabilità del (…) nella determinazione del sinistro in questione per avere egli, a bordo del quadriciclo (…) tg. (…), investito – nelle circostanze di tempo e di luogo descritte in premessa – la sig.ra (…), mentre si trovava in loc. B. S. (…) di (…) B. nell’atto di attraversare la strada provinciale n. 2 all’altezza del km 10+000, in applicazione delle poc’anzi richiamate coordinate ermeneutiche occorre, peraltro, verificare se vi sia stato un contributo colposo della sig.ra (…) nella determinazione del sinistro, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1227, I co., c.c.
Ritiene questo giudice, all’esito di un attento esame degli atti del procedimento penale, che siano emersi elementi tali da far ritenere configurabile un – sia pur modesto – concorso di colpa del pedone nella causazione del sinistro.
Ed invero, dalla ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata dai consulenti della pubblica accusa nell’ambito del procedimento penale n. 2350/06 R.G. G.I.P., conclusosi con la sentenza del G.U.P. di Rieti n. 174/07, è emersa la configurabilità, a carico della (…), di un “…profilo di colpa, avendo costei intrapreso la manovra di attraversamento della carreggiata in un tratto sprovvisto di segnale di attraversamento pedonale, omettendo di dare la precedenza al (…), sebbene il mezzo da quest’ultimo condotto fosse visibile alla distanza sopra indicata” (v. a pag. 5 della sentenza); impostazione condivisa dal giudice, che ha ritenuto le risultanze della espletata consulenza condivisibili, in quanto immuni da vizi logici e conformi alla miglior scienza ed esperienza del settore, con l’eccezione di aspetti marginali che non riguardano, peraltro, il tema del concorso colposo del danneggiato nelle produzione del sinistro.
Alla luce delle circostanze sopra evidenziate, ritiene questo giudice che il contributo colposo della sig.ra (…) nella determinazione del fatto debba essere individuato nella percentuale del 10%, di tal ché l’ammontare del risarcimento spettante agli attori dovrà essere senz’altro defalcato di un importo corrispondente alla quota, sopra indicata.
Sostiene, altresì, la (…) S.p.A. che sussisterebbe un concorso colposo nella determinazione del sinistro per culpa in vigilando dei congiunti della sig.ra (…), quali soggetti investiti di un dovere di cura e sorveglianza di persona riconosciuta dalla (…) come invalida civile al 100%, per non avere essi vigilato affinché la madre non si recasse da sola fuori di casa il giorno dell’incidente, necessitando la stessa di assistenza continua, come certificato dalla (…).
La censura non coglie nel segno, per le ragioni di seguito esposte.
Ed invero, anche a voler prescindere dalle osservazioni del medico legale, che ha riscontrato come le condizioni della sig.ra (…) descritte nella certificazione (…) confliggessero apertamente sia con il dato di fatto che la congiunta si trovasse, nelle circostanze di tempo e di luogo descritte in citazione, a camminare da sola lungo la strada, sia con la descrizione al riguardo effettuata dallo specialista neurologo nell’immediatezza dei fatti (persona vigile ed in stato disforico per trauma cranico, senza segnalazione di alcun decadimento cognitivo), deve rilevarsi che risultando pienamente applicabili gli artt. 40 e 41 c.p. – sia pure con i dovuti temperamenti – all’accertamento del nesso causale in sede civile, per poter attribuire rilevanza causale al concorso omissivo nell’altrui illecito commissivo è necessaria, tra l’altro, la configurabilità in capo al concorrente di una posizione di garanzia e cioè dell’obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40, II co., c.p.
Al riguardo, per giurisprudenza costante ai fini dell’operatività della clausola di equivalenza, di cui al citato art. 40 c.p., nell’accertamento degli obblighi impeditivi gravanti sul soggetto che versa in posizione di garanzia, l’interprete deve tener presente la fonte da cui scaturisce l’obbligo protettivo, che può essere la legge, il contratto, la precedente attività svolta o altra fonte obbligante (Cass. pen. n. n. 9855/15).
In modo ancor più specifico si è rilevato che nei reati colposi omissivi l’addebito della responsabilità presuppone l’individuazione di una posizione di garanzia da cui discenda l’obbligo giuridico di impedire l’evento, che si caratterizza rispetto agli altri obblighi di agire in relazione della previa attribuzione al garante degli adeguati poteri di impedire accadimenti offensivi di beni altrui (Cass. pen. n. 22614/08).
Sussiste, in definitiva, un principio di tipicità delle posizioni di garanzia, che impone di individuare volta per volta la fonte dell’obbligo giuridico di impedire l’evento.
Ebbene, nella fattispecie non è ravvisabile in capo agli attori la posizione di garanzia de qua, in difetto della previsione legale (o contenuta in altra fonte obbligante) dell’obbligo giuridico di impedire l’evento costituito dalle lesioni occorse alla madre (…).
Detta fonte non può essere, invero, rinvenuta in una certificazione A. che si limita, appunto, a certificare – nel caso in esame, tra l’altro, in modo apertamente confliggente con lo stato di fatto emergente all’esito dell’esame obiettivo – le condizioni di un soggetto, al fine del riconoscimento di un’indennità di carattere economico.
Né si rinvengono disposizioni normative astrattamente fonte della dedotta posizione di garanzia.
Tale non può essere l’art. 2047 c.c., sia perché trattasi di norma applicabile ai soli danni cagionati a terzi dallo stesso incapace, sia perché il I co. presuppone l’accertamento di una situazione di incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, che nella fattispecie risulta esclusa all’esito dell’istruttoria, nonché l’esistenza di un dovere di sorveglianza dell’incapace imposto da una fonte che ponga, per l’appunto, detto obbligo a carico del soggetto “tenuto alla sorveglianza dell’incapace”; fonte assente nel caso in esame.
L’esame della citata disposizione consente, peraltro, di rinvenire precedenti applicabili al caso in esame per identità di ratio e che portano ad avvalorare ulteriormente la tesi della esclusione di un obbligo di garanzia nel caso che ci occupa.
Ed invero, per giurisprudenza, in capo ai genitori dell’incapace maggiorenne non interdetto, il dovere di sorveglianza che costituisce il presupposto della speciale ipotesi di cui all’art. 2047 c.c. può sorgere solo per effetto della libera scelta di accogliere l’incapace nella propria sfera personale e familiare e della conseguente e spontanea assunzione del compito di occuparsi del medesimo in modo adeguato alle sue esigenze: risponde, quindi, ex art. 2047 c.c. dei danni cagionati dall’incapace maggiorenne non interdetto colui il quale abbia liberamente scelto di accogliere l’incapace nella propria sfera personale, convivendo con esso ed assumendone spontaneamente la sorveglianza (Cass. n. 1321/16).
In sostanza, perfino perché sorga la posizione di garanzia in capo ai genitori di soggetto incapace non interdetto, si ritiene necessaria la prova della preventiva presa in carico del bene interesse tutelato da parte dei congiunti, che si realizza accogliendo il parente nella propria sfera personale e convivendo con esso.
Ebbene, nella fattispecie non solo non è dimostrata (ed anzi, all’esito dell’istruttoria è smentita) l’effettiva incapacità della (…) al momento del fatto, ma non vi è prova alcuna della “libera scelta di accogliere l’incapace nella propria sfera personale e familiare e della conseguente e spontanea assunzione del compito di occuparsi del medesimo in modo adeguato alle sue esigenze”, fonte della dedotta posizione di garanzia, al riguardo essendo stato dagli attori allegato che la madre aveva continuato sempre a vivere in completa autonomia e senza assistenza alcuna da parte di terzi; circostanza che non è risultata smentita all’esito dell’istruttoria, non essendosi parte convenuta offerta di provare il contrario.
Alla luce delle suesposte considerazioni deve, in definitiva, escludersi la configurabilità di un concorso colposo a carico dei familiari della sig.ra (…), nella determinazione dell’evento lesivo di che trattasi.
Tanto premesso in ordine all’an e venendo al quantum debeatur, gli attori (…), (…) e (…) – figli della sig.ra (…) – hanno chiesto la liquidazione del danno non patrimoniale sofferto iure proprio per la perdita del rapporto parentale con il proprio congiunto.
Può premettersi in linea generale che in ordine ai danni azionabili iure proprio è possibile distinguere come segue: 1) danno biologico sofferto dal congiunto; 2) danno patrimoniale sofferto dal congiunto; 3) danno “morale”.
Quanto all’ipotesi sub (…)), si tratta di danni all’integrità fisio-psichica che il congiunto dimostri di aver subito in connessione diretta con il decesso della vittima del sinistro.
Si ha l’ipotesi sub (…)) qualora il congiunto alleghi un danno patrimoniale diretto, conseguenza del decesso, presente o futuro, in quanto ad esempio in vita la vittima provvedeva al suo mantenimento o contribuiva a provvedervi, ovvero vi avrebbe verosimilmente provveduto o contribuito a provvedervi, qualora fosse rimasta in vita.
Si verifica l’ipotesi sub (…)) quando, in conseguenza del rapporto di parentela, del grado della stessa e della convivenza con la vittima, si riconosce una sofferenza di carattere morale per la perdita del congiunto, risarcibile in virtù del combinato disposto degli artt. 2, 29 e 30 Cost., ovvero un pregiudizio scaturente dalla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, suscettibili di dare la stura alla pretesa risarcitoria.
Nella specie, in ordine ai danni sub (…)) e (…)), nulla è stato richiesto.
Quanto ai danni sub (…)), gli attori hanno chiesto liquidarsi in proprio favore un importo a titolo di danno non patrimoniale iure proprio da perdita del rapporto parentale.
In proposito, deve tenersi conto della circostanza che gli attori erano tutti figli della vittima e che il fatto illecito dà diritto, tra l’altro, al risarcimento del danno non patrimoniale subito dai prossimi congiunti della vittima del sinistro per la perdita del rapporto parentale, venendo in considerazione la lesione di un bene interesse costituzionalmente tutelato, quale il diritto alla integrità del consortium familiare (artt. 2, 29 e 30 Cost.).
Al riguardo, la Corte di Cassazione ha ritenuto che perfino ai parenti non conviventi della vittima di un sinistro spetti il diritto al risarcimento, in quanto ciò che conta non è né il fatto in sé della convivenza, né – soprattutto – l’intensità del legame di sangue, ma il rapporto affettivo in concreto esistente tra le persone (Cass. civ., Sez., n. 29332/17; conf. Cass. civ. n. 21230/2016).
La Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui, “in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale ‘da uccisione’, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni – nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”.
Tanto premesso va, altresì, evidenziato che per giurisprudenza costante, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da lesione di valori costituzionalmente protetti – genus del quale la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale costituisce evidentemente una species – non si sottrae agli ordinari criteri in tema di onere della prova, sicché grava sul danneggiato l’onere di allegare, tra l’altro, che le gravi lesioni subite dal proprio congiunto all’esito del fatto/evento lesivo hanno comportato una sofferenza inferiore tale da determinare un’alterazione del proprio relazionarsi con il mondo esterno, inducendolo a scelte di vita diverse, onere assolto positivamente il quale, incomberà al danneggiante dare la prova contraria idonea a vincere la presunzione della sofferenza interiore, così come dello “sconvolgimento esistenziale” riverberante anche in obiettivi e radicali scelte di vita diverse, che dalla perdita o anche solo dalla “lesione” (cfr. Cass., 3/4/2008, n. 8546; Cass., 14/6/2006, n. 13754; Cass., 31/5/2003, n. 8827; Cass., Sez. Un., 1/7/2002, n. 9556) del rapporto parentale secondo l’id quod plerumque accidit per lo stretto congiunto normalmente discendono (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 12/6/2006, n. 13546; Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572).
Ora, con riguardo alla posizione di (…), (…) e (…), lo strettissimo vincolo di parentela ed il dato notorio (dal quale, nella specie, non vi è motivo di discostarsi, in difetto di elementi di segno contrario emersi all’esito del giudizio) della intensità e stabilità del legame affettivo esistente tra madre e figli costituiscono indici presuntivi idonei a ritenere provato il pregiudizio di che trattasi, in conformità alle sopra riferite coordinate ermeneutiche ed in assenza, come si accennava poc’anzi, di indici di segno contrario.
Ai fini della liquidazione equitativa del danno come sopra individuato ex artt. 1226 e 2056 c.c., si ritiene di utilizzare quale parametro le tabelle in uso al Tribunale di Milano aggiornate al 2018, anche a seguito della nota sentenza della III Sez. della Corte di Cassazione n. 12408 del 7.6.2011, che ha individuato nei valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati da detto Tribunale, i parametri da ritenersi equi e cioè in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o a diminuirne l’entità.
In conclusione, alla luce dei valori indicati nelle predette tabelle, da adeguarsi in considerazione delle circostanze del caso concreto ivi compresa quella costituita dall’età (92) del genitore al momento del sinistro, si ritiene di liquidare in favore di ciascuno dei tre figli di (…), per i titoli di cui sopra, l’importo di Euro170.000,00 all’attualità, così per complessivi Euro510.000,00.
Oltre alla sorte capitale così come sopra complessivamente liquidata competono gli interessi, intesi, a mente dei noti principi sanciti dalla S.C. con sent. n. 1712/95, come “lucro cessante”, trattandosi di debito di valore e computabili sui singoli scaglioni annualmente rivalutati secondo il criterio indicato nella stessa pronuncia, pari al rendimento che presumibilmente gli attori avrebbero ricavato dalle somme dovute, se le avessero tempestivamente percepite, utilizzandole nei più comuni sistemi di investimento, per un totale (a titolo di sorte capitale, rivalutazione ed interessi) pari, ad oggi, ad Euro 612.111,42.
Parte attrice ha chiesto, peraltro, liquidarsi iure hereditatis un ulteriore importo a titolo di danno biologico sofferto dal congiunto, comprensivo di adeguata personalizzazione.
In linea generale, in ordine ai danni azionabili iure hereditario si può operare la seguente distinzione: 1) danno non patrimoniale sofferto dalla vittima; 2) danno patrimoniale sofferto dalla vittima.
In entrambi i casi, ai fini del riconoscimento della sussistenza del diritto al risarcimento del danno, è necessario che tra il fatto illecito e il decesso della vittima sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo, tale da poter affermare, per il caso sub (…), che la vittima ha sofferto la menomazione della propria capacità fisio – psichica (cfr. in tal senso Cass. Civ. n. 15706/10), ovvero subito ulteriori pregiudizi riconducibili alla lesione di valori costituzionalmente tutelati e facenti capo alla persona e, per il caso sub (…), che essa ha subito gli effetti del fatto illecito in termini di diminuzione della capacità patrimoniale.
Sul tema, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente ribadito il principio secondo cui in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare ed insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (Cass. civ., SS.UU., n. 15350/15).
Ancor più di recente, la Cassazione ha inquadrato a fini descrittivi i danni non patrimoniali, nel caso di morte non immediata della vittima, nelle tre tipologie del danno biologico cd. “terminale”, del danno morale cd. “catastrofale” (su cui v. infra) e del danno tanatologico da perdita del bene vita, affermando l’irrisarcibilità del danno da ultimo indicato, siccome espunto dall’ambito delle voci risarcitorie passibili di ristoro proprio dalle sezioni unite della Corte sull’assunto che se il decesso si verifica nell’immediatezza dell’accadimento lesivo, non vi può essere risarcimento iure hereditatis per la elementare ragione, logica prima che giuridica, della fisica mancanza di un soggetto dotato di capacità giuridica il quale sia, per ciò stesso, idoneo ad attrarre nel proprio patrimonio una qualsiasi posta attiva, ivi compresa quella costituita dal diritto al risarcimento del danno scaturente dalla perdita della vita (v. Cass. civ. n. 22451/17).
Tenuto conto delle sopra richiamate coordinate ermeneutiche e passando ora allo scrutinio delle richieste risarcitorie svolte iure hereditatis, vengono in considerazione le categorie poc’anzi citate del danno biologico cd. “terminale” e del danno morale cd. “catastrofale”.
Sempre alla luce dell’impostazione avallata dalla sopra richiamata giurisprudenza, il danno biologico terminale consiste nei postumi, necessariamente non permanenti, che la persona ha riportato nell’arco di tempo compreso tra il momento dell’evento lesivo e quello della perdita della vita ed è, come tale, risarcibile nella sola ipotesi in cui vi sia stato un apprezzabile lasso di tempo tra l’incidente e il decesso (ravvisabile, per vero, anche in un arco cronologico di poche ore).
Il danno morale catastrofale consiste, viceversa, nella condizione di estrema sofferenza ed angoscia (morale e spirituale) che l’essere umano sperimenta nell’approssimarsi alla morte con la lucida consapevolezza della incombente consumazione del dramma e richiede la prova, oltre che del decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’evento lesivo e la perdita della vita, anche della sopravvivenza del soggetto in uno stato di coscienza di sé sufficiente, almeno, a consentirgli di avere piena consapevolezza della precipitazione non reversibile degli eventi verso la loro consumazione finale.
Nella specie, atteso che tra la condotta colpevole ascrivibile a (…) (13.07.2005) ed il decesso di (…) (05.08.2005) è intercorso un arco di tempo di 23 giorni, risulta risarcibile il danno biologico terminale sofferto dalla vittima sub specie, appunto, di postumi necessariamente non permanenti (v., tra le altre, Cass. civ. n. 12408/11) riportati nell’arco di tempo compreso tra il momento dell’evento lesivo e quello della perdita della vita.
Con riferimento, infine, alla figura danno morale cd. “catastrofale”, la domanda – da intendersi compresa nella richiesta di risarcimento del danno morale iure hereditario – è del pari fondata e merita accoglimento.
Deve, invero, ritenersi che la sig.ra (…) abbia potuto percepire lucidamente e consapevolmente l’approssimarsi dell’exitus letale, tenuto conto delle risultanze istruttorie avuto, tra l’altro, specifico riguardo al ricovero d’urgenza intervenuto immediatamente dopo il sinistro, all’intervento chirurgico eseguito dai sanitari dell’Ospedale San Camillo De Lellis, già in sé particolarmente invasivo (asportazione della milza) e potenzialmente fonte di complicanze stante l’età avanzata della vittima, al successivo ricovero nel reparto di rianimazione, al malessere evidenziatosi subito dopo le dimissioni avvenute all’inizio del mese di agosto 2005 ed al nuovo ricovero, cui faceva seguito il decesso in data 05.08.2005; circostanze, nelle quali la sig.ra (…) risulta essere rimasta sempre lucida e non avere mai perso conoscenza.
Ciò stante, si ritiene di applicare in relazione alle due suddette voci di danno biologico terminale e catastrofale – cui appare nella sostanza riconducibile la pretesa avanzata da parte attrice – il criterio di liquidazione unitaria individuato dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano in sede di redazione delle tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale nella versione aggiornata al 2018 e liquidare, pertanto, a titolo di danno c.d. terminale, comprensivo della componente biologica temporanea, la somma complessiva di Euro 18.214,00 all’attualità, tale essendo l’importo previsto in tabella per l’ipotesi di sopravvivenza della vittima per un periodo di almeno 23 giorni dalla data del sinistro.
Oltre alla sorte capitale così come sopra complessivamente liquidata competono gli interessi, intesi, a mente dei noti principi sanciti dalla S.C. con sent. n. 1712/95, come “lucro cessante”, computabili sui singoli scaglioni annualmente rivalutati secondo il criterio indicato nella stessa pronuncia, pari al rendimento che presumibilmente i ricorrenti avrebbero ricavato dalle somme dovute, se le avessero tempestivamente percepite, utilizzandole nei più comuni sistemi di investimento, venendo pacificamente in considerazione un debito di valore, per un totale dovuto all’attualità (comprensivo di sorte capitale, rivalutazione e lucro cessante come sopra determinato) pari complessivamente ad Euro 21.860,81.
Il totale dovuto ammonterebbe, pertanto, ad Euro 633.972,23 (Euro 612.111,42 + 21.860,81) all’attualità.
Da tale importo dovrà essere, peraltro, defalcata la quota di concorso nel fatto colposo attribuita alla sig.ra (…), individuata nel 10%, per un totale di Euro 570.575,01.
Va, peraltro, dato atto che la (…) S.p.a. ha nelle more corrisposto agli attori la somma di Euro 12.203,19 (Euro 4.067,73 per ciascuno), trattenuta come acconto sul maggiore importo dovuto.
La somma in questione – sulla quale deve, del pari, calcolarsi la rivalutazione, avendone parte attrice disposto sino ad oggi, per totali Euro14.558,41 – dovrà essere, pertanto, sottratta dall’importo di cui sopra, così per complessivi Euro 556.016,6.
Al pagamento di detta somma in favore degli attori andranno, in conclusione, condannati, in solido tra loro, (…) – quale conducente e proprietario della vettura (…) tg. (…), civilmente responsabile ex art. 2054 c.c. – e la (…) S.p.A., quale Compagnia assicuratrice per la responsabilità civile del veicolo in questione.
Sul totale delle somme così liquidate per sorte capitale ed interessi competono gli interessi legali, dalla data della presente decisione al saldo, ex art. 1282 c.c.
Le spese legali seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Non luogo a provvedere sulle spese di CTU, in difetto di qualsivoglia richiesta in tal senso a seguito del deposito della relazione, atteso che per giurisprudenza, in tema di spese di giustizia, il diritto al pagamento delle spettanze dell’ausiliario del magistrato va esercitato mediante istanza di liquidazione da formularsi nel termine di cento giorni dal compimento delle operazioni previsto, a pena di decadenza sostanziale, dall’art. 71 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sicché, verificatasi detta decadenza, è preclusa all’ausiliario la proposizione di una domanda di riconoscimento del compenso, tanto nelle forme del processo civile ordinario quanto nel giudizio di opposizione al decreto di liquidazione ex art. 170 del D.P.R. n. 115 del 2002 (v. Cass. civ., Sez. II, n. 4373/15).
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore istanza, deduzione o eccezione disattesa o assorbita, così provvede:
– accerta e dichiara – anche nei riguardi della (…) S.p.a. – la responsabilità ex art. 2054, I e III co., c.c. di (…) nella determinazione del sinistro per cui è causa;
– accerta e dichiara il concorso colposo di (…) nella produzione del sinistro in misura pari al 10%;
– accerta e dichiara che le somme originariamente spettanti a (…), (…) e (…) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditario e iure proprio ammontano ad Euro 570.575,01 all’attualità, tenuto conto del concorso colposo della vittima, come sopra individuato;
– per l’effetto, dato atto che nelle more la (…) S.p.A. ha corrisposto agli attori la somma di Euro 12.203,19, da rivalutarsi all’attualità ad Euro 14.558,41, condanna (…) e la citata Compagnia di assicurazioni – quest’ultima, quale Compagnia assicuratrice per la responsabilità civile del veicolo (…) tg. (…) -, in solido tra loro, a corrispondere a (…), (…) e (…) l’importo residuo dovuto di complessivi Euro 556.016,6. all’attualità, il tutto oltre interessi legali a decorrere dalla data della presente decisione e sino al saldo effettivo;
– condanna i convenuti, in solido tra loro, a rifondere agli attori le spese di lite relative, liquidate in complessivi Euro 25.038,86, di cui Euro 23.525,7 a titolo di compensi professionali ed Euro 1.513,16 per esborsi, il tutto oltre alle spese forfetarie ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014 ed oltre iva e cpa come per legge;
– non luogo a provvedere sulle spese di CTU.
Così deciso in Rieti il 28 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2019.