in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il patema d’animo derivante dalla situazione di incertezza per l’esito della causa e’ da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento dell’instaurazione del giudizio, ma anche per il periodo comunque conseguente alla consapevolezza dell’infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 28 settembre 2018, n. 23580
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4810-2017 proposto da:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– ricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
e contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato l’11/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con ricorso proposto il 25 gennaio 2011 davanti alla Corte d’appello di Roma, poi riassunto davanti alla Corte d’appello di Perugia dopo la declaratoria di incompetenza per territorio resa dal primo giudice con decreto del 19 dicembre 2013, i ricorrenti chiesero la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’equa riparazione per l’irragionevole durata di un giudizio amministrativo svoltosi davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio a seguito di domanda depositata il 6 dicembre 1995 e concluso con sentenza di rigetto del 3 settembre 2009. Il giudizio presupposto verteva sull’accertamento del diritto dei ricorrenti, ispettori della Polizia di Stato, alle differenze economiche dovute in conseguenza dell’illegittimita’ del Decreto Legislativo n. 198 del 1995, sul presupposto della incostituzionalita’ della normativa.
Tale incostituzionalita’ venne tuttavia esclusa dalla Corte Costituzionale con sentenza 17 marzo 1998, n. 63, e con ordinanze 26 aprile 1999, n. 151, e 23 giugno 1999, n. 254. Percio’ la Corte d’Appello di Perugia, con decreto depositato l’11 luglio 2016, escluse il paterna d’animo per il periodo di svolgimento del giudizio amministrativo successivo al 23 giugno 1999 (data dell’ordinanza di rigetto della questione di legittimita’ costituzionale), liquidando in favore di ciascuno dei ricorrenti l’indennizzo di Euro 250,00 per i sei mesi eccedenti la durata ragionevole triennale (in ragione di un moltiplicatore annuo pari ad Euro 500,00).
E’ stato proposto ricorso articolato in unico motivo per violazione della L. n. 89 del 2001, articolo 2 nonche’ degli articolo 6, 13 e 41 CEDU, in merito alla valutazione della irragionevole durata del processo ed all’incidenza della decisione sulla questione di costituzionalita’.
L’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze ha limitato la propria attivita’ al deposito di un “atto di costituzione”.
I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c.
Il ricorso e’ infondato.
La Corte d’Appello di Perugia, con riferimento al giudizio presupposto instaurato nel dicembre 1995 davanti a14, TAR Lazio, ha ritenuto che, a far tempo dalla pronuncia 23 giugno 1999, n. 254, resa dalla Corte Costituzionale sulla questione rilevante nella lite, difettava nei ricorrenti ogni incertezza sull’esito del giudizio amministrativo da loro promosso, con conseguente indennizzabilita’ del solo periodo compreso tra dicembre 1998 (decorso il triennio di pendenza di ragionevole durata) e giugno 1999.
Il motivo di censura e’ da disattendere sulla base del principio, piu’ volte ribadito da questa Corte (gia’ nella disciplina anteriore all’introduzione del vigente L. n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2-quinquies, lettera a), secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il patema d’animo derivante dalla situazione di incertezza per l’esito della causa e’ da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento dell’instaurazione del giudizio, ma anche per il periodo comunque conseguente alla consapevolezza dell’infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole.
In particolare, proprio nel decidere analoghi ricorsi, aventi ad oggetto decreti della Corte d’Appello di Perugia concernenti domande di equa riparazione proposte con riferimento a giudizi amministrativi nei quali si poneva la questione della illegittimita’ della normativa contenuta nel Decreto Legislativo n. 198 del 1995, in ordine al trattamento giuridico ed economico del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, questa Corte ha reputato immune dalle proposte censure le pronunce della Corte d’appello secondo cui la consapevolezza, in capo ai ricorrenti, che la loro domanda di adeguamento, la quale postulava la proposizione di una questione di legittimita’ costituzionale, fosse manifestamente infondata e insuscettibile, in quanto tale, di arrecare pregiudizio per la protrazione del processo oltre il limite della ragionevole durata, poteva considerarsi maturata per effetto delle pronunce poi rese sul punto dalla Corte costituzionale (Cass. Sez. 2, ordinanza n. 8022 del 2018; Cass. Sez. 6 – 2, sentenza n. 24604 del 2016: vedi anche Cass. Sez. 6 -2, sentenza n. 30248 del 2017; Cass. Sez. 2, ordinanza n. 13655 del 2017; Cass. 6-2, sentenza n. 1630 del 2017; Cass. Sez. 6 2, Sentenza n. 16856 del 2016).
Si e’ osservato come se una domanda viene proposta prospettando l’illegittimita’ costituzionale della disciplina applicabile e se tale prospettazione viene disattesa da parte del giudice delle leggi, la valutazione del giudice di merito, secondo cui la protrazione del giudizio presupposto successivamente alla detta pronuncia non ha determinato un paterna d’animo suscettibile di indennizzo, appare del tutto plausibile e ragionevole, e non contrastante con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in ordine alla consapevolezza, da parte di chi agisce in equa riparazione, dell’infondatezza della propria pretesa nel giudizio presupposto. Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha individuato una sopravvenuta consapevolezza dell’impossibilita’ dell’accoglimento della domanda proposta e ha quindi ritenuto irrilevante il periodo successivo all’acquisizione di detta consapevolezza sino alla definizione per perenzione del giudizio presupposto ai fini della domanda di equa riparazione, riconoscendo, pertanto, una durata apprezzabile a tali effetti soltanto fino al momento in cui la possibile incertezza sull’esito del giudizio era ancora astrattamente configurabile.
Conseguentemente, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo svolto utili difese l’intimato Ministero.
Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.