l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge, dando luogo a nullita’ assoluta del rapporto tra professionista e cliente (articolo 1418 c.c., comma 1), priva il contratto di qualsiasi effetto. Pertanto, nel caso di esercizio della professione forense in difetto dell’iscrizione all’albo professionale al momento in cui il contratto di patrocinio e’ stato stipulato e sono state poste in essere le relative attivita’ (nella specie: studio della pratica e predisposizione di minute dell’atto di citazione nonche’ di altri atti difensivi), il professionista non ha diritto al compenso.

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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|10 ottobre 2022| n. 29351

Data udienza 8 luglio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28110/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

REGIONE LAZIO, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 6114/2017 depositata il 29/09/2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/07/2022 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

FATTI DI CAUSA

1. Il presente giudizio di legittimita’ trae origine dalla domanda proposta dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) innanzi al Tribunale di Roma nei confronti della Regione Lazio per il pagamento dei compensi per l’attivita’ professionale svolta in due giudizi svoltisi dinanzi al Consiglio di Stato.

1.1. La Regione Lazio, costituitasi in giudizio, contesto’ il quantum delle domande sostenendo che il compenso per i giudizi amministrativi aventi ad oggetto l’annullamento di un atto amministrativo fossero di valore indeterminato ed indeterminabile.

1.2. Il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, ritenne che non fosse applicabile, ai giudizi in oggetto, lo scaglione delle cause di valore indeterminabile, ma ridusse la pretesa degli attori.

1.3. Avverso tale pronuncia propose appello la Regione Lazio contestando:

la titolarita’ del rapporto giuridico dedotto in causa da parte dell’Avvocato (OMISSIS) a causa dell’assenza del requisito soggettivo dell’iscrizione all’albo speciale dei patrocinanti dinanzi alle Magistrature Superiori;

– la determinazione del valore delle due controversie amministrative svoltesi dinanzi al Consiglio di Stato, la violazione del principio di adeguatezza e di proporzionalita’ dei compensi professionali;

– la decorrenza degli interessi legali, calcolati dall’invio della parcella anziche’ dalla sentenza.

1.4. I due professionisti si costituirono per resistere al gravame e proposero anche appello incidentale sul valore delle cause e sugli interessi. Proposero anche autonomo atto di appello facendo valere le stesse censure.

2.La Corte d’appello di Roma, riuniti i gravami, in accoglimento del gravame della Regione Lazio:

1) ha respinto la domanda di liquidazione dei compensi professionali avanzata dall’Avv. (OMISSIS) perche’ non legittimato a pretendere il pagamento di prestazioni professionali in quanto non iscritto nell’albo speciale per patrocinare innanzi alle magistrature superiori;

2) ha determinato il compenso dovuto all’avv. (OMISSIS) per i due giudizi in Euro 8.089,94 e in Euro 19.972,07 sulla base dei parametri stabiliti per le cause patrocinate di valore indeterminabile, non essendo possibile commisurare “l’interesse sostanziale che riceve tutela mediante la sentenza”;

3) ha determinato la decorrenza degli interessi legali dalla domanda e ha dichiarato inammissibile la domanda di corresponsione degli interessi moratori ex Decreto Legislativo n. 231 del 2002.

2.Avverso tale sentenza l’Avv. (OMISSIS) e l’Avv. (OMISSIS) propongono ricorso per Cassazione basato sulla base di quattro motivi e memoria.

2.1. La Regione Lazio resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, si deduce la violazione o falsa applicazione, ex articolo 360, comma 1, n. 3, dell’articolo 2231 c.c., e Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 4, comma 2, con particolare riferimento alla legittimazione ad agire dell’Avv. (OMISSIS); si denuncia, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c., comma 2, sostenendosi che la Regione Lazio avrebbe proposto, solo in grado di appello, la richiesta di scorporazione delle attivita’ svolte dall’Avv. (OMISSIS) rispetto a quelle compiute dal precedente difensore, pur a fronte di un incarico da considerarsi unitario. La parte ricorrente lamenta che la Corte d’Appello avrebbe confuso i principi in materia di legittimazione attiva/passiva con quelli relativi alla titolarita’ della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio.

Nel caso di specie, l’Avv. (OMISSIS), non iscritto all’epoca dei fatti in discussione all’albo dei patrocinanti abilitati al patrocinio innanzi alle magistrature superiori, avrebbe agito in giudizio a tutela di un suo diritto di credito discendente da un mandato che era stato conferito unitamente ad altro Avvocato abilitato. Proprio in ragione dell’unitarieta’ ed inscindibilita’ dell’incarico professionale, sarebbe stata redatta un’unica parcella professionale e la legittimazione dell’Avv. (OMISSIS) investirebbe la titolarita’ sostanziale del rapporto; l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sarebbe stata quindi proposta tardivamente in grado d’appello, in violazione dell’articolo 345 c.p.c., allorche’ sulla questione si era formato il giudicato.

1.1. Il motivo e’ infondato.

1.2. Secondo un principio di carattere generale, per il disposto dell’articolo 2231 c.c., l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge, dando luogo a nullita’ assoluta del rapporto tra professionista e cliente (articolo 1418 c.c., comma 1), priva il contratto di qualsiasi effetto. Pertanto, nel caso di esercizio della professione forense in difetto dell’iscrizione all’albo professionale al momento in cui il contratto di patrocinio e’ stato stipulato e sono state poste in essere le relative attivita’ (nella specie: studio della pratica e predisposizione di minute dell’atto di citazione nonche’ di altri atti difensivi), il professionista non ha diritto al compenso. (Fattispecie relativa a praticante procuratore legale: v. Sez. 2, Sentenza n. 3740 del 19/02/2007 Rv. 596732; Sez. 2, Sentenza n. 21495 del 12/10/2007 Rv. 600035).

1.3. In particolare, il patrocinio innanzi alla Corte di cassazione, Consiglio di Stato, Corte Costituzionale e Corte dei Conti spetta solo agli avvocati che sono iscritti in un albo speciale.

1.4. Un tale principio e’ applicabile ovviamente anche al caso in esame. L’articolo 2231 c.c., prevede infatti che “quando l’esercizio di un “attivita’ professionale e’ condizionata dall’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non e’ iscritto non gli da’ azione per il pagamento alla retribuzione”.

1.5. Ne consegue che, in caso di assenza di iscrizione all’albo, non si pone un problema di carenza di legittimazione attiva ma di nullita’ del contratto di patrocinio, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo perche’ attinente al fatto costitutivo della pretesa (Cass. anche 26264/2018; Cass. 21495/2007 cit.).

1.6. La Corte d’Appello ha dunque fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte, rilevando che l’Avv. (OMISSIS), cui era stata conferita la procura unitamente all’Avv. (OMISSIS) per l’attivita’ difensiva innanzi al Consiglio di Stato, non aveva diritto al compenso neppure per l’attivita’ di studio propedeutica alla proposizione del ricorso innanzi al Consiglio di Stato.

1.7. Si tratta di prestazioni che l’Avv. (OMISSIS) non era abilitato a svolgere, a nulla rilevando l’unitarieta’ e l’inscindibilita’ dell’incarico professionale, in ragione della quale era stata redatta un’unica parcella professionale.

1.8. Proprio in ragione della nullita’ del contratto, l’Avv. (OMISSIS) non aveva diritto al compenso: correttamente il giudice d’Appello ha detratto le voci relativi all’attivita’ svolta dal medesimo nel giudizio N. 1191/2001 ed ha liquidato i compensi relativi al giudizio N. 24356/2009 al solo Avv. (OMISSIS).

2.Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 5, comma 2, e del Decreto Ministeriale 5.19.1994, articolo 6, commi 3 e 4, con particolare riferimento all’individuazione del corretto scaglione tariffario nella determinazione degli onorari, qualora l’oggetto della controversia patrocinata dinanzi al giudice amministrativo non riguardi la lesione di diritti soggettivi, bensi’ l’annullamento di un provvedimento amministrativo per illegittimita’. A dire dei ricorrenti, il contenzioso amministrativo aveva ad oggetto l’accertamento del diritto all’accreditamento delle Case di Cura appartenenti al Gruppo Tosinvest e il conseguente diritto a percepire il pagamento delle prestazioni secondo il piu’ alto valore tariffario. E’ su questo valore, determinato sulla base delle pretese economiche vantate dalle stesse Case di cure nei paralleli giudizi civili che avrebbe dovuto essere commisurato l’ammontare degli onorari ad essi spettanti.

2.1. Il motivo e’ infondato come il precedente.

2.2. Questa Corte (v. Cass. Civ. N. 8599/2022, Cass. Civ. N. 15061/2018; Cass. Civ. N. 1754/2013) ha affermato piu’ volte che ai fini della determinazione degli onorari di avvocato, in base all’articolo 6 della tariffa forense approvata con Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, (applicabile “ratione temporis”), va considerata di valore indeterminabile la controversia introdotta innanzi al giudice amministrativo per l’annullamento di un atto qualora la “causa petendi” della domanda sia l’illegittimita’ dell’atto stesso e il “petitum” la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda.

2.3. La Corte territoriale ha accertato che entrambi i ricorsi nei quali l’Avv. (OMISSIS) aveva svolto attivita’ difensiva avevano ad oggetto l’annullamento di atti della Giunta Regionale in materia di rette di degenza delle strutture sanitarie, sicche’ il maggior valore della causa connesso alla vicenda in sarebbe conseguito in via riflessa e non in via diretta.

2.4. L’annullamento di un atto amministrativo non comporta, infatti, un immediato adeguamento degli importi, che e’ invece rimesso, da un lato, ad eventuali iniziative giudiziarie da parte della Regione, dall’altro dal potere discrezionale della Regione Lazio di riesaminare il rapporto controverso.

2.5 Il valore della causa non puo’ quindi essere determinato sulla base delle pretese economiche che avrebbero vantato le stesse Case di cure nei paralleli giudizi civili.

2.6. Sulla scorta di tale ricostruzione si deve concludere nel senso che la Corte di appello ha correttamente ritenuto – in linea con la giurisprudenza di legittimita’ – che la causa introdotta con il ricorso dinanzi al Consiglio di Stato fosse da ritenersi di valore indeterminabile (in applicazione dell’articolo 10 c.p.c.), con la conseguente necessita’ di liquidare i compensi dovuti in base ai relativi parametri tariffari forensi.

3.Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex articoli 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell’articolo 1219 c.c. e citato Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 4, con particolare riferimento all’individuazione del termine a partire dal quale decorrono gli interessi; il ricorrente deduce, inoltre, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto dell’articolo 1224 c.c. per avere la Corte di merito riconosciuto gli interessi legali in luogo di quelli di mora ex Decreto Legislativo n. 231 del 2002. Sostiene la parte ricorrente che la Corte d’Appello ha errato nel riconoscere la decorrenza degli interessi dalla domanda giudiziale anziche’ dall’invio della notula intesa quale atto di costituzione in mora. Avrebbe altresi’ errato nel considerare inammissibile, in quanto domanda nuova, il motivo di appello con il quale era stato censurata la sentenza di primo grado quanto al riconoscimento degli interessi moratori ex D. Lgs 231/2002.

3.1. Il motivo, a differenza degli altri, e’ fondato.

3.2. Il Tribunale di Roma, con la sentenza di primo grado, aveva qualificato gli interessi richiesti sul compenso professionale dovuto agli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) come interessi di mora (pag.14 della sentenza di primo grado con condanna della Regione al pagamento degli “interessi legali di mora”) ed aveva considerato la notula contenente la parcella come atto di costituzione in mora idoneo a determinare la decorrenza degli interessi, ritenendo non vigente nel nostro ordinamento il principio romanistico ” in illiquidis non fit in mora”

3.3. L’appello della Regione riguardava la decorrenza degli interessi, ma non risulta che fosse stata impugnata specificamente la statuizione di primo grado sulla natura moratoria degli interessi riconosciuti, statuizione sulla quale dunque si e’ ormai formato il giudicato interno, rilevabile di ufficio.

Secondo la piu’ recente giurisprudenza di legittimita’ – a cui oggi va dato seguito – nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’articolo 1224 c.c., competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, non potendosi escludere la mora sol perche’ la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore (v. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 8611 del 16/03/2022 Rv. 664464; Sez. 2 -, Sentenza n. 24973 del 19/08/2022 Rv. 665548).

La sentenza impugnata va pertanto cassata, avendo fatto decorrere gli interessi dalla domanda, applicando una giurisprudenza ormai superata senza quindi verificare se la precedente richiesta di adempimento fosse idonea come atto di costituzione in mora.

Il giudice di rinvio (che viene individuato nella stessa Corte d’Appello di Roma, ma in diversa composizione) riesaminera’ la questione degli interessi attenendosi ai principi esposti.

E’ assorbito logicamente il quarto motivo di ricorso con cui si censura la regolamentazione delle spese di lite in appello.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo, e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, innanzi alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.