quando la societa’ e’ in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L. Fall., articolo 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali. Nel caso di cancellazione della societa’ dal registro delle imprese a seguito della conclusione del procedimento liquidatorio, tale principio implica che il fallimento in tanto possa essere dichiarato, in quanto al manifestarsi di un nuovo debito non si contrapponga l’emersione di una situazione creditoria che, per il suo contenuto e le sue specifiche connotazioni, consenta l’adempimento di quel debito. A tal fine non e’ pero’ sufficiente invocare la manleva correlata alla posizione debitoria rimasta insoddisfatta, in quanto, al di la’ di ogni ulteriore rilievo, la garanzia di cui all’articolo 106 c.p.c., opera in conseguenza dell’adempimento, da parte del garantito, dell’obbligazione principale: sicche’ essa non e’ idonea a incidere sulla dinamica attuativa dell’obbligazione medesima (la quale potra’ restare inadempiuta, a dispetto della garanzia di cui goda il debitore nei confronti del terzo).

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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 18 gennaio 2019, n. 1465

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13564/2016 proposto da:

(OMISSIS), nella qualita’ di liquidatore e legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) e (OMISSIS), giusta procura speciale per Notaio-Sostituto (OMISSIS) di (OMISSIS), con apostille del 29.06.2016;

– controricorrente –

contro

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1654/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 28/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/11/2018 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile il ricorso, o in subordine che lo rigetti, con le conseguenze di legge.

FATTI DI CAUSA

1. – (OMISSIS) proponeva istanza di fallimento di (OMISSIS) s.r.l., assumendo di essere creditrice nei confronti della stessa per l’importo di Euro 1.314.033,50 in forza di una sentenza del Tribunale di Milano resa il 9 giugno 2015, vertente su di una vicenda di lamentata contraffazione di segni distintivi (marchi e denominazione di origine).

Si costituivano in giudizio la societa’ e il suo liquidatore opponendo, tra l’altro, che lo stato di insolvenza non sussisteva, avendo la societa’ proceduto alla propria liquidazione e al soddisfacimento di tutti i creditori sociali e rilevando, altresi’, che il credito dell’istante era sorto solo il 9 giugno 2015 (data di pubblicazione della sentenza cui si e’ detto), e cioe’ successivamente alla cancellazione di (OMISSIS) dal registro delle imprese: cancellazione avvenuta il 5 febbraio 2015.

2. – Il Tribunale di Como dichiarava il fallimento della societa’ con sentenza fatta oggetto di reclamo.

3. – In esito al giudizio di impugnazione, cui prendeva parte, quale reclamata, (OMISSIS), la Corte di appello di Milano pronunciava, il 28 aprile 2016, sentenza con cui respingeva il gravame.

Per quanto qui rileva, e in sintesi, osservava la Corte milanese: che ai fini della proposizione dell’istanza di fallimento non e’ richiesto che il credito sia accertato in sede giudiziale;

che, in ogni caso, allorche’ era stata depositata l’istanza di fallimento il credito di Euro 1.314.033,50 era da considerarsi certo, liquido ed esigibile, essendo passata in giudicato la sentenza del Tribunale di Milano del 9 giugno 2015;

che, ai fini dell’apprezzamento dell’insolvenza di una societa’ in liquidazione, il giudice deve unicamente accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare eguale e integrale soddisfacimento dei creditori della societa’;

che quindi non rilevava l’esistenza di un potenziale credito di (OMISSIS) nei confronti delle societa’, chiamate, in manleva, nel giudizio conclusosi con la condanna dell’appellante;

che infatti tale credito non era stato iscritto a bilancio e neanche azionato;

che, inoltre, sulla base dei bilanci della societa’ fallita doveva escludersi che questa fosse nelle condizioni di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, non avendo proceduto all’accantonamento dei fondi per soddisfare l’ingente debito poi accertato, essendo stata resa pronuncia giurisdizionale non definitiva che riconosceva il diritto al risarcimento del danno di controparte;

che a norma della L. Fall., articolo 10, la societa’ cancellata dal registro delle imprese resta destinataria della sentenza dichiarativa del fallimento e delle successive vicende impugnatorie e tale regime implica la possibilita’ di dichiarare nell’anno successivo alla cancellazione il fallimento della societa’ stessa ove l’insolvenza si sia manifestata anteriormente alla cancellazione o nell’anno successivo, rispetto a ragioni di credito maturate nel periodo in cui la societa’ esercitava la propria attivita’ di impresa;

che, dunque, nonostante l’estinzione della societa’ fallita, questa, ai soli fini della procedura concorsuale, continuava a configurarsi come soggetto esistente al fine di garantire la par condicio dei creditori sociali e dunque, nel caso di specie, anche di (OMISSIS).

3. – La sentenza della Corte di Milano e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) e da (OMISSIS), liquidatore della societa’ fallita, con un ricorso basato su quattro motivi e illustrato da memoria. Resiste con controricorso (OMISSIS). La curatela, regolarmente intimata, non ha svolto difese. Il pubblico ministero ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione ed erronea applicazione degli articoli 2495 e 2697 c.c.. Lamentano i ricorrenti che la sentenza impugnata aveva mancato di rilevare la carenza di legittimazione attiva di (OMISSIS), posto che il suo credito, derivante da illecito extracontrattuale, era stato riconosciuto da una sentenza pronunciata dopo la cancellazione di (OMISSIS) dal registro delle imprese: in conseguenza – secondo gli istanti – tale debito non avrebbe costituito una insolvenza rilevante ai fini della dichiarazione di fallimento e, in ogni caso, esso non avrebbe potuto essere riferito alla nominata societa’.

Col secondo motivo viene lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

Gli istanti si dolgono della mancata considerazione della circostanza per cui unico credito che avrebbe costituito manifestazione dell’insolvenza (OMISSIS) era quello, in contestazione, di (OMISSIS).

Il terzo mezzo prospetta la violazione ed erronea applicazione della L. Fall., articolo 5, articoli 2423, 2424 bis e 2709 c.c..

Deducono i ricorrenti che nel quadro dell’accertamento dello stato di insolvenza della debitrice non si era tenuto conto, secondo i principi di verita’, prudenza e di inscindibilita’, del credito di (OMISSIS), di importo pari a quello vantato da (OMISSIS): credito pure riconosciuto dalla sentenza del 9 giugno 2015, di pari importo rispetto al debito della fallita e originatosi dal diritto di manleva vantato da (OMISSIS) verso le societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) s.r.l..

Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione ed erronea applicazione della L. Fall., articolo 10 e dell’articolo 2495 c.c..

Assumono che la Corte di appello, pur riconoscendo che il cit. articolo 10 pone una fictio ai soli fini dell’istruttoria prefallimentare e delle successive impugnazioni, aveva ritenuto la societa’ (OMISSIS) esistente, sul versante sostanziale, e cioe’ tenuta all’adempimento di un debito contestato prima della dichiarazione di fallimento e riconosciuto con sentenza di primo grado dopo la cancellazione della societa’ stessa dal registro delle imprese.

2. – Il primo e il quarto motivo, che possono esaminarsi congiuntamente, non sono fondati.

Come e’ noto la L. Fall., articolo 10, nel prevedere che la societa’ possa essere dichiarata fallita entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si e’ manifestata anteriormente alla medesima, o nell’anno successivo, delinea una fictio iuris, la quale postula come esistente ai soli fini del procedimento concorsuale un soggetto ormai estinto, come del resto accade anche per l’imprenditore persona fisica che venga dichiarato fallito entro l’anno dalla morte (cosi’ Cass. Sez. U. 12 marzo 2013, n. 6070; da ultimo cfr. Cass. 1 marzo 2017, n. 5253).

Il termine annuale costituisce, in sostanza, il punto di mediazione nella tutela di interessi contrapposti: quello dei creditori al soddisfacimento delle loro pretese e quello, di carattere generale, non del solo cessato imprenditore, alla certezza dei rapporti giuridici (e al correlativo affidamento dei terzi, altrimenti esposti illimitatamente al pericolo di revocatorie) (Cass. 12 aprile 2013, n. 8932).

Nella fattispecie oggetto di giudizio e’ pacifico che la sentenza di condanna nei confronti della societa’ fallita sia stata emessa entro la scadenza del richiamato termine annuale. Ed e’ incontestabile che alla data della dichiarazione di fallimento il credito di Euro 1.314.033,50, sulla cui base (OMISSIS) aveva formulato istanza di fallimento, fosse certo, liquido ed esigibile, essendo passata in giudicato la sentenza che lo aveva riconosciuto: da tale punto di vista, dunque, come correttamente rilevato dalla Corte di Milano, nemmeno si pongono i problemi che sono correlati alla contestazione del credito stesso (contestazione che, peraltro, nemmeno escluderebbe la presa d’atto dell’insolvenza, una volta che fosse positivamente accertato, in via incidentale, il credito di cui trattasi: Cass. 19 marzo 2014, n. 6306).

I ricorrenti negano, tuttavia, che al momento della cancellazione della societa’ (OMISSIS) dal registro delle imprese, il credito in questione fosse ancora sorto: per il che, a loro avviso, per un verso la correlativa posizione debitoria non potrebbe riferirsi alla societa’ stessa, oramai estinta, e, per altro verso, andrebbe esclusa l’operativita’ della L. Fall., articolo 10, giacche’ tale norma presupporrebbe pur sempre una insolvenza da correlare a obbligazioni venute ad esistenza prima della nominata cancellazione.

Deve pero’ osservarsi che il credito risarcitorio non trae la propria origine dalla sentenza di condanna: sentenza con cui e’ stata solo accertata l’esistenza del diritto controverso ed emessa, con riferimento ad esso, una statuizione suscettibile di esecuzione forzata.

Il fatto costitutivo dell’obbligazione non e’ rappresentato dalla sentenza, ma dall’illecito contraffattivo produttivo di danno di cui (OMISSIS) e’ stata riconosciuta autrice: e tale illecito preesiste alla cancellazione, unitamente all’obbligazione risarcitoria che da esso discende.

Negare che prima della pronuncia della sentenza di condanna al risarcimento del danno possa configurarsi un inadempimento da parte del danneggiante equivale, del resto, a contestare la portata precettiva dell’articolo 1219 c.c., comma 2, secondo cui il debitore del risarcimento del danno e’ in mora (ex re) dal giorno della consumazione dell’illecito.

3. – Il secondo motivo e’ infondato.

Il fatto che il credito della controricorrente fosse l’unico da prendere in considerazione ai fini dell’apprezzamento dell’insolvenza non e’ sfuggito alla Corte di merito la quale ha basato la sua pronuncia sul punto proprio sull'”ingente debito” di cui trattasi (pag. 8 della sentenza).

Ne’ la decisione appare censurabile avendo riguardo alla asserita impossibilita’ di fondare il giudizio circa l’insolvenza sull’inadempimento della societa’ fallita a un unico credito. Infatti,

Lo stato di insolvenza rappresenta una situazione oggettiva dell’imprenditore che prescinde totalmente dal numero dei creditori, essendo ben possibile che anche un solo inadempimento possa essere indice di tale situazione oggettiva (Cass. 15 gennaio 2015, n. 583, non massimata; cfr. pure Cass. 30 settembre 2004, n. 19611).

4. – Pure il terzo motivo e’ da disattendere.

La Corte di appello ha richiamato il principio secondo cui quando la societa’ e’ in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L. Fall., articolo 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali (per cui, di recente: Cass. 3 agosto 2017, n. 19414; Cass. 7 dicembre 2016, n. 25167).

Nel caso di cancellazione della societa’ dal registro delle imprese a seguito della conclusione del procedimento liquidatorio, tale principio implica che il fallimento in tanto possa essere dichiarato, in quanto al manifestarsi di un nuovo debito non si contrapponga l’emersione di una situazione creditoria che, per il suo contenuto e le sue specifiche connotazioni, consenta l’adempimento di quel debito.

A tal fine non e’ pero’ sufficiente invocare la manleva correlata alla posizione debitoria rimasta insoddisfatta, in quanto, al di la’ di ogni ulteriore rilievo, la garanzia di cui all’articolo 106 c.p.c., opera in conseguenza dell’adempimento, da parte del garantito, dell’obbligazione principale: sicche’ essa non e’ idonea a incidere sulla dinamica attuativa dell’obbligazione medesima (la quale potra’ restare inadempiuta, a dispetto della garanzia di cui goda il debitore nei confronti del terzo).

5. – Il ricorso e’ conclusivamente respinto.

6. – Le spese del presente giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.