La domanda di insinuazione tardiva è ammissibile solo se diversa, per petitum e causa petendi, rispetto alla domanda di insinuazione ordinaria, essendo altrimenti preclusa dal giudicato interno formatosi sull’istanza tempestiva; cio’ in quanto il sistema della legge fallimentare – in ragione del principio generale che riconosce carattere giurisdizionale e decisorio al procedimento di verificazione del passivo – esclude la possibilita’ di proporre una nuova insinuazione per un credito o una parte di esso che siano gia’ stati in precedenza esclusi dal novero del passivo. Ove invece sia mancata una specifica domanda di insinuazione al passivo resta proponibile la domanda tardiva del credito che non sia stato ancora reclamato, anche nel caso in cui la stessa riguardi i soli interessi moratori rispetto a un credito per sorte capitale gia’ ammesso in via tempestiva, in quanto una simile domanda, fondata sul ritardo nell’adempimento, non rimane preclusa, stante la diversita’ della rispettiva causa petendi, dalla precedente statuizione, salvo che gli interessi costituiscano una mera componente della pretesa gia’ azionata.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 17750/2015 proposto da:
(OMISSIS) Associazione Professionale, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del suo curatore Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 723/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 19/5/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/1/2019 dal cons. PAZZI ALBERTO.
FATTI DI CAUSA
1. Nel maggio 1987 l’Avv. (OMISSIS) chiedeva di essere ammesso al passivo del fallimento (OMISSIS) s.r.l. per un credito professionale relativo a prestazioni svolte per la societa’ poi fallita, domandando espressamente che l’ammissione avvenisse “con interessi e rivalutazione monetaria ISTAT sino al soddisfo in considerazione della natura del credito”.
Il Giudice delegato ammetteva al passivo della procedura la somma di Lire 18.000.000, compresi I.V.A. e oneri previdenziali, in sede privilegiata e Lire 6.373.740 in chirografo, nulla statuendo su interessi e rivalutazione richiesti.
Avverso tale provvedimento il creditore istante non proponeva alcuna opposizione.
2. Nel corso della procedura lo (OMISSIS) associazione professionale, subentrato nelle more al singolo professionista, presentava ricorso per insinuazione tardiva L. Fall., ex articolo 101, per il riconoscimento degli interessi maturati sul credito privilegiato gia’ ammesso, da calcolarsi dalla data di apertura del concorso al soddisfo e riconoscere con il medesimo privilegio.
A seguito delle contestazioni sollevate dal curatore il Tribunale di Palermo rigettava l’istanza di insinuazione tardiva ritenendola inammissibile, in quanto il creditore aveva gia’ chiesto l’ammissione dello stesso credito al passivo, con istanza implicitamente respinta dal G.D., rimanendo cosi’ preclusa la possibilita’ di presentare una nuova insinuazione per il medesimo credito.
3. La Corte d’Appello di Palermo, nel rigettare l’impugnazione proposta dallo (OMISSIS) associazione professionale, ribadiva che le pregresse decisioni concernenti le insinuazioni al passivo avevano valore di giudicato interno, osservava che la mancata ammissione degli interessi e della rivalutazione richiesti aveva valore di un implicito rigetto della domanda e di conseguenza rilevava come operasse la preclusione nascente da un simile giudicato rispetto alla domanda presentata con l’insinuazione tardiva; la definitivita’ della decisione assunta comportava poi l’impossibilita’ di fare applicazione al caso di specie della declaratoria di illegittimita’ della L. Fal., articolo 54, comma 3, compiuta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 162 del 23 maggio 2001.
4 Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso lo (OMISSIS) associazione professionale prospettando cinque motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento (OMISSIS) s.r.l..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 380 bis 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1 I primi due motivi di ricorso denunciano la falsa applicazione e la violazione di legge “con riferimento al principio di definitivita’ dello stato passivo fallimentare ed alla sua efficacia di giudicato interno preclusivo come tale di una insinuazione tardiva del medesimo credito per petitum e causa petendi”: la corte territoriale avrebbe falsamente fatto ricorso ai principi in tema di giudicato interno, senza considerare che gli stessi trovavano applicazione rispetto a una domanda di modifica dello stato passivo e non erano estensibili a una mera richiesta di applicazione, in sede di riparto, del disposto della L. Fall., articolo 54, in relazione allo stato passivo come in precedenza formato, poiche’ tale istanza, seppur proposta nelle forme dell’insinuazione tardiva, si era limitata a sollecitare l’applicazione di una disciplina che gli organi fallimentari erano comunque obbligati ad adottare.
Peraltro il G.D. in sede di verifica non poteva che prendere in esame la domanda relativa agli interessi maturati fino alla dichiarazione di fallimento, perche’ i frutti maturati in corso di procedura conseguivano ex lege, di modo che il silenzio serbato sulla richiesta di ammissione al passivo degli interessi non poteva che essere interpretato come esclusione degli stessi fino alla data di apertura del concorso; il mancato accoglimento della richiesta di applicazione della disciplina relativa agli interessi da riconoscere ai crediti privilegiati gia’ ammessi costituiva quindi anche una violazione di legge, dato che sul punto non vi era stata alcuna pronuncia di esclusione del G.D. ne’ vi sarebbe potuta essere, poiche’ era la legge a stabilire la spettanza di questi interessi sul presupposto dell’intervenuta ammissione in privilegio.
3.2 Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del principio di irretroattivita’ degli effetti delle sentenze della Corte Costituzionale dichiarative dell’illegittimita’ costituzionale di una norma: la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che non trovasse applicazione alla fattispecie in esame la sentenza della Consulta del 23 maggio 2001 n. 162, in ragione dell’anteriore emissione del decreto di esecutivita’ dello stato passivo, senza considerare che il rapporto poteva intendersi esaurito solo in caso di esecuzione del riparto finale e chiusura del fallimento prima della decisione della Consulta.
4. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro connessione, non meritano accoglimento.
4.1 Questo collegio ritiene che valga anche in sede fallimentare il principio (gia’ affermato da questa Corte rispetto alla procedura di liquidazione coatta amministrativa; cfr. Cass., Sez. U., 26/3/2015 n. 6060) secondo cui la partecipazione del creditore al procedimento di formazione dello stato passivo, attraverso la formulazione di domande ai sensi della L. Fall., articolo 93, e’ solo eventuale ma, ove esperita, comporta l’obbligo per il Giudice delegato di provvedere su di esse, sicche’ il silenzio da questi mantenuto in ordine alle richieste formulate dal creditore e il mancato inserimento del credito nello stato passivo formato all’esito della verifica delle domande presentate assume valore implicito di rigetto, contro il quale, per evitare il formarsi di una preclusione, il creditore deve proporre opposizione allo stato passivo ai sensi della L. Fall., articolo 98.
La giurisprudenza di questa Corte ritiene infatti che la domanda di insinuazione tardiva sia ammissibile solo se diversa, per petitum e causa petendi, rispetto alla domanda di insinuazione ordinaria, essendo altrimenti preclusa dal giudicato interno formatosi sull’istanza tempestiva (Cass. 20/7/2016 n. 14936 e Cass. 28/6/2012 n. 10882); cio’ in quanto il sistema della legge fallimentare – in ragione del principio generale che riconosce carattere giurisdizionale e decisorio al procedimento di verificazione del passivo – esclude la possibilita’ di proporre una nuova insinuazione per un credito o una parte di esso che siano gia’ stati in precedenza esclusi dal novero del passivo.
Ove invece sia mancata una specifica domanda di insinuazione al passivo resta proponibile la domanda tardiva del credito che non sia stato ancora reclamato, anche nel caso in cui la stessa riguardi i soli interessi moratori rispetto a un credito per sorte capitale gia’ ammesso in via tempestiva, in quanto una simile domanda, fondata sul ritardo nell’adempimento, non rimane preclusa, stante la diversita’ della rispettiva causa petendi, dalla precedente statuizione, salvo che gli interessi costituiscano una mera componente della pretesa gia’ azionata (Cass., Sez. U., 26/3/2015 n. 6060).
Nel caso di specie l’odierno ricorrente aveva gia’ pacificamente presentato, nel momento in cui si e’ insinuato in via tempestiva al passivo, la richiesta di ammissione, con collocazione parimenti privilegiata, anche di interessi e rivalutazione sino al soddisfo e dunque anche per l’intero corso della procedura concorsuale fino al momento di corresponsione dell’importo dovuto.
Una simile domanda non e’ stata accolta, dato che l’ammissione ha riguardato la sola sorte capitale.
La mancata impugnazione del provvedimento di parziale ammissione, con esclusione di interessi e rivalutazione fino al soddisfo, comporta, come rilevato dalla corte territoriale (in termini coerenti con quanto gia’ stabilito da questa Corte con la sentenza n. 753/1981), la “preclusione nascente dal giudicato implicito e dalla applicazione della regola che il giudicato copre il dedotto e il deducibile”.
4.2 L’individuazione di un giudicato interno – che esclude il riconoscimento di interessi riguardo alla sorte capitale gia’ ammessa e comporta l’esaurimento del rapporto sul punto, a prescindere dall’esecuzione del riparto – fa si’ che non si presti a censure neppure il rilievo della corte territoriale riguardante l’inapplicabilita’ al caso di specie della pronuncia di illegittimita’ costituzionale resa dalla Consulta con la sentenza n. 162/2001.
Difatti le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale hanno si’ effetto retroattivo, inficiando sin dall’origine la validita’ e l’efficacia della norma dichiarata contraria al dettato costituzionale, salvo pero’ il limite delle situazioni cd. “consolidate”, quali quelle derivanti da giudicato, come nel caso di specie (si vedano in questo senso Cass. 7/6/2000 n. 7704 e Cass. 21/11/2001 n. 14632).
5.1 Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai fini della compensazione delle spese di lite, gia’ oggetto di discussione fra le parti: la corte territoriale avrebbe negligentemente letto gli atti di causa e compulsato il fascicolo di parte, non avrebbe rinvenuto in atti un precedente del Tribunale di Palermo che aveva risolto in senso opposto una fattispecie assolutamente identica e cosi’ avrebbe erroneamente omesso di riformare la decisione del giudice di primo grado in punto di regolazione delle spese di lite, senza disporre la loro integrale compensazione.
5.2 Il motivo e’ inammissibile, stante il carattere non decisivo del fatto storico asseritamente trascurato.
Si consideri in proposito che il disposto dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis, attribuiva al giudice del merito, ove egli avesse ritenuto di far rientrare il precedente in parola nel novero dei giusti motivi evocati dalla norma, il potere discrezionale e non l’obbligo di provvedere alla compensazione delle spese di lite fra le parti.
La censura si rivela percio’ inammissibile, dato che il fatto storico di cui si denunci l’omesso esame assume carattere decisivo ove abbia portata idonea a determinare direttamente l’esito del giudizio (Cass. 5/3/2014 n. 5133) e dunque se, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, il suo esame avrebbe condotto a una diversa decisione (Cass. 27/8/2018 n. 21223).
6.1 L’ultimo motivo di ricorso denuncia l’intervenuta violazione di legge con riferimento al principio di diritto che esclude la ripetibilita’ dell’I.V.A. sulle spese liquidate ove l’imposta rappresenti un costo detraibile per la parte vittoriosa: la corte distrettuale avrebbe erroneamente condannato l’appellante al rimborso anche dell’I.V.A. sulle spese legali liquidate benche’ l’imposta fosse detraibile ad opera della procedura.
6.2 Il motivo e’ infondato, dovendosi ritenere che il giudice di merito abbia a ragione condannato la parte soccombente a corrispondere anche I’I.V.A. sulle spese legali liquidate in favore della procedura.
In tema di liquidazione delle spese processuali in favore della parte vittoriosa la giurisprudenza di questa corte ha avuto occasione di precisare che non compete al giudice di cognizione, prima di disporre la condanna della parte soccombente al rimborso, oltre che delle spese processuali, anche dell’I.V.A. da calcolarsi sulle stesse, accertare se l’imposta possa o meno essere detratta.
La sentenza di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa costituisce percio’ titolo esecutivo anche per conseguire il rimborso dell’I.V.A. che la medesima parte vittoriosa assuma di aver versato al proprio difensore, in sede di rivalsa e secondo le prescrizioni del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 18, trattandosi di un onere accessorio che, in via generale, ai sensi dell’articolo 91 c.p.c., comma 1, consegue al pagamento degli onorari al difensore.
La deducibilita’ dell’I.V.A. rileva invece in ambito esecutivo, ove la parte soccombente ha la possibilita’ di contestare sul punto il titolo, con opposizione a precetto o all’esecuzione, al fine di far valere eventuali circostanze che, secondo le previsioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, possano escludere, nei singoli casi, la concreta rivalsa o, comunque, l’esigibilita’ dell’imposta in questione (cfr. Cass. 10/7/2018 n. 18192, Cass. 1/4/2011 n. 7551).
7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.400, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.