In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’articolo 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’articolo 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi. Ebbene, ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche quanto al riparto dell’onere probatorio in materia di mancanza di qualità promesse, ex art. 1497 c.c. In tal senso, infatti, anche per questa azione, intesa nel senso di difetto di qualità, vale la regola dell’onere della prova a carico del compratore, proprio perché si tratta di azione tipica rientrante nell’ambito della garanzia della vendita sul modello delle tradizionali “azioni edilizie”, riguardo alle quali il requisito della gravità è prevalutato dal legislatore e compenetrato nella ricorrenza dei presupposti delineati dell’incidenza dei vizi sull’idoneità all’uso cui la cosa è destinata ovvero sulla diminuzione in modo apprezzabile del suo valore, per cui una diversa disciplina creerebbe una distonia di sistema, oltre a non avere alcuna ragione di differenziazione.
Tribunale|Latina|Sezione 1|Civile|Sentenza|17 luglio 2023| n. 1674
Data udienza 17 luglio 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di LATINA
I Sezione CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Giuseppina Vendemiale ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 7568/2013 promossa da:
(…) SRL (c.f. (…)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. (…) e dall’avv. (…) ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Latina, Piazza (…), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore del 21.6.2019;
ATTRICE
Contro
(…) S.S. (c.f. (…)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. (…) e dall’avv. (…) ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Latina, Via (…), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta;;
CONVENUTA
Oggetto: inadempimento contrattuale e risarcimento danni.
CONCLUSIONI Le parti concludevano come da verbale in atti.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione, la (…) conveniva in giudizio, dinanzi all’intestato Tribunale, la (…) s.s., deducendo che,
essendo titolare di due nuovi impianti per la produzione del kiwi in Cisterna di Latina (LT), Via (…) snc, Località “(…)” e “(…), si era rivolta alla (…) per la fornitura delle piante di kiwi da installare. Assumeva l’attrice di aver specificato, nel corso delle trattative, che gli impianti dovevano essere realizzati con astoni di varietà hayward, particolarmente resistente e adatta alla coltivazione del kiwi giallo.
Pertanto, veniva pertanto siglato fra le parti un primo ordine d’acquisto, e in data 19 maggio 2005 la convenuta provvedeva alla consegna di 9000 piante di kiwi di varietà hayward; in data 10 maggio 2006 l’attrice siglava un ordine, identico al primo, per la fornitura di ulteriori 10.000 piante, le cui consegne avvenivano a partire dall’anno 2007 presso il secondo impianto dell’attrice in località “(…)”, in occasione delle quali la (…) confermava che le piante erano state realizzate su base hayward, identica rispetto a quella della prima consegna.
Soggiungeva l’attrice che nel corso degli anni 2008/2009 si verificava in Italia e nel mondo l’epidemia dello Pseudomonas Siringae pv Actinidiae; pertanto, provvedeva al relativo taglio e attendeva i.d. “ricaccio” dei polloni delle piante innestate su varietà hayward, che avrebbe consentito l’immediata produttività delle piante con kiwi verdi resistenti al batterio e l’immediata ripresa della produzione. Al momento del “ricaccio”, tuttavia, l’attrice verificava che alcuni germogli avevano caratteristiche non tipiche della varietà hayward acquistata; chiedeva pertanto rassicurazioni dalla convenuta circa il fatto che gli innesti fossero effettivamente avvenuti su portinnesti di varietà hayward.
La convenuta confermava ancora una volta, in via telefonica, che i portinnesti erano di qualità hayward.
Considerato, tuttavia, che le piante continuavano a mostrare caratteristiche tali da porre in dubbio la loro effettiva natura, in data 6 ottobre 2010, l'(…) depositava presso il Tribunale di Latina ricorso per accertamento tecnico preventivo ex art. 696 – 696 bis volto ad accertare l’effettiva natura delle piante fornite dalla convenuta e i danni conseguenti alla difformità delle piante consegnate rispetto a quelle ordinato dall’attrice e promesse dalla convenuta.
Nel corso delle operazioni peritali, i consulenti avevano modo di verificare che la piante fornite dalla convenuta erano certamente di varietà diversa dalla Hayward, pertanto del tutto inidonee alla produzione di kiwi all’esito della capitozzatura conseguente alla batteriosi. In particolare, si accertava che i portinnesti forniti dalla convenuta appartenevano alla varietà “summer”, sicché la società attrice era costretta a reinnestare l’intero impianto di kiwi con perdita della possibilità di produzione per vari anni.
Sulla scorta di tali premesse, la società attrice esponeva di avere interesse ad agire in giudizio per far valere il grave inadempimento della (…) rispetto agli obblighi assunti con i contratti di fornitura di piante di kiwi innestate, e di conseguire il risarcimento degli ingenti danni subiti.
Deduceva, infatti, che la società convenuta aveva fornito piante diverse rispetto a quelle promesse alla (…) – e comunque inidonee a produrre kiwi liberamente commercializzabili – fidando nel fatto che la diversa qualità delle piante non sarebbe potuta emergere se non nell’ipotesi di taglio degli innesti.
Dal predetto inadempimento derivava l’obbligo per la (…) di risarcire l’attrice per gli ingentissimi danni provocati, rapportati al valore economico della mancata raccolta e ai costi sostenuti per la sostituzione degli impianti.
Rassegnava, dunque, le seguenti conclusioni: “Piaccia all’Ecc.mo Tribunale Civile adito, respinta ogni contraria istanza:
– Accertare l’inadempimento della (…) rispetto alle obbligazioni assunte con il contratto di fornitura del 10 maggio 2006;
– Accertare la difettosità delle piante fornite dalla (…) alla (…) nel periodo 2006 – 2009 sulla base del contratto del 10 maggio 2006; – Dichiarare tenuta e per l’effetto condannare la (…) s.s. a risarcire (…) Società Agricola a responsabilità limitata per i danni a quest’ultima provocati, danni pari ad Euro 1.167.818,20 o a quella maggiore o minor somma che sarà ritenuta di giustizia;
Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio”.
Dichiarata la contumacia della società convenuta, concessi i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., con comparsa di costituzione e risposta depositata il 30.6.2015, si costituiva in giudizio la (…), contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo di essere rimessa in termini, non avendo fino ad allora avuto contezza della pendenza del presente giudizio.
Nel merito, deduceva che l’ordine del 10 maggio 2006 non era affatto identico a quello della prima fornitura, atteso che nel primo ordinativo l’attrice aveva ben specificato che voleva piante di tipo hayward mentre nel successivo ordinativo ciò che si voleva era un portainnesto che consentisse di supportare al meglio le marze che dovevano essere innestate. Pertanto, in data 27.03.2007 venivano consegnate n. 2600 piante di actinidia femmine innestate con materiale proveniente dalla acquirente fatturate poi in data 31.03.2007; in data 17.04.2007 venivano consegnate n. 6760 piante di actinidia femmine e n. 1843 piante di actinidia maschio tutte innestate con materiale proveniente dalla acquirente, fatturate poi in data 18.04.2007; in data 16.07.2008 venivano consegnate n. 1.980 astoni r.n. hayward meristema, n. 215 astoni r.n. actinidia maschio e n. 420 piante actnidia maschio, fatturate poi in data 29.07.2008; in data 19.07.2008 venivano consegnate n. 123 piante maschio 8972 meristema in vaso, fatturate poi in data 29.07.2008; in data 16.06.2009 venivano consegnate n. 100 piante hayward innestate con materiale fornito dalla acquirente, fatturate poi in data 30.06.2009; in data 23.06.2009 venivano consegnate n. 163 piante hayward innestate con materiale fornito dalla acquirente, fatturate poi in data 30.03.2009.
All’atto della consegna non era mai stato confermato che le piante erano state realizzate su base hayward identica rispetto a quella della prima consegna. Inoltre, evidenziava che i termini descritti nelle bolle di accompagnamento e nelle fatture per descrivere i prodotti consegnati e venduti risultavano differenti tra loro in quanto da una parte si descriveva la pianta come hayward e dall’altra come actinidia, per cui l’attrice era a conoscenza delle differenze né aveva mai richiesto spiegazioni al riguardo.
Ancora, rilevava che mai la (…) s.s. aveva assicurato telefonicamente che gli innesti erano stati effettuati su piante hayward, come precisato nella raccomandata del 17.8.2010.
Peraltro, secondo la ricostruzione della stessa attrice, già dall’anno 2007 od al più tardi dall’inizio dell’anno 2012 la (…) era a conoscenza che i portainnesti non erano del tipo hayward, sicché, a norma dell’art. 1227 c.c., l’attrice aveva l’obbligo di evitare il danno piantando, per esempio, piante di hayward di due anni che avrebbero permesso di ottenere la piena produzione al secondo anno.
Esponeva altresì che la pretesa attorea era stata dichiarata infondata anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo svolto dalla (…) dinanzi al Tribunale di Ravenna, che aveva rigettato l’opposizione reputando insussistente l’inadempimento contestato alla (…) con sentenza passata in giudicato.
Rassegnava, quindi, le seguenti conclusioni:
“IN VIA PRELIMINARE – rimettere in termini la sola difesa di (…) s.s. per le ragioni di cui in motivazione;
SEMPRE IN VIA PRELIMINARE – datosi atto che il Tribunale di Ravenna con sentenza 192/2015 passata in giudicato ha già statuito sulla domanda svolta da (…) Srl, rigettare la domanda attorea per il divieto del ne bis in idem;
NEL MERITO – rigettare le domande tutte avanzate da (…) Srl poiché infondate in fatto ed in diritto sia sull’an che sul quantum;
IN VIA ISTRUTTORIA -dichiarato che (…) Srl è decaduta dal richiedere l’acquisizione della relazione dell’ATP nonché del fascicolo intero dell’ATP, disporre la chiusura della fase istruttoria relativamente alla parte (…) Srl con depennamento anche dei capitoli 3, 4 e 7 poiché il primo fa riferimento asseritamente accaduti in ATP quando l’ATP non fa parte del fascicolo; i capitoli 4 e 7 poiché contenenti valutazioni. In ogni caso con vittoria nelle spese di giudizio”.
Quindi, rigettata l’istanza di rimessione in termini, si procedeva in via istruttoria all’escussione dei testi di parte attrice e all’espletamento dell’interrogatorio formale del legale rappresentante della (…).
A seguito del mutamento del giudicante, con ordinanza del 25.6.2019, disposta l’acquisizione del fascicolo per A.T.P. r.g. n. 6699/2010, veniva dichiarata la nullità della notifica dell’atto di citazione e, in accoglimento della richiesta di rimessione in termini di parte convenuta, venivano nuovamente concessi i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c.
Infine, fallito il tentativo di conciliazione proposto dal Giudice con ordinanza del 18.3.2021, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni, da ultimo, all’udienza del 13.4.2023, in esito alla quale veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini di legge ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Tanto premesso in fatto, va innanzitutto precisato che non rileva, ai fini della decisione, il mancato deposito della comparsa conclusionale da parte dell’attrice, atteso che, come noto, l’art. 190 c.p.c. non pone in capo alle parti alcun dovere, ma soltanto l’onere, di depositare conclusionali e memorie di replica nei termini di legge, con la conseguenza che ove ciò non avvenga, l’iter procedimentale non ne rimane ostacolato, in quanto il giudice dovrà comunque pronunciarsi, facendo riferimento agli argomenti difensivi precedentemente formulati. Inoltre, secondo pacifico orientamento giurisprudenziale, la mancata produzione della comparsa conclusionale non impedisce il deposito della memoria di replica, che deve essere presa in considerazione dal giudice indipendentemente dalla circostanza che la parte abbia o meno prodotto la relativa comparsa conclusionale (cfr. Cass. Civ. 2976/2020). Ciò posto, le domande attoree sono infondate e non meritano di trovare accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
Procedendo con ordine, il presente giudizio trae origine dalla fornitura di kiwi acquistata dalla (…), da parte della società (…), con ordine del 10.5.2006. In particolare, secondo la prospettazione di parte attrice, la (…), contravvenendo agli accordi intercorsi tra le parti, avrebbe consegnato piante di kiwi appartenenti ad una specie diversa da quella concordata, ossia “Summer” anziché “Hayward”.
La reale natura delle piante fornite dalla convenuta sarebbe stata scoperta soltanto a distanza di tempo, ed in particolare a seguito della diffusione dell’epidemia di batteriosi che aveva colpito le piante di kiwi tra il 2008 e il 2009, determinando rilevantissimi danni a scapito della società attrice. Le particolari caratteristiche della varietà Hayward, infatti, avrebbero consentito, a seguito del taglio delle piante, il c.d. ricaccio dei polloni, con conseguente immediato ripristino della produttività. Al contrario, le piante innestate dalla (…) si erano rivelate del tutto inidonee alla produzione di kiwi all’esito della capitozzatura conseguente alla batteriosi. Sulla scorta di tali premesse, la società attrice ha agito per far valere l’inadempimento della controparte a causa dei vizi presenti nella fornitura di piante di kiwi e conseguire il risarcimento del danno subito, quantificato in Euro 1.167.818,20.
Ciò detto, vertendosi in materia di vizi delle cose vendute, trova applicazione la disciplina dettata dagli artt. 1490 c.c. e ss. Come noto, infatti, l’art. 1490 c.c. sancisce che il venditore è tenuto a garantire il compratore dai vizi c.d. redibitori, per tali comunemente intendendosi le imperfezioni che siano tali da rendere la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata ovvero a diminuirne in modo apprezzabile il valore. Gli effetti della garanzia sono delineati dall’art. 1492 c.c., comma 1, il quale prevede che, nei casi di cui all’art. 1490 c.c., il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (azione redibitoria), ovvero la riduzione del prezzo (azione estimatoria, o quanti minoris), salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione. Alla risoluzione del contratto conseguono effetti restitutori in quanto il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare al compratore le spese e i pagamenti sostenuti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa, a meno che questa non sia perita a causa dei vizi (art. 1493 c.c.). L’art. 1494 c.c., riconosce, inoltre, al compratore il diritto al risarcimento del danno, a meno che il venditore non dimostri di aver ignorato senza sua colpa l’esistenza dei vizi. L’esercizio delle azioni previste dall’art. 1492 c.c. (cc.dd. azioni edilizie) è poi circoscritto temporalmente attraverso la previsione di un duplice termine, di decadenza e di prescrizione. In particolare, ai sensi dell’art. 1495 c.c., comma 1, il compratore decade dal diritto di garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo che non sia stato convenzionalmente stabilito un termine diverso, ovvero che il venditore abbia riconosciuto l’esistenza del vizio o lo abbia occultato, nel qual caso la denuncia non è necessaria. L’art. 1495 c.c., comma 3, prevede, poi, un breve termine di prescrizione disponendo che l’azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna, con la precisazione per cui il compratore che sia convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purché il vizio sia stato denunciato entro il termine di decadenza e prima che sia decorso un anno dalla consegna. A norma dell’art. 1497 c.c., poi, quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi e a condizione che sia rispettato il duplice termine di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1495 c.c.
Infine, le fattispecie contemplate dall’art. 1490 c.c. e dall’art. 1497 c.c. si differenziano a loro volta dall’ipotesi della c.d. vendita di aliud pro alio, figura di elaborazione giurisprudenziale riscontrabile ogni qualvolta la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualità, consistenza e destinazione della stessa, in modo da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione del compratore di effettuare l’acquisto, o quando la cosa consegnata presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti.
Trattasi di una distinzione di non poco momento, atteso che la risoluzione in ipotesi di aliud pro alio soggiace alle regole ordinarie di cui agli artt. 1453 c.c. e ss. ed è pertanto svincolata alle preclusioni di decadenza e prescrizione sancite dall’art. 1495 c.c., oltre a seguire i criteri ordinari di riparto dell’onere della prova in materia di inadempimento delle obbligazioni. Ciò detto, occorre innanzitutto procedere alla corretta qualificazione dell’azione proposta, al fine della sua sussunzione nell’ambito della categoria dei vizi redibitori, ex art. 1490 c.c., del difetto di qualità promesse, ex art. 1497 c.c., ovvero della vendita di c.d. aliud pro alio. Al riguardo, infatti, è principio consolidato quello per cui “In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, il giudice, chiamato a pronunciarsi su una domanda di accertamento dei vizi della cosa venduta, ha il compito di qualificare d’ufficio l’azione proposta in termini di vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero, sulla base delle circostanze acquisite al processo a tal fine rilevanti, di vendita di “aliud pro alio”, la quale dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di inadempimento ex art. 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizioni previsti dall’art. 1495 cod. civ.” (cfr. Cass. Civ., sez. II, 14/10/2021 , n. 28069). Giova quindi osservare che l’ipotesi della consegna di aliud pro alio si differenzia nettamente dalle fattispecie contemplate dall’art. 1490 e 1497 c.c., dacché tanto il vizio redibitorio che la mancanza di qualità promesse o essenziali presuppongono che la cosa consegnata appartenga al genere merceologico dedotto nel contratto di compravendita. A loro volta, poi, le fattispecie di cui agli artt. 1490 e 1497 c.c. si differenziano in quanto il vizio redibitorio riguarda le imperfezioni inerenti il processo di produzione, di fabbricazione, di formazione o di conservazione della res tradita, mentre la mancanza di qualità concerne la natura della merce e riguarda le differenze di sostanza, di razza, di materia, di tessuto, di colore, di origine et similia, riferendosi genericamente a tutti quegli elementi sostanziali che, nell’ambito dello stesso genere, influiscono sulla classificazione della cosa in un tipo o in una specie piuttosto che in un’altra. Nel senso innanzi indicato si è espressa più volte la Suprema Corte che, anche di recente, ha precisato: “In tema di compravendita, il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.), e la mancanza di qualità promesse o essenziali (1497 c.c.) pur presupponendo l’appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano in quanto il primo riguarda le imperfezioni e i difetti inerenti il processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa, mentre la seconda è inerente alla natura della merce e concerne tutti gli elementi essenziali e sostanziali che influiscono, nell’ambito di un medesimo genere, sull’appartenenza ad una specie piuttosto che a un’altra; entrambe le ipotesi differiscono dalla consegna di “aliud pro alio” che si ha quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti” (Cass. Civ., Sez. II, 05/04/2016, n.6596).
Tanto premesso, ritiene il giudicante che nel caso di specie si verta in tema di mancanza di qualità promesse, ai sensi dell’art. 1497 c.c.
Ed infatti, nella fattispecie oggetto di causa la condotta che viene imputata alla società convenuta consiste nella fornitura di piante che, benché appartenenti al medesimo genere di quello pattuito (trattandosi, invero, pur sempre di piante di kiwi), appartenevano ad una specie (varietà Summer) differente rispetto a quella convenuta (varietà Hayward).
La suddetta conclusione appare in linea con i principi giurisprudenziali sopra richiamati, atteso che non è in discussione l’appartenenza delle piante consegnate al medesimo genere merceologico oggetto del contratto (Kiwi), quanto piuttosto la loro riconducibilità ad una varietà non corrispondente a quella richiesta dalla società attrice. Ne consegue, dunque, l’applicabilità della disciplina di cui al citato art. 1497 c.c. Va peraltro precisato che la qualificazione dell’azione nell’ambito della categoria del difetto di qualità promesse – anziché nella diversa fattispecie della vendita di aliud pro alio – non rileva ai fini della verifica del rispetto dei termini di decadenza e prescrizione, atteso che parte convenuta non ha sollevato alcuna eccezione in merito.
Infatti, l’intempestività della denuncia dei vizi della cosa venduta, in quanto integra una causa di decadenza del compratore dal diritto alle garanzie contemplate per la vendita, al pari della prescrizione, va eccepita dalla parte interessata e non può essere rilevata d’ufficio. La suesposta qualificazione incide, invece, in ordine all’individuazione dei criteri di riparto dell’onere probatorio.
Come noto, -secondo l’orientamento giurisprudenziale che ha trovato cristallizzazione in un noto intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cassazione civile, sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533) che ha risolto un contrasto in materia di inadempimento di obbligazioni e relativo onere probatorio (si vedano, a favore dell’orientamento poi ripreso dalle Sezioni Unite, Cassazione civile, sez. III, 23 maggio 2001, n. 7027; Cassazione civile, sez. I, 15 ottobre 1999, n. 11629; Cassazione civile, sez. II, 5 dicembre 1994, n. 10446)- in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento -salvo che si tratti di obbligazioni negative-deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
Tale criterio di riparto, tuttavia, incontra una deroga proprio in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta.
La questione è stata affrontata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a dirimere un contrasto giurisprudenziale insorto in ordine all’individuazione del soggetto onerato di fornire la prova della sussistenza dei vizi della cosa venduta. In particolare, le Sezioni Unite sono state interpellate per stabilire se il principio affermato con la richiamata sentenza n. 13533 del 2001 sia o meno applicabile anche in tema di garanzia per vizi della cosa venduta.
A tal fine, la Suprema Corte ha preliminarmente precisato che la disciplina della compravendita non pone a carico del venditore nessun obbligo di prestazione relativa alla immunità della cosa da vizi, di guisa che il disposto dell’articolo 1476 c.c., là dove qualifica la garanzia per vizi come oggetto di una obbligazione, va inteso non nel senso che il venditore assuma una obbligazione circa i modi di essere attuali della cosa, bensì nel senso che egli è legalmente assoggettato all’applicazione dei rimedi in cui si sostanzia la garanzia stessa. Il Collegio ha quindi ribadito che l’obbligo di garanzia per i vizi della cosa pone il venditore in una situazione non tanto di “obbligazione”, quanto piuttosto di “soggezione”, esponendolo all’iniziativa del compratore; la garanzia per vizi non va, dunque, collocata nella prospettiva obbligatoria e la responsabilità che essa pone in capo al venditore va qualificata come una responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita. Ciò chiarito, le S.U. hanno concluso che la disciplina del riparto dell’onere della prova tra venditore e compratore, nelle azioni edilizie, non può ritenersi compresa nell’ambito applicativo dei principi fissati dalla sentenza SSUU n. 13533/01 in materia di prova dell’inesatto adempimento delle obbligazioni, ma deve essere risolto alla stregua del principio, fissato nell’articolo 2967 c.c., che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Ed allora, tanto l’applicazione di tale principio, quanto il riferimento alla regola di giudizio fondata sulla vicinanza della prova, conducono alla stessa conclusione, ossia che il compratore che esercita le azioni edilizie è gravato dell’onere di provare il vizio della cosa venduta.
Sulla scorta di tale percorso ermeneutico, è stato quindi sancito il principio di diritto per cui “In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’articolo 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’articolo 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi (Cass. Civ., Sez. U, 3.5.2019, n. 11748). Ebbene, ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche quanto al riparto dell’onere probatorio in materia di mancanza di qualità promesse, ex art. 1497 c.c. In tal senso, infatti, si è recentemente espressa la Corte di Cassazione, precisando che la regola in tema di onere della prova fissata dalle Sezioni Unite deve ritenersi applicabile anche nel caso di mancanza di qualità: “anche per questa azione, intesa nel senso di difetto di qualità, vale la regola dell’onere della prova a carico del compratore, proprio perché si tratta di azione tipica rientrante nell’ambito della garanzia della vendita sul modello delle tradizionali “azioni edilizie”, riguardo alle quali il requisito della gravità è prevalutato dal legislatore e compenetrato nella ricorrenza dei presupposti delineati dell’incidenza dei vizi sull’idoneità all’uso cui la cosa è destinata ovvero sulla diminuzione in modo apprezzabile del suo valore, per cui una diversa disciplina creerebbe una distonia di sistema, oltre a non avere alcuna ragione di differenziazione” (Cass. Civ., Sez. 2, 29.5.2023, n. 14895).
Tanto chiarito, ritiene il giudicante che nel caso di specie la società attrice non abbia adeguatamente dimostrato che le piante di kiwi oggetto dell’ordine di acquisto del 10.5.2006 difettassero delle qualità promesse. Più nel dettaglio, la (…) avrebbe dovuto fornire la prova in ordine alla difformità della varietà di piante alla stessa consegnate, riconducibile alla famiglia “Summer”, rispetto alla varietà di kiwi promessa e convenuta tra le parti, riconducibile alla famiglia “Hayward”. Detta prova, tuttavia, non è stata raggiunta.
In primo luogo, infatti, è dirimente la circostanza per cui l’ordine di acquisto siglato il 10.5.2006 non contemplasse alcun riferimento specifico alla necessità che le piante di kiwi da innestarsi ad opera della (…) dovessero appartenere alla varietà hayward.
Ed infatti, nell’ordine di acquisto (doc. 10 del fascicolo di parte attrice) non si rinviene alcuna specificazione in ordine alla varietà delle piante richieste, precisandosi esclusivamente che si trattava di n. 10.000 “piante di Actinidia innestate con materiale da voi fornito”. Ancora, nelle fatture e nei documenti di trasporto successivi riguardanti la suddetta fornitura – si badi, diversamente rispetto a quanto accaduto in relazione alla pregressa fornitura del 21.12.2004 – compare soltanto il riferimento alla dicitura “Actinidia femmine innestate con vs. materiale” (cfr. DDT n. 231 e fattura n. 0/132) e la dicitura “Actinid.. Fem. Innestate con vs. materiale ed actin. Maschio innestati con vs. materiale” (DDT n. 317 e fattura 0/199).
Ne consegue che non solo non vi è prova che fosse stata convenuta la consegna di piante di kiwi appartenenti alla varietà Hayward, ma la documentazione in atti consente altresì di presumere che la società odierna attrice fosse ben a conoscenza che le piante fornite non necessariamente erano della suddetta tipologia.
Ed infatti, a seguito del precedente ordine del 21.12.2004, sia le fatture che i DDT recavano la specificazione che trattavasi di piante di kiwi di varietà “Hayward”. Diversamente, all’atto della consegna delle piante fornite in adempimento all’ordine oggetto di causa, quello del 10.5.2006, nessuna specificazione di sorta era contenuta nei documenti di trasporto, sicché, sulla base del rapporto per come precedentemente svoltosi, detto elemento induce ulteriormente a ritenere che la (…) non avesse motivi per confidare nell’avvenuta consegna di piante di tipo hayward.
Ancora, va osservato che nel medesimo ordine del 10.5.2006 era altresì precisato che il materiale da consegnarsi ad opera della (…) sarebbe stato previamente visionato dalla stessa attrice presso il vivaio.
Né in senso favorevole alla pretesa attorea soccorrono gli esiti della prova testimoniale espletata. In particolare, infatti, l’unico teste ad aver confermato l’assunto di parte attrice, secondo cui il personale della (…) avrebbe in più occasioni fornito rassicurazioni orali circa il fatto che le piante consegnate appartenevano alla varietà Hayward, è (…), ossia l’ex amministratore della (…), nonché firmatario dell’ordine di acquisto in contestazione. Deve quindi ritenersi che, nonostante l’insussistenza di una formale causa di incapacità a testimoniare, attesa la cessazione dalla carica di amministratore, la suddetta deposizione non possa reputarsi di tale attendibilità da fondare, da sola ed in assenza di alcun ulteriore riscontro probatorio, l’accoglimento della domanda.
Peraltro, l’altro teste di parte attrice, (…), non ha saputo riferire nulla a riguardo, mentre il legale rappresentante della società convenuta, in sede di interrogatorio formale, ha negato la circostanza.
Si osserva ad ogni modo che le suddette testimonianze risultano assunte anteriormente alla pronuncia del precedente giudicante che, dichiarata la nullità della notifica dell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio, ha rimesso in termini la società convenuta, concedendo nuovamente i termini ex art. 183 VI comma c.p.c.
Ne deriva l’ulteriore inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in tale sede, in quanto assunte in una fase del processo comunque compromessa da una non regolare iniziale estrinsecazione del principio del contraddittorio.
Infine, va precisato che, tenuto conto dello scarno quadro probatorio complessivamente addotto dall’attrice a sostegno della propria domanda, nonché degli esiti comunque disvelati dall’istruttoria orale in precedenza condotta, non sussistevano i presupposti per ammettere nuovamente i capitoli di prova articolati dalle parti ed espletare una seconda istruttoria testimoniale sulle medesime circostanze a seguito della nuova concessione dei termini ex art. 183, VI comma, c.p.c.
Ed infatti, deve rilevarsi che, anche laddove emergesse che la (…) avesse effettivamente assicurato la consegna di piante di kiwi di varietà hayward, la domanda attorea non potrebbe ugualmente trovare accoglimento stante l’assenza di prova del danno asseritamente subito dalla (…).
Non vi è dubbio, invero, che il creditore che vuol far valere la responsabilità contrattuale del convenuto ed ottenere l’adempimento dell’obbligazione assunta nei suoi confronti oppure il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento dell’obbligazione deve provare i fatti costitutivi della sua pretesa, tra cui il danno subìto e la riconducibilità del danno all’inadempimento.
Anche sotto questo profilo, dunque, le domande formulate dalla società attrice risultano prive del necessario supporto probatorio.
Parte attrice non ha allegato con certezza, né provato tramite elementi di evidenza la natura del danno per cui è causa e la quantità di Kiwi realmente inutilizzabili, elementi certamente necessari a giustificare l’eventuale riduzione del fatturato a causa dei vizi dei prodotti acquistati, anche al fine di deliberare in ordine al quantum. Parte attrice, infatti, non ha fornito alcuna prova che le denunciate “problematiche” abbiano determinato una produzione inferiore rispetto al normale in termini di quantità e qualità, né di aver per tale via subito una contrazione del profitto.
Non ha, infatti, fornito alcun dato sul raccolto degli anni precedenti e successivi al 2010, che consentisse un confronto e una stima della dedotta contrazione subita per effetto dell’utilizzo dei prodotti acquistati dalla (…). La parte, infatti, avrebbe dovuto produrre bilanci o fatture o qualsivoglia documento contabile da cui potesse risultare il raccolto e il profitto ricavato negli anni precedenti ovvero da cui potesse essere ricostruibile un ipotetico ricavato, anche in relazione alla quantità di piante colpite dalla problematica denunciata.
I danni quantificati dalla (…), invece, risultano fondati su mere stime, del tutto disancorate da elementi concreti ricavabili dai documenti contabili della società. In particolare, l’attrice ha individuato in 17.100 q la mancata produzione asseritamente ascrivibile all’inadempimento della controparte, quantità ricavata dalla differenza tra la produzione stimata qualora il portinnesto fosse stato della cv Hayward (33.000q) e la produzione realmente ottenibile in seguito alla capitozzatura delle piante fornite dalla (…) (15.400 q), ma trattasi di dati meramente enunciati sulla base di stime che non trovano alcun riscontro nei quantitativi della produzione realmente conseguiti dalla (…), in anni precedenti o successivi alla diffusione della batteriosi, da piante di kiwi di qualità hayward.
La società attrice, inoltre, non ha neanche depositato le fatture comprovanti l’avvenuto pagamento delle somme che assume di aver sostenuto per il reinnesto delle piante (indicato in Euro 13.300,00) e per la messa a dimora di nuove piante (indicato in Euro 135.284,20). Anche la perizia di parte depositata è assolutamente generica e priva di riscontri e motivazioni tecniche da cui possa desumersi quali documenti il CTU avrebbe utilizzato e sulla base di quali elementi avrebbe calcolato il danno.
Al contrario, nella suddetta perizia si fa riferimento esclusivamente all’annata 2018 “in quanto ultima e più recente e per la quale si è stati in grado di reperire dati verificabili”, nonché, quanto alla produttività unitaria, a non meglio precisati dati “acquisiti da produttori di kiwi presenti sul territorio tra Cisterna, Aprilia e Latina”. Si è, quindi, ritenuto, alla luce della carenza probatoria e documentale di non ammettere la richiesta CTU, in quanto sarebbe stata esplorativa.
Al riguardo, non può farsi a meno di osservare che in relazione alla finalità propria della consulenza tecnica d’ufficio, che è quella di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è, quindi, legittimamente negato dal giudice qualora la stessa tenda, con esso, a supplire alla lacuna delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (cfr. Cass., 26 febbraio 2003, n. 2887; Cass. 31 luglio 2002, n. 11359; Cass., 7 marzo 2001; Cass., 6 aprile 2004, n. 6778), ma non può mai e in nessun caso, salvo che nell’ipotesi di C.T.U. percipiente supplire all’osservanza dell’onere probatorio gravante sulle parti (ex multis Cass. 6 aprile 2005 n. 7097). Essa non può, infatti, risolversi in uno strumento per aggirare preclusioni ormai maturate né tantomeno può avere funzione esplorativa. Il Consulente tecnico non può prendere, poi, in esame i documenti prodotti in giudizio dalle parti al di fuori dei termini ad essi concessi per le richieste istruttorie. La consulenza tecnica d’ufficio non è, infatti, un mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il Giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, salvo quando costituisca l’unico strumento conoscitivo possibile di fatti rilevanti che in nessun modo la parte onerata sarebbe stata in grado di provare in quanto “non siano altrimenti accertabili” (Cassaz. civ. Sez. VI, Ordinanza n. 3130 dell’8.2.2011, Cass. civ. sentenza 88/2004, Cass. civ., sez. I, Sentenza n. 10117 del 2 maggio 2006).
Né è utilizzabile una valutazione equitativa a fronte della carenza di prova e allegazione. La liquidazione equitativa del danno, infatti, presuppone che, a monte, il giudice abbia accertato la sussistenza di un danno: si veda, in particolare, la giurisprudenza di legittimità sul punto, secondo la quale “la liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 c.c., presuppone che il pregiudizio economico del quale la parte reclama il risarcimento, sia certo nella sua esistenza ontologica, mentre se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l’attore non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata” (Cassazione civile, sez. III, 5 aprile 2003, n. 5375, ma si vedano anche Cassazione civile, sez. I, 10 luglio 2003, n. 10850; Cassazione civile, sez. II, 18 novembre 2002, n. 16202; Cassazione civile, sez. III, 7 marzo 2002, n. 3327; Cassazione civile, sez. II, 8 settembre 1997, n. 8711). Tale valutazione, infatti, da un lato, è subordinata alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare, e, dall’altro, presuppone già assolto l’onere della parte di dimostrare sia la sussistenza, sia l’entità materiale del danno (cfr. Cass. civ., sez. II, sent. 18.1.2002, n.16202; Cass civ., sez. II, Sentenza n. 1841/2020 pubbl. il 12/10/2020 RG n. 6536/2017 sent. 28.6.2000, n. 8795; Cass. civ. sez. III, sent. 25.9.1998, n. 9588; Cass. civ., sez. III, sent. 2.7.1991, n. 7262). In difetto di tale prova, ritiene il Tribunale che non possa farsi luogo ad una liquidazione equitativa del danno che, al contrario, consentirebbe di supplire alle mancanze assertive e probatorie della parte.
Alla stregua di tutto quanto esposto e considerato si impone, dunque, l’integrale rigetto delle domande attoree.
Le spese di lite seguono la soccombenza dell’attrice e sono liquidate in dispositivo secondo i criteri di cui al D.M. 55/2014 e successive modifiche.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
– rigetta le domande proposte dall’ (…) S.R.L.;
– condanna l'(…) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore della (…) S.S., delle spese di lite, che liquida in Euro 37.951,00 per compensi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Latina, 17 luglio 2023.
Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2023.