nel giudizio risarcitorio, che il danneggiato da incidente stradale promuova contro il danneggiante ed il suo assicuratore, secondo la disciplina di cui alla legge 24 dicembre 1969 n. 990, la pretesa di manleva, che l’un convenuto formuli contro l’altro, adducendo la cattiva gestione della lite, deve ritenersi ammissibile, in considerazione della sua dipendenza da fatti comuni anche all’attore e della consequenziale opportunità di una simultanea trattazione (sempre che non insorgano problemi di competenza del giudice adito), solo se sia avanzata non oltre la prima udienza (artt. 167 e 183, nonché 269 cod. proc. civ.), non rilevando che il relativo interesse sia insorto successivamente (nella specie, dopo l’eccezione dell’assicuratore di limitazione della garanzia al massimale di polizza).
Tribunale|Pescara|Civile|Sentenza|13 febbraio 2020| n. 178
Data udienza 3 gennaio 2020
TRIBUNALE DI PESCARA
RITO MONOCRATICO
(artt. 50 ter, 352 c.p.c.)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Tribunale di Pescara, Dott. Marco Bortone, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile n. 2892 del R.G.A.C.C. dell’anno 2017 vertente
TRA
Pe.An. (…), in proprio e nella qualità di ex socia accomandataria e legale rappresentante della Pe. S.a.s., residente in Alanno (PE) ed elettivamente domiciliata in Pescara, Via (…), presso lo studio dell’avv. Fe.Sq., rappresenta e difesa dall’avv. Lu.Ta. giusta procura in calce all’atto di citazione in appello
APPELLANTE
CONTRO
Un. S.p.a. (…), in persona del Procuratore dott. Gi.Pr., con sede in Bologna ed elettivamente domiciliata in Pescara, Piazza (…), presso lo studio dell’avv. Ma.Di., che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione in appello;
Ni.An. (…), residente in Chieti ed elettivamente domiciliato in Cepagatti (PE), Via (…), presso lo studio dell’avv. Al.Gu., che lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello
APPELLATI
OGGETTO: appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Pescara n. 1550/16 depositata il 13-12-2016.
FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA
Con atto di citazione notificato il 13-6-2017 Pe.An., nella spiegata qualità, proponeva appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Pescara in epigrafe, con la quale, in accoglimento della domanda avanzata da Ni.An. nei confronti di Go.Gi., di essa Pe.An. e della Un. S.p.a., rispettivamente quali conducente della (…) targata (…) legale rappresentante della Pe.. S.a.s. proprietaria dell’autovettura ed Impresa designata per l’Abruzzo dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, essendo risultata detta autovettura sprovvista della copertura r.c.a., condannati i convenuti al risarcimento del danno subito dall’attore a seguito di sinistro stradale avvenuto il 10-11-2014, danno liquidato in Euro 5.286,15 oltre interessi legali, nonché alla rifusione delle spese di lite, era stata altresì accolta la domanda di regresso avanzata dalla Un. e per l’effetto era stata essa Pe.An. condannata a rimborsare a questa “tutte le somme sopra liquidate dalla stessa pagate nei confronti dell’attore”.
Aveva motivato il Giudice di Pace che a norma dell’art. 2312 c. 2 c.c., benché la Pe. S.a.s. fosse stata cancellata dal registro delle imprese, la Pe.An. fosse responsabile delle obbligazioni della società estinta.
Censurava l’appellante l’erronea valutazione degli atti di causa e della domanda proposta dalla Un., avendo il Giudice di prime cure asserito un fatto inesistente quale quello dell’avvenuto pagamento da parte della Compagnia di assicurazioni di importi in realtà mai corrisposti all’attore, in realtà la domanda avendo ad oggetto il rimborso di eventuali esborsi futuri; l’erronea applicazione dell’art. 292 D.Lgs. 209/2005, essendo presupposto imprescindibile per l’azione di regresso quello dell’avvenuto pagamento in favore del danneggiato, sicché la domanda avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile; l’erronea applicazione dell’art. 2312 c.c., posto che al momento della domanda di regresso nessun debito era ancora sorto a carico della Pe. S.a.a. e quindi nessun debito era stato trasmesso alla socia accomandataria in seguito alla cancellazione della società dal registro delle imprese in data 18-1-2016 ed alla sua estinzione; il vizio di ultrapetizione, la Un. avendo solamente riservato in comparsa di costituzione e comparsa conclusionale la proposizione dell’azione di regresso; chiedeva pertanto che in riforma dell’impugnata sentenza fosse dichiarata improcedibile e/o inammissibile l’azione di regresso ex art. 292 D.Lgs. 209/2005 formulata dalla Un., vinte le spese del doppio grado di giudizio.
La Un. S.p.a. si costituiva in giudizio eccependo che in realtà, nelle conclusioni rassegnate sia nella comparsa di risposta che nei verbali di udienza ed, infine, nella comparsa conclusionale, aveva chiaramente precisato che “la Compagnia di Assicurazione UN. nella qualità in atti, nella denegata ipotesi di accoglimento anche parziale della domanda, si riserva di agire in via di regresso ex art. 292 D.LGS. n. 209/2005 nei confronti della società Pe. s.a.s. in persona del suo legale rappresentante pro tempore con sede in Alanno, alla Via (…) del Carmine n. 42, quale proprietaria dell’autovettura (…) tg. (…), nonché del socio accomandatario, Pe.An. per le motivazioni già illustrate, per il recupero delle somme che dovesse essere condannata ad erogare in favore del sig. Ni.An.”; che dunque da tale specifica formulazione si evinceva in maniera assolutamente inequivocabile che solo in caso di
accoglimento della domanda, quando il credito, fosse divenuto certo, liquido ed esigibile, essa Compagnia avrebbe potuto attivarsi per il recupero delle somme corrisposte al Ni.; che quindi il giudice di prime cure, interpretando in maniera corretta la richiesta formulata, in applicazione della normativa vigente in materia, aveva autorizzato essa Un. S.p.a. ad agire per il recupero delle somme “dalla stessa pagate nei confronti dell’attore”; che essendo stata la Pe. S.a.s. dichiarata estinta in data 18-1-2016 e quindi in epoca successiva alla regolare ricezione della notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio avvenuta in data 31 luglio 2015, la Pe. già nell’anno precedente alla cancellazione della società era stata posta nella perfetta conoscenza della posizione debitoria generata dal sinistro e quindi delle eventuali conseguenze economiche che sarebbero potute scaturire da tale evento (oltre tutto, dalla visura camerale prodotta dalla stessa Pe. nel corso del giudizio di primo grado, emergeva come in quel giorno alla guida della (…) fosse il socio accomandante della Pe. s.a.s, ossia il Go.Gi.); concludeva pertanto per il rigetto dell’appello.
Ni.An. si costituiva in giudizio assumendo di essere estraneo al giudizio di appello, chiedendo pertanto di esserne estromesso, non essendo state impugnate le statuizioni dei primi due capi della sentenza di merito che lo riguardavano.
All’udienza del 19-6-2019 i procuratori delle parti precisavano le conclusioni e concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c. (giorni 60 + 20) la causa veniva trattenuta per la decisione.
RAGIONI GIURIDICHE DELLA DECISIONE
Incontestata la tempestività della costituzione in giudizio della Un. nel giudizio di primo grado, appare opportuno ricordare in premessa, circa la ritualità ed ammissibilità della domanda riconvenzionale di accoglimento dell’azione di regresso da formalizzarsi successivamente all’integrazione del contraddittorio nei confronti della Pe.. S.a.s. e del suo socio accomandatario, avanzata in via subordinata per l’ipotesi di accoglimento della domanda attorea, che la Suprema Corte aveva già riconosciuto (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1999, n. 5073) che “nel rito processuale anteriore alla riforma di cui alla legge n. 353 del 1990 (e successive modifiche) una parte costituita in giudizio poteva proporre domanda di garanzia contro altra parte costituita nel medesimo giudizio mediante comunicazione di una comparsa nelle forme previste dall’art. 170 cod. proc. civ., senza che fosse necessaria la notificazione di una citazione, poiché la suddetta comunicazione era idonea ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, consentendo al destinatario della domanda di interloquire sulla stessa e di apprestare la sua difesa”.
In senso conforme la Cass. civ., sez. III, 17 marzo 1990, n. 2238, aveva riconosciuto che “la parte costituita in giudizio può proporre domanda di garanzia nei confronti di un’altra parte, anch’essa costituita, mediante la comunicazione di una comparsa nelle forme previste dall’art. 170 cod. proc. civ., non essendo necessario, perché sia rispettato il principio del contraddittorio, la notificazione di un atto di citazione, atteso che la comunicazione della comparsa è idonea a consentire al destinatario della domanda di interloquire sulla stessa e di apprestare le sue difese”.
Nel caso di specie l’attore Ni.An. risulta aver proceduto a notificare al legale rappresentante pro tempore della Pe. S.a.s. “atto di citazione per integrazione del contraddittorio” e successivamente la Un. ha notificato alla “Pe. S.a.s. in persona del l. r.p.t. Pe.An.”, rimasta contumace, copia della propria comparsa di costituzione e risposta unitamente a copia del verbale d’udienza del 4-12-2015 con l’ordinanza del Giudice di pace che autorizzava la notifica di detto atto “contenente la domanda di regresso”.
Invero una simile domanda, risultava senz’altro ammissibile, in considerazione della sua dipendenza da fatti comuni anche all’attore e della consequenziale opportunità di una simultanea trattazione (cfr: Cass. civ., sez. III, 15 giugno 1991, n. 6800), se avanzata con le suddette modalità (consegna di una copia dell’atto al procuratore costituito o alla parte costituitasi personalmente nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto, salva la notifica personalmente al contumace nei termini di cui all’art. 292 c.p.c., come nel caso di specie) e sempre nel rispetto del regime delle preclusioni introdotto dalla legge n. 353 del 1990, e dunque del sistema ispirato ai principi di immediatezza e concentrazione del processo, nel quale fin dalla prima udienza di comparizione il thema decidendum deve essere definito (cfr: Corte Costituzionale, ordinanza n. 283 del 5 luglio 2001, con la quale è stata dichiarata inammissibile una questione di legittimità costituzionale dell’art. 167 c.p.c. in riferimento all’art. 3 della Costituzione).
Del resto per caso analogo la Cass. civ., sez. III, 15 giugno 1991, n. 6800, ha sancito che “nel giudizio risarcitorio, che il danneggiato da incidente stradale promuova contro il danneggiante ed il suo assicuratore, secondo la disciplina di cui alla legge 24 dicembre 1969 n. 990, la pretesa di manleva, che l’un convenuto formuli contro l’altro, adducendo la cattiva gestione della lite, deve ritenersi ammissibile, in considerazione della sua dipendenza da fatti comuni anche all’attore e della consequenziale opportunità di una simultanea trattazione (sempre che non insorgano problemi di competenza del giudice adito), solo se sia avanzata non oltre la prima udienza (artt. 167 e 183, nonché 269 cod. proc. civ.), non rilevando che il relativo interesse sia insorto successivamente (nella specie, dopo l’eccezione dell’assicuratore di limitazione della garanzia al massimale di polizza)”.
Inoltre la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 283 del 5 luglio 2001, si è trovata a dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 167 c.p.c. in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella sostanza rilevando come già il giudice rimettente, in un giudizio ad oggetto il risarcimento dei danni cagionati in un incidente stradale da un veicolo privo di assicurazione, instaurato nei confronti del responsabile del sinistro e dell’impresa assicuratrice designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, che aveva formulato domanda di regresso nei confronti dell’altro convenuto, avesse fornito corretta interpretazione della norma di cui all’art. 167 c. 2 c.p.c., qualificando detta domanda nuova rispetto a quella dell’attrice, quantomeno sotto il profilo soggettivo, da equipararsi a quella riconvenzionale e che pertanto, al pari di questa, fosse ammissibile una volta rispettato il regime delle preclusioni introdotto dalla legge n. 353 del 1990, e dunque il sistema ispirato ai principi di immediatezza e concentrazione del processo, nel quale fin dalla prima udienza di comparizione il thema decidendum deve essere definito.
Nessun dubbio potendo pertanto nutrirsi nel caso di specie in ordine all’ammissibilità e ritualità della domanda riconvenzionale, cosiddetta “orizzontale”, spiegata nei termini suaccennati dalla Un., occorre poi ricordare, secondo quanto correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, che la Cass. Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070 ha sancito che “dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo”.
Vero è inoltre che la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della “fictio iuris” contemplata dall’art. 10 legge fall.) e pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.”.
Risalendo il fatto generatore della responsabilità extracontrattuale della Pe. S.a.s. e dunque l’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria al 10-11-2014, quindi ad un momento antecedente alla sua cancellazione dal registro delle imprese in data 18-1-2016, di essa ben può essere chiamata a rispondere, alla luce dei principi sopra enunciati, l’odierna appellante, nella già spiegata qualità di socio illimitatamente responsabile della Pe. S.a.s..
Orbene, sancisce l’art. 292 D.Lgs. 209/2005 che “l’impresa designata che, anche in via di transazione, ha risarcito il danno nei casi previsti dall’art. 283, comma I, lettere a), b) e d), ha azione di regresso nei confronti dei responsabili del sinistro per il recupero dell’indennizzo pagato nonché degli interessi e delle spese”.
Ricorrendo nel caso di specie l’ipotesi di cui al menzionato art. 283 lett. b) D.Lgs. 209/2005 (sinistro cagionato da veicolo non coperto da assicurazione) per quanto accertato e dichiarato dal Giudice di Pace, ipotesi avversata in via principale dalla convenuta Un., ne consegue il riconoscimento del diritto della medesima ad essere tenuta indenne di quanto obbligata a pagare al danneggiato, conservando tale suo diritto la stessa natura del credito di quest’ultimo nei suoi confronti, e come dunque l’obbligazione risarcitoria nei confronti del danneggiato ha natura di debito di valore, che si converte in debito di valuta solo al momento della pubblicazione della sentenza che l’accerta, identica natura deve pertanto riconoscersi all’obbligazione in tema di rivalsa a carico dell’assicurato, rectius nel caso di specie a carico del proprietario del veicolo non coperto da assicurazione, nei confronti dell’assicuratore tenuto per legge all’indennizzo.
In tal senso dovendo interpretarsi le statuizioni impugnate della sentenza di primo grado, in accoglimento della domanda riconvenzionale “orizzontale” all’uopo in via subordinata formulata dall’odierna appellata Un. S.p.a., l’appello è infondato e deve essere totalmente rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza (nei confronti del Ni. più specificamente per il principio di causalità, in forza del quale la parte ingiustamente evocata in giudizio deve essere ristorata degli oneri conseguenti), secondo liquidazione come da dispositivo, alla luce delle disposizioni di cui all’art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 ed a seguito dell’entrata in vigore del D.M. 10 marzo 2014, in G.U. del 2-42014 n. 77 (scaglione di valore da Euro 5.200,01 ad Euro 26.000,00; fasi di studio, introduttiva e decisionale: valori medi, relativamente all’appellato Ni.An. con riduzione del 50% in considerazione della semplicità delle questioni dal medesimo affrontate).
Deve inoltre darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come introdotto dall’art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228 e per l’effetto l’appellante va obbligata a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la presente fase di appello (cfr.: Cass. civ., Sez. Un. 18 febbraio 2014, n. 3774).
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando sull’appello avanzato da Pe.An. (…), in proprio e nella qualità di ex socia accomandataria e legale rappresentante della Pe. S.a.s., appellante, contro la Un. S.p.a. (…), in persona del Procuratore dott. Gi.Pr., e Ni.An. (…), appellati, avverso la sentenza del Giudice di Pace di Pescara n. 1550/16 depositata il 13-12-2016, contrariis reiectis, così provvede:
– respinge l’appello;
– condanna l’appellante a rifondere agli appellati le spese del giudizio, che liquida, quanto alla Un. S.p.a., in Euro 3.235,00 per compensi d’avvocato, oltre 15% rimb. forf., I.V.A. e C.A.P. e quanto al Ni.An. in Euro 1.617,50 per compensi d’avvocato, oltre 15% rimb. forf., I.V.A. e C.A.P.;
– dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come introdotto dall’art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228 e per l’effetto obbliga l’appellante a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la presente fase di appello.
Sentenza provvisoriamente esecutiva per legge.
Così deciso in Pescara il 3 gennaio 2020.
Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2020.