nel contratto di leasing traslativo è valida ed efficace la clausola la quale stabilisca che, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, spettino al concedente i canoni già scaduti e i canoni ancora non maturati, scontati al momento della risoluzione del contratto, previa detrazione del valore di mercato del bene oggetto del contratto al momento della risoluzione; è, inoltre, valido ed efficace il patto contenuto in un contratto di leasing traslativo il quale attribuisca al concedente, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, la facoltà di determinare unilateralmente il valore del bene oggetto del contratto, e sottrarlo dal credito residuo vantato nei confronti dell’utilizzatore, tuttavia tale patto ha per corollario l’obbligo del concedente di stimare il bene secondo correttezza e buona fede; in caso di contestazione della stima da parte dell’utilizzatore, è onere del concedente palesare il criterio adottato, e del concederne dimostrarne l’erroneità.

Corte d’Appello|Milano|Sezione 3|Civile|Sentenza|14 aprile 2023| n. 1229

Data udienza 11 aprile 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

SEZIONE TERZA CIVILE

nelle persone dei seguenti magistrati:

dr. Roberto Aponte – Presidente rel.

dr. Alessandro Bondì – Consigliere

dr. Licinia Petrella – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. r.g. 1231/2022 promossa in grado d’appello

da

(…) S.R.L. (C.F. P.IVA (…)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in P. M. in Via P. M., 10, e (…) personalmente (C.F. (…)), residente a P. M., Via P. M., 10 entrambi difesi e rappresentati dagli Avv.ti Fi.Ca. (C.F. (…)) e Lu.Be. (C.F. (…))

appellanti

contro

(…) S.P.A. (C.F./P.I. (…)), con sede legale in T. (U.), Via (…) n. 6, in persona dell’Avv. (…) e del Dott. (…), quali procuratori speciali giusta procura speciale rep. (…) racc. (…) Notaio e rep. (…) racc. (…) A. in U. del (…), rappresentata e difesa, dall’Avv. Fa.Ci. (C.F. (…) – (…)) ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dello stesso sito in Milano (MI) in via (…)

appellata

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Decidendo sull’opposizione proposta da (…) s.r.l. e (…) contro il decreto n. 1457/2020 con il quale era stato loro ingiunto di pagare a (…) spa (già (…) s.p.a.) la somma di Euro 110.024,83 a titolo di canoni scaduti alla data di risoluzione del contratto di leasing n. (…) stipulato in data 17.6.2008, avente ad oggetto un capannone industriale (contratto stipulato da (…) di (…), nella cui posizione era subentrata l’odierna (…) s.r.l. senza liberazione dell’originaria contraente), nonché sulla causa riunita avente ad oggetto la domanda proposta dalla società di leasing con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. di accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto e di condanna alla restituzione del bene, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1078/2022 depositata l’8/2/2022, ha rigettato l’opposizione e, rigettata altresì la domanda di nullità della clausola del contratto relativa alla penale prevista in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, ha accertato l’intervenuta risoluzione del contratto e condannato (…) srl e (…) alla restituzione a (…) spa, libero da persone e cose, dell’immobile oggetto del contratto nonche alla rifusione delle spese di lite.

2. Il Tribunale ha ritenuto infondate tutte le eccezioni e domande sollevate dagli opponenti.

2.1 Ha osservato, quanto alla pretesa nullità della pattuizione degli interessi per mancata indicazione del TAEG e indicazione di un “tasso leasing” (4,8016%) inferiore a quello reale (4,9087%), per un verso, che l’indicazione del TAEG è richiesta solo per i contratti di credito al consumo e, dunque, non è richiesta nel contratto oggetto di causa, dovendosi escludere in capo alla società di capitali utilizzatrice la qualità di consumatore; per altro verso, che la finanziaria ha operato il calcolo del tasso leasing espresso con riferimento all’anno e che, anche se tale metodologia di calcolo non tiene conto del pagamento anticipato degli interessi, che avviene con cadenza inferiore all’anno, tale indicazione non comporta l’indeterminatezza della clausola relativa agli interessi, essendo la cadenza dei pagamenti chiaramente indicata in contratto, così come l’importo delle singole rate e il numero delle medesime.

2.2 Con riferimento alla dedotta pretesa usurarietà del tasso di mora, il Tribunale ha osservato che al fine della verifica del rispetto del tasso soglia, non possono essere cumulati il tasso di interesse corrispettivo ed il tasso di interesse moratorio; né può ritenersi corretta la rideterminazione del tasso di mora operata degli opponenti per effetto del preteso effetto anatocistico implicito nell’applicazione del tasso di mora sui canoni scaduti già comprensivi di interesse.

2.3 Quanto, infine, all’assunto degli opponenti secondo cui, avuto riguardo alla natura di leasing traslativo del contratto in questione, dovrebbe trovare applicazione, in caso di risoluzione, l’art. 1526 1 e alla dedotta nullità dell’art. 7 delle condizioni di contratto, ha osservato che la clausola che prevede, in caso di risoluzione del contratto per fatto dell’utilizzatore, che i canoni corrisposti rimangano acquisiti al concedente e una penale pari ai canoni a scadere attualizzati, detratto quanto ricavato dalla vendita del bene restituito, sono tali da realizzare il contemperamento degli opposti interessi e da evitare un ingiustificato arricchimento da parte della società concedente.

Ha richiamato, inoltre, con riferimento alla legittimità di un assetto negoziale, sviluppato nell’ambito dell’autonomia privata che preveda, come nel caso di specie, che gli importi ricavati dalla vendita del bene vengano portati a deconto della penale Cass. SSUU 2061/2021, secondo cui la clausola penale che non faccia riferimento ad una collocazione del bene a prezzi di mercato, “dovrà esser letta negli stessi termini alla luce del parametro della buona fede contrattuale, ex art. 1375 c.c.”, salva, in ogni caso, in caso di penale manifestamente eccessiva, la possibilità di riduzione. Ha aggiunto che nella parte in cui la clausola in questione attribuisce al locatore la possibilità di una determinazione arbitraria del valore del bene restituito, “la stessa si pone in contrasto con i principi sopra enunciati e deve essere ricondotta nell’alveo della buona fede”, ma che solo a seguito della restituzione il bene potrà essere valorizzato in detrazione e definite le definitive ragioni di dare e avere tra le parti.

3. Avverso tale sentenza (…) s.r.l. e (…) hanno interposto appello affidato a cinque motivi.

4. L’appellata si è costituita in giudizio eccependo l’inammissibilità dell’appello perche non assistito da ragionevoli probabilità di accoglimento e perché non sorretto da motivazione rispondente ai canoni di cui all’art. 342 c.p.c. e chiedendone, comunque, il rigetto per infondatezza.

5. All’udienza del 20/12/2022 la causa è stata trattenuta in decisione, sulle conclusioni trascritte in epigrafe, con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica

6. Preliminarmente va disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’appello per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 342 c.p.c.: l’atto di appello consente di individuare le parti della sentenza oggetto di gravame e le censure mosse alla motivazione della sentenza appellata.

7. Con il primo motivo gli appellanti si dolgono che il Tribunale abbia omesso di considerare la censura relativa alla mancata o erronea indicazione, nel contratto, in violazione della delibera CICR, del “tasso leasing”, e cioè il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto di imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell’opzione di acquisto finale (al netto di imposte) contrattualmente previsti. Secondo gli appellanti il tasso (4,8016%) indicato in contratto sarebbe inferiore a quello reale (4,9087%) in quanto non terrebbe conto del pagamento anticipato degli interessi, che avviene con cadenza inferiore all’anno. La conseguenza sarebbe la violazione del dovere di trasparenza ed informazione con conseguente nullità della clausola ex art. 117, 4 comma TUB.

7.1 Il motivo è infondato.

7.2 Occorre premettere che l’art. 117 TUB invocato dagli appellanti prevede l’obbligo di stipulare per iscritto i contratti, di fornirne una copia al cliente (comma 1 art. 117 TUB) e di indicare nel contratto “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora” (comma 4 art. 117 TUB). Con riferimento al contratto di leasing, la Circolare della (…) n. 229 del 21/4/1999, nell’aggiornamento del 25/7/2003, ha stabilito, in tema di trasparenza, l’obbligo di inserimento del “tasso interno di attualizzazione” (tasso leasing).

Tale tasso leasing è definito dalla stessa (…) come “il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto delle imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell’opzione di acquisto finale (al netto di imposte) contrattualmente previsti”. L’eventuale difformità tra il tasso di leasing (espresso su base annua) e il tasso effettivamente praticato dipende dal pagamento anticipato degli interessi, che avviene con cadenza inferiore all’anno, ma ciò non significa che vi sia stata applicazione di un tasso d’interesse difforme dal tasso annuo nominale, posto che il tasso e la cadenza infrannuale delle rate sono espressamente indicati in contratto.

Secondo il condivisibile insegnamento del S.C., invero, la divergenza tra tasso leasing indicato in contratto rispetto a quello applicato non comporta, di per se, l’integrazione delle condizioni previste dall’art. 117, 7 comma TUB; in particolare, ciò deve escludersi quando la determinazione del tasso leasing (che non è un tasso di interesse, ma un indicatore del costo dell’operazione avente una funzione essenzialmente informativa) è possibile sulla base degli altri elementi indicati nel contratto; quando, cioè, come nella fattispecie, il contratto contiene tutti gli elementi per desumere l’effettivo costo dell’operazione. La dedotta divergenza tra tasso leasing indicato e tasso leasing effettivo potrebbe legittimare, in tale ipotesi, solo una richiesta risarcitoria da parte dell’utilizzatore che alleghi di essere stato sviato dall’inesatta indicazione contenuta nel contratto circa il “tasso leasing applicato” e di essersi determinato a concluderlo proprio sulla base di tale erroneo convincimento (Cass. n. 12889/2021); richiesta, che nella fattispecie, non è stata avanzata.

7.3 Nel contratto oggetto di causa, come si è accennato, è specificato che “il corrispettivo della locazione finanziaria è espresso in canoni, il cui ammontare è funzione fra gli altri della struttura dell’operazione in termini di costo di acquisto originario del bene, quota eventualmente versata alla stipula, durata della locazione, prezzo dell’opzione finale, periodicità dei pagamenti, del grado di rischio, di onerosità e complessità dell’operazione. Il parametro di riferimento individuato dalla (…) per misurare l’onerosità di questo flusso di pagamenti è il tasso leasing dell’operazione definito come il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l’uguaglianza di costo di acquisto del bene locato al netto delle imposte valore attuale dei canoni e del prezzo di opzione finale di acquisto al netto delle imposte contrattualmente previsti (v. “condizioni economiche della locazione finanziaria”).

Il contratto, inoltre, contiene espressa e specifica pattuizione di tutti gli oneri, tassi di interesse, spese e condizioni, tra le quali il corrispettivo globale della locazione; l’importo del primo canone da versarsi alla stipula del contratto; il numero dei canoni successivi al primo pari a 215; il numero complessivo dei canoni di locazione, ossia n. 216 e la periodicità degli stessi, il prezzo per l’eventuale acquisto dell’immobile alla scadenza del contratto; il tasso pari a 4,8016%; il paramento di indicizzazione dei canoni, ossia il Libor CHF 3 mesi 365, preso a base del 2,6000%, alla data della sottoscrizione del contratto e la determinazione del cambio di riferimento CHF/EURO 1,6180; – il tasso di mora pari a 5 punti in più dell’Euribor 3 mesi, oltre ai costi e le spese accessorie. Deve concludersi, pertanto, che il contenuto contrattuale è compiutamente determinato e che la società utilizzatrice è stata messa nella condizione di comprendere ed apprezzare con precisione l’entità degli oneri economici derivanti a suo carico dall’operazione contrattuale, in rapporto al capitale erogato dalla concedente.

8. Con il secondo motivo gli appellanti deducono che il Tribunale, nel disattendere la domanda di accertamento dell’usurarietà del tasso di mora pattuito, avrebbe frainteso l’assunto posto a fondamento della domanda. Premesso, mediante richiamo alla CTP prodotta in atti, che il tasso effettivo globale dell’interesse moratorio sarebbe pari al 10,4275% – e quindi superiore a quello (9,9600%) indicato in contratto – gli appellanti deducono che il superamento del tasso soglia sarebbe dovuto non già al cumulo del tasso di interesse corrispettivo e quello moratorio, ma al fatto che la clausola contrattuale pone come base di calcolo degli interessi moratori l’intero canone insoluto, comprensivo di quota capitale e quota interessi. Il tasso di mora dovrebbe pertanto essere ricalcolato tenendo conto dell’anatocismo implicito nel meccanismo dell’ammortamento c.d. alla francese (e cioè a rate di importo fisso composte da una quota interessi decrescente e una quota capitale crescente); dovrebbe essere rideterminato, quindi, tenendo conto solo del valore della quota capitale e non della rata comprensiva di capitale ed interessi scaduti.

Più precisamente, ai fini della misurazione del costo del denaro, nella parte della formula dedicata al capitale prestato, dovrebbe essere inserito solo il capitale e non la sommatoria di capitale e interessi scaduti: l’interesse di mora applicato sulla sola quota capitale sarebbe pertanto del 19,37%. In ogni caso l’erronea indicazione del tasso di mora, secondo gli appellanti, sarebbe sintomatica dell’indeterminatezza delle reali condizioni applicate dalla Banca, in aperta violazione altresì dell’art. 117 del TUB, con conseguente applicabilità dell’art. 1284 c.c. Sotto tale profilo gli appellanti deducono, inoltre, che “l’indeterminatezza delle condizioni contrattuali applicate emerge altresì in riferimento al regime finanziario applicato”. Sostengono, più specificamente, che, per effetto della mancata indicazione in contratto del regime finanziario applicabile (se semplice o composto), sarebbe possibile costruire due ulteriori piani di ammortamento rispetto a quello applicato dalla Banca e tutti compatibili con il tasso nominale annuo indicato in contratto.

8.1 Anche tale motivo è infondato.

8.2 Ai sensi dell’art. 3 della Del.CICR 9 febbraio 2000, nei contratti di mutuo per i quali è prevista la restituzione mediante il pagamento di rate prestabilite, l’intera rata, comprensiva quindi non solo di una quota di capitale ma anche della quota di interessi, può essere capitalizzata ed essere quindi produttiva a sua volta di interessi di mora. In altri termini, gli interessi corrispettivi, una volta scaduti, sono capitalizzati e costituiscono un’autonoma obbligazione a carico del debitore, al pari di quella di restituire il capitale mutuato, sicché gli interessi moratori sono legittimamente calcolati sull’intera rata comprensiva degli stessi, con una deroga al generale divieto dell’art. 1283 c.c.

L’assunto degli appellanti, secondo cui il tasso di mora dovrebbe essere rideterminato, ai fini del raffronto con il tasso soglia, tenendo conto solo del valore della quota capitale e non della rata comprensiva di capitale ed interessi scaduti, è pertanto infondato. È appena il caso di osservare, poi, che, comunque, il tasso di mora indicato dagli appellanti come quello effettivo (asseritamente rideterminato sulla base dei parametri contrattuali con applicazione della formula del frazionamento del tasso equivalente), pari al 10,4275%, non è superiore al c.d. tasso soglia di usura (10,65%). Indipendentemente, quindi, dal rilievo che l’indicazione del “tasso effettivo” è contestata dalla concedente e risulta arbitrariamente effettuata sulla base di parametri diversi da quelli indicati in contratto, non vi è alcuna necessità di effettuare una consulenza contabile per accertare la correttezza o meno della suddetta allegazione dell’appellante.

8.3 Quanto, infine, alla lamentata indeterminatezza delle condizioni contrattuali applicate in riferimento al regime finanziario (semplice o composto), osserva il collegio che si tratta di questione inammissibile perché sollevata per la prima volta in questo grado di giudizio e comunque priva di fondamento.

A differenza di quanto sostiene parte opponente, la mancata indicazione del regime di capitalizzazione che governa il piano di ammortamento del mutuo non si pone in contrasto con la normativa sulla trasparenza bancaria. Difatti, la sostituzione dell’interesse semplice con quella dell’interesse composto nel calcolo delle rate di un piano di ammortamento non comporta alcuna violazione dell’art. 117 TUB, che impone, a pena di nullità, di indicare per iscritto nei contratti bancari il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora.

Nessuna norma, dunque, obbliga le società di leasing ad indicare in contratto il regime di ammortamento degli interessi. L’ammortamento a rata costante, d’altro canto, come osservato dall’appellata, fornisce, proprio in forza della rata costante mensilmente applicata, una dettagliata rappresentazione dei costi del finanziamento e delle modalità di restituzione (importo, numero e periodicità delle rate), il che esclude che possa ravvisarsi l’indeterminatezza lamentata dagli appellanti.

9. Da quanto in precedenza osservato circa l’infondatezza dei primi due motivi di appello discende il rigetto anche del terzo motivo, con il quale gli appellanti si dolgono della mancata ammissione della CTU richiesta al fine di accertare la pretesa “difformità delle condizioni applicate in concreto” e la “dedotta legittimità e quindi la nullità delle clausole imposte”.

10. Con il quarto motivo di gravame gli appellanti deducono che il Tribunale sarebbe incorso in errore laddove ha affermato la legittimità della clausola penale che, in caso di risoluzione per fatto imputabile al conduttore, prevede il diritto del concedente a trattenere i canoni già pagati, l’obbligo dell’utilizzatore di pagare i corrispettivi periodici maturati sino alla risoluzione del contratto oltre agli interessi di mora nella misura convenzionale e di un importo pari alla somma dei corrispettivi periodici attualizzati con deduzione dell’eventuale ricavato dalla vendita del bene, ovvero del valore attribuito al bene secondo stima commerciale compiuta dal Locatore (clausola n. 7 del contratto).

Secondo gli appellanti tale disciplina è contraria a quella di cui all’art. 1526, comma I, c.c., ai sensi del quale, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del compratore (rectius, utilizzatore), il concedente “deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno”. L’illegittimità della clausola contenete il c.d. patto di deduzione, secondo gli appellanti, non sarebbe stata messa in discussione dalla sentenza del S.C. SS.UU. n. 2061/2021, riguardante esclusivamente l’efficacia intertemporale delle disposizioni della L. n. 124 del 2017. Deducono, infine, che sino al momento della vendita o ricollocazione del bene il diritto di credito del concedente, anche a titolo di “canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione”, non sarebbe reale, ma solo eventuale, con conseguente difetto di certezza, liquidità ed esigibilità del credito del concedente, anche a titolo di “canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione”, per il quale è stato emesso il decreto ingiuntivo.

11. Anche tale motivo è infondato.

11.1 La disciplina relativa alla restituzione delle rate riscosse dal venditore (dal concedente, nell’ipotesi di leasing) è derogabile dalle parti. Il secondo comma dell’art. 1526 prevede, infatti, che le parti possano stabilire che le rate pagate rate sfuggano all’effetto restitutorio di cui al comma 1 e restino quindi acquisite al venditore (sempre al concedente, nella fattispecie che interessa). In altri termini, l’equo compenso, ai sensi dell’art. 1526 c.c., comma 1 c.c., comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso; non include, invece, il risarcimento del danno spettante al concedente, che, pertanto, deve trovare specifica considerazione.

Il risarcimento del danno del concedente può essere oggetto di determinazione anticipata attraverso la clausola penale ai sensi dell’art. 1382 c.c. e l’autonomia privata è venuta foggiando clausole di tale contenuto, in conformità, appunto, della previsione contenuta nell’art. 1526 c.c., comma 2, (cfr. Cass. ss.uu. n. 2061/2021, in motivazione).

In altre parole, come affermato da Cass. 28022/202, nel contratto di leasing traslativo è valida ed efficace la clausola la quale stabilisca che, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, spettino al concedente i canoni già scaduti e i canoni ancora non maturati, scontati al momento della risoluzione del contratto, previa detrazione del valore di mercato del bene oggetto del contratto al momento della risoluzione; è, inoltre, valido ed efficace il patto contenuto in un contratto di leasing traslativo il quale attribuisca al concedente, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, la facoltà di determinare unilateralmente il valore del bene oggetto del contratto, e sottrarlo dal credito residuo vantato nei confronti dell’utilizzatore, tuttavia tale patto ha per corollario l’obbligo del concedente di stimare il bene secondo correttezza e buona fede; in caso di contestazione della stima da parte dell’utilizzatore, è onere del concedente palesare il criterio adottato, e del concederne dimostrarne l’erroneità.

11.2 Alla luce dei sopra riportati principi di diritto, la domanda degli appellanti di accertamento della nullità, invalidità o inefficacia della clausola n. 7 del contratto, come correttamente ritenuto dal giudice a quo, non può trovare accoglimento.

Con riferimento, poi, alla domanda subordinata di rideterminazione della clausola penale (proposta sul rilievo secondo cui la clausola, nella parte in cui attribuisce al locatore la possibilità di una determinazione arbitraria del valore del bene restituito, potrebbe portare a alla determinazione di un risarcimento eccessivo), va osservato che gli appellanti non hanno censurato l’affermazione del giudice a quo che “solo a seguito della restituzione, il bene potrà essere valorizzato in detrazione e definite le definitive ragioni di dare e avere tra le parti”.

Tale affermazione, del resto è condivisibile, posto che l’eventuale diritto della locataria di vedersi corrispondere o, in caso di maggiore debito della stessa verso la concedente, di compensare in parte quanto ricavato dalla ricollocazione del bene sul mercato o altre diverse somme dalla medesima pretese, necessariamente presuppone la avvenuta restituzione dell’immobile oggetto di leasing, che nella specie non è avvenuta (cfr. Cass. n. 9210/2022, secondo cui “in caso di risoluzione del leasing traslativo, per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo ha diritto alla restituzione delle rate riscosse solo dopo la restituzione della cosa. In materia l’obbligo di previa restituzione della cosa è da ritenere fondamentale nell’equilibrio del contratto, perché in tal modo da un lato il concedente, rientrato nel possesso del bene, potrà trarne ulteriori utilità nel prosieguo; dall’altro, solo dopo che la restituzione è avvenuta, è possibile determinare l’equo compenso a lui spettante per il godimento garantito all’utilizzatore nel periodo di durata del contratto, salva la prova del danno ulteriore”).

12. Con il quinto motivo di gravame, riguardante la statuizione di condanna alla rifusione delle spese di lite, dal primo giudice correttamente regolate in base del criterio della soccombenza, gli appellanti non svolgono alcuna censura, ma si limitano a chiederne la riforma in ragione dell’auspicato accoglimento dell’appello.

13. Per le ragioni sopra esposte l’appello deve essere rigettato.

Le spese del grado liquidate in dispositivo con applicazione dei parametri medi dello scaglione di valore (con esclusione della fase istruttoria), seguono la soccombenza. Deve inoltre darsi atto che ricorrono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 20 maggio 2002, n. 115 per il versamento, da parte degli appellanti, dell’ulteriore importo del contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello.

P.Q.M.

La Corte

a) rigetta l’appello proposto da (…) s.r.l. e (…) contro la sentenza del Tribunale di Milano n. 1078/2022 depositata l’8/2/2022;

b) condanna gli appellanti, in solido, a rimborsare all’appellata le spese del grado, che liquida in Euro 9.991,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie (15%), iva e cpa;

c) dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 20 maggio 2002, n. 115 per il versamento, da parte degli appellanti, dell’ulteriore importo del contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello.

Così deciso in Milano l’11 aprile 2023.

Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2023.

Per ulteriori approfondimenti, in materia di diritto bancario si consiglia:

Il contratto di leasing o locazione finanziaria

Il contratto di franchising o di affiliazione commerciale

Il contratto di mutuo: aspetti generali.

Mutuo fondiario e superamento dei limiti di finanziabilità.

Il contratto autonomo di garanzia: un nuova forma di garanzia personale atipica

La fideiussione tra accessorietà e clausola di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni

Per approfondire la tematica degli interessi usurari e del superamento del tasso soglia si consiglia la lettura del seguente articolo: Interessi usurari pattuiti nei contatti di mutuo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.