laddove, nonostante la malattia, il testatore non abbia perduto la capacità di autodeterminarsi ovvero la capacità di porre in essere atti di ordinaria e/o straordinaria amministrazione, la prova di un eventuale stato di incapacità naturale del testatore ai sensi dell’art. 428 c.c. è a carico della parte che chiede l’annullamento del testamento e non, invece, a carico del convenuto.
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Tribunale|Bergamo|Sezione 1|Civile|Sentenza|4 gennaio 2023| n. 9
Data udienza 1 dicembre 2022
TRIBUNALE ORDINARIO DI BERGAMO
SEZIONE PRIMA CIVILE
Il Tribunale in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti magistrati:
dott.ssa Maria Concetta Elda Caprino – Presidente
dott.ssa Rosa Maria Alba Costanzo – Giudice relatore
dott.ssa Simona Maria Domenica Cherubini – Giudice onorario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al numero di ruolo generale sopra indicato promossa da:
E.F. (C.F. (…)), A.E. (C.F. (…)), A.E. (C.F. (…)), A.M. (C.F. (…)), tutti rappresentati e difesi dall’Avvocata…, come da procura in atti:
ATTORI
nei confronti di
T.I. (C.F. (…)), rappresentata e difesa dagli Avvocati ….come da procura in atti;
CONVENUTA
nonché di
A.R. (C.F. (…)) residente in D. B. T. (B.) V. delle S. n. 3/a;
A.D. (C.F. (…)) residente in D. B. T. (B.) V. delle S. n. 3/B;
P.G.M. (C.F. (…)) residente in C. (C.) Via B. C. n. 2;
P.P. (C.F. (…)) residente in D. B. T. (B.) Via T. n. 50;
P.D. (C.F. (…)) residente in P. (B.) Via G. D. n. 10;
P.A. (C.F. (…)) residente in A. (B.) Via E. F. n. 17/a;
P.M.P., residente a S. D. M. (M.) Via A. n. 1;
P.L., residente a Z. (B.) Via P. n. 7;
P.M., residente ad A. (B.) Via C. n. 30;
P.P., residente a S. G. B. (B.) Via M. n. 15;
M.J.P., residente a M.- S.- M., aveneu P. P., 251 (B.);
M.E., residente in C., R. des B. n. 37, B.;
M.F., residente in C., R. du l. n. 5, B.;
D.G.C., residente in R. (B.) Via G. P. n. 9;
V.G., residente in M. (N.) Via P. n. 11;
V.R., residente M. (N.) Via R. M. n. 1;
V.C., residente a O. (N.) Via P. n. 13;
V.F., residente a S. V. (T.), Via M. n. 5/c;
V.I., residente a O. (N.) Via S. S. n. 79;
CONVENUTI CONTUMACI
impugnazione del testamento per incapacità
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Premesso in fatto
Con atto di citazione regolarmente notificato, gli attori hanno convenuto in giudizio I.T. e gli eredi ex lege di E.A., deceduta il 23 novembre 2014, affinché venisse dichiarata l’invalidità del testamento pubblico col quale la de cuius, in data 8 settembre 2008 (doc. 4 attori), istituì erede universale la signora T. e legò la propria quota di comproprietà indivisa degli immobili siti in R. in favore dei condividenti in parti uguali, assumendo che, a quell’epoca, ella era assolutamente incapace di intendere e di volere, versando in una condizione di stabile e grave demenza in quanto affetta dal morbo di Alzheimer sin dal 2005.
Una volta accertata e dichiarata l’annullabilità del testamento ai sensi dell’art. 591, co. 2 c.c., hanno domandato l’accertamento della propria qualità di eredi legittimi e la condanna dell’erede testamentaria e dei legatari alla restituzione dei beni ereditari indebitamente posseduti e dei frutti prodotti, previo rendiconto della loro gestione, nonché la loro condanna al risarcimento dei danni patiti.
Regolarmente costituitasi in giudizio, I.T. ha eccepito in via preliminare la nullità dell’atto di citazione per omessa indicazione del codice fiscale dei convenuti e ha chiesto la chiamata in causa dei signori R.A., G.M.P., P.P., A.P. e D.P.; nel merito, si è opposta alla domanda, sostenendo che la documentazione medica ex adverso prodotta non fosse idonea a dimostrare l’incapacità naturale della testatrice, la quale nel 2008 risultava affetta da un disturbo dell’eloquio, inidoneo ad inficiarne la volontà; in subordine e in via riconvenzionale ha poi domandato il rimborso delle migliorie e delle addizioni eseguite sull’immobile caduto in successione.
Accolta la domanda di chiamata in causa avanzata da I.T. e dichiarata la contumacia dei convenuti non costituiti, la scrivente Giudice, subentrata al precedente titolare del procedimento, ha assegnato alle parti i richiesti termini ex art. 183, co. 6 c.p.c.
Con ordinanza del 26 ottobre 2021, ritenuta ammissibile e rilevante la richiesta di disporre una consulenza tecnica medico-legale per accertare la capacità di intendere e di volere della signora E.A. alla data dell’8 settembre 2008, è stato nominato il consulente del Giudice nella persona del dott. P., in seguito sostituito dalla dott.ssa L.S.N..
Rigettata l’istanza di ricusazione sollevata dalla convenuta, all’udienza dell’8 febbraio 2022, la c.t.u. ha prestato il giuramento di rito e accettato l’incarico conferitole, provvedendo al deposito della relazione peritale in data 14 giugno 2022.
All’esito dell’udienza di discussione della c.t.u., il Giudice Istruttore ha ritenuto la causa matura per la decisione e all’udienza del 13 settembre 2022, celebrata in forma scritta, la causa è stata dunque rimessa al Collegio, al quale è stata riservata la decisione sulle istanze istruttorie reiterate da entrambe le parti.
Considerato in diritto
Sulle istanze istruttorie
Rileva preliminarmente il Collegio che, dal punto di vista istruttorio, la controversia in oggetto è pienamente matura per la decisione, senza che si renda necessario procedere ad un’integrazione del materiale probatorio in atti.
In particolare, non appaiono in alcun modo rilevanti né le richieste di istruttoria orale reiterate con le conclusioni in via definitiva assunte dagli attori, in quanto documentali o irrilevanti, alla luce degli elementi già in atti, né tantomeno le istanze reiterate dalla convenuta, condividendosi le considerazioni espresse sul punto dal Giudice Istruttore.
Questo Collegio ritiene dunque che il materiale probatorio in atti, formato dagli elementi acquisiti attraverso la documentazione depositata e ammessa dal Giudice Istruttore e la consulenza tecnica d’ufficio, consenta di assumere una motivata decisione su tutte le questioni oggetto del giudizio. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati e i documenti non richiamati sono stati ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre ad una conclusione di segno diverso.
Sulla domanda di annullamento del testamento
Gli attori hanno domandato di accertare e dichiarare che la signora E.A., alla data di redazione del testamento pubblico dell’8 settembre 2008, era priva della capacità di intendere e di volere in quanto affetta dal morbo di Alzheimer, malattia che l’affliggeva dal 2005, dichiarando di conseguenza nulla o annullabile la scheda testamentaria.
A sostegno di quanto richiesto, i signori A. e la signora E. hanno dedotto che: – nell’anno 2005, la de cuius aveva subito un ictus con seria compromissione delle proprie capacità cognitive, non riuscendo ad esprimersi correttamente e a comprendere il significato delle parole dette o scritte da altri; – nell’anno 2007, le proprie condizioni di salute si aggravavano, evidenziandosi, oltre all’afasia, una discreta alterazione della fonazione e la presenza di multiple aree ischemiche, tanto da rendere necessaria l’assunzione di medicinali specifici per il trattamento di deficit neurologici ischemici correlati a vasospasmo e un ciclo di logopedia (doc. 5-6 attori); – negli anni 2007-2008, emergevano chiari ed evidenti sintomi del morbo di Alzheimer e segnatamente: una perdita significativa della memoria con difficoltà nel ricordare eventi recenti, difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane e progressiva perdita di autonomia con seri problemi di programmazione e di organizzazione, difficoltà nella gestione delle bollette e delle finanze, tratti caratteriali lunatici e riservati, oltre ai già conclamati disturbi del linguaggio con perdita della corretta espressione verbale dei pensieri; – nell’anno 2009, veniva diagnosticata alla signora A. demenza degenerativa e vascolare con deterioramento cognitivo moderato-severo e disturbo nel linguaggio e i test di valutazione effettuati confermavano la presenza di un grado di disabilità moderata e del morbo di Alzheimer (doc. 7 attori); – inoltre dalla visita neurologica effettuata il 21 maggio 2009 risultava un decadimento cognitivo di tipo misto ad+cv di grado moderato-severo con componente afasica, molto marcata caratterizzata da anomia, perifrasi e difficoltà nel costruire frasi complesse. Comprende i compiti solo semplici. Il disturbo è iniziato da circa tre anni……da circa 6 mesi ulteriore netto peggioramento dei disturbi comportamentali e del disturbo del linguaggio e della memoria…(doc. 8 attori); – nei mesi successivi, è stato registrato un netto peggioramento delle condizioni cliniche della signora (doc. 13, 14 attori), la quale, in data 1 settembre 2009, è stata dichiarata invalida al 100% dalla Commissione medica sanitaria di Bergamo che, il 3 gennaio 2010, l’ha riconosciuta soggetto con necessità di assistenza continua (doc. 12, 16 attori).
Alla luce della documentazione medica prodotta, gli attori hanno ritenuto provato che la signora E.A., alla data dell’8 settembre 2008, versasse in una condizione di permanente e stabile demenza e che tale condizione, accertata nove mesi dopo la redazione del testamento e sorta già nel 2005 (doc. 8, 15 attori), dovesse far presumere l’incapacità di intendere e di volere della de cuius, con conseguente inversione dell’onere della prova, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità.
Dal canto suo, I.T. ha contestato la ricostruzione offerta dagli attori, sostenendo che la de cuius, alla data del lascito testamentario, fosse in possesso della capacità di testare e non versasse in condizioni di grave infermità, tant’è che viveva da sola e viaggiava autonomamente (doc. 3 convenuta), necessitando di un’assistenza continua solo a decorrere dal mese di giugno 2009 quando, effettivamente, le proprie condizioni di salute degenerarono.
Ad avviso della convenuta, i certificati medici prodotti dalla difesa avversaria non confermano dunque la presenza di deficit cognitivi, né attestano l’incapacità naturale della de cuius già nel 2008, ma rilevano un disturbo dell’eloquio e la presenza di aree ischemiche compatibili con tale evidenza clinica (doc. 5 attori), apparendo – secondo la propria prospettazione – priva di riscontro probatorio l’eccepita insorgenza di evidenti sintomi del morbo di Alzheimer nel biennio 2007-2008, poiché non suffragata da idonea documentazione medica, tutta riferibile all’anno successivo (2009), allorché comparirono i primi sintomi di deficit cognitivo con formulazione, per la prima volta, di una diagnosi di demenza degenerativa e vascolare (doc. 7, 8 attori), esordita con un disturbo del linguaggio e in seguito aggravatasi (doc. 11, 13 attori e doc. 3 convenuta).
La domanda è infondata e in quanto tale non può trovare accoglimento, per le ragioni di seguito illustrate.
Anzitutto giova chiarire che la domanda tendente ad ottenere la dichiarazione di nullità del testamento olografo per incapacità di intendere e di volere deve qualificarsi quale azione per l’annullamento dell’atto viziato, posto che il codice annovera tassativamente le cause di nullità dell’atto di ultima volontà nella mancanza dell’autografia e della sottoscrizione (Trib. Milano, 25 novembre 2010, n. 13063).
Tanto premesso, si rammenta che, per l’annullabilità del testamento per incapacità naturale, ai sensi dell’art. 591, co. 3 c.c., occorre che il soggetto, a causa di un’infermità transitoria o permanente o di altra causa perturbatrice, sia privo in modo assoluto, nel momento della redazione del testamento, della coscienza dei propri atti oppure della capacità di autodeterminarsi, non essendo sufficiente una qualsiasi anomalia o alterazione delle facoltà psichiche e intellettive (Cass. 5 novembre 1987, n. 8169).
Invero, lo stato di incapacità richiede che il testatore sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto, della coscienza dei propri atti, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, in concorso con l’estremo dell’abitualità, legittimano la pronuncia dell’interdizione, essendo tanto gravi da togliere del tutto la capacità di intendere e di volere (Cass. 11 maggio 1979, n. 2692; Cass. 30 gennaio 2003, n. 1444; Cass. 6 maggio 2005, n. 9508).
Poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugna il testamento l’onere di provare con ogni mezzo, in modo rigoroso e specifico, la dedotta incapacità (Cass. n. 4499/1986; Cass. 22 ottobre 2019, n. 26873). Quando però l’attore dimostri la presenza di uno stato di infermità mentale tipica, permanente o abituale, e insuscettibile di alcun miglioramento, sta a chi afferma la validità del testamento la prova della compilazione del testamento stesso in un momento di lucido intervallo, poiché in tal caso la normalità presunta è l’incapacità; quando invece si tratti di malattia mentale a carattere intermittente o ricorrente, la quale nei periodi di intervallo (che non possono considerarsi come equivalenti ai periodi di lucido intervallo nella infermità abituali o permanenti) consente la reintegrazione del soggetto nella normalità della sua capacità intellettiva che costui, in tempo anteriore o posteriore alla data del testamento, si sia trovato in stato d’infermità mentale, dovendo in tal caso l’indagine del magistrato precipuamente rivolgersi ad accertare le condizioni mentali del testatore nel momento in cui redasse il testamento (Cass. 29 luglio 1981, n. 4856).
La prova dell’incapacità può essere tratta – come insegna la Corte Suprema – anche dalle condizioni mentali, anteriori o posteriori alla redazione del testamento, del soggetto e ciò sulla base di una presunzione che opera allorché l’attore abbia dimostrato una condizione di permanente e stabile demenza nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento (Cass. 22 ottobre 2019, n. 26873).
Diversamente, laddove, nonostante la malattia, il testatore non abbia perduto la capacità di autodeterminarsi ovvero la capacità di porre in essere atti di ordinaria e/o straordinaria amministrazione, la prova di un eventuale stato di incapacità naturale del testatore ai sensi dell’art. 428 c.c. è a carico della parte che chiede l’annullamento del testamento e non, invece, a carico del convenuto (Cass. 22 gennaio 2019, n. 1682).
Applicando tali principi al caso di specie, questo Collegio ritiene che gli attori non abbiano dimostrato che E.A., al momento della redazione dell’atto, si trovasse in uno stato psicofisico tale da sopprimere in modo assoluto l’attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente, né potrebbe essere desunta dal successivo stato di malattia della signora, come risultante dalla documentazione in atti e come emerso nel corso dell’espletata consulenza medico-legale.
In particolare, dall’esame della documentazione clinica prodotta risulta che la testatrice, nel 2005, subì un ictus che colpì principalmente l’area del linguaggio, determinando il sorgere di un’afasia; il 9 gennaio 2007, il dott. E.M., specialista in neurologia, evidenziò la presenza di una discreta alterazione della fonazione, confermata anche da chi la accompagnò alla visita, e una lieve ipostenia all’arto superiore destro, concludendo: per il resto non chiari segni ulteriori e consigliando di sottoporsi ad un ecodoppler, come effettivamente accaduto (doc. 5, 6 attori); il 6 febbraio 2007, lo stesso medico rilevò che nonostante l’ASA in terapia da anni ci sono multiple aree ischemiche, piccole ma in aree ben correlabili ai disturbi evidenti clinicamente (linguaggio). Utile logopedia (doc. 5 attori).
In data 4 maggio 2009, la de cuius è stata sottoposta ad una visita geriatrica e di valutazione del grado di disabilità in merito alla richiesta di concessione dell’indennità di accompagnamento, da cui è emerso che la signora, dell’età di 77 anni, da circa un mese veniva assistita completamente da una badante e risultava affetta da Demenza generativa e vascolare con deterioramento cognitivo moderato-severo e disturbo del linguaggio (variante temporale), obesità, poliartrosi, insufficienza venosa arti inferiori. La valutazione delle funzioni cognitive, stato comportamentale, stato motori e dell’autonomia nello svolgimento delle attività di base della vita quotidiana confermava, in effetti, la presenza di un grado di disabilità moderato la cui principale determinante veniva individuata nel deficit cognitivo (doc. 7 attori).
Anche la dott.ssa C. del Dipartimento di Medicina e Riabilitazione presso l’Azienda S.V., in data 21 maggio 2009, ha riscontrato nella signora A. un decadimento cognitivo di tipo misto ad+cv di grado moderato-severo con componente afasica, molto marcata caratterizzata da anomia, perifrasi e difficoltà nel costruire frasi complesse. Comprende i compiti solo semplici. Il medico ha inoltre attestato che il disturbo è iniziato da circa tre anni e che, fino ad un mese prima (aprile 2009), la signora ha vissuto da sola nel proprio domicilio (doc. 8 attori).
La medesima diagnosi è stata confermata anche dal referto rilasciato il 3 giugno 2009 all’esito della visita neurologica, ove si legge “demenza senile con anomalie comportamentali importanti. Questa mattina aggressiva e confabulante. Ora più tranquilla ma sempre confusa e incongrua. Non evidenziabili variazioni del quadro clinico rispetto alla dimissione” (doc. 9 attori), e dai certificati rilasciati il 13 maggio 2009 e il 19 giugno 2009 dal dott. M., specialista in Scienza dell’Alimentazione, il quale ha attestato che la paziente era affetta da morbo di Alzheimer con deficit cognitivo e del linguaggio (doc. 33 attori) e non più in grado di provvedere alle proprie necessità in maniera autonoma né in possesso di adeguate capacità di giudizio necessarie per assolvere ai compiti imposti dalla vita quotidiana (doc. 10 attori).
Nella scheda visita effettuata il 10 luglio 2009 presso “FERB – Onlus Sperimentazione gestionale – Centro di eccellenza per la cura dei malati di Alzheimer”, viene peraltro evidenziato che la signora ha una storia patologica poco significativa, salvo una colecistectomia e un’ipertensione arteriosa e che – si legge nelle note – da circa tre anni presenta un disturbo cognitivo esordito con disturbi del linguaggio e aggravatosi recentemente con disturbi del comportamento (aggressività) (doc.11 attori).
Nel mese di novembre del 2009 è stato poi registrato un aggravamento delle condizioni cliniche della signora, con particolare riferimento ai disturbi comportamentali, del linguaggio e della memoria (doc. 13 attori), riferibile all’aspetto cognitivo e neurologico nonché alla componente osteomuscolare con evidenti limitazioni della deambulazione e stabilità posturale (doc.14 attori).
In quello stesso periodo, la signora A. è stata sottoposta ad una consulenza di carattere psichiatrico nell’ambito del giudizio promosso a sua tutela e la dott.ssa N., nominata consulente dal Tribunale, ha attestato che la de cuius risultava all’epoca affetta da deterioramento cognitivo severo su base degenerativa e vascolare, ad evoluzione rapida ed ingravescente. La condizione demenziale ha totalmente compromesso l’autonomia della perizianda che appare completamente dipendente da altri sia nello svolgimento degli atti quotidiani, sia nelle scelte. Inoltre, la Sig.ra A. non sembra in grado né di riconoscere il denaro né di dargli un valore, incapacità che suggerirebbe di retrodatare l’insorgenza della patologia a prima del 2005, quando la paziente ebbe il primo ictus. Tuttavia tale ipotesi non può essere confermata da evidenze di tipo clinico o documentale, concludendo per l’attivazione di un’amministrazione di sostegno purché all’amministratore eventualmente individuato venisse dato mandato di occuparsi della globalità della gestione della perizianda, vicariando una funzione di tutela (doc. 15 attori).
In ragione del proprio stato di salute, l’1 settembre 2009 la testatrice è stata dichiarata invalida al 100% dalla Commissione medica sanitaria di Bergamo e, il 3 gennaio 2010, le è stata riconosciuta l’assistenza continua (doc. 12 e 16 attori).
Così ricostruita la storia clinica della signora E.A., se ne deduce che ella, a seguito dell’ictus che la colpì nell’anno 2005, sviluppò un disturbo del linguaggio e, nella specie, un’afasia in seguito accompagnata da un’alterazione della fonazione, come attestato dalle certificazioni mediche rilasciate dal dott. M. nel 2007.
E’ a decorrere dal mese di maggio 2009 che la de cuius mostra i primi sintomi di decadimento cognitivo che condurranno ad una diagnosi di Alzheimer di grado moderato-severo rendendo necessario, solo da quel momento, un’assistenza, considerato che, prima di allora, la signora A. viveva da sola (cfr. doc. 5, 8 attori), presentava una storia patologica poco significativa (doc. 11 attori) e non poteva in alcun modo dirsi incapace di intendere e di volere.
Ora, è vero che, come sostenuto dagli attori, i medici che hanno avuto in cura la signora hanno collocato l’insorgenza della malattia nel 2005-2006, ma è pur vero che tale giudizio è stato espresso ex post in ragione dell’aggravamento della patologia, senza avere alcuna evidenza dello stato cognitivo della signora a quell’epoca, tant’è che il suo esordio viene correlato ad un mero disturbo del linguaggio (doc. 11 attori) e che nel 2007, dopo il primo ictus, non è stato evidenziato alcun segno di decadimento cognitivo – che gli accompagnatori alla visita pure avrebbero potuto rilevare (doc. 5 attori) – ma, anzi, le ischemie presenti sono state riferite proprio alla sfera del linguaggio, già compromessa.
Tale valutazione trova peraltro riscontro nell’esame peritale svolto dalla dott.ssa N. nell’ambito del giudizio promosso nel 2009, laddove la c.t.u. ha spiegato che la retrodatazione della malattia all’anno 2005 teneva conto dello stato attuale di incapacità della de cuius, ma non trovava riscontro in evidenze di tipo clinico o documentale (doc. 15 attori).
E’ indicativo, inoltre, che la relazione tecnica, in quel giudizio, si sia conclusa a favore di un’amministrazione di sostegno e non di un’interdizione.
Anche la consulenza tecnica svolta nel procedimento a quo, volta ad appurare se la signora A., alla data dell’8 settembre 2008, fosse capace di intendere e di volere, ha concluso nel senso della capacità della de cuius.
La c.t.u. dott.ssa N., esaminata la documentazione medica in atti, ha infatti osservato: Premesso che l’afasia non è sinonimo di difetto cognitivo tout-court, la sussistenza dell’ictus esclude anche una diagnosi di afasia progressiva primaria nel caso in oggetto.
Dal 2007 al 4 maggio 2009 (…) non si dispone di alcuna documentazione clinica attestante il decadimento cognitivo della sig. A. se non il già citato piano terapeutico che fa decorrere la diagnosi di demenza di Alzheimer della de cuius dal 2008 (anche in questo caso non vi è però una ulteriore specificazione temporale).
Per contro, a partire dal maggio 2009 (quindi circa 8 mesi dopo la sottoscrizione del testamento) vi è ampia documentazione di un decadimento demenziale della de cuius, decadimento severo e rapidissimo nella sua evoluzione (…).
Ha pertanto concluso: non è quindi possibile affermare incontrovertibilmente la presenza di una incapacità di intendere e di volere della sig. A. al momento della sottoscrizione del testamento in data 08.09.2008, testamento in vero articolato (…). Tutto ciò presuppone una competenza cognitiva ed emotivo-affettiva tale da orientare le mie conclusioni verso una capacità di intendere e di volere della sig. A. all’atto della sottoscrizione delle proprie volontà testamentarie.
La difesa attorea ha contestato i risultati cui è giunta la consulente del Giudice, evidenziando come la stessa sia addivenuta ad un giudizio di probabilità – e non di certezza – della capacità di intendere e di volere della signora A., benché nella perizia svolta nell’ambito del procedimento iscritto per la nomina di un amministratore di sostegno a tutela della stessa avesse riconosciuto il decadimento demenziale severo e rapidissimo nella sua evoluzione che ha colpito la de cuius, facendone risalire l’insorgenza ad almeno tre anni prima (doc. 15 attrice). Ha inoltre eccepito come la conclusione assunta dalla c.t.u. non sia fondata su dati scientifici, ma sulla “articolata” formulazione della disposizione testamentaria, rispetto alla quale sostiene che la signora E.A. si sia limitata a sottoscrivere a fatica il testamento preventivamente redatto e letto dal Notaio G.C. (doc. 4 attori).
Di contro, la convenuta ha aderito alle conclusioni assunte dal perito, le quali hanno sostanzialmente suffragato la propria tesi, evidenziando l’assenza di documentazione medica che, con riferimento all’arco temporale 2007-2009, attesti una menomazione cognitiva della de cuius tale da renderla priva della capacità di autodeterminarsi al momento della redazione del testamento.
Ritiene questo Collegio che l’indagine peritale espletata sia approfondita, completa, chiara ed esauriente e che le conclusioni assunte siano coerenti con le risultanze delle indagini effettuate e vengono pertanto condivise integralmente e fatte proprie da questo giudicante.
Le contestazioni mosse dalla difesa attorea alla consulenza tecnica non appaiono, in verità, meritevoli di accoglimento, in quanto la dott.ssa N. ha argomentato sulla base delle proprie conoscenze tecnico-scientifiche la conclusione cui è addivenuta, evidenziando in particolare che l’evoluzione della malattia che ha interessato la signora A. è tipica delle forme vascolari e che, nel caso di specie, è verosimile che l’innestarsi della componente vascolare sulla base degenerativa abbia ulteriormente accelerato il processo. Il proprio giudizio è stato inoltre fondato sugli elementi clinici offerti dagli atti, i quali – si legge – non attestano il decadimento cognitivo della de cuius alla data dell’8 settembre 2008, mentre il richiamo allo schema testamentaria e al suo contenuto è stato inserito per inciso e a conclusione di una valutazione tecnica che non può ritenersi inficiata da tale considerazione.
L’esito cui è giunta la consulente del Tribunale non potrebbe neppure essere contestato in ragione del giudizio probabilistico e non certo cui si è addivenuti, in quanto tale strumento, in materia di incapacità del testatore, è in linea di principio efficace e idoneo a permettere all’attore di assolvere al proprio onere (cfr. Cass. 8 gennaio 2003, n. 87) ma, in caso di dubbio, deve operare la presunzione di capacità di intendere e di volere, cui è correttamente giunta la relazione peritale.
Inoltre, rileva nell’accertamento della capacità di testare della signora E.A. la redazione del testamento per atto pubblico (doc. 4 attori), atteso che, pur non essendo impedito ai soggetti interessati di provare il contrario, tale circostanza rappresenta un fatto da cui è lecito dedurre almeno la mancanza di segni apparenti d’incapacità del testatore all’atto della presentazione della scheda al pubblico ufficiale (Cass. 4 maggio 1982, n. 2741), garantita anche dalla presenza dei testimoni, e un significativo elemento di prova della capacità di testare (Trib. Lucca 7 luglio 2016, n. 1469).
Del resto, la redazione dell’atto sarà stata quantomeno preceduta da un colloquio in cui la testatrice avrà manifestato le sue volontà al Notaio che, successivamente, le avrà ridotte per iscritto in termini giuridici redigendo il testamento, non potendo dunque assumere rilievo le contestazioni attoree sul punto.
Né l’incapacità di intendere e di volere della de cuius può essere dedotta, neppure sul piano presuntivo, dalla difformità della firma apposta nel proprio documento di identità nel 2004 (doc. 17 attori) e nel testamento e nella dichiarazione di successione del marito, entrambi sottoscritti nel 2008 (doc. 2, 4 attori).
Il tempo decorso, l’età della signora (77 anni) e l’ictus che l’ha colpita nel 2005, unitamente alla naturale mutevolezza della grafia, permettono infatti di ritenere fisiologico che la sottoscrizione si presenti, nel 2008, meno lineare e più spigolosa.
Nondimeno, ulteriori riscontri idonei a dimostrare la capacità di intendere e di volere della signora A. alla data di redazione del testamento emergono dal fatto che la de cuius, fino al mese di aprile 2009, ha vissuto da sola nella propria abitazione provvedendo autonomamente ai propri bisogni, e che, secondo quanto riferito dalla convenuta e non contestato dagli attori, la signora nel 2008 si recò in vacanza a R. in compagnia di alcune amiche, partecipando a delle passeggiate (doc. 2-2 ter convenuta) e ancora che i parenti si attivarono, al fine di garantirle un’adeguata tutela mediante la nomina di un amministratore di sostegno, nell’estate nel 2009 (doc. 4 convenuti).
Conclusivamente, alla luce di quanto sopra rappresentato, questo Collegio ritiene che non sia stata provata l’incapacità di testare di E.A. alla data di redazione del testamento e che il dubbio debba risolversi, in applicazione dell’art. 2697 c.c., in danno degli attori, sui quali grava l’onere di fornirne in modo rigoroso e con ogni mezzo la prova, così contrastando la presunzione di capacità di intendere e di volere operante nel nostro ordinamento.
Vale la pena precisare, a tal riguardo, che i capitoli di prova orale formulati dagli attori, anche qualora fossero stati ammessi, non avrebbero permesso di dimostrare l’incapacità della de cuius alla data di redazione del testamento, in quanto volti a confermare i medesimi fatti risultanti dalla documentazione prodotta o a provare fatti documentali (capitoli n. 1-21 e lett. a-l, v), irrilevanti (cap. lett. m-s, y, u) o valutativi (cap. lett. t, x).
La domanda di annullamento del testamento pubblico della signora A. va pertanto rigettata.
Restano assorbite le altre domande.
Sulle spese di lite e di c.t.u.
Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e vengono poste integralmente a carico degli attori, in solido tra loro e in ugual misura, e si liquidano come in dispositivo, tenuto conto della natura e del valore della causa e dei criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come aggiornati dal nuovo D.M. n. 147 del 2022.
Le spese della c.t.u., atteso l’esito del giudizio, vengono poste in via definitiva a carico degli attori che con la propria azione, rivelatasi infondata, vi hanno dato causa.
Va infine accolta la domanda di rimborso delle spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, avanzata dalla convenuta, la quale ha provato l’effettivo esborso sostenuto, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 7 giugno 2022, n. 21402, v. fattura e bonifico prodotti dalla convenuta).
P.Q.M.
il Tribunale in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, così statuisce:
1. rigetta la domanda attorea;
2. condanna gli attori in solido tra loro e in parti uguali alla rifusione delle spese di lite nei confronti della parte convenuta, che liquida in 5.000,00 Euro per il compenso, oltre al 15% spese generali, IVA e CPA;
3. condanna gli attori in solido tra loro e in parti uguali al rimborso alla convenuta dell’importo di
3.660 Euro, sostenuto per il pagamento della consulenza tecnica di parte,
4. pone in via definitiva a carico degli attori in solido tra loro e in parti uguali le spese della c.t.u., liquidate come da separato decreto emesso in corso di causa.
Conclusione
Così deciso in Bergamo, alla camera di consiglio dell’1 dicembre 2022.
Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.
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