La condotta del giornalista dunque – per essere giustificata – deve potersi inquadrare nel perimetro del diritto di cronaca, da cui si apprende che nel bilanciamento fra libertà di pensiero (con il suo corollario del diritto-dovere di informare ed essere informati) e tutela dell’onore e della reputazione, prerogative antagoniste e parimenti dotate di copertura costituzionale, il diritto di cronaca possa risultare prevalente a condizione che le informazioni diffuse rispondano a requisiti di: a) verità oggettiva, o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca (che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive o da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore rappresentazioni alterate della realtà oggettiva); b) sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, c.d. pertinenza; c) esposizione e valutazione dei fatti connotata da modalità appropriate e contenute (c.d. continenza), così che lo scritto non ecceda lo scopo informativo da conseguire, sia improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio e redatto nel rispetto di un canone minimo di dignità cui ha diritto ogni persona umana, indipendentemente dall’esecrabilità delle condotte ad essa ascrivibile. Effettivamente nel valutare la rispondenza di una inchiesta giornalistica ai parametri del diritto di cronaca, il requisito della verità della notizia deve essere esaminato sotto una luce peculiare: giacché il giornalista acquisisce direttamente l’informazione, senza recepire “passivamente” fonti esterne, non si pone un problema di verifica dell’autorevolezza della fonte (e dunque di veridicità della notizia), in quanto egli attinge in modo diretto le informazioni di cui dà conto, e sulla base di tale acquisizione formula una propria ricostruzione, che può assumere anche i contorni di vera e propria denuncia. Resta ferma la necessità di muoversi nell’attività di indagine ed acquisizione delle informazioni seguendo criteri etici e rispettando la deontologia professionale, e vanno mantenuti fermi inoltre i pilastri dell’interesse pubblico e della continenza espositiva.
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Tribunale|Roma|Sezione 18|Civile|Sentenza|3 gennaio 2023| n. 130
Data udienza 2 gennaio 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA
diciottesima sezione civile
in composizione monocratica, in persona del giudice Cecilia Pratesi,
ha emesso la seguente
SENTENZA
Nel procedimento introdotto da:
A.F.D.G., con il patrocinio dell’avvocata Sabina Bulgarelli;
nei confronti di:
Società E.I.F. S.p.A.
P.G.H.
A.L.S.
Tutti con il patrocinio degli avvocati (…)
IN FATTO E IN DIRITTO
A.F. del G. si rivolge al Tribunale di Roma perché ritiene che la sua reputazione sia stata gravemente lesa dalla diffusione di un articolo pubblicato il 9 febbraio 2019 sul mensile F.M., abbinato al giornale Il Fatto Quotidiano.
Il testo reca il titolo “CHI VIGILA SUI VIGILANTES? IL COLOSSO I. E LE RELAZIONI PERICOLOSE IN CONSIGLIO DI STATO”.
Lamenta in particolare D.G. che l’autore del testo, A.L.S., abbia diffuso sul suo conto notizie screditanti e non rispondenti al vero.
Si apprende dalla lettura del servizio che la società I.V. s.r.l., nel 2015 si fosse aggiudicata l’appalto per la fornitura di 150 agenti per tre anni, per la vigilanza sull’aeroporto di Orio al Serio; l’articolo precisa poi che per prendere servizio gli operatori dovevano sostenere un esame, tenuto da una commissione formata da dirigenti E. e del Ministero dell’Interno, volto a dimostrare la conoscenza delle procedure e della struttura dove avrebbero dovuto lavorare; ebbene, prosegue l’articolista, i 94 candidati presentatisi alla commissione composta da funzionari locali (come previsto dall’art. 138 del Testo unico di pubblica sicurezza) erano stati tutti bocciati, ma due settimane dopo gli stessi candidati avevano ripetuto l’esame a F. con una nuova commissione, erano stati tutti promossi ed avevano preso servizio a B.. L’autore aggiunge che i commissari di questo secondo esame erano stati selezionati da R.N. (S.M.A. di R.), e da A. del G., allora Dirigente della quinta zona della Polizia di Frontiera, entrambi poi collocati a riposo e successivamente assunti da I., ed afferma infine che i candidati assunti con questo singolare procedimento non possedessero il requisito della necessaria “familiarizzazione” con lo scalo di Orio al Serio.
L’attore, contestando decisamente la conclusione tratta dall’autore, afferma di non aver avuto alcun ruolo nella scelta dei membri della commissione di F., la cui nomina competeva unicamente all’E., e precisamente al Direttore della Circoscrizione aeroportuale territorialmente competente, mentre egli all’epoca prestava servizio presso la Polizia di Stato in qualità di Dirigente della quinta zona della Polizia di Frontiera; tantomeno era stato componente della commissione, posto che tra i “rappresentanti dell’Ufficio di Polizia di Frontiera” che fanno parte della Commissione non viene annoverato il ruolo apicale di dirigente di zona, all’epoca rivestito dall’attore, ma unicamente quello di “dirigente dell’Ufficio di Polizia di Frontiera” , subordinato alla posizione di D.G. all’epoca dei fatti.
La difesa dell’attore osserva ancora che la tesi del giornalista secondo cui gli addetti promossi a F. non avrebbero potuto lavorare a B., contrasta con la Circolare E. sec- 03 del 7/10/2004 (prodotta in atti) che all’art. 7 prevede: “Gli addetti alla sicurezza in possesso del certificato di idoneità possono essere adibiti a compiti di sicurezza in un aeroporto diverso da quello presso il quale sono stati abilitati, purché vengano sottoposti agli accertamenti di cui alla presente circolare, con esclusivo riferimento alle peculiarità della struttura aeroportuale interessata ed alle apparecchiature di controllo ivi installate, se diverse da quelle per cui è stato giudicato idoneo”.
Inoltre – prosegue ancora la medesima difesa – l’illazione sottesa all’articolo secondo cui vi sarebbe una sorta di sinallagma tra la vicenda e l’assunzione del D.G. in I., sarebbe alquanto arbitraria, posto che la vicenda si riferisce al 2012, il pensionamento è avvenuto nel 2016, egli ha in un primo momento lavorato come S.M.N.I. S.p.A. (doc. 5) e solo alla fine dell’anno 2016 è stato assunto da I..
L’attore – in ordine alla quantificazione del danno – rileva che il periodico che ha ospitato l’articolo gode di ampia diffusione, nella versione cartacea e sul web, e fa presente che le notizie in questione sono state oggetto di due interrogazioni parlamentari; lamenta infine che la sua richiesta di rettifica sia rimasta inascoltata (senza per verità produrre la prova di avere ritualmente richiesto al direttore del mensile di pubblicare una rettifica).
I convenuti chiedono il rigetto della domanda e riconducono la pubblicazione all’esercizio del diritto di cronaca. Osservano in primo luogo che la promozione ad opera della Commissione romana dei 94 candidati di I. a pochi giorni di distanza dalla bocciatura avvenuta dalla Commissione di Orio al Serio costituiva una singolare anomalia sulla quale legittimamente si sono appuntati i sospetti dell’articolista; affermano poi – con riferimento specifico alla persona di D.G., che questi non poteva dirsi estraneo alla nomina dei commissari, giacché la circolare E. dallo stesso richiamata prevedeva che della commissione facessero parte due rappresentanti dell’ Ufficio di Polizia di Frontiera, tra cui di norma il dirigente o un suo delegato, ed egli all’epoca – in quanto Direttore di Zona, era il diretto superiore del dirigente dell’ufficio di Polizia di Frontiera, dunque almeno di fatto preposto alla selezione di due componenti della Commissione; di qui la correttezza delle deduzioni formulate nell’articolo, espressione peraltro – a parere dei convenuti – di giornalismo di inchiesta. Infine eccepiscono il difetto di prova e la genericità dei danni lamentati.
Non vi è dubbio che il passo dell’articolo di cui si duole l’attore sia foriero di discredito per la sua persona; in sostanza al lettore si prospetta la tesi che egli abbia usato la propria influenza per assicurare agli esaminati dipendenti di I. una valutazione più morbida di quella ricevuta durante la prova sostenuta in Lombardia, e che in cambio di tale benevolenza sia stato poi assunto presso la società con un ruolo di tutto rispetto.
La condotta del giornalista dunque – per essere giustificata – deve potersi inquadrare nel perimetro del diritto di cronaca, così come delineato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione a partire dalla sentenza del 18 ottobre 1984, n. 5259, da cui si apprende che nel bilanciamento fra libertà di pensiero (con il suo corollario del diritto-dovere di informare ed essere informati) e tutela dell’onore e della reputazione, prerogative antagoniste e parimenti dotate di copertura costituzionale, il diritto di cronaca possa risultare prevalente a condizione che le informazioni diffuse rispondano a requisiti di: a) verità oggettiva, o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca (che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive o da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore rappresentazioni alterate della realtà oggettiva); b) sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, c.d. pertinenza (Cass. Civ. 15 dicembre 2004, n. 23366); c) esposizione e valutazione dei fatti connotata da modalità appropriate e contenute (c.d. continenza), così che lo scritto non ecceda lo scopo informativo da conseguire, sia improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio e redatto nel rispetto di un canone minimo di dignità cui ha diritto ogni persona umana, indipendentemente dall’esecrabilità delle condotte ad essa ascrivibile (Cass. 18 ottobre 1984, n. 5259).
Secondo i convenuti peraltro la valutazione del requisito della verità della notizia andrebbe in questo frangente eseguita con minor rigore, per essere l’articolo in esame ascrivibile all’attività di giornalismo di inchiesta.
Effettivamente nel valutare la rispondenza di una inchiesta giornalistica ai parametri del diritto di cronaca, il requisito della verità della notizia deve essere esaminato sotto una luce peculiare: giacché il giornalista acquisisce direttamente l’informazione, senza recepire “passivamente” fonti esterne, non si pone un problema di verifica dell’autorevolezza della fonte (e dunque di veridicità della notizia), in quanto egli attinge in modo diretto le informazioni di cui dà conto, e sulla base di tale acquisizione formula una propria ricostruzione, che può assumere anche i contorni di vera e propria denuncia. Resta ferma la necessità di muoversi nell’attività di indagine ed acquisizione delle informazioni seguendo criteri etici e rispettando la deontologia professionale, e vanno mantenuti fermi inoltre i pilastri dell’interesse pubblico e della continenza espositiva.
Il servizio giornalistico in esame si presenta effettivamente sotto la veste di una inchiesta che ha il proprio fuoco nell’attività di due importanti società di sicurezza (I. e I.) riconducibili alla famiglia G.. L’episodio dell’assunzione dei vigilantes dell’aeroporto bergamasco è dunque solo uno dei numerosi di cui si occupa il servizio, complessivamente volto a suscitare dubbi sul percorso attraverso cui le due società di cui sopra sarebbero giunte ad acquisire una posizione quasi monopolistica (non a caso sotto inchiesta dell’Antitrust, si legge in apertura del pezzo).
Indubbiamente alcuni aspetti della ricostruzione appaiono frutto di acquisizione diretta di informazioni, prevalentemente da parte di dipendenti o ex dipendenti delle due società; in particolare nel caso specifico dell’assunzione dei vigilantes di Orio al Serio appare chiaro che il fine perseguito dall’autore sia di dar conto della anomala sequenza dei risultati delle prove di esame dei candidati dipendenti di I., tutti bocciati in Lombardia, e tutti promossi due settimane dopo a F.; in particolare S. legittimamente si chiede (e invita i lettori a domandarsi) se il personale destinato allo scalo B. fosse effettivamente idoneo allo svolgimento di una funzione indubbiamente delicata quale è la sorveglianza di un aeroporto. Adombrare il sospetto che le operazioni di esame fossero state eccessivamente benevole nel secondo caso (posto che la sequenza riferita è veritiera ed incontestata) risponde dunque al paradigma del giornalismo di denuncia.
Lo stesso non può dirsi con riguardo al ruolo che secondo l’autore avrebbe assunto D.G. nella vicenda. Il sillogismo proposto al lettore è (implicitamente ma nettamente) così declinato: a comporre la commissione laziale che ha promosso tutti i candidati sono commissari scelti da A. del G.; A. del G. dopo il pensionamento è stato assunto da I.; dunque A. del G. ha deliberatamente favorito I..
Senonché la premessa maggiore del sillogismo, su cui poggia la conclusione, è costituita da un dato erroneo, che oltretutto sarebbe stato agevolmente verificabile dal giornalista attraverso una ricerca documentale; per di più l’affermazione (ovvero che i commissari di esame di F. fossero stati selezionati da D.G.) non viene proposta al lettore in forma ipotetica o dubitativa, ma come un dato storicamente certo. Che si tratti di una informazione scorretta emerge dalla lettura della normativa di settore menzionata dalla difesa dell’attore, e del resto – come si dirà ancora oltre – la difesa avversaria non si spinge a confutare oltre la questione, ma in certo senso tenta di spostare il fuoco dell’analisi, suggerendo una tesi parzialmente diversa da quella sostenuta nell’articolo (e quindi non più che D.G. abbia nominato i commissari, ma che in considerazione del ruolo di vertice rivestito egli abbia comunque avuto influenza sulla procedura).
Se è vero certamente che il giornalismo di inchiesta consente all’autore di formulare ipotesi di accusa, o comunque proporre ricostruzioni solo possibili della realtà, resta fermo però il fatto che le tesi che il giornalista elabora devono essere proposte come tali e formulate a partire da dati reali e verificati, il che non è avvenuto con riferimento all’inciso qui in contestazione.
E’ significativo (come sopra si accennava) che, posta di fronte all’evidenza dell’errore contenuto nel servizio alla luce della normativa secondaria di settore, da cui emerge che la figura professionale di D.G. non avesse alcuna competenza sulla nomina dei commissari d’esame, la difesa dei convenuti – senza più ribadire la tesi contenuta nell’articolo, reagisca con l’argomento che segue: “E’, dunque, nelle cose che, per la certificazione di idoneità di un tale numero di aspiranti a un ruolo così importante, il responsabile principale della sicurezza dello scalo sia stato interpellato ed abbia avuto voce in capitolo”, così ponendo in evidenza che quella che al lettore è stata proposta come una verità storica (ovvero che D.G. avesse nominato i commissari) era in realtà frutto di una mera congettura dell’autore, e si riduceva al convincimento -meramente soggettivo- che egli, in virtù del proprio ruolo apicale, avesse spiegato una qualche influenza su tale nomina. Una premessa troppo fragile su cui costruire il teorema che egli – grazie alla particolare indulgenza con cui i candidati erano stati valutati a F.- avesse poi ottenuto dei benefici personali facendosi assumere in I. una volta pensionato.
In conclusione si ritiene che il passaggio censurato non possa ritenersi espressione legittima del diritto di cronaca.
Che la diffusione della notizia sia idonea a generare discredito è indubbio: la suggestione che si ricava dal testo è certamente quella che l’attore abbia esercitato la propria influenza per far ottenere un vantaggio indebito a I., ricavandone a sua volta dei benefici, e come si è detto si tratta di conclusione tratta da elementi di fatto almeno in parte non rispondenti al vero e non adeguatamente verificati: fermo restando l’anomalo andamento delle prove di esame di cui si è detto, e la successiva assunzione in I. (fatti incontroversi), viene attribuito a D.G. un ruolo attivo nella vicenda alla luce di un dato (l’avere nominato i commissari di esame) che viene porto al lettore come fatto storico acquisito, e che non risponde invece a verità.
La vicenda – diffusa da un organo informativo non privo di autorevolezza e risonanza quale F.M. – ha avuto ampia eco, tanto da divenire oggetto di interrogazioni parlamentari (v. doc. 6 e 7 parte attrice) una delle quali (quella presentata dal deputato P.), prendendo le mosse proprio dall’articolo oggetto di causa, e dopo aver ricostruito tra l’altro la vicenda del doppio esame degli aspiranti vigilantes, espressamente menziona la persona dell’attore (….”interessante rilevare che i componenti della commissione laziale erano stati scelti da A.G. refuso del deputato interpellante ma chiaramente riferito a D.G. e R.N. che da lì a poco sarebbero andati a riposo per poi essere assunti proprio da I.”), segno questo che nell’opinione pubblica la sequenza logica proposta dal giornalista era stata ritenuta attendibile e non priva di verosimiglianza.
Sulla base dei fattori sin qui considerati, ed in assenza di elementi probatori di diversa natura, deve essere svolto dunque il giudizio presuntivo che la giurisprudenza di legittimità delinea nella materia dei danni immateriali, tra i quali si annovera la lesione dei diritti costituzionalmente garantiti dell’onore e della reputazione (si veda in particolare Cass. S.U. n. 26972/2008); la liquidazione, da operarsi in via equitativa in forza degli artt. 2056 e 1226 c.c., deve tener conto dunque della sofferenza interiore (cd. patema d’animo, o danno morale soggettivo), e della flessione della reputazione personale e professionale ragionevolmente riconducibile alla pubblicazione.
Tra i fatti storici noti (o notori) da tenere presente ai fini della formulazione del giudizio presuntivo in oggetto si annovera in primo luogo la qualità dell’offeso, personaggio di spicco tra le autorità di polizia del paese e protagonista di inchieste di amplissima risonanza mediatica (v. la documentazione prodotta a riprova); si deve poi tener conto dell’impatto significativo della notizia, ritenuta autorevole al punto da formare oggetto di dibattito parlamentare; per contro si deve considerare il ridotto spazio che l’articolo destina alla persona dell’attore nel ben più ampio contesto dell’inchiesta svolta dal giornalista il cui vero bersaglio si identifica nelle società della famiglia G..
Dall’insieme di tali fattori si trae il convincimento che la somma di Euro 24.000,00 costituisca un adeguato ristoro del danno subito; la somma si intende espressa in valori attuali e comprensiva del danno da ritardo e degli interessi compensativi medio tempore maturati. I convenuti ne sono solidalmente responsabili in virtù delle rispettive qualità di autore del servizio giornalistico, direttore responsabile della testata ed editore.
Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
Condanna i convenuti a risarcire all’attore A.D.G. il danno subito, liquidato in Euro 24.000,00 oltre interessi e rivalutazione dalla presente pronuncia al saldo.
Condanna altresì i convenuti a rimborsare all’attore le spese di lite, che si liquidano in Euro 4.237,00 per compensi professionali, Euro 518,00 per esborsi, oltre iva cpa e spese generali.
Così deciso in Roma, il 2 gennaio 2023.
Depositata in Cancelleria il 3 gennaio 2023.
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