la nozione di insidia si risolve in una situazione di pericolo occulto (c.d. insidia o trabocchetto) per la cui sussistenza occorrono congiuntamente l’elemento oggettivo della non visibilità del pericolo e quello soggettivo della non prevedibilità di esso. In definitiva, non sono sufficienti difficoltà od anche pericolosità del transito, ma occorre una sorta di inevitabilità del danno per il carattere non visibile ed improvviso del pericolo.
Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo: La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle strade
Tribunale Roma, Sezione 13 civile Sentenza 9 novembre 2018, n. 21531
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il TRIBUNALE DI ROMA
TREDICESIMA SEZIONE CIVILE
in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott. Adriano Carmelo Franco, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 10965/2014 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi,
TRA
(…), parte rappresentata e difesa dall’avv. Me.Mi., antistataria, presso il cui studio, sito in S. Maria C.V., via (…), ha eletto domicilio;
PARTE ATTRICE
E
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro – tempore, parte rappresentata e difesa dall’avv. Gi.Sa., presso il cui studio, sito in Roma, via (…), ha eletto domicilio, e dall’avv. Ro.Mu.;
PARTE CONVENUTA
NONCHÉ
Società (…), in persona del legale rappresentante pro – tempore, parte rappresentata e difesa dall’avv. Dr.Pa., presso il cui studio, sito in Roma, via (…), ha eletto domicilio;
PARTE TERZA CHIAMATA
OGGETTO: Responsabilità ex artt. 2043 e 2051 c.c.: lesioni personali.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) conveniva in giudizio Roma Capitale.
Esponeva che in data 22/2/2010, alle 9:45 circa, in Roma, camminava sul marciapiedi di via (…), allorquando cadeva a terra in seguito all’urto contro il chiusino del tombino ivi esistente, inclinato e, a causa della pioggia battente, scivoloso e non visibile.
Concludeva chiedendo il risarcimento del danno.
Si costituiva in giudizio Roma Capitale, chiedendo, previa autorizzazione alla chiamata in causa del terzo Società (…), rigettarsi la domanda attorea perché infondata nonché per difetto di legittimazione passiva, e, in via subordinata, condannarsi il terzo chiamato al risarcimento nei confronti della parte attrice o, in ulteriore subordine, a manlevare Roma Capitale di quanto fosse condannata a versare alla parte attrice medesima.
Si costituiva in giudizio la Società (…), chiedendo rigettarsi la domanda di manleva, per difetto di legittimazione passiva, e, in via subordinata, la domanda attorea.
Tutte le parti chiedevano la vittoria delle spese di lite, mentre la difesa della parte attrice si dichiarava, altresì, antistataria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ordine delle questioni
In base al dettato dell’art. 276 comma 2 c.p.c. relativo all’ordine delle questioni da decidere in sentenza, occorrerebbe statuire dapprima relativamente alle eccezioni preliminari sollevate da Roma Capitale e da Società (…) (carenza di legittimazione passiva di Roma Capitale, eccezione, questa, comune al terzo intervenuto); successivamente, se rigettate, scrutinare nel merito la domanda, verificando se e in che misura debba essere accolta la domanda di risarcimento del danno proposta da parte attrice.
Ciò detto, è avviso del Giudice che, essendo infondata la domanda attrice, la stessa, in ragione del principio cosiddetto della ragione più liquida, può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente e di più agevole e rapido scrutinio, pur se logicamente subordinata alle altre, senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre secondo l’ordine previsto dall’art. 276 c.p.c. (per la giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. Sez. Un. n. 26242-3/2014, resa in tema di rilevabilità officiosa delle nullità negoziali, nonché più specificamente Cass. n. 12002/2014, Cass. Sez. Un. n. 29523/2008, Cass. Sez. Un. n. 24882/2008, Cass. n. 21266/2007, Cass. n. 11356/2006).
Ciò è suggerito dal principio di economia processuale e da esigenze di celerità e speditezza anche costituzionalmente protette; ed è altresì conseguenza di una rinnovata visione dell’attività giurisdizionale, intesa non più come espressione della sovranità statale, ma come servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli (in questi termini, per tutte Cass. Sez. Un. n. 24883/2008).
Infatti, la sentenza, quale atto giuridico tipico, non ha il compito di ricostruire compiutamente la vicenda che è oggetto del giudizio in tutti i suoi aspetti giuridici, ma solo quello di accertare se ricorrano le condizioni per concedere la tutela richiesta dall’attore. Consegue che la decisione può fondarsi sopra una ragione il cui esame presupporrebbe logicamente, se fosse invece richiesta una compiuta valutazione dal punto di vista del diritto sostantivo, la previa considerazione di altri aspetti del fatto stesso.
Quadro normativo di riferimento
Il fatto per cui è causa è sussumibile sotto il disposto di cui all’art. 2051 c.c., il quale recita:
“Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.
I principi di diritto enunciati nel tempo dalla Corte di Cassazione in tema di responsabilità per i danni causati da beni in custodia e di distribuzione dei relativi oneri probatori, come puntualmente esplicitati da Cassazione Civile, Sez. III, 31 ottobre 2017, n. 25856, sono i seguenti:
a) “in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (nella specie, la S.C. ha ritenuto eziologicamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada)” (Cass., Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017, Rv. 644282 – 01);
b) “ai sensi dell’art. 2051 c.c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 23584 del 17/10/2013, Rv. 628725 – 01);
c) “in tema di responsabilità del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10014 del 20/04/2017, Rv. 643830 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004, Rv. 571873 – 01).
Ricostruzione del fatto e responsabilità
Parte attrice, in sede di interrogatorio formale, ha, tra l’altro, dichiarato: “Al momento dell’incidente mi trovavo sul marciapiede in una strada in discesa. Vi era un tombino nella parte in cui il marciapiede è inclinato e io vi sono scivolata sopra. Al momento dell’incidente pioveva. Posso dire che avevo percorso altre volte quella strada, ma non passando sempre per quel punto poiché a volte non passavo sul marciapiede, ma nella strada.”
Il teste (…) ha, tra l’altro, dichiarato: “… Preciso che in passato avevo visto altre persone cadere su quel tombino…”.
Il teste (…) ha confermato la ricostruzione offerta dalla parte attrice.
Dall’espletata istruttoria risulta che:
– il marciapiede era in discesa e, per la pioggia, probabilmente scivoloso;
– la posizione del tombino, inclinata, era stabile nel tempo, dato che, come dichiarato dal teste (…), egli aveva visto altre persone cadere sullo stesso;
– (…) conosceva lo stato del marciapiede e, quindi, del tombino ivi presente, dato che vi era passata altre volte, come dalla stessa dichiarato, in quanto, affermando “a volte non passavo sul marciapiede”, deve desumersi che altre volte vi era passata.
Alla luce di quanto sopra, deve ritenersi che la caduta sia, quindi, dovuta al comportamento incauto della parte attrice, integrante il caso fortuito, che recide il nesso causale tra fatto e danno, con la conseguenza che la domanda attorea deve essere rigettata ex art. 2051 c.c.
Le accertate caratteristiche del luogo in punto di visibilità rendono la domanda non meritevole di accoglimento neppure sotto il profilo dell’art. 2043 c.c.
Come noto, per giurisprudenza costante della Suprema Corte, la nozione di insidia si risolve in una situazione di pericolo occulto (c.d. insidia o trabocchetto) per la cui sussistenza occorrono congiuntamente l’elemento oggettivo della non visibilità del pericolo e quello soggettivo della non prevedibilità di esso. In definitiva, non sono sufficienti difficoltà od anche pericolosità del transito, ma occorre una sorta di inevitabilità del danno per il carattere non visibile ed improvviso del pericolo. Orbene, nel concreto, per le ragioni dinanzi esposte, tali presupposti non ricorrono e le caratteristiche del luogo deve ritenersi che fossero agevolmente percepibili da un utente che avesse prestato la ordinaria attenzione nell’avvicinarsi e deve escludersi, quindi, che la parte abbia dato prova della non visibilità e della non prevedibilità di quella che indica come la causa della propria caduta.
La domanda va, dunque, respinta.
Spese di giudizio
Le spese di giudizio tra (…), Roma Capitale e Società (…), nei cui confronti parte attrice ha espressamente esteso la domanda, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande, come in atti proposte, ogni diversa istanza disattesa, così provvede:
– rigetta la domanda di (…);
– condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite nei confronti di Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro – tempore, nella misura di Euro 2.000,00 per diritti ed onorari, oltre spese generali nella misura del 15,00%, Iva e Cpa come per legge;
– condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite nei confronti della Società (…), in persona del legale rappresentante pro – tempore, nella misura di Euro 2.000,00 per diritti ed onorari, oltre spese generali nella misura del 15,00%, Iva e Cpa come per legge.
Così deciso in Roma il 7 novembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2018.