Argomento decisivo per aderire alla tesi che dal superamento del tasso soglia, discenda, ai sensi dell’art. 1815 co. 2 c.c., non solo la nullità della clausola con la quale sono stati convenuti gli interessi, espressamente comminata, ma anche la sanzione civile della gratuità del contratto, è quella che il legislatore con la riforma intervenuta con la L. n. 108 del 1996 ha inteso prevedere quale sanzione a carico del mutuante la non debenza degli interessi in aggiunta alla nullità della clausola usuraria. Il seconda comma dell’art. 1815 c.c. prevedeva che nel caso fossero stati convenuti interessi usurari “la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti nella misura legale”, sicché l’intenzione del legislatore di inasprire la conseguenza della usurarietà degli interessi, passando cioè dalla debenza degli interessi legali a quella della non debenza di interessi, verrebbe tradita, seguendo l’opposta tesi della non estensibilità del vizio del tasso di mora al tasso corrispettivo, poiché, mentre prima della riforma erano dovuti gli interessi legali oggi sarebbero dovuti gli interessi corrispettivi, di norma maggiori rispetto ai primi.
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Corte d’Appello Bari, Sezione 2 civile Sentenza 4 giugno 2018, n. 990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI BARI
II SEZIONE CIVILE
composta dai seguenti magistrati:
– dott. Matteo Antonio Sansone – Presidente;
– dott. Salvatore Grillo – Consigliere;
– dott. Giuseppe Dibisceglia – Consigliere rel.;
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello, iscritta nel Ruolo Generale affari contenziosi civili sotto il numero d’ordine 13 dell’anno 2014, le cui conclusioni sono state rassegnate all’udienza del 15/12/2017, avente ad oggetto: contratti bancari
TRA
(…) elettivamente domiciliati in Valenzano (Bari) alla via (…) nello studio dell’avv. Fa.An., dal quale sono rappresentati e difesi giusta mandati a margine dell’atto di citazione – appellanti –
CONTRO
Banca (…) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Bari al corso (…) nello studio dell’avv. Bu.Gi., dal quale è rappresentata e difesa giusta mandato a margine della comparsa di costituzione – appellata –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato il 11/9/2013 (…) chiedevano al Tribunale di Bari – previa declaratoria del superamento del tasso soglia in vigore alla data di stipula del mutuo fondiario (6/2/2004) da essi contratto con la Banca (…) – di condannare la Banca al pagamento in loro favore della somma di Euro 28.017,90, o di quella diversa ritenuta di giustizia, a titolo di restituzione di tutti gli interessi pagati dagli attori in violazione della L. n. 108 del 1996, oltre interessi e rivalutazione; con vittoria delle spese processuali.
Esponevano di avere stipulato un mutuo fondiario il 6/2/2004 con la (…); che l’importo finanziato era di Euro 90.000,00 da restituirsi in 240 rate mensili: che era previsto dall’ art. 4 del contratto un tasso d’interesse del 5, 59 su base annua; che era previsto dall’art. 5 del contratto un tasso d’interesse di mora dell’836 su base annua: che il tasso soglia previsto dalla L. n. 108 del 1996 alla data di stipula del finanziamento era pari al 6,36%, determinato aumentando della mela il tasso medio riveniente dalle rilevazioni trimestrali pari al 4.24%; che, pertanto, a seguito del superamento del tasso soglia dovevano essere restituiti tutti gli interessi corrisposti dagli attori, pari ad Euro 28.017,90.
Notificato il ricorso, si costituiva Banca (…) e chiedeva il rigetto della domanda perché infondata in fatto e in diritto; con vittoria della spese di giudizio. Esponeva che gli interessi applicati dalla banca erano stati sempre convenuti, sia al momento della pattuizione che nel corso del rapporto, nei limiti del “tasso soglia” di legge; che i ricorrenti non avevano mai corrisposto interessi di mora e, quindi, anche nel caso in cui si fosse ravvisato una nullità parziale del contratto di mutuo, i ricorrenti non avrebbero avuto interesse alla declaratoria, non avendo corrisposto alcun interesse di mora.
Con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del 28/11/2013,, depositata il 2/12/2013, il Tribunale di Bari rigettava la domanda e compensava le spese di giudizio. Avverso tale ordinanza hanno proposto appello (…) con atto di citazione notificato il 30/12/2013. Gli appellanti hanno chiesto di accogliere la domanda formulata in primo grado e di condannare la Banca al pagamento in loro favore della somma di Euro 28.017.90, o di quella diversa ritenuta di giustizia, a titolo di restituzione di tutti gli interessi pagati dagli attori in violazione della L. n. 108 del 1996, oltre interessi e rivalutazione; con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio.
Con comparsa depositata il 28/4/2014 si è costituita la Banca e ha chiesto di rigettare l’appello perché infondato in fatto e in diritto, e di condannare gli appellanti al pagamento delle spese e competenze del presente grado di giudizio.
All’udienza del 15/12/2017, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti e trascritte nel verbale di udienza, la causa è stata riservata per la decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico ed articolato motivo d’appello si censura l’ordinanza impugnata per violazione e/o erronea applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c. così come modificato dalla L. n. 108 del 1996. Affermano gli appellanti che il Tribunale – pur avendo accertato che il tasso previsto per gli interessi moratori (pari all’8,36 %) era superiore al tasso soglia in vigore nel febbraio 2004, e pure avendo statuito che anche gli interessi di mora devono rispettare i limiti dell’unico tasso soglia fissato per legge e, a sostegno di quanto affermato richiamando la nota pronuncia n. 350/2013 della Suprema Corte – anziché far conseguire la non debenza degli interessi ex art. 1815, comma 2, c.c. e, quindi, la conversione forzosa del mutuo “oneroso'” in mutuo “gratuito”, ha concluso per la non estensione degli effetti della nullità della clausola contrattuale prevista per gli interessi di mora a quella prevista per gli interessi corrispettivi operando, così, una distinzione tra tipologie di interessi non prevista dall’art. 1815 c.c. e rendendo, per l’effetto, vano il meccanismo sanzionatorio voluto dal legislatore della riforma.
L’appello è fondato.
Il Tribunale ha così motivato; “la pattuizione di un interesse di mora usurario determina la nullità della relativa clausola contrattuale e, conseguentemente, l’inesistenza dell’obbligo di pagare i detti interessi, ma non certo l’estensione di tali effetti alla pattuizione, avente autonoma rilevanza negoziale, dell’interesse corrispettivo”. Il Tribunale, così motivando, ha ritenuto di applicare, in materia di nullità parziale del contratto a causa della nullità di singole clausole, il principio giuridico della conservazione del negozio, che deve escludersi solo quando la clausola, e il patto nullo si riferiscono ad un elemento essenziale del negozio oppure si trovino con le altre pattuizioni in tale rapporto di interdipendenza che queste non possano sussistere in modo autonomo.
Tale principio, in materia di rapporti bancari, è stato riaffermato anche di recente dalla S.C., che ha così statuito: “in tema di contratto di conto corrente bancario, qualora vengano pattuiti interessi superiori al tasso soglia con riferimento all’indebitamento extra fido e interessi inferiori a tale tasso per le somme utilizzate entro i limiti del fido, la nullità della prima pattuizione non si comunica all’altra, pur se contenute in una medesima clausola contrattuale, poiché si deve valutare la singola disposizione, sebbene non esaustiva della regolamentazione degli interessi dovuti in forza del contratto (Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 21470 del 15/09/2017).
La S.C. ha così motivato: “Con riferimento alle conseguenze che la Corte di appello ha ritenuto di dover trarre dall’accertato superamento del tasso soglia con riferimento al c.d. extra fido, si impongono, invece, le considerazioni che seguono. Il giudice distrettuale ha disatteso il motivo di appello basato sull’assunto per cui la sanzione della nullità dovevo colpire nella sua totalità la pattuizione degli interessi: si legge nella sentenza impugnata, infatti, che secondo gli odierni ricorrenti, il Tribunale, una volta constatato che il tasso degli interessi del c.d. extra fido convenuto e applicato era superiore al tasso soglia, non poteva limitarsi a ritenere non applicabile tale tasso, dovendo invece dichiarare nulla, nella sua integrità, la pattuizione relativa agli interessi. Sembra di intendere che i ricorrenti deducano che nessun interesse poteva essere dunque preteso dalla banca (giusta l’art. 1815, comma 2, c.c.): e infatti si assume, nel ricorso (pag. 19), che “il contratto di scopertura di conto corrente in oggetto deve ritenersi gratuito e con il diritto alla restituzione di tutte le somme corrisposte a titolo di interessi”; gli stessi istanti rammentano, del resto (pag. 18 del ricorso), di aver domandato giudizialmente, sul presupposto dell’applicazione di tassi usurari, “la nullità di ogni pattuizione che prevede una remuneratività del prestito erogato contro la L. n. 108 del 1996″ … E’ certo, peraltro, che il superamento del tasso soglia con riferimento all’extra fido non incida sulla spettanza degli interessi convenuti contrattualmente anche per gli utilizzi che si collochino entro i limiti dell’accordato. Può osservarsi, in proposito, che l’art. 1815 c.c., di cui hanno fatto applicazione i giudici del merito, preveda, al secondo comma, che se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. In termini generali, la clausola è un’unità precettiva dell’accordo contrattuale, unità che può articolarsi anche in più disposizioni distinte (Cass. 26 giugno 1987, n. 5675; cfr. pure Cass. 11 aprile 1979, n. 2123). Più disposizioni in tema di interessi, in base alla loro concreta formulazione, possono confluire in un’unica clausola o dar vita a diverse clausole contrattuali. Non è però decisivo, ai presenti fini, verificare se la pattuizione relativa all’interesse dovuto per il c.d. extra fido fosse una componente dell’unica clausola che disciplinava l’interesse debitorio o se essa potesse essere considerata come una clausola a Sé stante, autonoma e distinta rispetto a quella che regolava la misura degli interessi sulla somma finanziata con l’apertura di credito. Ciò che rileva, infatti, è che l’art. 1815, comma 2, c.c., nel prevedere la nullità della clausola relativa agli interessi, Ove questi siano usurari, intendi per clausola la singola disposizione pattizia che contempli interessi eccedenti il tasso soglia, indipendentemente dal fatto che essa esaurisca la regolamentazione dell’entità degli interessi dovuti in forza del contratto. La sanzione dell’art. 1815, comma 2, c.c., dunque, non può che colpire la singola pattuizione che programmi la corresponsione di interessi usurari, non investendo le ulteriori disposizioni che, anche all’interno della medesima clausola, prevedano l’applicazione di interessi che usurari non siano. Se così non fosse, la norma non potrebbe trovare pratica applicazione tutte quelle volte in cui – per effetto della differenziazione dei tassi applicabili in ragione di diverse condizioni (come, appunto, l’entità dell’indebitamento del correntista) – nella clausola che disciplina la misura degli interessi contrattuali convivano una disposizione che fissi gli stessi al di sopra della soglia usuraria ed altra che la determini in una misura inferiore: in tal caso, infatti, la medesima clausola avrebbe ad oggetto la pattuizione dell’interesse usurario (che varrebbe a renderla nulla) e la pattuizione dell’interesse non usurario (che dovrebbe di contro sottrarla all’effetto invalidante). D’altro canto, la neutralizzazione degli effetti della disposizione che disciplini il pagamento di interessi non usurari non può derivare dall’inefficacia della previsione contrattuale concernente gli interessi usurari. Deve osservarsi, al riguardo, chi il mancato prodursi degli interessi dipende dall’effetto, caducatorio che colpisce la pattuizione contra legem. Nell’ipotesi in cui le parti abbiano convenuto (per l’indebitamento che si produca entro i limiti del fido) un saggio di interesse inferiore al tasso soglia, la relativa disposizione è valida, e non vi è modo di ritenere che ad essa si comunichi la patologia negoziale che colpisce altra pattuzione (relativa, nella specie, agli interessi sul c.d. extra fido): e se non si comunica l’invalidità, non si comunica nemmeno l’inefficacia (data dalla non spettanza degli interessi) che da quell’invalidità si origina. In conclusione, dunque, l’indebitamento oltre i limiti del fido, prodottosi in un determinato arco temporale, genera per certo interessi non dovuti, in quanto il tasso relativo si collochi oltre la soglia di legge: ma ciò non esclude che l’indebitamento entro i limiti del fido, prodottosi in altro periodo, produca interessi che il correntista debba corrispondere, ove il relativo tasso di interesse non presenti carattere usurario”.
Pertanto, applicando i suddetti principi al caso di specie, “mutatis mutandis” e parafrasando la citata massima, ne conseguirebbe che “in tema di contratto di mutuo, qualora vengano pattuiti interessi superiori al tasso soglia con riferimento agli interessi moratori, e interessi inferiori a tale tasso per gli interessi corrispettivi, la nullità della prima pattuizione non si comunica all’altra, poiché si deve valutare la singola disposizione, sebbene non esaustiva della regolamentazione degli interessi dovuti in forza del contratto”.
Ulteriori argomenti addotti da coloro che sostengono la non accoglibilità della tesi della “comunicabilità” del vizio del tasso di mora al tasso corrispettivo sono i seguenti: a) il principio di simmetria/omogeneità di confronto (arg. ex Cass., 22.6.2016, n. 12965) postula che sarebbe irragionevole valutare l’usurarietà o meno degli interessi applicati al prestito, quando lo sconfinamento avvenga ad opera di poste passive – quali gli interessi di mora – che non siano state tenute in considerazione per la determinazione del limite di usura; b) la valutazione di usurarietà attiene alla fase fisiologica del rapporto e non già a quella patologica, che trova il suo fondamento nel comportamento volontario o colposo delle parti; c) l’incidenza del tasso di mora sul costo complessivo del contratto non può essere determinata a priori in quanto dipende dall’ammontare del capitale scaduto e non pagato e dal periodo di mora. Ed infatti, gli interessi corrispettivi sono calcolati sull’intero capitale e per tutta la durata del contratto, motivo per il quale già al momento dell’accordo è possibile accertare il costo del finanziamento.
La Corte, però, ritiene di aderire all’ opposta tesi, che ritiene che la nullità della clausola degli interessi moratori per superamento del tasso soglia travolga anche la clausola che fissa gli interessi corrispettivi, determinando così la gratuità del mutuo.
Tale orientamento giurisprudenziale, si basa sulla considerazione che il ritardo colpevole non può giustificare un’obbligazione eccessivamente onerosa e contraria al principio generale posto dalla L. n. 108 del 1996; la quale tende ad assicurare una copertura completa dall’usura, estesa a tutti i costi dell’operazione di credito; dai costi immediati a quelli procrastinati, da quelli ricorrenti a quelli occasionali. La riforma in materia intervenuta con la menzionata legge (che ha inciso, in particolare, sull’art. 1815 c.c. e sull’art. 644 c.p.) ha assimilato l’usura penalmente rilevante (cioè la c.d. usura presunta; art. 644 co. 1 e co. 3, primo periodo, c.p.) con l’usura pecuniaria ad interessi di cui all’art. 1815 c.p., prevedendo un’omogeneità del fenomeno sul piano penale e su quello civile. Pertanto, per determinare il tasso di interesse usurario non si può non tenere conto di quanto disposto dall’art. 644 co. 4 c.p. a tenore del quale; “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegato alla erogazione del credito”. Si aggiunga che l’art. 1, co. 1 del D.L. n. 394 del 2000 convertito poi nella L. n. 24 del 2001, di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., dispone che “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. Pertanto, è il legislatore che, anche nell’ambito di questa norma, espressamente chiarisce che nello stabilire l’usurarietà o meno del contratto occorre tenere conto degli interessi dovuti a qualsiasi titolo e che il momento al quale riferirsi per verificare l’eventuale usurarietà, sotto il profilo sia penale che civile, è quello della conclusione del contratto a nulla rilevando il pagamento degli interessi. Con la conseguente irrilevanza della circostanza addotta dalla pane appellata che in concreto la norma che fissa gli interessi moratori sia rimasta inoperativa, non essendo mai stati applicati gli interessi moratori nel corso del rapporto.
In base a tale normativa, si deve quindi ritenere che anche gli interessi di mora sono soggetti al rispetto delle soglie d’usura. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurati, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori” (Cass. Civ., Sez. 6 – 1, ordinanza n.5598 del 06/03/2017). Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in sede di opposizione allo stato al passivo e con riferimento al credito insinuato da una banca, aveva escluso la possibilità di ritenere usurari gli interessi relativi a due contratti di mutuo in ragione della non cumulabilità degli interessi corrispettivi e di quelli moratori.
Tale principio è stato poi ribadito dalla successiva ordinanza n. 23192/207, con cui la S.C. ha affermato: “è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324).
Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso (Cass. ord. 5598/2017; con principio già affermato da Cass. 14899/2000)”.
Si deve aggiungere che la rilevanza degli interessi moratori ai fini del computo del c.d. tasso soglia non trova un ostacolo nel fatto che essi non concorrono a determinare il TEGM (ossia il tasso effettivo globale medio applicato per operazioni omogenee in un determinato periodo sulla base del quale si determina il c.d. tasso soglia). Infatti, come osservato in dottrina, la mancata considerazione del tasso degli interessi moratori tra gli elementi da considerare ai fini della determinazione del TEGM si spiega in considerazione del fatto che tenere conto di tale misura, anziché solo di quella degli interessi corrispettivi, innalzerebbe sensibilmente il livello del TEGM e quindi il c.d. tasso soglia, rendendo più rara l’eventualità che il cliente possa invocare l’usurarietà, quanto meno con riferimento all’ipotesi di uno sviluppo fisiologico del rapporto nel corso del quale siano venuti in rilievo i meri interessi corrispettivi. Ciò appare irragionevole, considerato che l’applicazione dei tassi moratori nei singoli concreti rapporti contrattuali è meramente eventuale.
Argomento decisivo per aderire alla tesi che dal superamento del tasso soglia, discenda, ai sensi dell’art. 1815 co. 2 c.c., non solo la nullità della clausola con la quale sono stati convenuti gli interessi, espressamente comminata, ma anche la sanzione civile della gratuità del contratto, è quella che il legislatore con la riforma intervenuta con la L. n. 108 del 1996 ha inteso prevedere quale sanzione a carico del mutuante la non debenza degli interessi in aggiunta alla nullità della clausola usuraria. Il seconda comma dell’art. 1815 c.c. prevedeva che nel caso fossero stati convenuti interessi usurari “la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti nella misura legale”, sicché l’intenzione del legislatore di inasprire la conseguenza della usurarietà degli interessi, passando cioè dalla debenza degli interessi legali a quella della non debenza di interessi, verrebbe tradita, seguendo l’opposta tesi della non estensibilità del vizio del tasso di mora al tasso corrispettivo, poiché, mentre prima della riforma erano dovuti gli interessi legali oggi sarebbero dovuti gli interessi corrispettivi, di norma maggiori rispetto ai primi.
Ne consegue, applicando alla presente controversia tale secondo orientamento giurisprudenziale dell’estensibilità del vizio del tasso di mora al tasso corrispettivo, che la domanda deve essere accolto, atteso che risulta dalla documentazione in atti che il contratto di mutuo oggetto di controversia contemplava interessi di mora superiori al tasso soglia. Infatti l’art. 5 del contratto, stipulato il 6/2/2004, disponeva che gli interessi di mora erano dovuti nella misura dell’8,31%. Mentre dalla comunicazione della B.I. concernenti la rilevazione dei tassi soglia per il primo trimestre 2004 risulta che il tasso rilevato per tale periodo per le operazioni bancarie aventi ad oggetto i mutui era del 4,24%; per cui aumentando il tasso rilevato della metà, il tasso soglia per le operazioni di mutuo era del 6,36%
Ne consegue, in accoglimento dell’appello, che la Banca convenuta deve essere condannata al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 28.017,90, oltre interessi dalla data della domanda e fino all’effettivo soddisfo.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo. I compensi si liquidano in base al D.M. n. 55 del 10 marzo 2014. Tenendo presente che il valore della causa è prossimo al minimo dello scaglione di valore della causa che, ai sensi dell’art. 5, è da Euro 26.001 a 52.000, ed escludendo il compenso della fase istruttoria e/o di trattazione (non essendo stata espletata attività istruttoria e/o di trattazione sia in primo che in secondo grado), i compensi si determinano in Euro 3.800,00 per il primo grado di giudizio e in Euro 4.200,00 per il secondo grado di giudizio. Su tali somme è dovuto il rimborso forfetario spese generali nella misura del 15%, oltre IVA e CAP come per legge.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, pronunciando sull’appello avverso l’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del Tribunale di Bari del 28/11/2013, depositata il 2/12/2013, proposto da (…) con atto di citazione notificato il 30/12/2013, e nei confronti della Banca (…);
sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti, così provvede:
1) accoglie l’appello e, per l’effetto, accoglie la domanda introduttiva del giudizio e condanna Banca (…) al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 28.017,90, oltre interessi dalla data della domanda e fino all’effettivo soddisfo;
2) condanna Banca (…) al pagamento, in favore degli attori, delle spese del doppio grado di giudizio che liquida per il primo grado in complessivi Euro 4.033,000 di cui Euro 233,00 per spese ed Euro 3.800,00 per compensi, e per il presente grado di giudizio in complessivi Euro 4.883,00 di cui Euro 683,00 per spese ed Euro 4.200,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali nella misura del 15%, IVA e CAP come per legge.
Così deciso in Bari il 27 aprile 2018.
Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2018.