L’invio di una e-mail, dal contenuto offensivo, destinata sia all’offeso sia ad altre persone (almeno due) integra il delitto di diffamazione in ossequio al medesimo principio enucleato per la corrispondenza tradizionale.
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Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|8 aprile 2021| n. 13252
Data udienza 4 marzo 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere
Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. MOROSINI Elisabetta – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/06/2019 del TRIBUNALE di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere MOROSINI Elisabetta Maria;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale GIORDANO Luigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio perche’ il fatto, qualificato ai sensi dell’articolo 594 c.p., u.c., non e’ previsto dalla legge come reato.
lette le conclusioni del difensore di parte civile, avv. (OMISSIS), che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata e la rifusione delle spese di giudizio quantificate come da nota spese.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Roma ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di (OMISSIS) per il reato di diffamazione, commesso ai danni di (OMISSIS) e consistito nell’avere inviato una e-mail all’offeso e ad altre dieci persone (facenti parte di un “vecchio” gruppo di lavoro) del seguente tenore: “ecco 1gallina che ha fatto l’uovo: (OMISSIS)”; “perche’ tutti lo sanno che sei uno stronzo, lo faccio per evitarti i sorrisetti che inevitabilmente compariranno sui loro volti Ringraziamo di questo Addio cazzone”.
Con la medesima sentenza il Tribunale, in accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile, ha aumentato da Euro 500,00 ad Euro 5.000,00 l’entita’ del danno liquidato in favore della stessa.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, tramite il difensore, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo denuncia violazione di legge per la mancata qualificazione del fatto ai sensi dell’articolo 594 c.p. e conseguente declaratoria di assoluzione per non essere il fatto previsto dalla legge come reato.
Sostiene il ricorrente che la persona offesa era un componente del gruppo destinatario delle e-mail e dunque ha percepito l’offesa del (OMISSIS) quasi “in tempo reale”, come dimostra la successione dei messaggi.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in punto di diniego della esimente, quantomeno putativa, di cui all’articolo 599 c.p., comma 2.
Il Tribunale ha escluso la configurabilita’ della provocazione, dato che i rancori tra le parti risalivano a diversi anni prima del fatto.
In realta’ la scriminante era stata invocata in relazione alla immediata reazione conseguente alla provocazione della persona offesa:
– l’imputato aveva inviato una e-mail ingiuriosa soltanto a (OMISSIS) (“Ma vai a farti fottere ladro che non sei altro”);
– questi gli aveva risposto: “perche’ non mandi a tutti la mail che hai mandato solo a me qualche minuto fa-“;
– cosi’ provocato, l’imputato, in stato d’ira, aveva reagito scrivendo, subito dopo, a tutto il gruppo.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in merito alla quantificazione del danno liquidato in favore della parte civile.
La motivazione offerta dal giudice di merito circa i parametri di liquidazione del danno sarebbe scarna e inadeguata.
Il Tribunale ha sopravvalutato la valenza offensiva delle espressioni utilizzate dal (OMISSIS).
In realta’ la lesione della reputazione professionale del (OMISSIS) sarebbe minima, dato che le offese sono state comunicate a un ristretto numero di colleghi legati da pregressa conoscenza.
La liquidazione e’ eccessiva e sproporzionata anche alla luce dei parametri per la liquidazione del danno da diffamazione stilati dall’osservatorio di Roma sulla giustizia civile (da 1.000 Euro a 10.000 Euro in caso di danno lieve).
3. Nessuna delle parti ha avanzato richiesta di discussione orale, dunque il processo segue il cd. “rito scritto” ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8. Il Procuratore generale e il difensore della parte civile hanno trasmesso, tramite posta elettronica certificata, le rispettive conclusioni nei termini in epigrafe trascritti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. Il primo motivo e’ infondato.
2.1. Il comma 1 del previgente articolo 594 c.p., puniva “chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente”.
Il comma 2 assoggettava alla stessa sanzione l’offesa dell’onore o del decoro arrecata “a distanza” ossia con comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti e disegni diretti alla persona offesa.
Il comma 4 contemplava, infine, un’aggravante nel caso in cui l’offesa fosse commessa in presenza di piu’ persone. Tale aggravante, che presupponeva la presenza di piu’ persone oltre l’offeso, non era riferibile all’ipotesi di ingiuria a distanza, considerata nel ricordato dell’articolo 594, comma 2.
La norma incriminatrice e’ stata abrogata per effetto del Decreto Legislativo n. 7 del 2016.
Essa, tuttavia, continua a fornire un necessario parametro di riferimento nella tipizzazione del delitto di diffamazione alla luce del successivo articolo 595 c.p., che tuttora punisce: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con piu’ persone, offende l’altrui reputazione”.
Ponendo a raffronto il dettato delle norme si ottiene che:
– l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone;
– l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario; se la comunicazione “a distanza” e’ indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione;
– l’offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.
La Corte di cassazione ha affermato, ripetutamente, che la missiva a contenuto diffamatorio diretta all’offeso e ad altri destinatari (almeno due) configura il reato di diffamazione, stante la non contestualita’ del recepimento delle offese (Sez. 5, n. 18919 del 15 marzo 2016, Lagana’, Rv. 266827; Sez. 5, n. 44980 del 16 ottobre 2012, Nastro, Rv. 254044); a seguito dell’abolizione del reato di ingiuria, finisce per confluire nel medesimo orientamento anche quello piu’ tradizionale che ravvisava, in dette comunicazioni, oltre al reato di diffamazione (indubbiamente sussistente) anche, e in concorso con esso, il reato di ingiuria, ora depenalizzato (tra le altre Sez. 5, n. 48651 del 22 ottobre 2009, Nasce’, Rv. 245827; Sez. 5, n. 12160 del 4 febbraio 2002, Gaspari, Rv. 221252).
2.2. E’ la nozione di “presenza” dell’offeso ad assurgere a criterio distintivo e tale concetto implica necessariamente la presenza fisica, in unita’ di tempo e di luogo, di offeso e spettatori ovvero una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile realizzata con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (cal/ conference, audioconferenza o videoconferenza (Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, Badalotti, non massimata).
L’evoluzione dei mezzi di comunicazione potrebbe ingenerare confusione circa le nozioni di “presenza” e “distanza”, imponendo una riflessione ulteriore.
2.2.1. I numerosi applicativi attualmente in uso per la comunicazione tra persone fisicamente distanti non modificano, nella sostanza, la linea di discrimine tra le due figure come sopra tracciata, dovendo porsi solo una particolare attenzione alle caratteristiche specifiche del programma e alle funzioni utilizzate nel caso concreto.
Molti programmi mettono a disposizione degli utenti una variegata gamma di servizi: messaggistica istantanea (scritta o vocale), videochiamata, chiamate cd. “VoIP” (conversazione telefonica effettuate sfruttando la connessione internet). Sono state sviluppate diverse piattaforme per convocare riunioni a distanza tra un numero, anche rilevante, di persone presenti virtualmente. Le medesime piattaforme permettono di scrivere, durante la riunione, messaggi diretti a tutti i partecipanti, ovvero a uno o ad alcuni di essi.
Per tale ragione il mero riferimento a una definizione generica (chat, call) o alla denominazione commerciale del programma e’, di per se’, privo di significato e foriero di equivoci, laddove non accompagnato dalla indicazione delle caratteristiche precise dello strumento di comunicazione impiegato nel caso specifico.
2.2.2. Come detto, rimane fermo il criterio discretivo della “presenza”, anche se “virtuale”, dell’offeso; occorre dunque ricostruire sempre l’accaduto, caso per caso: se l’offesa viene profferita nel corso di una riunione “a distanza” (o “da remoto”), tra piu’ persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso, ricorrera’ l’ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di piu’ persone (fatto depenalizzato). E’ questo, ad esempio, il caso deciso da Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742, che ha qualificato come ingiuria l’offesa pronunciata nel corso di un incontro tra piu’ persone, compreso l’offeso, presenti contestualmente, anche se virtualmente, sulla piattaforma Google Hangouts.
Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione.
2.3. Nella fattispecie – a parte una e-mail inviata solo all’offeso – l’imputato e’ stato condannato per il delitto di diffamazione per aver spedito all’offeso e ad altre dieci persone una e-mail contenente epiteti palesemente offensivi (“sei uno stronzo”, “Addio cazzone”) rivolti alla persona offesa indicata per nome (” (OMISSIS)”).
2.3.1. In sostanza le e-mail non sono altro che lettere in formato elettronico recapitate dalla casella di posta del mittente a singoli destinatari, non contestualmente presenti.
Deriva che nel caso quale quello in rassegna – di invio di una e-mail, dal contenuto offensivo, destinata sia all’offeso sia ad altre persone (almeno due) – e’ ravvisabile il delitto di cui all’articolo 595 c.p., in ossequio al medesimo principio enucleato dalla Corte di cassazione per la corrispondenza tradizionale (cfr. sopra paragrafo 2.1.).
2.3.2. In tal senso si pone il piu’ recente e prevalente orientamento di legittimita’, secondo cui l’invio di e-mail a contenuto offensivo integra il reato di diffamazione anche nell’eventualita’ che tra i destinatari del messaggio di posta elettronica vi sia l’offeso (Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, De Felice, Rv. 250459; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Nastro, Rv. 254044; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, Segagni, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, Badalotti, non massimata; Sez. 5., n. 311 del 20/09/2017, dep. 2018, Orlandi, non massimata; Sez. 5, n. 14852 del 06/03/2017, Burcheri, non massimata).
Di particolare interesse le motivazioni:
– della sentenza Segagni (Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, cit.) che rileva come i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’ in tema di corrispondenza tradizionale rimangano validi “anche qualora la corrispondenza con piu’ destinatari avvenga per via telematica, in quanto, se e’ vero che la digitazione della missiva avviene con unica azione, la sua trasmissione si realizza attraverso una pluralita’ di atti operati dal sistema e di cui l’agente e’ ben consapevole”;
– della sentenza Badalotti (Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, cit): “Tali conclusioni (sulla configurabilita’ della diffamazione ne/le comunicazioni a distanza diretta a piu’ persone oltre all’offeso) non mutano se alla comunicazione epistolare tradizionale si sostituisce, per effetto dell’evoluzione tecnologica, l’invio di una missiva per posta elettronica che includa fra i destinatari sia la persona offesa, sia gli ulteriori soggetti portati a conoscenza dell’offesa, trattandosi di strumento moderno che realizza, con semplicita’ ed efficacia esponenziali, il medesimo risultato in passato ottenuto con l’invio di una pluralita’ di lettere a piu’ destinatari. Ed anche in questo caso, occorre notare per chiarezza, l’autore pone in essere una condotta specifica rivolta a comunicare il messaggio a ciascuno dei destinatari prescelti, digitando il suo indirizzo di posta elettronica nell’apposita casella, e sorregge psicologicamente tale azione con coscienza e volonta’, rappresentandosi e volendo le conseguenze della condotta realizzata”.
Alla luce di tale assetto giurisprudenziale, possono ritenersi definitivamente superate le decisioni di segno contrario (Sez. 5, n. 16425 del 10/04/2008, Gabardo, Rv. 239833 e Sez. 5, n. 24325 del 20/04/2015, R., Rv. 263911, quest’ultima, per il vero, solo apparentemente difforme, posto che, come osserva Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, Badalotti: “risulta esclusivamente focalizzata sulla volonta’ offensiva del mittente, in concreto esclusa per i pessimi rapporti fra destinatario della lettera e persona offesa, e resa in un contesto in cui non era prospettabile la diffamazione perche’ la lettera era stata indirizzata a una sola persona”).
2.3.3. Ne consegue che la condotta dell’imputato si inquadra nel reato di diffamazione.
3. Il secondo motivo e’ manifestamente infondato.
La provocazione richiede “il fatto ingiusto”, nozione alla quale rimane estranea la mera sfida priva di connotazioni contra ius (“perche’ non mandi a tutti la mail che hai mandato solo a me qualche minuto fa-“).
4. Il terzo motivo e’ per un verso generico e per altro manifestamente infondato.
L’essere la motivazione “scarna e inadeguata” (come eccepisce il ricorso) non integra alcun vizio tra quelli indicati dall’articolo 606 c.p.p., comma 1.
In realta’ il giudice di appello – nell’accogliere sul punto il gravame della parte civile, incrementando da Euro 500 ad Euro 5.000 l’entita’ del danno – ha esposto, in modo stringato ma non per questo illogico, i criteri adottati per la liquidazione equitativa: “espressioni gravemente diffamatorie manifestate in contesto lavorativo tra numerosi colleghi, oltre 10”.
Peraltro la censura racchiude, nel suo sviluppo, le ragioni della propria manifesta infondatezza, laddove evoca la violazione di un parametro (da 1.000 Euro a 10.000 Euro in caso di danno lieve) che il giudice di merito ha rispettato.
5. Discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che, avuto riguarda a natura e caratteri dell’opera prestata, possono liquidarsi in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.000 oltre accessori di legge.
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