l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., previsto in materia di vendita con riserva della proprietà, al leasing traslativo risponde, come chiarito in più occasioni dalla Suprema Corte, “all’esigenza di correggere e ripristinare l’equilibrio sinallagmatico – alterato, nelle convenzioni demandate all’autonomia negoziale delle parti, dall’ingiustificato favore per il concedente al quale verrebbe spesso pattiziamente consentito di ricavare, dall’inadempimento della controparte, più di quanto egli avrebbe titolo di ottenere dal regolare adempimento del contratto.
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Tribunale Milano, Sezione 6 civile Sentenza 23 gennaio 2019, n. 620
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MILANO
SESTA SEZIONE CIVILE
In persona del giudice unico Dr. Michela Guantario ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 44714/2015 ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2015 trattenuta in decisione all’udienza di precisazione delle conclusioni del giorno 11.07.2018 vertente
TRA
(…) s.r.l. in liquidazione e concordato preventivo omologato CF (…) in persona del liquidatore avv. An.Mi. elettivamente domiciliato in Catania via (…) presso lo studio dell’avv. Ro.Li. che lo rappresenta e difende per delega in calce all’atto di citazione
attore
E
(…) s.p.a. CF (…) quale avente causa di (…) s.p.a. (già (…) s.p.a. e, ancor prima, (…) S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in Milano piazzetta (…) presso lo studio degli avvocati Vi.Be. e Fa.Fu. che lo rappresentano e difendono per delega a margine dell’atto di citazione
convenuto
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Il presente giudizio veniva introdotto da (…) S.r.l. in liquidazione e concordato preventivo omologato, al fine di ottenere, in estrema sintesi: l’accertamento dell’applicabilità dell’art. 1526 c.c., a seguito della risoluzione del contratto di leasing n. (…) del 18.11.2005, stipulato tra la società attrice e (…) s.p.a., in luogo della clausola pattizia di cui all’art. 15 del contratto da dichiararsi nulla; l’accertamento, anche ai sensi dell’art. 1384 c.c., del diritto della società attrice di scomputare, da quanto dovuto alla società convenuta a seguito dell’inadempimento alle obbligazioni assunte, il valore dell’immobile oggetto del leasing al momento della risoluzione; la condanna di (…) s.p.a. (già (…) s.p.a. e, ancor prima, (…) S.p.A.), a corrispondere alla società attrice la differenza tra quanto alla stessa dovuto da (…) s.r.l., da accertarsi in misura corrispondente a quanto risultante dalla proposta di concordato preventivo omologato n. 5/2014 e il valore dell’immobile sopra indicato.
A sostegno della domanda parte attrice deduceva:
che parte convenuta esercitava in data 17.07.2013, nel corso della procedura concordataria promossa da (…) s.r.l., il diritto alla risoluzione del contratto di cui sopra, ai sensi e per gli effetti di cui alla clausola risolutiva espressa di cui all’art. 14 del contratto; che, tuttavia in esito alla risoluzione, non si attivava per ottenere la restituzione dell’immobile;
che le conseguenze della dedotta risoluzione dovevano essere quelle di cui all’art. 1526 c.c., attesa la nullità della clausola di cui all’art. 15 comma 4 delle condizioni generali di contratto in quanto “per la sua attuazione à lasciata ampia ed intollerabile discrezionalità al Concedente per quel che riguarda i termini, le modalità e le condizioni di vendita”;
che, in ogni caso, sussisteva ex art. 1384 c.c. il diritto della società attrice di scomputare da quanto dovuto alla società convenuta a seguito dell’inadempimento, il valore dell’immobile oggetto del leasing al momento della risoluzione, in quanto (…) s.p.a. non si era attivata tempestivamente al fine di porlo in vendita; che, pertanto, sussisteva in capo al (…) s.r.l. in concordato un credito nei confronti di (…) S.p.A. pari alla differenza tra quanto alla stessa dovuto da (…) s.r.l., da accertarsi in misura corrispondente a quanto risultante dalla proposta di concordato preventivo omologato n. 5/2014 e il valore dell’immobile come parimenti stimato in sede concorsuale.
(…) s.p.a., quale avente causa di (…) S.p.A. (già (…) s.p.a. e, ancor prima, (…) S.p.A.), costituendosi, chiedeva che la domanda avanzata da parte attrice fosse rigettata, sostenendo l’applicabilità della disciplina pattizia al rapporto in oggetto e deducendo che il mancato recupero del bene, ancora all’epoca della costituzione, era dipeso dalla scarsa collaborazione della società utilizzatrice, anche successivamente all’apertura della procedura di concordato; deduceva inoltre che l’importo da scomputare dalla penale convenuta avrebbe dovuto essere, in ogni caso, pari a quanto effettivamente ricavato dalla società concedente a seguito della riallocazione del bene sul mercato.
In sede di udienza di p.c. (…) s.p.a. allegava e documentava di aver ricevuto una proposta da terzi per l’acquisto dell’immobile in oggetto per Euro 2.000.000,00.
Tanto premesso, pacifica l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto per cui è causa, per inadempimento della società utilizzatrice, deve affermarsi, nel caso di specie, l’applicabilità della disciplina pattizia di cui all’art. 15 delle condizioni generali di contratto.
In base a tale disposizione, nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, lo stesso avrebbe dovuto restituire l’immobile al concedente e corrispondergli i canoni ancora insoluti a quella data; la società di leasing avrebbe inoltre potuto trattenere i canoni già versati e richiedere i canoni periodici non ancora maturati e il prezzo pattuito per l’esercizio del diritto di acquisto, attualizzati, detratto quanto ricavato a seguito della vendita del bene o diversa ricollocazione dell’immobile.
La diversa prospettazione di cui in citazione, secondo la quale al rapporto in esame dovrebbe applicarsi la disciplina di cui all’art. 1526 c.c., anche in sostituzione delle previsioni contrattuali, non appare condivisibile a prescindere dalla qualificazione del contratto come leasing traslativo.
Sul punto si osserva che l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., previsto in materia di vendita con riserva della proprietà, al leasing traslativo risponde, come chiarito in più occasioni dalla Suprema Corte, “all’esigenza di correggere e ripristinare l’equilibrio sinallagmatico – alterato, nelle convenzioni demandate all’autonomia negoziale delle parti, dall’ingiustificato favore per il concedente al quale verrebbe spesso pattiziamente consentito di ricavare, dall’inadempimento della controparte, più di quanto egli avrebbe titolo di ottenere dal regolare adempimento del contratto…” (Cass. 19532/2015).
Deve pertanto ritenersi che, laddove tale esigenza sia già stata superata dalla previsione concordata complessivamente valutata, non si renda necessario, né pertanto si giustifichi, il ricorso all’art. 1526 c.c., in sostituzione dell’autonoma determinazione delle parti.
Ebbene, nel caso di specie, il riequilibrio dell’assetto contrattuale può dirsi ristabilito mediante la previsione di una specifica clausola, che stabilisce l’accredito a favore dell’utilizzatore dell’importo ricavato dal concedente dalla vendita del bene, (trattasi del c.d. patto marciano, il cui effetto “salvifico” è stato più volte affermato dalla Corte di Cassazione, si veda ad es., Cass. 1625/2015); tale clausola, infatti, da un lato, garantisce al concedente di venirsi a trovare, a seguito dell’inadempimento dell’utilizzatore, nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato nell’ipotesi di sviluppo fisiologico del rapporto contrattuale, dall’altro esclude in radice il rischio di un ingiustificato arricchimento da parte della società di leasing.
A ciò si aggiunga che, invero, lo stesso art. 1526 c.c. al secondo comma prevede la possibilità di stabilire contrattualmente l’irripetibilità dei canoni versati al concedente in esito alla risoluzione del contratto, con patto avente natura di clausola penale, potendo al più il Giudice ridurre l’importo stabilito, qualora lo stesso appaia sproporzionato, considerato il complesso delle statuizioni negoziali. (sul punto Cass. 15202/2018).
La legittimità di siffatte clausole penali è stata anche di recente ribadita dalla Suprema Corte con l’ulteriore precisazione che, qualora la liquidazione del bene non avvenga, non vi può essere in concreto una locupletazione che eluda il limite, appena richiamato, ai vantaggi perseguiti e legittimamente conseguibili dal concedente in forza del contratto, fermo restando che la clausola in cui, come nel caso, non risulti richiamata la collocazione del bene a prezzi di mercato dovrà esser letta negli stessi termini alla luce del parametro della buona fede contrattuale, ex articolo 1375 c.c. (Cass. 15202/2018).
Tale precisazione consente di superare anche l’eccezione formulata da parte attrice, di nullità della clausola di cui all’art. 15 di cui sopra per violazione dell’art. 1355 c.c., non potendosi ritenere la riallocazione del bene sul mercato e il prezzo di vendita lasciati alla discrezionalità del concedente, ma piuttosto dovendosi considerare quest’ultimo tenuto in base al canone della buona fede ad attivarsi tempestivamente al fine di conseguire dalla vendita (o altro impiego) del bene il prezzo di mercato.
Nel caso di specie, pertanto, il valore da scomputare dalla penale pattiziamente convenuta è pari al prezzo di mercato dello stesso al momento della restituzione dell’immobile, in data 1.04.2016; non si ritiene infatti di poter anticipare l’epoca di stima alle precedenti comunicazioni inviate da (…) S.r.l. (doc. 6 e 7 di parte attrice) a parte convenuta, contenenti un generico invito a provvedere all’immissione in possesso dell’immobile, senza una vera e propria offerta di adempiere al proprio obbligo di restituzione.
Quanto alla stima del bene il Consulente nominato nel presente giudizio, con motivazioni congruamente motivate e prive di vizi logici che si richiamano integralmente, anche in risposta alle eccezioni dei Consulenti di parte concludeva sul punto: “tutto quanto sopra premesso, il più probabile valore di mercato della quota di 1/1 della piena proprietà degli immobili alla data della restituzione 01/04/2016 si stima in 5.760.000,00.
In particolare il Consulente precisava che il risultato “è stato ricavato da una ricerca di mercato che ha tenuto conto dei prezzi realmente richiesti e/o transati da soggetti economici reali per immobili di tipologia similare. Oltre alle ricerche specifiche e riferite al caso sul mercato della zona oggetto di stima, il sottoscritto ha tenuto conto delle pubblicazioni dell’OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate).
Sono stati considerati inoltre gli andamenti dei prezzi di mercato monitorizzati dagli studi di settore.”
Attesa, pertanto, la pluralità dei dati utilizzati per l’esame, risultati convergenti, non possono condividersi, come detto, le censure svolte da parte del Consulente di parte convenuta sulla metodologia impiegata dal C.t.u.
Parimenti non appare condivisibile la prospettazione di (…) s.p.a., secondo la quale il valore da attribuire al bene dovrebbe essere, comunque, quello della proposta ricevuta in data 9.05.2017 e cioè Euro 2.000.000,00. Premesso che la vendita a tale prezzo del cespite neppure risulta conclusasi, per quanto dedotto da (…) s.p.a. in sede di comparsa conclusionale, in ogni caso, per quanto sopra detto, in base ad un’interpretazione in buona fede della clausola di cui all’art. 15 sopra citata, il valore da considerare al fine di procedere alla riduzione della penale è quello corrispondente al valore di mercato come sopra determinato.
Alla luce di quanto sopra anche la domanda avanzata da (…) s.r.l. di vedersi corrispondere la differenza tra quanto dovuto a (…) s.p.a. ed il valore dell’immobile deve trovare accoglimento.
Sul punto occorre premettere che parte convenuta, a fronte della richiesta di parte attrice di accertare il proprio debito nei confronti di (…) s.p.a. in misura corrispondente a quanto risultante dalla proposta di concordato preventivo omologato n. 5/2014, contestava unicamente l’importo indicato quale indennità da risoluzione e non i restanti importi così indicati in citazione: debito canoni scaduti non pagati già fatturati Euro 678.150,28; debito canoni da fatturare ante concordato 2013 Euro 488.525,09; debito per canoni scaduti durante la procedura di concordato preventivo sino alla risoluzione Euro 243.414,41; interessi di mora Euro 110.379,00 (e così complessivamente Euro 1.520.468,78).
Ne consegue che, ritenendo corretto il calcolo dell’indennità da risoluzione come svolto in comparsa di costituzione e pertanto quantificato in Euro 3.3454.97,85, il credito di (…) s.r.l. deve essere quantificato in Euro 5.760.000,00 – 4.865.966,63.
Sussiste pertanto, operando la compensazione richiesta da entrambe le parti, un credito di (…) s.r.l. nei confronti di (…) s.p.a. pari ad Euro 894.033,37.
Conclusivamente, dunque, a parziale accoglimento delle domande attoree, (…) s.p.a. quale avente causa di (…) s.p.a. deve essere condannata a corrispondere a il predetto importo a (…) s.r.l. in liquidazione e concordato preventivo omologato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 in base all’importo effettivamente riconosciuto a parte attrice.
P.Q.M.
Il Tribunale Ordinario di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita, operata la compensazione tra i reciproci crediti vantati dalle parti, in parziale accoglimento della domanda attorea, condanna (…) s.p.a., quale avente causa di (…) s.p.a. a corrispondere a (…) s.r.l. in liquidazione e concordato preventivo omologato l’importo di Euro 894.033,37 oltre interessi legali dalla domanda al saldo;
condanna (…) s.p.a. alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di (…) s.r.l. in liquidazione e concordato preventivo omologato che liquida in complessivi Euro 27.804,00 per compenso professionale (valori medi sullo scaglione di riferimento)oltre iva c.p.a. e rimb. forf.;
pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di c.t.u.
Così deciso in Milano il 21 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2019.