Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 20 aprile 2018, n. 9899

 il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non puo’ mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (Cass. 24/09/2013, n. 21865; Cass. 14/05/2012, n. 7471). In particolare, e’ stato precisato che il danno non patrimoniale e’ risarcibile solo ove sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entita’ del pregiudizio (Cass. 16/02/2009, n. 3677) e che tale onere di allegazione va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche.

 

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 20 aprile 2018, n. 9899

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11617-2013 proposto da:

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 27/04/2012 R.G.N. 462/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. Generale in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda risarcitoria di (OMISSIS) fondata sulla mancata stipula da parte della convenuta societa’ (OMISSIS) s.r.l. del contratto di lavoro, nonostante il positivo superamento della prova.

1.1. Il giudice di appello, per quel che ancora rileva, ha escluso la configurabilita’ di un obbligo a contrarre a carico della (OMISSIS) s.r.l. riconoscendo la piena discrezionalita’ di quest’ultima nella scelta sul se addivenire o meno alla stipula del contratto di lavoro con il (OMISSIS); in questa prospettiva ha ritenuto prive di rilievo le deduzioni dell’appellante in ordine al carattere discriminatorio della condotta della societa’ (in quanto asseritamente fondata sulla esistenza di un procedimento penale a carico del (OMISSIS) e su una sentenza di condanna in primo grado non ancora passata in giudicato), alla connessa violazione del principio di cui all’articolo 27 Cost., comma 2, relativo alla presunzione di innocenza e delle previsioni dell’articolo 164 c.p., comma 1 e articolo 166 c.p., comma 2; la richiesta del certificato dei carichi pendenti da parte della societa’ era, infine, da ritenersi del tutto legittima, tant’ e’ che alcuna critica era stata a riguardo avanzata con il ricorso in appello. Secondo la sentenza impugnata, inoltre, la responsabilita’ risarcitoria neppure poteva farsi derivare dall’allegato affidamento riposto dal (OMISSIS) sulla conclusione del contratto e sulla conseguente rinunzia, nelle more, al reperimento di altra occupazione lavorativa essendo rimasta priva di riscontro probatorio l’allegazione del ricorrente circa le rassicurazioni a riguardo ricevute da (OMISSIS), dipendente della (OMISSIS) s.r.l., il quale, peraltro, non aveva alcun potere di impegnare la societa’.

1.2. Il giudice di appello ha ritenuto che, in ogni caso, la domanda risarcitoria doveva essere respinta in assenza di allegazione e prova del pregiudizio asseritamente sofferto (danno o morale, economico ed esistenziale) solo genericamente enunciato.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

2.1. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 27 Cost., dell’articolo 164 c.p., comma 1, dell’articolo 166 c.p., comma 2, censurando la decisione per avere escluso rilievo al fatto che la scelta della societa’ di non stipulare il contratto con il (OMISSIS) era stata determinata dalla esistenza di un procedimento penale a carico di questi; cio’ in violazione della presunzione di innocenza sancita dall’articolo 27 Cost. e delle previsioni di cui alle richiamate disposizioni del codice penale.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione in ordine alla condotta discriminatoria posta in essere dalla societa’, censurando, in sintesi, la sentenza per non fornire una rappresentazione chiara dell’iter logico seguito nel pervenire al rigetto della domanda. Assume che non era in discussione la liberta’ contrattuale della (OMISSIS) s.r.l. ma l’esercizio di siffatta liberta’ in modo discriminatorio, in violazione di diritti fondamentali della persona riconosciuti da norme comunitarie e sovranazionali (articolo 14 CEDU e articolo 21 Carta di Nizza).

Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 27 Cost., comma 2, dell’articolo 164 c.p., comma 1, dell’articolo 166 c.p., comma 2. Censura la decisione per avere, in sintesi, ritenuto legittima la condotta datoriale, omettendo di valorizzare la circostanza, rilevante ai fini dell’esclusione della pericolosita’ sociale, che il (OMISSIS) aveva ottenuto la sospensione condizionale della pena, con prognosi quindi positiva per il futuro, e che, in particolare, l’articolo 166 c.p. non consentiva che la condanna a pena sospesa costituisse di per se’ sola impedimento all’accesso a posti di lavoro pubblico o privato.

Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’articolo 3 Cost., dell’articolo 2059 c.c. in relazione all’articolo 2729 c.c., e del Decreto Legislativo n. 215 del 2003, articolo 4, comma 3 censurando, in sintesi, la sentenza di appello con riferimento al principio di parita’ di trattamento tra individui. Sostiene che la relativa violazione configurava in re ipsa un danno con onere di controparte di provarne l’insussistenza; il pregiudizio allegato, attenendo ad un bene immateriale, rendeva di particolare rilievo la prova presuntiva. Assume, inoltre, sulla base di una serie di riferimenti normativi – Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 44, comma 9 articolo 8 Direttiva 2000/43/CE e articolo 10 direttiva 200/78/CE, L. n. 125 del 1991, 4 -, la cui applicazione invoca in via analogica, la necessita’ di un alleggerimento dell’onere relativo alla dimostrazione della discriminazione.

Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 3 Cost. e Decreto Legislativo n. 215 del 2003, articolo 4 affermando l’error in procedendo della sentenza impugnata per avere omesso di porre al centro dell’iter logico deduttivo la condotta discriminatoria posta in essere dalla (OMISSIS) s.r.l.. In questa prospettiva si duole, tra l’altro, della mancata nomina da parte del giudice di appello di un consulente tecnico d’ufficio, come richiesto.

Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 3 Cost. e de3l Decreto Legislativo n. 215 del 2003, articolo 4, comma 3 censurando la decisione per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Esigenze di economia processuale e di celerita’ del giudizio, valorizzate dall’articolo 111 Cost., impongono, in applicazione del principio della cd. ragione piu’ liquida (Cass. 21/06/2017 n. 15350; Cass. 19/08/2016 n. 17214; Cass. 28/05/2014 n. 12002), di esaminare per primo il quarto motivo, inteso a censurare la statuizione con la quale il giudice di appello ha ritenuto la domanda risarcitoria non sorretta dalla allegazione e prova del dedotto danno non patrimoniale. Invero, l’accertamento dell’inadempimento della societa’ dell’obbligo a contrarre con il (OMISSIS), oggetto degli altri motivi, non potrebbe, in ogni caso, condurre ad un esito del giudizio favorevole per l’odierno ricorrente ove, come nella fattispecie in esame, dovesse rivelarsi infondato il motivo con il quale viene investita la ritenuta carenza di allegazione e prova del danno, configurante autonoma ratio decidendi alla base della sentenza impugnata.

7.1. L’assunto dal quale muove il motivo in esame in ordine alla configurabilita’ di un danno in re ipsa (con onere della prova del contrario a carico del danneggiante), conseguente alla lesione di diritti fondamentali della persona, anche di rilievo costituzionale e comunitario, risulta, infatti, destituito di fondamento alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte la quale ha costantemente affermato che il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non puo’ mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (Cass. 24/09/2013, n. 21865; Cass. 14/05/2012, n. 7471). In particolare, e’ stato precisato che il danno non patrimoniale e’ risarcibile solo ove sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entita’ del pregiudizio (Cass. 16/02/2009, n. 3677) e che tale onere di allegazione va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Cass. 13/05/ 2011, n. 10527; Cass. 21/06/ 2011, n. 13614). Parte ricorrente, in violazione dell’onere su di essa ricadente al fine della valida censura della sentenza di appello, non ha indicato, prima ancora che dimostrato mediante riproduzione delle pertinenti parti della originaria domanda, quali erano gli specifici e circostanziati elementi di fatto ritualmente allegati i quali, ove provati, avrebbero potuto, giustificare, anche solo in via presuntiva, il riconoscimento del dedotto pregiudizio non patrimoniale; ha preferito, infatti, affidarsi a considerazioni sulla sofferenza interiore del (OMISSIS) per lo “sconvolgimento esistenziale” scaturito dalla mancata stipula del contratto, le quali per la loro assoluta genericita’ non inficiano in alcun modo il decisum di secondo grado.

7.2. La violazione dell’articolo 2729 c.c., denunziata nel motivo in esame, oltre ad essere, anch’essa, inammissibilmente, affidata a considerazioni di ordine generale senza alcuna evidenziazioni delle circostanze di fatto, ritualmente acquisite al giudizio, che avrebbero potuto fondare, in via presuntiva, l’accertamento del pregiudizio non patrimoniale sofferto dal (OMISSIS), e’ comunque da respingere in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimita’, spetta al giudice di merito valutare l’opportunita’ di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimita’, dovendosi, tuttavia, rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non puo’ limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicita’ e contraddittorieta’ del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. 08/01/2015, n. 101; Cass. 02/04/2009, n. 8023; Cass. 21/10/2003, n. 15737).

7.3. Quanto sopra osservato rende ultroneo, per il suo rilievo dirimente, l’esame delle ulteriori deduzioni formulate nella illustrazione del motivo in esame che non investono la mancata allegazione e prova del danno denunziato ma il diverso profilo della prova della violazione del principio di parita’ di trattamento in relazione al quale si invoca, in via analogica, il ricorso a strumenti previsti da discipline speciali – Decreto Legislativo n. 215 del 2003, articolo 4, comma 3 vigente all’epoca dei fatti e poi abrogato dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 34, comma 33 e L. n. 125 del 1991, articolo 4.

A tanto consegue, assorbito l’esame dei motivi primo, secondo, terzo e quinto attinenti, come detto, alla verifica dell’accertamento di una condotta contra ius imputabile alla societa’ e rilevata la inammissibilita’ del sesto motivo per assoluta genericita’ dello stesso in quanto parte ricorrente, pur denunziando omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ne omette la concreta individuazione, il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio sono liquidate secondo soccombenza.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.