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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 2 marzo 2018, n. 4922
è nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullita’ vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risultera’ insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione.
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Il contratto di locazione e le principali obbligazioni da esso nascenti.
Indennità per la perdita dell’avviamento commerciale ex art. 34 L 392/1978
La successione nel contratto di locazione ad uso abitativo.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 2 marzo 2018, n. 4922
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11650/2016 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS) e dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, n. 4784/2015, depositata il 14 dicembre 2015;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dei 5 dicembre 2017 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ricorre, con tre mezzi, nei confronti dell’ (OMISSIS) (che resiste con controricorso) avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Napoli ne ha rigettato l’appello confermando la sentenza di primo grado che, per quanto ancora in questa sede interessa, in accoglimento del ricorso proposto dall’associazione, l’aveva condannata alla restituzione della somma di Euro 31.000,00 corrisposta per la locazione di immobile ad uso non abitativo, in misura eccedente al canone convenuto con il contratto scritto e registrato in data 15/9/1999 (e poi rettificato con successivo atto registrato il 25/1/2001), ancorche’ in forza di coevo separato accordo scritto.
Ha infatti rilevato la Corte territoriale che la pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato non puo’ in ogni caso ritenersi valida, in quanto segnata da una causa illecita, ossia dallo scopo di eludere il fisco, in contrasto con il principio generale antielusivo desumibile dall’articolo 53 Cost..
Ha inoltre richiamato a supporto anche i principi affermati da Cass. Sez. U 17/09/2015, n. 18213 (secondo cui, in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullita’ prevista dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non e’ sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validita’ civilistica) ritenendone l’estensibilita’ anche alle locazioni ad uso non abitativo, per identita’ di ratio ed in applicazione dei principi generali dell’ordinamento, attraverso una lettura costituzionalmente orientata della L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 79.
La ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 79; L. 9 dicembre 1998, n. 431, articolo 13; articoli 1414, 1343 e 1344 c.c.; articoli 12 e 14 preleggi, nonche’ insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere i giudici d’appello ritenuto che la disposizione di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 79, ai fini in esame, sia analoga a quella di cui alla L. n. 431 del 1998, articolo 13 e possa spiegare gli stessi effetti.
Sostiene di contro che la L. n. 392 del 1978, articolo 79, non prevede la possibilita’ di sanzionare il procedimento simulatorio elusivo che invece e’ stata attribuita alla L. n. 431 del 1998, articolo 13, ne’ puo’ essere riferito alle ipotesi di causa illecita, atteso che in essa parametro di riferimento (in rapporto al quale e’ prevista la sanzione di nullita’ delle pattuizioni contrastanti) sono le norme sulla durata del contratto e la determinazione del canone contenute nella medesima legge e non anche quelle che impongono obblighi fiscali.
Rileva, inoltre, sottoponendo a critica la contraria affermazione contenuta nella richiamata pronuncia delle Sezioni Unite n. 18213 del 2015, che ne’ la L. n. 431 del 1998, articolo 13, ne’ tantomeno la L. n. 392 del 1978, articolo 79, quali leges speciales, possono derogare o modificare le disposizioni contenute nella legge ordinaria in materia fiscale, ne’ introdurre fattispecie che disciplinano aspetti di natura tributaria o determinare la nullita’ di un contratto, ostandovi la previsione di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, articoli 1, 2 e 10 (Statuto del contribuente).
Soggiunge che una diversa lettura non puo’ considerarsi imposta dai parametri costituzionali, atteso che l’asserita disparita’ di trattamento deve considerarsi ampiamente giustificata dalla diversita’ delle fattispecie da regolare e delle posizioni da tutelare, considerato anche che il soggetto presuntivamente leso non e’ il conduttore (possibilmente cointeressato a una dichiarazione fiscale non fedele) ma il fisco.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, articoli 1, 2 e 10; L. n. 431 del 1998, articolo 13 e articolo 12 preleggi, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Sostiene – ribadendo rilievo critico gia’ svolto con il primo motivo sopra sintetizzato – che l’arresto di Cass. Sez. U n. 18213 del 2015 e, conseguentemente, la sentenza qui impugnata che ne ha sposato l’iter argomentativo, forniscono, in relazione alla portata applicativa della norma di cui alla L. n. 431 del 1998, articolo 13, una chiave di lettura giuridicamente errata del rapporto tra la normativa generale, costituita dallo Statuto dei diritti del contribuente, e la Legge Speciale n. 431 del 1998, in particolare in punto di incidenza delle norme tributarie sulla validita’ ed efficacia degli atti negoziali privatistici.
Sottopone al riguardo a critica il richiamo, contenuto nella sentenza delle Sezioni Unite, alla motivazione dell’ordinanza n 420 del 2007 della Corte costituzionale e all’ordinanza n. 242 del 2004 della stessa Corte delle leggi, assumendo che quest’ultima mostra con tali pronunce di propendere piuttosto per l’interpretazione opposta, in passato accolta da Cass. n. 16089 del 2003.
Chiede pertanto che, ai fini della revisione del principio di diritto enunciato dalla detta sentenza n. 18213 del 2015, la questione venga nuovamente rimessa alle Sezioni Unite.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia infine l’illegittimita’ costituzionale della L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, se interpretato nel senso voluto dalle Sezioni Unite e, quindi, dalla sentenza della Corte d’appello di Napoli che ad essa fa richiamo, per contrasto con gli articoli 3 e 42 Cost..
Sostiene che l’articolo 13 L. cit., se interpretato nel senso che gli obblighi assunti liberamente dalle parti non possono essere adempiuti perche’ contenuti in un documento non registrato nei termini, viola il principio affermato nella giurisprudenza della Corte costituzionale di legittimita’ di norme che impongono prestazioni fiscali in stretta correlazione (solo) con il processo e, inoltre, (viola) l’articolo 3 Cost., perche’ pone a carico del solo proprietario le conseguenze di un inadempimento, quello della registrazione, posto a carico di entrambe le parti del contratto.
4. I motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono infondati.
Sulla questione trattata sono di recente intervenute le Sezioni Unite di questa Corte che, con sentenza n. 23601 del 09/10/2017, hanno affermato, tra gli altri, il principio secondo cui “e’ nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullita’ vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risultera’ insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione”.
Tale pronuncia, cui questo collegio intende dare piena adesione, da’ risposta, con le sue ampie ed esaurienti motivazioni, a tutte le censure dedotte dalla ricorrente, le quali pertanto vanno disattese, non fornendo esse argomentazioni ulteriori in grado di condurre a un diverso convincimento.
Nel far integrale rimando a detta sentenza, puo’ qui rimarcarsi, a confutazione delle tesi sostenute dalla ricorrente, che la sanzione di nullita’ dell’accordo dissimulato sul maggior canone, il suo radicamento positivo nella previsione di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 79, l’affermata sua insanabilita’ per effetto di una successiva registrazione, trovano giustificazione nei seguenti passaggi argomentativi che giova brevemente ripercorrere:
a) il principio di tendenziale non interferenza tra le regole di diritto tributario e quelle attinenti alla validita’ civilistica degli atti, recepito nella L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 10, comma 3, ha trovato nel tempo, nella specifica materia locatizia, non consonanti interventi normativi prevedenti nullita’ testuali a presidio dell’osservanza degli obblighi tributari (L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, a mente del quale “e’ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione di immobili urbani superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”; L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 346, che ha stabilito che “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unita’ immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati”; viene anche ricordato, benche’ non piu’ in vigore, il Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23, articolo 3, commi 8 e 9, il quale aveva previsto un particolare regime in caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonche’ in caso di registrazione di un contratto di comodato fittizio e di una locazione recante un canone inferiore rispetto a quello realmente pattuito);
b) investita piu’ volte della questione di legittimita’ costituzionale di tali norme, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibili o infondate quelle riguardanti la L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1 (ord. n. 242 del 2004) e la L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346 (ord. n. 420 del 2007), in tale ultima occasione in particolare affermando che la norma censurata “non introduce ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, ma eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullita’ del negozio ai sensi dell’articolo 1418 c.c.”: passaggio questo che lasciava intendere o comunque non escludeva che la nullita’ ivi prevista non fosse propriamente o soltanto una nullita’ testuale (articolo 1418 c.c., comma 3) ma potesse intendersi anche come nullita’ virtuale (articolo 1418 c.c., comma 1) per contrarieta’ a norme imperative;
c) la giurisprudenza di legittimita’ ha a sua volta a lungo adottato un orientamento tendente a negare che la norma fiscale avesse carattere imperativo, conseguentemente affermando un principio di non interferenza fra le regole del diritto tributario e quelle attinenti alla validita’ civilistica degli atti, e tale indirizzo ha mantenuto fermo anche dopo l’introduzione, con la L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, della sanzione della nullita’ di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato nelle locazioni abitative (conseguentemente fatta oggetto di una interpretazione restrittiva in termini di mera invariabilita’ successiva della pattuizione sul canone: Cass. n. 16089 del 2003 e succ. conformi); tale orientamento e’ stato pero’ radicalmente rivisto da Cass. Sez. U. n. 18213 del 2015 che – nell’affermare che la nullita’ prevista dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone e non e’ sanabile dalla registrazione tardiva – muove dalla premessa che si tratti non solo di nullita’ testuale ma, in parte qua, anche virtuale, attesa la causa concreta del patto occulto, illecita perche’ caratterizzata dalla vietata finalita’ di elusione fiscale e, quindi, insuscettibile di sanatoria;
d) si afferma dunque nella giurisprudenza di questa Corte una diversa linea di pensiero che, sulla scorta di “indicazioni… di carattere storico-sistematico ed etico-costituzionale”, tende a riconoscere che “le disposizioni di legge successive al 1998 introducono un principio generale di inferenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validita’ del negozio, principio generale di cui e’ sostanziale conferma nel dictum dello stesso giudice delle leggi (Corte Cost. 420 del 2007)”; principio che non puo’ ritenersi contrastato dalla previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, articolo 10, comma 3, ultimo inciso (a mente del quale “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullita’ del contratto”), atteso che si e’ al cospetto di disposizioni che, circoscritte al solo ambito delle locazioni (e dunque leges speciales), non costituiscono prescrizioni di esclusivo carattere tributario, ma introducono regole di diritto civile, comminando una speciale nullita’ nei rapporti tra privati, sia pure per effetto di una violazione di carattere tributario, come autorevolmente sostenuto dallo stesso giudice delle leggi;
e) tale chiave di lettura del sistema assume particolare rilievo nel caso – quale quello all’esame delle Sezioni Unite nel recente arresto che qui si sta richiamando, ma anche nel presente giudizio – di doppia pattuizione del canone, l’una indicata in un contratto simulato e registrato, l’altra (maggiore) specificata in un atto dissimulato e non registrato;
f) al riguardo, esclusa la possibilita’ di assimilare sul piano morfologico e degli effetti civilistici l’ipotesi di totale omissione della registrazione del contratto contenente ab origine l’indicazione del canone realmente dovuto (in assenza, pertanto, di qualsivoglia procedimento simulatorio) e quella – qui in esame – di simulazione del canone con registrazione del solo contratto simulato recante un canone inferiore, cui acceda il c.d. “accordo integrativo” con canone maggiorato, l’esame di tale ultima fattispecie dalla prospettiva dell’accordo simulatorio consente di far emergere il vizio da cui essa e’ affetta: “vizio genetico, attinente alla sua causa concreta, inequivocabilmente volta a perseguire lo scopo pratico di eludere (seppure parzialmente) la norma tributaria sull’obbligo di registrazione dei contratti di locazione”;
g) ne consegue che “se tale norma tributaria si ritiene essere stata elevata a “rango di norma imperativa”, come sembra suggerire l’evoluzione normativa e giurisprudenziale piu’ recente e come precisato dalla stessa Corte costituzionale, deve concludersi che la convenzione negoziale sia intrinsecamente nulla, oltre che per essere stato violato parzialmente nel quantum l’obbligo di (integrale) registrazione, anche perche’ ab origine caratterizzata da una causa illecita per contrarieta’ a norma imperativa (ex articolo 1418 c.c., comma 1) tale essendo costantemente ritenuto lo stesso articolo 53 Cost., la cui natura di norma imperativa (come tale, direttamente precettiva) e’ stata, gia’ in tempi ormai risalenti, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5 del 1985; Cass. ss. uu. n. 6445 del 1985)”;
h) ne discende ulteriormente che, “trattandosi di un vizio riconducibile al momento genetico del contratto, e non (soltanto) ad un mero inadempimento successivo alla stipula… deve allora ravvisarsi la diversa ipotesi di una nullita’ virtuale, secondo la concezione tradizionale di tale categoria – e, quindi, tradizionalmente insanabile ex articolo 1423 c.c.: in tal caso, infatti, la nullita’ deriva non dalla mancata registrazione (situazione suscettibile di essere sanata con il tardivo adempimento), ma, a monte, dall’illiceita’ della causa concreta del negozio, che una tardiva registrazione non appare idonea a sanare”;
i) se in caso di omessa registrazione del contratto contenente la previsione di un canone non simulato ci si trova di fronte ad una nullita’ testuale L. n. 311 del 2004, ex articolo 1, comma 346, sanabile con effetti ex tunc a seguito del tardivo adempimento all’obbligo di registrazione, nel caso di simulazione relativa del canone di locazione, e di registrazione del contratto contenente la previsione di un canone inferiore per finalita’ di elusione fiscale, si e’ in presenza, quanto al c.d. “accordo integrativo”, di una nullita’ virtuale insanabile, ma non idonea a travolgere l’intero rapporto – compreso, quindi, il contratto reso ostensibile dalle parti a seguito della sua registrazione (v. sentenza citata, par. 25);
1) in tale contesto ricostruttivo la L. n. 392 del 1978, articolo 79, assume rilievo di norma speculare a quella di cui alla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, previa analoga revisione dell’esegesi tradizionale (secondo cui la sanzione di nullita’ in essa prevista ha riguardo alle sole vicende funzionali del rapporto, colpendo, pertanto, le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege, e non anche quelle convenute al momento della conclusione dell’accordo) nel senso che il patto di maggiorazione del canone e’ nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto.
5. Giova a questo punto rimarcare che, benche’ la ripercorsa pronuncia delle Sezioni Unite riguardi fattispecie bensi’ analoga ma riferita tuttavia a contratto stipulato in data 20/10/2008, mentre quella qui in esame risalga ad epoca precedente, anteriore all’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, nondimeno proprio l’operata distinzione tra la nullita’ testuale (sancita da quest’ultima disposizione in conseguenza della omessa registrazione, violazione extraformale) e la nullita’ virtuale (discendente dal vizio genetico del patto determinato dallo scopo elusivo perseguito con la simulazione e dalla sua contrarieta’ alla norma tributaria imperativa che impone l’obbligo di registrazione del contratto) e il rilievo autonomo attribuito comunque a quest’ultima, consentono di ritenere che il principio debba applicarsi anche a contratti di locazione non abitativa che, come quello di specie, siano stati stipulati anteriormente alla entrata in vigore della citata L. n. 311 del 2004.
Anche in tal caso, infatti, e certamente per la fattispecie in esame, non e’ dubitabile che l’accordo simulatorio trovi la sua causa concreta (scopo pratico) nella finalita’ di eludere il fisco, sottraendo il maggior canone dissimulato realmente pattuito all’erario (non soltanto, come rimarcato dalle Sezioni Unite, all’imposta di registro, ma anche a quella sui redditi); anche in tal caso dunque l’accordo si pone in contrarieta’ con norma, certamente ad esso preesistente, che impone l’obbligo di registrazione (integrale, fedele) dei contratti di locazione.
A tale norma, in virtu’ della descritta evoluzione ermeneutica, deve riconoscersi carattere imperativo e idoneita’ pertanto a incidere sulla validita’ degli atti civili che con essa si pone in contrasto, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1418 c.c., comma 1.
Non si tratta pertanto di fare una non consentita applicazione retroattiva della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, bensi’ di applicare norme preesistenti sia pure alla luce di una mutata interpretazione della loro forza ed espansivita’ nella gerarchia dei principi dell’ordinamento e della conseguente loro incidenza sulla validita’ degli atti negoziali privatistici.
Del resto, come opportunamente rimarcato dalle Sezioni Unite (v. sentenza citata, paragrafi da 13.2 a 13.3), la detta norma di cui all’articolo 1, comma 346, L. cit., quand’anche fosse applicabile, non potrebbe comunque svolgere un ruolo diretto ai fini della configurazione di una nullita’ (testuale) del descritto accordo simulatorio. Manca, invero, per le locazioni non abitative, una norma analoga a quella dettata per le locazioni abitative della L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, che sancisca la nullita’ testuale del patto di maggiorazione del canone. “La nullita’ e’, di converso, stabilita per l’intero contratto (e non per il solo patto controdichiarativo), in conseguenza non gia’ di un vizio endonegoziale, ma (della mancanza) di un requisito extraformale costituito dall’omissione della registrazione del contratto” (v. sentenza citata, par. 13.3).
La nullita’ (virtuale) dell’accordo simulatorio (in se’ e con i visti diversi effetti), resta dunque, ripetesi, legata (solo) alla illiceita’ dello scopo pratico perseguito, certamente ravvisabile anche prima dell’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, per contrarieta’ con norma cardine dell’ordinamento, cui non puo’ non riconoscersi carattere imperativo anche in epoca antecedente alla detta evoluzione legislativa (da intendersi solo quale motivo o occasione, per l’interprete, di una diversa prospettiva storico-ricostruttiva e di una mutata sensibilita’ etico-costituzionale).
Non sfugge che tale soluzione rende ancor piu’ accentuata, per i contratti anteriori alla L. n. 311 del 2004, la disparita’ di disciplina rispetto all’ipotesi di totale omissione della registrazione del contratto (non sanzionata da alcuna nullita’, non essendo detta legge retroattiva), ma anche in tal caso vale quanto rilevato dalle Sezioni Unite con riferimento al diverso regime della nullita’ testuale ex articolo 1, comma 346, L. cit. e della nullita’ virtuale, e cioe’ che “la diversita’ di conseguenze puo’ trovare una congrua spiegazione nella maggiore gravita’ del vizio che inficia le ipotesi simulatorie rispetto a quelle in cui manchi la registrazione del contratto tout court: un vizio genetico e voluto da entrambe le parti nel primo caso, un inadempimento successivo alla stipula di un contratto geneticamente valido, nel secondo caso”.
6. In ragione delle considerazioni che precedono deve in definitiva pervenirsi al rigetto del ricorso.
Avuto tuttavia riguardo alla complessita’ delle questioni trattate ed essendo la decisione fondata su radicale mutamento della giurisprudenza sopravvenuto al ricorso introduttivo, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese del giudizio di merito.
Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30/1/2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.