la disposizione contenuta nell’art. 1590 cod. civ. – secondo cui il conduttore deve restituire al locatore la cosa nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, “salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto” – esprime una regola generale dalla quale si ricava la possibilità di un deterioramento normale della cosa locata, conseguente all’uso corretto del bene (in conformità del contratto) oppure alla vetustà (art. 1609, primo comma, cod. civ.), che rientra nella liceità giuridica del godimento della cosa e che, dunque, il locatore è tenuto a sopportare in quanto derivante dall’utilizzo conforme al contratto.
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Tribunale Roma, Sezione 6 civile Sentenza 26 febbraio 2019, n. 3726
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinario di Roma
Sezione Sesta Civile
Il Tribunale ordinario di Roma – VI Sezione civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Roberta Nardone, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
dando lettura del dispositivo nella causa iscritta al n. 4050 del Ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2017 dandone lettura alla pubblica udienza dell’11.2.2019
TRA
(…) Avv. (c.f. (…)) e il sig. (…) (c.f. (…)) rappresentati e difesi dall’avv. Ca.Af. ed elettivamente domiciliati a Roma, in via (…)
opponenti
Contro
(…) s.r.l. in liquidazione , con sede in R., Via (…), C.F.(…), in persona del liquidatore e legale rappresentante pro-tempore Sig. (…), rappresentata e difesa dall’avv.to Agostino Gessini, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio a Roma, in piazza (…)
opposta
Fatto e diritto
In data 19.12.2016 il sig. avv.to (…) e in data 27.01.2017 il sig. (…) ricevevano la notifica del decreto ingiuntivo n. 28340/2016 emesso dal tribunale di Roma su richiesta della (…) S.r.l. in liquidazione per il pagamento della somma di Euro 20.890,88 e interessi come da domanda a titolo di restituzione del deposito cauzionale di cui al contratto di locazione del 5.1.2001, registrato il 30.01.2001 presso l’Ufficio delle Entrate di Roma 1 al n. 3/001728, concluso tra il sig. (…), padre degli opponenti, per la locazione alla (…) S.r.l. dell’immobile sito a (…), in (…) della (…), ad uso esercizio commerciale, per la vendita di abbigliamento e articoli accessori.
Avverso il predetto decreto ingiuntivo, proponevano opposizione, con due ricorsi distinti, successivamente riuniti, i sigg.ri (…), i quali eccepivano la mancanza di prova in ordine alla esistenza del deposito cauzionale compensazione con il credito per i danni arrecati dalla società conduttrice all’immobile locato nonché con il credito pari al costo delle opere e dei lavori occorrenti all’immobile per ripristinarlo nello status quo ante.
Deducevano gli opponenti che il contratto di locazione prevedeva una durata di anni sei rinnovabili e un canone mensile di Euro 6.236,00, comprensivi di rivalutazione Istat, da pagarsi entro il giorno 5 di ogni mese, e che il deposito cauzionale non era stato restituito in quanto il conduttore non aveva adempiuto a tutte le proprie obbligazioni, avendo rilasciato i locali con danni agli stessi e omettendo di eseguire i lavori di ripristino cui si era contrattualmente impegnato.
Opponevano altresì in compensazione il proprio credito per somme ben maggiori per il risarcimento dei danni cagionati dal conduttore all’immobile e in via riconvenzionale, chiedevano la condanna dell’opposta al pagamento.
Riferivano, infatti, che la società conduttrice aveva rilasciato i locali a seguito di sfratto per morosità, in forza di sentenza resa dal Tribunale di Roma, sez. VI Civ., n. 24543/2013 passata in giudicato; che il locale era stato rilasciato mediante esecuzione forzata in data 01.07.2016 e in tale sede il locatore aveva contestato il mancato ripristino dello status quo ante; che, infatti, vi era un’apertura interna per raggiungere il piano superiore che doveva essere chiusa, che doveva essere riaperta una porta per consentire l’accesso da via (…) all’appartamento al piano superiore, che era stato chiuso un accesso sicché al posto di una apertura per una porta si trovavano un muro e altre difformità (tra cui alcuni contatori di energia elettrica spostati abusivamente); che inoltre la società aveva riconosciuto in sede di rilascio la necessità di dover eliminare i danni provocati all’immobile e di effettuare lavori di ripristino. In ogni caso, quanto al deposito cauzionale invocavano l’art. 754 c.c. sicché ciascuno degli eredi avrebbe dovuto rispondere nei limiti della quota ereditaria.
Si costituiva la società opposta che contestava quanto ex adverso dedotto.
Quanto agli asseriti danni, evidenziava che il verbale di riconsegna del 1.7.2016 non li enunciava; che in tale occasione , infatti era stato solo rilevato che non era stata riaperta la porta di accesso dell’appartamento al piano primo, ma tale circostanza era stata oggetto di ferma contestazione del conduttore che aveva ribadito che tale porta era già chiusa la momento della stipula del primo contratto.
Precisava, invece, che nel rilasciare il locale aveva effettuato il lavoro più importante, ovvero il ripristino del muro di confine tra il locale di Piazza (…) e il civico 78 e di quello aperto tra i due appartamenti al piano primo, rendendo nuovamente autonomi i quattro locali appartenenti a diversi proprietari e ripristinando la originaria destinazione dell’appartamento dei sigg. (…).
Dopo aver contestato inoltre il richiamo degli opponenti all’art.754 c.c. proponeva l’opposta domanda riconvenzionale per la ulteriore somma di L. 800.000, pari ad Euro 413,16, oltre interessi legali dal gennaio 1989 per complessivi Euro 909,40 (novecentonove/40): rilevava infatti la società che dalla scrittura privata del 5.1.2001 risultava che il predetto deposito cauzionale di L. 30.000.000 era integrativo di un precedente deposito di L. 800.000 costituito nel gennaio 1989 in occasione della sottoscrizione del precedente contratto inter partes sicché il deposito era in realtà costituito dalla somma globale di Lire 30.800.000
Resistevano con memoria gli opponenti, eccependo l’inammissibilità della riconvenzionale.
Con Provv. del 25 luglio 2017 il decreto ingiuntivo veniva dichiarato provvisoriamente esecutivo e, esitata negativamente la procedura di mediazione, espletate le prove, veniva disposta CTU.
La causa veniva, quindi, decisa all’udienza dell’ 11.2.2019.
Procedendo nell’ordine , il credito della opposta relativamente al deposito cauzionale era fondato. La dazione da parte del conduttore del deposito cauzionale di Lire 30.000.000, risulta dalla ricevuta a firma del de cuius (doc.2), Sig. (…), del 05.01.2001
Non è stata ammessa l’istanza formulata dagli opponenti per la verificazione della firma apposta dal de cuius sulla detta ricevuta in quanto la ricezione della somma da parte del sig. (…) risultava anche da ulteriori molteplici elementi: il tenore del contratto di locazione, l’assegno di pari importo in favore del sig. (…) (n. (…) tratto su B. – doc. 14); l’estratto conto attestante la riscossione del titolo ad opera del locatore.
Questo giudice si è già pronunciato sul richiamo improprio dei Sig.ri (…) all’art. 754 c.c. “giacché l’obbligo di restituzione del deposito cauzionale è sorto al momento del rilascio dell’immobile, allorché il locatore era già deceduto e quindi trattasi di debito dei comproprietari tenuti solidalmente al pagamento”.
La riconvenzionale della società opposta, per la restituzione della ulteriore somma di Euro 909,40 va dichiarata inammissibile non potendosi la stessa qualificare come reconventio reconventionis – indotta cioè dalla difesa degli opponenti – ma di domanda che avrebbe potuto essere richiesta, ma non era stato fatto, in sede monitoria. Sul punto anche la recente giurisprudenza – Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16564 del 22/06/2018 – si è espressa ribadendo che
“Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una “reconventio reconventionis”.
La detta non è assimilabile tout court alla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto ai sensi delle norme di cui agli art. 36 e 167, comma 2, c.p.c., in quanto è caratterizzata dal fatto che viene introdotta esclusivamente per l’esigenza di rispondere ad una riconvenzionale del convenuto, ossia per assicurare all’attore un’adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale e/o alle eccezioni del convenuto.
Ed è questa la ragione per cui l’art. 183 comma 5 c.p.c. prevede che la cd. reconventio reconventionis debba essere formulata in conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. In ogni altro caso, all’attore è inibito proporre nuove domande nell’udienza di trattazione, rispetto a quelle proposte nell’atto introduttivo della lite, come si desume dalla previsione di ammissibilità, in deroga al suddetto divieto implicito, delle sole domande conseguenti alle difese articolate dal convenuto.
Tanto premesso va, tuttavia, revocato il decreto ingiuntivo opposto atteso il controcredito degli opponenti per danni all’immobile.
Come è noto “la disposizione contenuta nell’art. 1590 cod. civ. – secondo cui il conduttore deve restituire al locatore la cosa nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, “salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto” – esprime una regola generale dalla quale si ricava la possibilità di un deterioramento normale della cosa locata, conseguente all’uso corretto del bene (in conformità del contratto) oppure alla vetustà (art. 1609, primo comma, cod. civ.), che rientra nella liceità giuridica del godimento della cosa e che, dunque, il locatore è tenuto a sopportare in quanto derivante dall’utilizzo conforme al contratto” (Cass. n.8312.1997).
Il CTU non ha evidenziato danni prodotti dal conduttore.
Peraltro la locazione in esame è molto risalente nel tempo (almeno 1989 ).
Pertanto l’oggetto della domanda riconvenzionale riguarda esclusivamente l’accertamento circa l’adempimento da parte del conduttore degli obblighi di ripristino
Infatti nell’atto d’obbligo del 10.11.1989 il conduttore si impegnava a ripristinare lo status dell’immobile
Il CTU, incaricato di accertare lo stato dell’immobile sito in (…) piazza della R. 76, piano terra e piano primo, e in particolare verificare se l’opposto avesse ripristinato lo status quo ante al 1939 quantificando il costo ha redatto perizia verificando che lo stato attuale degli immobili è anche il risultato di interventi già effettuati dagli opponenti.
Confrontando le planimetrie catastali il CTU ha accertato che:
nelle planimetrie catastali di impianto del 1939 i tre immobili erano tutti distinti, non comunicanti e dotati di accesso diretto dalle pubbliche vie;
nel 1989 i tre locali risultavano accorpati e così rappresentati in due progetti (alla Soprintendenza e al Comune di Roma) redatti a firma della (…) nella persona dell’Arch. (…);
nel 2016, i Sig.ri (…) hanno avviato la procedura prevista per ottenere le necessarie autorizzazioni al ripristino dello status quo ante al 1939 il 26l.7.2016 veniva depositata la SCIA edilizia n.124509 e contestualmente il progetto strutturale al Genio Civile.
Il CTU ha concluso che la società opposta non ha provveduto al ripristino dello stato dei luoghi al 1939, ma ha realizzato unicamente le chiusure dei varchi murari sulle murature di confine tra i locali di parte opponente e locali di altra proprietà (sia al piano terra, sia al piano primo).
Circostanza peraltro emersa anche dall’esame dei testi della società opposta.
Infatti l’Ing. (…), che aveva “eseguito lavori di ristrutturazione nell’immobile di causa circa due anni fa” ha confermato di aver eseguito per incarico dell'(…) s.r.l. la chiusura “dei varchi che esistevano in quel momento tra i locali al piano terra di cui ai civici 77 (di proprietà dei Sig.ri (…)) e 78 (di proprietà del Sig. (…)), nonché al piano superiore il varco tra il locale (…) e il limitrofo locale proprietà (…)”.
Il teste ha peraltro confermato la presenza di una scala che collegava il locale posto al piano terra con quello soprastante, ambedue di proprietà degli (…), sulla quale non è intervenuto, e, al contrario, di aver “provveduto a separare gli impianti elettrici delle due proprietà” ((…) e (…)).
Quanto alla natura e costo degli interventi di ripristino dello status quo ante il CTU ha descritto le opere strutturali atte a ricostituire l’originario frazionamento delle singole unità immobiliari nonché le opere edili ed impiantistiche necessarie all’adeguamento dei luoghi alla vigente normativa in tema di edilizia ed urbanistica.
Eccezion fatta per la chiusura dei varchi sulle murature portanti di spina, sia al piano terra che al piano primo, che ponevano in collegamento i locali di parte opponente con ambienti appartenenti a terzi, per il resto i locali di parte opponente sono risultati, al momento della riconsegna, con la medesima conformazione esistente durante l’attività commerciale svolta dalla società opposta: precisamente i tre immobili sono risultati ancora accorpati e fusi in un unico immobile destinato all’attività, come da progetto presentato nel 1989 alla Soprintendenza.
Nel verbale di primo accesso dell’ufficiale giudiziario del 29.04.2015, in cui il sig. (…), n.q. di legale rappresentante della società (…) S.r.l. dichiarava: ” ho l’obbligo da me assunto a ripristinare lo stato dei luoghi , con atto formale datato 10.11.1989;”, impegno conforme all’atto d’obbligo, a sua firma certificata conforme all’originale dal notaio (…) fu (…), del 10.11.1989, in cui il predetto si impegnava, appunto ” … ad eseguire i lavori di sistemazione delle vetrine e degli interni dei suddetti locali in conformità al progetto approvato da codesto Ufficio; ed altresì si impegna al ripristino delle maglie murarie verticali ed orizzontali allo stato del 1939, al momento del rilascio dei suddetti locali ai rispettivi proprietari”.
Sul retro di tale scrittura si trova la dichiarazione in pari data del sig. (…) in cui si dà atto che ” oneri e responsabilità riguardanti i lavori in oggetto alla presente si intendono a carico della suddetta società conduttrice ” (all. 4, allegati al verbale di accesso dell’ufficiale giudiziario). Inoltre, nel successivo accesso del 03.06.2015, il sig. (…) ammetteva di dover eseguire i lavori: “…. io chiedo di poter sapere come dovrò ripristinare lo stato dei luoghi così come stabilito … ” (all. 5).
Il CTU ha, quindi, correttamente: a) COMPUTATO le opere da realizzare per rendere i luoghi conformi allo stato del 1939 nonché alle vigenti norme igienico-sanitarie, impiantistiche e relative alle opere strutturali; b) COMPUTATO quelle opere che NON sono state realizzate dagli opponenti per la scelta dei proprietari di disporre di una diversa conformazione dei luoghi rispetto allo stato del 1939 ( opere pertanto le predette, giustificate da esigenze proprie dei titolari del bene, e non addebitabili alla opposta).
Quanto alle opere sub a), anche replicando opportunamente, ai rilievi del difensore di parte opposta (cfr. pag13 della CTU) in ordine al conteggio in danno del conduttore di lavorazioni ed interventi che esulavano dal quesito e che non tenevano conto del deterioramento e consumo risultante dall’uso della cosa, il perito del tribunale ha correttamente evidenziato che “il ripristino non si può ricondurre ad una mera ricostituzione di un certo numero di maglie murarie”. Ancora il CTU ha correttamente evidenziato che gli obblighi di ripristino del conduttore erano estesi alla categoria catastale dell’unità immobiliare che da negozio doveva tornare ad essere appartamento con la conseguenza che “per l’ottenimento del titolo autorizzativo la posizione del bagno deve rispettare sia l’art.41 del Regolamento Edilizio di Roma sia lart.71 del D.M. 5 luglio 1975”.
Inoltre ha precisato il CTU – rispondendo alle osservazioni di parte opposta circa le opere che il conduttore non sarebbe tenuto a realizzare quali il rifacimento della pavimentazione e le finiture su pareti e soffitti – che se così non fosse si raggiungerebbe un risultato “affetto da vizi non esistenti in origine con rappezzi e disomogeneità delle finiture non annoverabili tra i meri deterioramenti e consumi derivanti dall’uso.
Il CTU ha quindi quantificato TUTTI gli interventi da realizzare per ripristinare lo status quo ante al 1939 che al netto dell’IVA di legge, ammontano a Euro 43.904,22 (pag .45 del I computo metrico allegato alla CTU).
In tale computo metrico sono state ricomprese – si esamina così il punto sub b) – quelle lavorazioni che, sebbene necessarie all’ottenimento dell’autorizzazione al ripristino dei luoghi, non sono di fatto mai state realizzate dagli opponenti per motivi di propria convenienza e che quantificate nella misura di Euro 10.256,35 andranno STRALCIATE dall’importo globale di Euro 43.904,22.
Erroneamente parte opponente ha ritenuto di sommare, invece, i due importi ritenendo dovuta la somma di Euro 54.160,57.
Esaminando i due computi metrici inseriti come allegato 13 della CTU emerge che : nel primo computo composto di 45 pagine e riportante un totale di Euro 43.904,22 sono indicate TUTTE le opere necessarie per il rispristino. Le voci di spesa non addebitabili al conduttore in quanto riferite ad opere non eseguite dal locatore per sua convenienza sono RIEPILOGATE nel secondo computo metrico, composto di n. 19 pagine (per Euro 10256,13) e riportano il segno “-2 (meno) giacché vanno DEFALCATE dal globale (cfr. a titolo esemplificativo a pag.5 del II computo “- Euro 1489,78” per il vetro stratificato per nuova vetrina contemplato anche nel primo computo metrico).
Di conseguenza la società opposta è tenuta al rimborso in favore degli opponenti della somma di Euro 33.647,87 (pari a Euro 43.904,22 meno Euro 10.256,35).
Operata la compensazione giudiziale con il debito per la restituzione del deposito cauzionale di Euro 20.890,88 residua come dovuta dalla società opposta la somma di Euro 12756,99 al cui pagamento la società va condannata con gli interessi legali dalla presente sentenza al saldo effettivo.
Stante l’esito complessivo del giudizio le spese di lite vanno poste a cario della società opposta e distratte in favore del difensore antistatario, oltre spese di CTU.
Per questi motivi
Il Tribunale di Roma, Sezione VI Civile, in persona del Giudice Dott.ssa Roberta Nardone, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (…) e (…) avverso il decreto ingiuntivo n. 28340/2016, nel contraddittorio di (…) SRL IN LIQUIDAZIONE, così decide:
accoglie l’opposizione per quanto di ragione e revoca il decreto ingiuntivo opposto;
in accoglimento della domanda riconvenzionale degli opponenti per quanto di ragione ed operata la compensazione con il credito dell’opposta per il deposito cauzionale (Euro 20.890,88), condanna la società opposta al pagamento della differenza, pari a Euro 12.756,99, in favore dei sig.ri (…) e (…) oltre interessi legali dalla presente sentenza al saldo effettivo;
condanna la Società opposta alla refusione delle spese di lite in favore degli opponenti che liquida in Euro 6.000,00 per compensi ed Euro 390,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario (15%) da distrarsi in favore del difensore antistatario e spese di CTU separatamente liquidate.
Fissa in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Roma l’11 febbraio 2019.
Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2019.