in relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola convenzionale che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, per essere “secundum legem” (L. Equo Canone, artt. 32 e 79) deve chiaramente riferirsi ad elementi predeterminati, desumibili dal contratto, ed idonei ad influire sull’equilibrio economico del rapporto, in modo autonomo dalle variazioni annue del potere di acquisto della lira; mentre è “contra legem” statuendo che la clausola è radicalmente nulla per violazione della norma imperativa se costituisce un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, con conseguente squilibrio del rapporto sinallagmatico e violazione dei limiti quantitativi previsti dal sistema normativo. L’interpretazione di tale clausola deve pertanto tener conto dell’intero contesto delle clausole contrattuali ed anche del comportamento contrattuale ed extracontrattuale delle partì contraenti.

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Tribunale Roma, Sezione 6 civile Sentenza 27 febbraio 2019, n. 2903

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale Ordinario di Roma

Sezione Sesta Civile

Il Tribunale ordinario di Roma – VI Sezione civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Roberta Nardone, nell’udienza del 6.2.2019, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, ha pronunciato, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., la seguente

SENTENZA

dando lettura del dispositivo nella causa iscritta al n. 28092 del Ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2018

tra

(…), nato a R., il (…), C.F. (…)), rappresentato e difeso – giusta procura in atti – Avvocati St.Ba. e Fi.De., presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Via (…), Roma;

– ricorrente –

e

(…) (C.F. (…)), nata in S. il (…), residente in R., in Via (…);

(…), (C.F. (…)) nato in S. il (…), residente in O., in Loc. L. di S. n.8;

(…) (C.F. (…)), nata a M. il (…), residente in P. (C.), in Via (…);

(…) (C.F. (…)), nata a M. il (…) ed ivi residente in Via (…);

(…) (C.F. (…)), nata a M. il (…) ed ivi residente in C. P.a (…);

(…) (C.F. (…)), nato a M. il (…), residente in P. (C.), in Via (…);

(…) (C.F. (…)), nata a M. il (…) ed ivi residente in Via (…);

(…) (C.F. (…)), nato a M. il (…) ed ivi residente in C.so (…);

(…) (C.F. (…)), nata a M. il (…), residente in R., in Via (…);

tutti rappresentati e difesi – giusta procura in atti – dall’Avv. EN.GI. ((…)) presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Crema (Cr), Piazza (…);

– resistenti –

FATTO E DIRITTO

Il ricorrente, subentrato in data 20.5.2014 all’originario conduttore (doc. 3 allegato al ricorso), chiedeva accertarsi e dichiarare la nullità parziale del contratto di locazione ad uso commerciale avente ad oggetto l’immobile sito in R., Via (…), concluso in data 11.2.2010 con il locatore (…), cui erano subentrati gli eredi, odierni resistenti.

Secondo la prospettazione del ricorrente, l’art. 3 lett. b), c) e d) del contratto di locazione, sancendo un aumento progressivo del canone durante il corso del rapporto (c.d. canone a scaletta), violava il disposto dell’art. 32 L. n. 392 del 1978 ed era perciò affetto da nullità ex art. 79 L. n. 392 del 1978.

Si costituivano in giudizio i resistenti, evidenziando come nel contratto fosse espressamente previsto il corrispettivo complessivamente dovuto per l’intera durata del rapporto, e come dunque la pattuizione contenuta nel citato art. 3 non costituisse altro che una legittima esplicazione dell’autonomia negoziale, avente ad oggetto una differente modulazione del canone dovuto durante la vigenza del rapporto contrattuale.

Nello svolgimento delle successive difese il ricorrente lamentava, inoltre, la violazione degli artt. 34 e 35 L. n. 392 del 1978 in quanto, in caso di rinnovo del contratto, il canone mensile dovuto sarebbe stato parametrato all’ultimo canone pagato, in ipotesi eccessivamente alto, costringendo, di fatto, il conduttore a recedere dal contratto, con conseguente perdita dell’indennità di avviamento.

In difetto di richieste istruttorie la a causa, di natura documentale, veniva decisa all’udienza del 6.2.2019 con lettura del dispositivo e motivazione riservata.

Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

L’art. 3 del contratto di locazione per cui è processo stabilisce che “il canone annuo della locazione viene concordato tra le parti secondo le seguenti modalità”: per i primo otto anni nella misura di Euro 27.600,00; per i successivi quattro anni nella misura di Euro 45.600,00; per i successivi quattro anni nella misura di Euro 50.400,00 e per i residui due anni nella misura di Euro 60.000,00, stabilendo per ogni diversa ipotesi l’ammontare del canone mensile dovuto. Il medesimo articolo stabilisce inoltre che “le parti si danno reciprocamente atto di avere fin d’ora determinato il canone dell’intero rapporto di locazione in complessivi Euro 724.200,00”.

La disposizione contrattuale, pertanto, con disposizione chiara e trasparente, prevede quale sia l’importo complessivamente dovuto per l’intera durata del rapporto, così come, in maniera altrettanto specifica e determinata, prevede la diversa modulazione del canone dovuto per i periodi di tempo individuati, specificando peraltro per ciascuno di essi l’importo del canone mensile.

Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 32 L. n. 392 del 1978, integrando, in ipotesi, di un vietato meccanismo di aumento del canone.

Sul punto la Suprema Corte ha stabilito che

“in tema di locazioni ad uso diverso da quello di abitazione, è legittima la pattuizione di un canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo, sia con pagamento di rate predeterminate per ciascun segmento temporale, sia con il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, sia correlando l’entità del rateo all’incidenza di elementi e fatti predeterminati influenti sull’equilibrio sinallagmatico, ferma l’illegittimità della clausola – risultante anche da elementi extratestuali, l’allegazione dei quali è onere della parte che invochi la nullità della pattuizione – che invece persegua il solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria in elusione dei limiti imposti dall’art. 32 della L. n. 392 del 1978, così incorrendo nella nullità ex art. 79 della medesima legge” (Cass. Sez. III, n. 22908 del 10.11.2016).

In altri termini, la determinazione di un c.d. canone a scaletta è illegittima solo ove volta ad eludere i limiti di cui all’art. 32 L. n. 392 del 1978, restando viceversa libere le parti di determinare un canone diversamente modulato in ragione del tempo. La Suprema Corte anche di recente – sent. n. 17061 del 28.7.2014 – ha ribadito che

“in relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola convenzionale che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, per essere “secundum legem” (L. Equo Canone, artt. 32 e 79) deve chiaramente riferirsi ad elementi predeterminati, desumibili dal contratto, ed idonei ad influire sull’equilibrio economico del rapporto, in modo autonomo dalle variazioni annue del potere di acquisto della lira; mentre è “contra legem” statuendo che la clausola è radicalmente nulla per violazione della norma imperativa se costituisce un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, con conseguente squilibrio del rapporto sinallagmatico e violazione dei limiti quantitativi previsti dal sistema normativo. L’interpretazione di tale clausola deve pertanto tener conto dell’intero contesto delle clausole contrattuali ed anche del comportamento contrattuale ed extracontrattuale delle partì contraenti (Cass. n. 1070/2000 e Trib. Roma sez. VI sent. n. 7644 del 18.7.2018).

Alla stregua di tale giurisprudenza, nella specie, la complessa ed articolata previsione pattizia contenuta nel menzionato art. 3 del contratto impugnato è sintomatica di esplicita contrattazione tra le parti in ordine alla diversa tempistica del pagamento dei canoni, modulata in ragione della durata del contratto.

Quale ipotesi di libera e legittima esplicazione di autonomia negoziale, tale pattuizione realizza dunque un “frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione” (operazione ritenuta lecita anche in Cass. sent. n. 22908/2016).

Nel caso che ci occupa e ripetendo i principi espressi di recente in cass,. sez.3 sent. n. 15348/2017 ” La ragione di scambio resta invariata, essendo data dal rapporto fra il godimento del bene e l’importo complessivo che, in base alla pattuizione originaria, il conduttore dovrà corrispondere nell’ambito dell’intera durata del rapporto.

Ciò che cambia, in presenza di un canone “a scaletta”, è solamente la tempistica del pagamento che, anziché avvenire in misura fissa mese per mese e anno per anno, è “spalmata”, nell’arco della durata della locazione, secondo un criterio progressivamente crescente”.

Molteplici sono le ragioni per le quali le parti possono trovare più conveniente prevedere, in luogo in un canone medio fisso, un canone progressivamente crescente, tale che in un primo momento venga alleggerito l’onere economico del conduttore, differendo al prosieguo del rapporto la corresponsione di canoni maggiorati, compensativi dello “sconto” iniziale.

Dunque, in sintesi, la predeterminazione di un canone c.d. “a scaletta” non collide con i limiti imperativi posti dall’art. 32, comma secondo, legge locaz. alle pattuizioni in tema di aggiornamento ISTAT, trattandosi di clausole preposte a funzioni assolutamente diverse.

Ad ulteriore conferma della natura non elusiva dei limiti imposti dall’art. 32 L. n. 392 del 1978, si osserva come il medesimo art. 3, al secondo comma, disciplini espressamente, e separatamente, l’aggiornamento del canone in ragione della svalutazione monetaria.

Ne consegue pertanto il rigetto del ricorso, trattandosi di aumenti del canone di locazione graduali e differenziati nel tempo, ben predeterminati sin dall’inizio del rapporto e non ancorati al mutato potere d’acquisto della moneta, né direttamente né indirettamente (Cass. Sez. VI, n. 4656 del 09.03.2015).

Con riferimento all’ulteriore doglianza mossa dal ricorrente, relativa alla violazione degli artt. 34 e 35 della L. n. 392 del 1978, si rileva come anch’essa non sia meritevole di accoglimento.

Il ricorrente deduce che la pattuizione di cui all’art. 3, in caso di rinnovo contrattuale, comporterebbe la parametrazione del canone mensile all’ultimo canone pagato, eccessivamente elevato, costringendolo pertanto a recedere dal contratto, con conseguente perdita dell’indennità di avviamento.

La premessa è tuttavia non condivisibile.

Come prima evidenziato, le parti hanno liberamente definito il corrispettivo complessivamente dovuto per il godimento dell’immobile (trovando così definizione il sinallagma contrattuale), pur modulando diversamente il canone in relazione alla durata del contratto.

In caso di rinnovo contrattuale, pertanto, troverebbero applicazione le medesime condizioni previste nel contratto liberamente stipulato, ovvero una determinazione del “canone dell’intero rapporto di locazione in complessivi Euro 724.200,00” per un periodo di tempo complessivo pari a diciotto anni.

Il canone mensile, in ogni caso , non sarebbe parametrato all’ultimo canone pagato, come ipotizzato dal ricorrente, poiché ciò si risolverebbe in una evidente violazione del sinallagma contrattuale, atteso che il corrispettivo complessivamente dovuto per il godimento dell’immobile sarebbe di gran lunga più elevato rispetto a quanto statuito dalle parti.

Il ricorso deve pertanto essere integralmente rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Per Questi Motivi

Il Tribunale di Roma, sez. VI civile, in persona del giudice dott.ssa Roberta Nardone, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (…), nei confronti di (…), (…), (…), (…), (…), (…), (…), (…), (…), così decide:

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore dei resistenti e che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario (15%).

Fissa in giorni trenta il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Roma il 6 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.