nelle vendite a lotti di aree fabbricabili, le pattuizioni contrattuali, con cui allo scopo di conferire determinate caratteristiche alle zone in esecuzione di un piano di sviluppo si impongano limitazioni alla liberta’ di utilizzare vari lotti, danno luogo alla costituzione di servitu’ prediali a carico e a favore di ciascun lotto. Affinche’ tali limitazioni siano efficaci, e’ sufficiente che nei singoli atti di acquisto venga richiamato il piano di lottizzazione e di sviluppo con i diritti e gli obblighi in esso previsti, con la loro conseguente operativita’ dopo la vendita dei primi lotti anche sulla restante proprieta’ del venditore, senza che sia necessario che su questa vengano formalmente imposte le servitu’ inserite nel predetto piano.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 15 novembre 2013, n. 25773

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere

Dott. MANNA Felice – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27859-2007 proposto da:

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SRL;

– intimata –

sul ricorso 31850-2007 proposto da:

(OMISSIS) SRL P.I. (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE UNICO P.T., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

– intimati –

avverso la sentenza n. 2127/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 01/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/09/2013 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’Avv. (OMISSIS) difensore della controricorrente e ricorrente incidentale che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso, previa riunione, per l’accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo, l’assorbimento o rigetto degli altri motivi del ricorso principale, l’accoglimento del ricorso incidentale; cassazione con rinvio.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 2-9-1997 i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) lamentavano l’illegittimita’ della costruzione di un edificio residenziale e di un corpo staccato di boxes realizzati dall’ (OMISSIS) s.r.l. su un’area in (OMISSIS) facente parte di una lottizzazione piu’ vasta, all’interno della quale era stato costruito anche l’immobile di loro proprieta’. Gli attori, in particolare, deducevano che il nuovo edificio violava la servitu’ di non edificare oltre 31.697,91 mc., costituita in virtu’ della convenzione di lottizzazione stipulata con il Comune di (OMISSIS), richiamata nell’atto di compravendita dell’immobile di loro proprieta’; in subordine, sostenevano che tale costruzione violava le norme del Piano Regolatore di (OMISSIS) in tema di densita’ edilizia. Essi, inoltre, lamentavano la violazione della servitu’ di non costruire lungo la via (OMISSIS) edifici diversi da villette e la violazione delle distanze legali. I coniugi (OMISSIS), pertanto, convenivano dinanzi al Tribunale di Milano l’ (OMISSIS), per sentir dichiarare che l’area di cui alla convenzione era stata assoggettata a servitu’ non aedificandi e altius non tollendi e che le opere in corso di costruzione erano lesive dei diritti di servitu’ degli attori ed illegittime per violazione delle norme edilizie e di quelle relative alle distanze legali, con conseguente condanna della convenuta alla demolizione delle opere abusive ovvero, in subordine e in alternativa, al risarcimento dei danni.

Nel costituirsi, la (OMISSIS) s.r.l. contestava la fondatezza della domanda, deducendo che durante la costruzione dei primi due lotti la societa’ proprietaria aveva chiesto al Comune di (OMISSIS) una variante del piano planivolumetrico allegato alla convenzione, e che a seguito del parere favorevole della Commissione Edilizia la progettazione e la costruzione erano state eseguite in virtu’ del nuovo piano planivolumetrico assentito, utilizzando i criteri di calcolo volumetrici, in parte modificati, stabiliti dal nuovo Piano Regolatore. In ogni caso, la convenuta contestava la sussistenza dei pretesi diritti di servitu’.

Intervenivano in giudizio (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

Con sentenza in data 23-5-2003 il Tribunale rigettava la domanda, condannando gli attori e gli interventori al pagamento delle spese in favore della convenuta.

Avverso la predetta decisione proponevano appello (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

Con sentenza in data 1-9-2006 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava la (OMISSIS) ad arretrare alla distanza di 5 metri dal confine le autorimesse; condannava la convenuta al pagamento della somma di euro 5.000,00, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento dei danni per la costruzione delle autorimesse a distanza inferiore a quella consentita; rigettava per il resto il gravame; condannava gli appellanti al pagamento dei due terzi delle spese del grado in favore dell’appellata, dichiarando tali spese compensate per il resto.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

L’ (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso, proponendo altresi’ ricorso incidentale, affidato a un unico motivo.

Le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’articolo 335 c.p.c..

2) Con il primo motivo i ricorrenti principali lamentano la violazione dell’articolo 37 c.p.c., n.5 e della Legge n. 205 del 2000, per avere la Corte di Appello confermato la decisione del Tribunale, che aveva ritenuto che la pretesa risarcitoria proposta dagli attori potesse essere esperita solo a seguito dell’eventuale annullamento dell’atto amministrativo nella competente sede giurisdizionale. Deducono che tale affermazione e’ erronea, in quanto le controversie tra privati, ancorche’ riferite a violazioni di regolamenti comunali edilizi ed in genere a violazioni di norme edilizie, appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario.

Il motivo e’ inammissibile, non concludendosi con la formulazione di un quesito di diritto, cosi’ come prescritto dall’articolo 366 bis c.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame.

Sussiste, inoltre, un ulteriore profilo di inammissibilita’, in quanto le doglianze mosse riguardano una questione sulla quale la Corte di Appello non si e’ pronunciata, avendola ritenuta assorbita dal rigetto dei motivi di gravame con cui gli appellanti assumevano l’esistenza di un diritto di servitu’ o di un onere reale relativo alla volumetria massima edificabile o alla tipologia costruttiva ammessa. A pag. 11-12 della sentenza impugnata, infatti, e’ stato espressamente affermato che “il profilo relativo alla carenza di giurisdizione del giudice ordinario sulla valutazione della legittimita’ della eventuale autorizzazione amministrativa alla realizzazione di una volumetria maggiore di quella originariamente consentita, in base alla disciplina urbanistica sopravvenuta…….potrebbe assumere rilievo solo qualora si ritenesse che la stessa volumetria edificabile formasse oggetto di una servitu’, o comunque di un obbligo a carico del costruttore, come si e’ invece escluso”.

3) Con il secondo motivo, articolato in piu’ censure, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c., comma 2, articoli 832, 870, 872, 873, 1027, 1058 e 1079 c.c., della Legge 1150 del 1942, articolo 28 e successive modificazioni, degli articoli 1320 e 2697 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

I ricorrenti, in particolare, deducono che la Corte di Appello ha escluso che sia stata costituita una servitu’ limitativa della volumetria edificabile di cui alla convenzione di lottizzazione, in base al rilievo che nella parte iniziale le premesse della scrittura privata autenticata il (OMISSIS) “contengono la pura e semplice descrizione della vicenda edificatoria conseguente alla lottizzazione delle aree, dalla quale non e’ certamente possibile enucleare alcun obbligo”, e che dalla interpretazione del contratto non sono desumibili “diritti ed obblighi delle parti con specifico riferimento alle limitazioni di carattere volumetrico”. Sostengono che, cosi’ argomentando, il giudice del gravame e’ incorso nella violazione dell’articolo 1027 c.c., in quanto ha confuso il diritto reale relativo al peso imposto su un fondo per l’utilita’ di un altro fondo, appartenente a un diverso proprietario, con le obbligazioni di natura personale.

Rilevano che il semplice richiamo della convenzione di lottizzazione, contenuto nei contratti di compravendita di aree lottizzate, vale a costituire servitu’ prediali tra i diversi proprietari dei lotti, aventi lo stesso contenuto della disciplina urbanistica risultante dalla convenzione di lottizzazione e, dunque, aventi la stessa disciplina limitatoria della volumetria eseguibile.

Deducono che l’affermazione secondo cui il Piano di Lottizzazione sarebbe privo di “qualunque riferimento non solo ad indici o quantita’ di carattere planivolumetrico, ma agli stessi limiti edificatori”, costituisce violazione della Legge n. 150 del 1942, articolo 28, in quanto l’essenza di qualsiasi piano di lottizzazione consiste proprio nella specifica quantificazione della volumetria costruibile. Tale affermazione, secondo i ricorrenti, risulta viziata anche sotto il profilo motivazionale, in quanto la Corte di Appello non ha prestato attenzione ai calcoli allegati alla convenzione, da cui risulta che la volumetria massima realizzabile era di mc. 31.697,91.

Sostengono che l’affermazione secondo cui con il contratto di compravendita le parti non avrebbero inteso costituire la dedotta servitu’ viola anche i canoni ermeneutici previsti dagli articoli 1362 e 1363 c.c., in quanto la Corte territoriale non si e’ attenuta al significato letterale delle clausole contrattuali, ne’ ha collegato le stesse tra loro in via logica, onde pervenire al loro significato complessivo.

Secondo i ricorrenti, la Corte di Appello ha altresi’ errato nell’escludere la pertinenzialita’ al complesso immobiliare dell’area sulla quale la societa’ (OMISSIS) ha costruito l’edifico, in base al rilievo secondo cui “non esiste alcun richiamo alla destinazione a verde pertinenziale dell’eventuale area residua”. L’area in questione, infatti, e pertinenziale al complesso residenziale, in quanto la stessa e’ gia’ stata computata in volume per la edificazione del complesso e non e’, quindi, ulteriormente edificabile.

Ad avviso degli stessi ricorrenti, inoltre, la statuizione con la quale e’ stata esclusa la configurabilita’, nelle clausole contrattuali, di un’ipotesi di onere reale, per la mancanza di una volonta’ in tal senso, viola l’articolo 1489 c.c., in quanto i vincoli di inedificabilita’ totale o parziale vengono imposti alla generalita’ dei cittadini con la forza cogente delle leggi, per cui ai fini della loro esistenza non occorre la volonta’ delle parti. Il giudice di appello, pertanto, avrebbe dovuto valutare se il nuovo edificio costruito dalla (OMISSIS) violasse o meno le norme edilizie in punto volumetria costruibile e se tali norme fossero o meno integrative.

Il motivo si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto, ai sensi del menzionato articolo 366 bis c.p.c.:

a) “Se il richiamo negli atti di compravendita frazionata di una lottizzazione convenzionata sia idoneo a trasfondere in tali atti di compravendita la disciplina legale urbanistica, oggetto della convenzione di lottizzazione, e, in particolare, se tale richiamo sia idoneo a costituire reciproche servitu’ attive e passive, tra i diversi proprietari dei lotti, di non edificare oltre la volumetria prevista nel Piano di Lottizzazione, con il conseguente diritto dei proprietari dei lotti di chiedere in caso di superamento del limite volumetrico la riduzione in pristino stato ed il risarcimento del danno”;

b) “se, in alternativa, la violazione delle norme urbanistiche di un Piano Regolatore Generale e/o di un Piano di Lottizzazione in punto volumetria costruibile all’interno di una lottizzazione in zona di espansione, comporti o meno violazione di norme integrative del codice civile ai sensi dell’articolo 872 c.c., comma 2, con conseguente diritto del soggetto leso alla riduzione in pristino ed al risarcimento danni”.

4) Il motivo non e’ meritevole di accoglimento.

Questa Corte ha piu’ volte avuto modo di affermare che, nelle vendite a lotti di aree fabbricabili, le pattuizioni contrattuali, con cui allo scopo di conferire determinate caratteristiche alle zone in esecuzione di un piano di sviluppo si impongano limitazioni alla liberta’ di utilizzare vari lotti, danno luogo alla costituzione di servitu’ prediali a carico e a favore di ciascun lotto. Affinche’ tali limitazioni siano efficaci, e’ sufficiente che nei singoli atti di acquisto venga richiamato il piano di lottizzazione e di sviluppo con i diritti e gli obblighi in esso previsti, con la loro conseguente operativita’ dopo la vendita dei primi lotti anche sulla restante proprieta’ del venditore, senza che sia necessario che su questa vengano formalmente imposte le servitu’ inserite nel predetto piano (Cass. 23-2-2009 n. 4373; Cass. 2-6-1992 n. 6652; v. anche Cass. n. 1162 del 1978; Cass. n. 829 del 1977; Cass. n. 2619 del 1974; Cass. n. 484 del 1974; Cass. n. 1528 del 1973).

E’ stato altresi’ precisato che l’accertamento dell’esistenza o meno di un piano di lottizzazione, e del riferimento ad esso negli atti di compravendita delle aree fabbricabili (quali condizioni per la costituzione di servitu’ reciproche riguardanti dette aree), attiene alla valutazione del merito e della prova e, se sorretto da adeguata e corretta motivazione, si sottrae al controllo del giudice di legittimita’ (Cass. 23-2-2009 n. 4373; Cass. 2-6-1992 n. 6652; Cass. n. 2667 del 1973).

Piu’ in generale, si rammenta che, in tema di interpretazione del contratto, l’accertamento della volonta’ degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento e’ censurabile in sede di legittimita’ soltanto nel caso in cui la motivazione risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l'”iter” logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche. La denuncia di quest’ultima violazione esige una specifica indicazione dei canoni in concreto non osservati e del modo attraverso il quale si e’ realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorieta’ del ragionamento svolto dal giudice di merito, non potendo nessuna delle due censure risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante v. Cass. 13-12-2006 n. 26683; Cass. 23-8-2006 n. 18375; Cass. 27-1-2006 n. 1754). Va ulteriormente puntualizzato che, per sottrarsi al sindacato di legittimita’, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, si’ che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimita’ che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 20-11-2009 n. 24539; Cass. 12-7-2007 n. 15604; Cass. 22-2-2007 n. 4178; Cass. 14-11- 2003 n. 17248).

Nella specie, la Corte di Appello, dopo aver correttamente richiamato i principi affermati in materia dalla giurisprudenza, ha escluso che nel caso concreto le parti, attraverso il mero riferimento nelle premesse della scrittura privata del (OMISSIS) al Piano di Lottizzazione, abbiano inteso dar vita alla servitu’ di non realizzare costruzioni eccedenti i limiti volumetrici previsti in tale Piano.

A tali conclusioni il giudice del gravame e’ pervenuto sulla base di un percorso argomentativo privo di incongruenze logiche, con cui, in particolare, ha rilevato che, per potersi ritenere costituita una servitu’, non e’ sufficiente un semplice richiamo all’esistenza di uno strumento urbanistico attuativo, ma occorre la manifestazione di un’esplicita volonta’ “di assumere quali limiti edificatori massimi quelli desumibili dalla convenzione di lottizzazione”. Esso ha osservato che, al contrario, nel caso in esame tali limiti “non sono neppure desumibili dall’atto, ne’ richiamati” E infatti, pur dando atto che la scrittura privata del (OMISSIS) richiama le sue “premesse”, qualificandole come clausole contrattuali, la Corte territoriale ha evidenziato che la parte iniziale di tali premesse contiene la pura e semplice descrizione della vicenda edificatoria conseguente alla lottizzazione delle aree; e che le previsioni contrattuali relative al Piano di Lottizzazione sono prive di qualunque riferimento non solo ad indici o quantita’ di carattere planivolumetrico, ma agli stessi limiti edificatori.

La decisione impugnata non e’ incorsa nemmeno nella dedotta violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale.

Non e’ stato, in particolare, violato l’articolo 1362 c.c., in quanto la Corte territoriale, nel ricercare la comune volonta’ delle parti, si e’ basata sul senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nella scrittura privata del (OMISSIS), rilevando che le premesse di tale atto, relative al Piano di Lottizzazione, sono prive di qualsiasi riferimento ad indici o quantita’ di carattere planivolumetrico e a limiti edificatori.

Ne’ e’ configurabile la violazione dell’articolo 1363 c.c., avendo il giudice di appello altresi’ proceduto ad una lettura coordinata del contenuto delle premesse della scrittura privata e delle altre clausole contrattuali. Esso, infatti, ha tratto elementi rafforzativi del proprio convincimento circa la mancanza della volonta’ delle parti di dar vita alle servitu’ dedotte in giudizio dagli attori e dagli interventori, dal diverso tenore della parte della scrittura dedicata a “patii e condizioni”, con cui la venditrice si e’ riservata, in modo esplicito, tra l’altro, “di dare esecuzione al programma edificatorio dei residui fabbricali che andranno a far parie del complesso immobiliare ……in conformita’ dei relativi provvedimenti autorizzativi del Comune di (OMISSIS)”, e di “costituire eventuali servitu’ attive, passive, precari e diritti di uso su parti comuni…”.

Quanto alle altre censure mosse con il motivo in esame, si rileva, in particolare, che dal contesto dell’intera motivazione risulta chiaramente che la Corte di Appello ha escluso che dalla scrittura privata del (OMISSIS) possa evincersi la volonta’ delle parti di costituire convenzionalmente una servitu’ avente ad oggetto i limiti previsti dal Piano di Lottizzazione. E’ evidente, pertanto, che nell’affermare che nelle premesse di tale atto non era possibile enucleare alcun “obbligo”, il giudice territoriale non ha affatto mostrato di concepire la servitu’ come un’obbligazione personale: esso, al contrario, ha voluto escludere che nella scrittura privata fosse presente l’assunzione dell’obbligo dell’osservanza dei limiti di edificabilita’ previsti nel Piano di Lottizzazione e che, pertanto, la sottoscrizione dell’atto in esame comportasse, attraverso il richiamo a tale Piano, la costituzione di una servitu’ avente ad oggetto siffatte limitazioni.

Sotto altro profilo, si osserva che la Corte territoriale, nel rilevare che il contenuto della premessa dell’atto di compravendita “non e’ idoneo ad essere interamente convertito in una serie di clausole contrattuali che impegnino le parti”, ha rimarcato che “in tal senso potrebbero forse valere le previsioni riguardanti la costituzione del supercondominio, ma non certamente quelle relative al Piano di Lottizzazione, prive di qualunque riferimento non solo ad indici o quantita’ di carattere planivolumetrico, ma agli stessi limiti edificatori”. Contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, pertanto, la sentenza impugnata non ha affermato che il Piano di Lottizzazione non contiene alcun riferimento ad indici planivolumetrici e limiti di edificabilita’, ma ha dato atto che “le previsioni” della scrittura privata che richiamano il Piano di Lottizzazione sono prive di qualsiasi riferimento a indici volumetrici e limiti edificatori. E, in realta’, il giudice di appello non si e’ affatto occupato della questione inerente alla volumetria massima costruibile in base al Piano di Lottizzazione e a quella in concreto realizzata dalla convenuta, ma ha circoscritto il proprio esame all’esistenza o meno di una servitu’ convenzionale avente ad oggetto i limiti edificatori previsti nel predetto Piano.

Inconferenti si palesano altresi’ le deduzioni svolte riguardo alla destinazione a verde pertinenziale dell’area sulla quale e’ stato costruito il fabbricato della (OMISSIS): la Corte di merito, infatti, non si e’ pronunciata sulla natura di tale area, essendosi limitata ad affermare che nella scrittura privata del (OMISSIS) “non esiste alcun richiamo alla destinazione a verde pertinenziale dell’eventuale area residua”.

Non si comprende, poi, il riferimento ad una pretesa violazione dell’articolo 1489 c.c., trattandosi di norma che non ha alcuna attinenza con il presente giudizio. La disposizione in questione, infatti, e’ dettata in materia di vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi, ed e’ volta a tutelare il compratore nel caso di inesattezza giuridica della prestazione dovuta, a causa dell’esistenza di oneri o diritti di godimento, dando al medesimo la possibilita’ di avvalersi dei rimedi della risoluzione o della riduzione del prezzo, dell’eccezione di inadempimento e nel risarcimento del danno.

In conclusione, il motivo in esame, nella parte in cui mira ad affermare l’esistenza di una servitu’ convenzionale avente ad oggetto il divieto di costruire oltre determinati limiti di volumetria, risulta privo di fondamento.

Le censure (e il secondo quesito di diritto, ad esse collegato) mosse per sostenere che, anche a prescindere dall’esistenza di una servitu’, la costruzione realizzata dalla convenuta ha violato le norme previste in punto volumetria dal Piano di Lottizzazione, sono invece inammissibili, avendo ad oggetto una questione che, pur essendo stata posta con i motivi di gravame, non e’ stata esaminata e decisa dal giudice di appello, e in relazione alla quale, pertanto, i ricorrenti avrebbero potuto dolersi solo sotto il profilo del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.

4) Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione della Legge Regionale Lombardia n. 51 del 1975, articolo 22, degli articoli 1362 e 1263 c.c., del Decreto Ministeriale 24 aprile 1968, n. 1444 emesso in attuazione della legge urbanistica Legge 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 quinquies, degli articoli 2697 e 1027 c.c., nonche’ dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Sostengono che la Corte di Appello, facendo proprie le statuizioni del Tribunale, ha erroneamente ritenuto da un lato che la volumetria realizzabile era di mc. 33.587,91 (laddove nella convenzione di lottizzazione la volumetria costruibile era stata determinata in mc. 31.697,91), e dall’altro che, a seguito della introduzione del nuovo PRG, successivamente alla stipula della convenzione di lottizzazione, i criteri di calcolo della volumetria erano stati modificati, consentendo una maggiore cubatura edificabile, che aveva portato alla concessione edilizia rilasciata alla (OMISSIS).

Il quesito di diritto posto e’ il seguente: “Dica la Corte se un successivo Piano Regolatore possa o meno modificare il contenuto di una servitu’ costituita tra privati limitativa della volumetria edificabile nell’ambito di una lottizzazione, e, in caso negativo, dica se la maggiore volumetria realizzata da un terzo integri o meno aggravamento della servitu’ con conseguente diritto del proprietario del fondo servente di chiedere la riduzione in pristino stato ed il risarcimento del danno”.

11 motivo rimane assorbito dal rigetto del secondo motivo, in quanto l’interrogativo di diritto al quale deve darsi risposta, cosi’ come formulato, si basa sul presupposto, rivelatosi erroneo, dell’esistenza di una servitu’ convenzionale avente ad oggetto limiti massimi di volumetria edificabile.

5) Con il quarto e il quinto motivo (che costituisce una mera reiterazione del quarto) i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1027, 1028, 1029, 1030, 1079, 1362 ss. c.c., nonche’ l’omessa e carente motivazione, in ordine alla ritenuta insussistenza della dedotta servitu’ di non edificare edifici diversi per tipologia da villette nella porzione di area lungo la via (OMISSIS).

I ricorrenti deducono, in particolare, che la Corte di Appello ha errato nell’escludere la configurabilita’ della dedotta servitu’ in base al rilievo che la clausola del contratto sembra alludere ad una facolta’ piuttosto che ad un obbligo del costruttore di edificare villette. In tal modo, infatti, il giudice del gravame ha ricostruito la fattispecie astratta della servitu’ prediale come un negozio contrattuale che implica l’assunzione di obblighi personali di una parte a favore dell’altra, laddove la servitu’ e’ un diritto reale che inerisce alla proprieta’ del fondo servente a favore del fondo dominante. Sostengono che e’ erronea anche l’ulteriore considerazione svolta dalla Corte territoriale, secondo cui la servitu’ in questione non e’ configurabile, essendo il riferimento alle villette “generico” e “mancante di qualsiasi indicazione sul numero delle villette e sulla loro dimensione”. Secondo i ricorrenti, infatti, nella specie il contenuto della servitu’ risulta sufficientemente individuato sulla base della semplice indicazione della tipologia costruttiva ammessa lungo la via (OMISSIS).

Il quesito di diritto viene cosi’ formulato: “Dica la Corte se, nella vendita frazionata di lotti edificabili facenti parte di una lottizzazione convenzionata, la previsione, dedotta nel regolamento supercondominiale e condominiale, nonche’ nei singoli contratti di compravendita, di destinare una porzione di area alla costruzione di villette, in parte gia’ costruite, all’atto della prima vendita, comporti o meno la costituzione di una servitu’ di astenersi dal costruire, su tale porzione, immobili diversi da villette e se la violazione di tale servitu’ comporti o meno il diritto dei proprietari dei singoli lotti di chiedere la demolizione del fabbricato ed il risarcimento del danno”.

Le censure mosse sono infondate.

Giova premettere che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, ai fini della costituzione convenzionale di una servitu’, non e’ richiesto l’uso di formule sacramentali, ma e’ sufficiente che dal contratto siano determinabili con chiarezza il fondo dominante, quello servente e l’oggetto in cui consiste l’assoggettamento di questo all’utilita’ dell’altro (tra le tante v. Cass. 20-5-2008 n. 12766; Cass. 3-7-2000 n. 8885; Cass. 29-4-1997 n.3705; Cass. 13-6-1995 n. 6680; Cass. 7-5-1987 n. 4238). Anche in tal caso, con riferimento alla natura dell’accertamento necessario al fine di stabilire se dalla clausola contrattuale siano determinabili con certezza gli elementi necessari, e’ stato precisato che l’operazione interpretativa, concretandosi in un’indagine sull’effettiva volonta’ dei contraenti in ordine all’eventuale costituzione della servitu’ prediale, costituisce un accertamento di fatto, come tale attribuito alla competenza del giudice del merito e sindacabile in sede di legittimita’ solo per motivazione incongrua o inficiata da errori logici e giuridici o per inosservanza delle regole di ermeneutica (Cass. 28-6-2000 n. 8802; Cass. 1 1-2-2000 n. 1526; Cass. 7-5-1987 n. 4238).

Nella specie, la Corte di Appello, nel ricercare l’effettiva volonta’ delle parti, ha escluso che il riferimento contenuto nella premessa del contratto del (OMISSIS) (“una residua porzione della suddetta area sara’ destinata alla costruzione di villette che non faranno parte dei suddetto complesso”) comporti la costituzione di una servitu’ negativa avente ad oggetto il divieto di realizzare nell’area interessata edifici diversi, per tipologia, da villette; e cio’ sia per la genericita’ di tale riferimento e la mancanza di qualsiasi indicazione sul numero delle villette e sulle loro dimensioni, sia, soprattutto, perche’ la formulazione di questo paragrafo della premessa allude ad una facolta’ che la venditrice ha inteso riservarsi, piuttosto che ad un obbligo che la stessa ha dichiarato di assumersi.

Tale interpretazione, che si basa sostanzialmente sulle espressioni usate nel contratto, attribuendo loro il significato ritenuto piu’ coerente con lo scopo perseguito dalle parti, non e’ sindacabile in questa sede, essendo sorretta da una motivazione immune da vizi logici, e non avendo i ricorrenti prospettato, nell’illustrazione dei motivi in esame, la lesione di specifici canoni ermeneutici, pur avendo denunciato anche la violazione degli articoli 1362 ss. c.c..

La decisione impugnata, pertanto, non merita le critiche mosse dai ricorrenti, i quali, nel sostenere che dal contratto erano desumibili tutti gli elementi costitutivi della dedotta servitu’, in realta’ tendono ad ottenere una lettura diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, al quale e’ istituzionalmente riservata l’interpretazione degli atti negoziali.

E’ poi, evidente che il riferimento contenuto nella sentenza impugnata alla mancata assunzione, da parte della venditrice, di un “obbligo”, non implica affatto che il giudice del gravame abbia considerato la servitu’ come fonte di obbligazioni di natura personale: la Corte territoriale ha semplicemente voluto escludere che la venditrice abbia inteso vincolare le aree in questione alla costruzione di villette, mediante la costituzione di una servitu’ avente ad oggetto il divieto di realizzare edifici di diversa tipologia.

6) Con il sesto motivo, condizionato al mancato accoglimento del secondo e quarto motivo ed al mancato risarcimento del danno per violazione della servitu’, i ricorrenti denunciano la violazione dell’articolo 112 c.p.c. e dell’articolo 872 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Deducono che la Corte di Appello e’ incorsa nel vizio di omessa pronuncia, non essendosi pronunciata sulla richiesta, formulata dagli appellanti, di risarcimento del danno per violazione delle norme edilizie e urbanistiche relative alla volumetria (densita’ urbanistica), che, in base alla convenzione di lottizzazione (OMISSIS), attuativa del Piano Regolatore Generale, non poteva superare i mc. 3 1.697,91.

Sostengono che, qualora si volesse ravvisare nella sentenza impugnata una pronuncia implicita di rigetto di tale domanda risarcitoria, la decisione sul punto sarebbe da considerare del tutto carente di motivazione, non avendo il giudice di appello esaminato la convenzione di lottizzazione e le copie autentiche delle concessioni edilizie, nonche’ la relazione di consulenza tecnica d’ufficio, da cui risulta che la volumetria assentita era stata fissata in mc. 31.597,91, e che la (OMISSIS) aveva saturato l’intera volumetria, tranne che per mc. 123. Da cio’, secondo i ricorrenti, la Corte di Appello avrebbe dovuto trarre la contraria decisione che erano state violate le norme urbanistiche del PRG del Comune di (OMISSIS), di cui il Piano di Lottizzazione (OMISSIS) rappresentava l’attuazione. Accertata la violazione delle norme edilizie, sempre a parere dei ricorrenti, la (OMISSIS) avrebbe dovuto essere condannata al risarcimento dei danni, da liquidarsi in via equitativa.

Il motivo, nella parte in cui denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia, e’ inammissibile, non concludendosi con la formulazione di un quesito di diritto, ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c..

Le censure mosse si rivelano inammissibili anche nella parte in cui lamentano vizi di motivazione, in quanto la sentenza impugnata non contiene alcuna statuizione, nemmeno implicita, in ordine al motivo di appello con cui si deduceva la violazione delle norme urbanistiche relative alla volumetria realizzabile e si chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento dei danni conseguenti.

Orbene, come e’ stato piu’ volte affermato dalla giurisprudenza, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attivita’ del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex articolo 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5, giacche’ siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’articolo 112 c.p.c. (tra le tante v. Cass. 23-1-2004 n. 1170; Cass. 12-12-2005 n. 27387; Cass. 4-6-2007 n. 12952; Cass. 15-5-2013 n. 11801).

8) Con l’unico motivo la ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte di Appello accolto, oltre alla domanda di demolizione, anche quella di risarcimento danni, che gli appellanti con l’atto di gravame avevano proposto in via alternativa e solo in sede di conclusioni di secondo grado avevano formulato in modo non alternativo.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Accerti la Corte se vi e’ stata violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. nell’accoglimento da parte della Corte di Appello della nuova domanda introdotta per la prima volta dai ricorrenti in sede di conclusioni del giudizio di appello”.

Le censure mosse sono fondate.

Dall’esame diretto degli atti del giudizio di merito, consentito per la natura procedurale del vizio denunciato, si evince che, con l’atto di gravame, gli appellanti hanno chiesto la condanna della societa’ (OMISSIS) alla demolizione delle opere realizzate in violazione delle distanze, ovvero, in via alternativa, al risarcimento del danno per equivalente economico.

Analoghe richieste sono state avanzate con le successive conclusioni definitive, trascritte nella sentenza impugnata.

11 giudice di appello, pertanto, avendo condannato la convenuta all’arretramento delle autorimesse costruite ad una distanza inferiore a quella di cinque metri dal confine prevista dalla disciplina regolamentare, non poteva accogliere altresi’ la richiesta di risarcimento danni. Cosi’ statuendo, esso e’ incorso nel vizio di ultrapetizione, essendosi pronunciato su una domanda che, per effetto dell’accoglimento dell’altra pretesa fatta valere in via alternativa dagli appellanti, non poteva ritenersi piu’ compresa nel thema decidendi.

Di conseguenza, la sentenza impugnata, nella parte de qua, deve essere cassata. Non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte puo’ decidere nel merito, annullando la pronuncia di condanna della convenuta al risarcimento dei danni.

9) Il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale impongono, per rigore di soccombenza, la condanna dei ricorrenti principali, in solido, al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla controricorrente, liquidate come da dispositivo.

Per il giudizio di appello, in considerazione della ridotta incidenza, nell’economia complessiva delle statuizioni adottate, della condanna al risarcimento danni, si ritiene equo confermare la statuizione della Corte territoriale di compensazione per un terzo delle spese e di condanna degli appellanti al pagamento dei restanti due terzi, nella misura liquidata nella sentenza impugnata.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, pronunciando nel merito, annulla la pronuncia di condanna della convenuta al risarcimento dei danni. Conferma le spese di appello e condanna i ricorrenti principali, in solido, alle spese del presente grado di giudizio, che liquida in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.