La morte della parte processuale costituitasi in giudizio per mezzo del proprio rappresentante legale avvenuta, come in questo caso nelle more del giudizio di appello, e non dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado e la proposizione dell’impugnazione, e’ regolata dal principio dell’ultrattivita’ del mandato, ove l’evento non sia stato dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’articolo 300 c.p.c. Tale principio, comporta che “in caso di morte o perdita di capacita’ della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattivita’ del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando cosi’ stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonche’ in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 14 maggio 2019, n. 12717
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25532-2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avv.to (OMISSIS) e dall’Avv.to (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo Studio dell’Avv.to (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv.to (OMISSIS), con domicilio ex lege in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS);
– resistente –
(OMISSIS);
– resistente –
avverso la sentenza n. 338/2017 della Corte d’Appello di L’Aquila, depositata l’08/03/2017;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 12 marzo 2019 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) ed (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi, illustrati da memoria, ricorrono per la cassazione della sentenza n. 338/2017 della Corte d’Appello di L’Aquila, depositata l’08/03/2017.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
(OMISSIS) evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Chieti, (OMISSIS) ed (OMISSIS) per ottenere che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti, ex articolo 2901 c.c., l’atto con cui (OMISSIS) aveva donato la sua quota di proprieta’ di un fabbricato al figlio (OMISSIS), nella consapevolezza di ledere le sue ragioni di credito derivanti dai lavori di ristrutturazione eseguiti su altro immobile del donante.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 80/2011, respingeva la domanda attorea.
La Corte d’Appello di L’Aquila, investita del gravame, da (OMISSIS) accogliendone parzialmente l’appello, dichiarava inefficace l’atto di donazione, condannava (OMISSIS) ed (OMISSIS) a restituire le somme loro versate in esecuzione della sentenza di prime cure e regolava la liquidazione delle spese processuali, secondo il principio della soccombenza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la nullita’ della sentenza e del relativo provvedimento per difetto di procura, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La morte di (OMISSIS) nelle more del processo di secondo grado aveva privato di validita’ la procura da lui conferita e reso priva di efficacia l’attivita’ processuale svolta dal difensore.
Il motivo e’ infondato.
La morte della parte processuale costituitasi in giudizio per mezzo del proprio rappresentante legale avvenuta, come in questo caso nelle more del giudizio di appello, e non dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado e la proposizione dell’impugnazione, e’ regolata dal principio dell’ultrattivita’ del mandato, ove l’evento non sia stato dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’articolo 300 c.p.c.
Tale principio, sin dalla pronuncia a Sezioni Unite del 2014 (Cas. s., Sez. Un., 04/07/2014, n. 15295), comporta che “in caso di morte o perdita di capacita’ della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattivita’ del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando cosi’ stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonche’ in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione” (di recente: cfr. Cass.27/08/2018).
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rappresentati:
a) dal convincimento di (OMISSIS) di avere adempiuto il proprio obbligo nei confronti di (OMISSIS);
b) dai fatto, provato dalla testimonianza resa da (OMISSIS), che (OMISSIS), per una serie di equivoci, nella fase istruttoria del giudizio attivato da (OMISSIS) per vedere riconosciute le sue ragioni di credito, era rimasto privo di difesa e cio’ aveva reso possibile la vittoria processuale di (OMISSIS);
c) dal fatto che non si era disinteressato del procedimento, ma che, a seguito della rinuncia all’incarico da parte del difensore, si era convinto che il processo, durante la fase istruttoria, sarebbe stato seguito da un altro avvocato dello stesso Studio di quello rinunciante;
d) dalla ricorrenza di un accordo familiare, confermato da piu’ testimonianze, anteriore alla donazione per cui e’ causa, con cui, d’intesa con la moglie, aveva deciso di sistemare il patrimonio familiare ricorrendo ad atti di donazione a favore dei figli allo scopo di evitare future liti;
e) dalla donazione a favore dell’altro figlio (OMISSIS), all’epoca dei fatti coniugato con (OMISSIS), figlia di (OMISSIS), che aveva permesso a (OMISSIS) di ricorrere al pignoramento dell’immobile donato per recuperare il proprio credito nei confronti del marito;
f) dalla condotta processuale di (OMISSIS) che aveva in male fede negato, in sede di interrogatorio, di essere a conoscenza dell’azione esecutiva intrapresa dalla figlia, pur essendo quest’ultima con lui convivente e rappresentata in giudizio dal suo stesso avvocato.
Il motivo e’ inammissibile.
In primo luogo, la prospettazione non soddisfa gli oneri di allegazione richiesti a chi si avvale di tale vizio cassatorio che si sostanziano nella indicazione dei fatti omessi, dei dati extratestuali dai quali evincere la loro esistenza nonche’ del come e del quando tali fatti siano stati oggetto di discussione tra le parti e, per di piu’, della loro decisivita’ (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; Cass. 9/09/2016, n. 19312).
In aggiunta, talune omissioni non si riferiscono a fatti bensi’ a stati soggettivi (i ricorrenti insistono molto sulla omessa considerazione della inconsapevolezza da parte del donante di avere pregiudicato con la donazione le ragioni del creditore, data la sua convinzione di avere gia’ soddisfatto il creditore).
In conclusione, i ricorrenti, in tutta evidenza, hanno impiegato surrettiziamente il paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per reclamare una inammissibile – pena la trasformazione del giudizio di legittimita’ in un terzo giudizio di merito – diversa valutazione da parte di questa Corte dei fatti dedotti.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’articolo 2901 c.c. con particolare riferimento all’assenza del requisito del consilium fraudis, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La tesi dei ricorrenti e’ che sia mancata la prova della consapevolezza da parte del donante del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, atteso che l’istruttoria espletata nel procedimento relativo all’accertamento della titolarita’ del credito da parte di (OMISSIS) avrebbe dimostrato l’inconsapevolezza del donante di pregiudicare le ragioni del creditore e che (OMISSIS) avrebbe recuperato una somma ben maggiore di quella vantata da (OMISSIS) attraverso l’azione esecutiva esperita su un bene donato al marito.
La violazione dell’articolo 2901 c.c. consisterebbe nel non aver il giudice a quo acquisito la prova della ricorrenza sia dell’eventus damni che del consilium fraudis, assumendo che non avrebbe dovuto applicarsi la seconda parte dell’articolo 2901 c.c., n. 1 regolante l’ipotesi in cui, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto stesso sia dolosamente preordinato al fine di pregiudicare la garanzia patrimoniale, ma solo la seconda parte, secondo cui ai fini revocatori basta la conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore.
Il motivo e’ inammissibile.
Il ricorrente dimostra di non aver colto la ratio decidendi della statuizione impugnata.
Il giudice a quo, infatti, non ha escluso, come pretenderebbe il ricorrente, che ai fini dell’azione pauliana siano necessarie la ricorrenza e la prova dell’eventus damni in aggiunta all’elemento soggettivo del consilium fraudis.
Ha inteso, invece, correggere la sentenza di prime cure nella parte in cui, pur essendo l’atto dispositivo successivo alla nascita del credito tutelato con l’azione di cui all’articolo 2901 c.c., aveva subordinato l’accoglimento dell’azione alla prova che l’atto dispositivo fosse stato dolosamente preordinato ad arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore, affermando la sufficienza della prova della conoscenza del pregiudizio delle ragioni del creditore.
E’ tanto vero che a p. 6 si occupa specificamente dell’eventus damni, precisando, in linea con i consolidati indirizzi di legittimita’, che esso puo’ consistere anche in una variazione qualitativa del patrimonio del debitore che renda piu’ difficile ed incerta l’esecuzione, spettando al debitore provare la sufficienza del patrimonio residuo a soddisfare il creditore procedente.
A dispetto della categoria logico-giuridica individuata per formulare il motivo, la censura dei ricorrenti si sostanzia in una contestazione degli esiti dell’accertamento istruttorio relativo al consilium fraudis.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c., stante l’avvenuta sovrapposizione dei requisiti applicativi del consilium fraudis e dell’eventus damni (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo il giudice a quo dato rilievo alla sproporzione tra il valore dei beni donati e il credito vantato da (OMISSIS) al fine di individuare l’eventus damni (requisito oggettivo) anziche’ considerarlo indice ulteriore dell’assenza di consapevolezza da parte del donate di pregiudicare le ragioni del creditore (requisito soggettivo).
Anche questo motivo e’ inammissibile.
I ricorrenti non hanno tenuto conto della pluralita’ di rationes decidendi formulate dalla sentenza gravata:
a) la situazione di pregiudizio puo’ manifestarsi con una modificazione solo qualitativa del patrimonio del debitore;
b) sul debitore grava l’onere di provare che il patrimonio residuo e’ sufficiente a far fronte alle ragioni creditorie.
Le loro argomentazioni si sono concentrate sulla rilevanza, a loro avviso, solo soggettiva piuttosto che oggettiva della sproporzione tra il valore dei beni donati e il credito vantato da (OMISSIS), ma non hanno tenuto conto che sentenza gravata, avendo bene a mente che l’azione revocatoria ha la funzione non solo di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, ma anche di assicurare uno stato di maggiore fruttuosita’ e di speditezza dell’azione esecutiva al fine di far valere la detta garanzia, ha ritenuto che, essendo l’ultimo atto di donazione (anche) quello con cui il debitore si spogliava dell’ultimo bene rimasto nel suo patrimonio, la sproporzione tra il valore del bene donato e il credito vantato da (OMISSIS) aggravava la situazione di pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, rendendo del tutto incapiente il suo patrimonio.
5. Va, infine, disattesa la richiesta della controricorrente di cancellazione dal ricorso di talune frasi ritenute offensive e lesive del rappresentante in giudizio della controricorrente, perche’ le espressioni denunciate non risultano connotate da un intento dispregiativo, non sono lesive della dignita’ professionale dell’avversario, ma si annoverano nell’esercizio del diritto di difesa.
6. Ne consegue il rigetto del ricorso.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
8. Vi sono i presupposti per porre a carico dei ricorrenti l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato, stati ammessi al gratuito patrorinio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.