I muri perimetrali degli edifici in cemento armato (cosiddetti pannelli di rivestimento o di riempimento) sono compresi fra i muri maestri definiti comuni dall’articolo 1117 c.c., n. 1 giacche’, pur non avendo funzione portante, la quale negli edifici anzidetti e’ assolta principalmente dai pilastri e dagli architravi, costituiscono parte organica ed essenziale dell’intero immobile che, senza la delimitazione da essi operata sarebbe uno “scheletro vuoto” privo di qualsiasi utilita’.L’espressione “muro maestro” contenuta nell’articolo 1117 c.c. non va riferita solamente all’intelaiatura di pilastri e di architravi che costituisce l’ossatura dell’edificio costruito in cemento armato, ma anche ai pannelli in muratura di mattoni o di altro materiale che riempiono all’esterno i vani e compongono l’insieme dell’edificio, che, senza di essi, sarebbe un vuoto scheletro privo di funzionalita’ pratica. Le predette murature, concorrendo a formare i muri perimetrali, non servono solo a delimitare i singoli appartamenti, ma costituiscono parte organica ed essenziale dello intero fabbricato condominiale, del quale completano la struttura e la linea architettonica, onde vale anche per esse la presunzione legale di comunione.
Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|19 luglio 2022| n. 22659
Data udienza 27 aprile 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. ROLFI Amedeo – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2997/2016 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS));
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS)), (OMISSIS), ( (OMISSIS));
– ricorrente incidentale –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 3953/2015 depositata il 16/10/2015;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/04/2022 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS) sono proprietari di distinte porzioni immobiliari facente parte di un fabbricato, sito in Comune di (OMISSIS), denominato (OMISSIS), originariamente appartenente a un unico proprietario.
(OMISSIS) ha chiamato in giudizio il (OMISSIS) e, con la citazione a comparire dinanzi al Tribunale di Monza, ha denunciato che il convenuto aveva eseguito una serie di interventi in violazione dei diritti dell’attore. In particolare, per quanto ancora interessa in questa sede, il convenuto: a) aveva demolito il muro perimetrale est della cascina, collegando il fabbricato rurale al nuovo edificio in corso di realizzazione sui mappali di sua esclusiva proprieta’; b) aveva compromesso la stabilita del fabbricato, circostanza, quest’ultima, desumibile dalle crepe apparse nell’immobile dell’attore; c) aveva occupato, nel realizzare una rampa di accesso ai box, una parte della corte comune.
Il tribunale ha accolto in parte la domanda. Ha condannato il convenuto a provvedere a tutti gli interventi necessari a eliminare le crepe presenti nell’immobile del (OMISSIS), individuate come crepe di tipologia “A”; ha ordinato l’immediato rilascio della porzione della corte comune illegittimamente occupata.
Contro la sentenza ha proposto appello principale il (OMISSIS) e appello incidentale il (OMISSIS).
La Corte d’appello di Milano, diversamente dal primo giudice, ha condannato il convenuto al risarcimento del danno per equivalente per la demolizione del muro perimetrale, riconoscendone innanzitutto la proprieta’ comune. In proposito la corte meneghina ha riconosciuto che il muro era stato rimosso dalla posizione originaria ed era stato spostato “di 16 metri piu’ ad est al limite del prolungamento dell’originario edificio, sito sulla proprieta’ esclusiva del (OMISSIS)”: cio’, secondo la corte d’appello, ha comportato con certezza la violazione dell’articolo 1102 c.c. Essa ha aggiunto che “il ripristino del muro perimetrale est in questione creerebbe enormi problemi e sarebbe troppo oneroso”. Cio’ posto ha riconosciuto “congruo a giustizia condannare il (OMISSIS) al pagamento in favore del (OMISSIS) della congrua somma di Euro 10.000,00 in moneta attuale”.
La Corte d’appello ha poi integrato, con riferimento alle crepe, la condanna del (OMISSIS) gia’ pronunciata dal tribunale, estendendo l’odine, intimato dal primo giudice solo per le crepe di tipo “A”, anche alle crepe di tipo “B”. Inoltre, essa ha integrato anche la condanna gia’ emessa in primo grado in riferimento alla corte comune. Il tribunale aveva ordinato solo il rilascio della superficie di mq 52,80. La sentenza d’appello ha aggiunto la condanna del (OMISSIS) alla completa rimessione in pristino dell’area comune, mediante eliminazione delle opere realizzate su di essa.
Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a sette motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale affidato a due motivi.
Il ricorrente ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
Le parti hanno depositato memorie in prossimita’ dell’udienza.
La causa e’ stata rinviata a nuovo ruolo per acquisire il fascicolo d’ufficio.
In prossimita’ della nuova udienza il ricorrente ha depositato ulteriore memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con le memorie il ricorrente ha eccepito la nullita’ dell’intero giudizio per violazione del litisconsorzio necessario. L’attuale controricorrente ha affermato di essere proprietario dell’immobile in parte per successione ereditaria dal padre (OMISSIS) Luigi, in parte per acquisto inter vivos. Si sostiene che, in base ai documenti prodotti dal ricorrente ai sensi dell’articolo 372 c.p.c., risulta che (OMISSIS) non era l’unico erede, avendo il defunto (OMISSIS) lasciato sette figli; inoltre risulta che due dei coeredi hanno ceduto a (OMISSIS), che ha acquistato in comunione con il coniuge, le loro quote indivise di 1/7 ciascuno e cosi’ ulteriori 2/7 degli stessi beni.
L’eccezione di nullita’ dell’intero giudizio, svolto dalla ricorrente con la memoria, e’ inammissibile.
Il vizio processuale derivante dall’omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari puo’ essere dedotto per la prima volta anche in sede di legittimita’, alla duplice condizione che gli elementi che rivelano la necessita’ del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti gia’ ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (senza la necessita’ di svolgimento di ulteriori attivita’ istruttorie) e che sulla questione non si sia formato il giudicato; cio’ in quanto le ipotesi di nullita’ della sentenza che consentono, ai sensi dell’articolo 372 c.p.c., di acquisire mezzi di prova precostituiti in sede di legittimita’ sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, con esclusione delle nullita’ originate da vizi del processo (Cass. n. 3024/2012; n. 24048/2017; n. 36388/2008).
In contrasto con tale principio il ricorrente pretende di dimostrare per la prima volta in questa sede, tramite la produzione di ulteriori documenti, il vizio di contraddittorio non rilevato dai giudici di merito, i quali avrebbero erroneamente supposto che (OMISSIS) fosse l’unico erede di (OMISSIS), quanto meno limitatamente agli immobili oggetto di causa.
1. Il primo motivo di ricorso denuncia “omesso da parte della Corte d’appello della reale ubicazione del muro perimetrale in contestazione”.
La sentenza e’ oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha riconosciuto che l’attuale ricorrente avesse “rimosso il muro perimetrale est dalla posizione originaria ed averlo spostato di 16 metri piu’ a est al limite del prolungamento dell’originario edificio, sito sulla proprieta’ esclusiva del (OMISSIS) (…)”. Il ricorrente evidenzia che il giudice d’appello ha fondato tale accertamento sulla relazione del consulente tecnico, il quale aveva affermato una cosa diversa, che il (OMISSIS) “non ha costruito un muro indipendente in aderenza ma ha totalmente demolito l’esistente ricostruendolo ed intersecandolo ai nuovi corpi edificati (…)”. Il medesimo tecnico, sentito a chiarimenti, ha affermato che il (OMISSIS) “non ha costruito in aderenza, ma ha demolito il muro preesistente e ha ricostruito un nuovo muro. Si riporta poi quanto rilevato in proposito dal giudice di primo grado, il quale, in relazione al fatto che era stato realizzato “un muro nuovo in sostituzione di un vecchio muro in condizioni precarie e che, come si evince dalle foto prodotte, il convenuto non ha occupato, nella ricostruzione spazi di pertinenza, si ritiene di non accogliere la domanda attorea di ripristino dello stato quo ante”.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha confuso il muro al quale si era riferito il consulente tecnico con il muro spostato a est, che e’ stato realizzato sul sedime di proprieta’ del solo ricorrente.
Il motivo e’ fondato. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado, il convenuto ha edificato in prosecuzione rispetto all’edificio esistente. Nel fare cio’ non ha costruito in aderenza rispetto al muro che delimitava a est la Cascina, ma ha demolito tale muro e l’ha poi ricostruito, intersecandolo ai nuovi corpi di fabbrica.
La corte d’appello ritiene che il muro perimetrale originario sia stato si’ ricostruito, ma non nella posizione originaria, bensi’ 16 metri piu’ a est al limite del prolungamento dell’originario edificio sito sulla proprieta’ esclusiva del (OMISSIS).
In questo senso si capisce che il muro, ricostruito nella diversa posizione, non puo’ essere il muro originario che delimitava a est la (OMISSIS) prima che il (OMISSIS) costruisse in prosecuzione, ma, appunto, il muro dell’edificio realizzato in prosecuzione del fabbricato esistente.
In questo senso sussiste la violazione di cui al motivo in esame, perche’ la Corte d’appello non esamina il fatto, certamente decisivo, che il muro ricostruito 16 metri piu’ a est e’ un muro diverso, che delimitava la proprieta’ del solo ricorrente, mentre la censura ineriva al muro originario, sul quale l’attuale ricorrente ha innestato le “nuove unita’ abitative sull’area di sua proprieta’ esclusiva in diretto collegamento e/o in prosecuzione orizzontale dell’edificio condominiale preesistente” (controricorso pag. 13). La Corte d’appello era chiamata a valutare la legittimita’ dell’intervento compiuto dall’attuale ricorrente con riguardo a tale muro, posto che la creazione del nuovo muro costituiva una conseguenza inevitabile del prolungamento del fabbricato originario, che lasciava impregiudicata la verifica della legittimita’ dell’intervento sul muro comune. Il richiamo del principio di Cass. n. 16117/2000, operato nella sentenza impugnata, autorizza l’illazione che la Corte d’appello abbia supposto che, demolito il muro comune, questo non fosse stato ricostruito e che fosse stato creato, attraverso di esso, un varco che metteva in comunicazione la proprieta’ esclusiva preesistente e quella derivante dalla ricostruzione. Tale accertamento non e’ stato compiuto e i rilievi del consulente tecnico, richiamati nel ricorso, sembrano dire una cosa diversa: e cioe’ che il muro fu demolito e ricostruito nella medesima posizione e intersecato ai nuovi corpi di fabbrica, il che poneva due distinti problemi: uno, relativo alla demolizione e ricostruzione, l’altro, relativo all’intersezione del nuovo corpo di fabbrica. Solo il primo rientrava nell’ambito del condominio, mentre il secondo coinvolgeva un problema riguardante il rapporto fra proprieta’ confinanti.
La sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione a tale motivo e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Milano perche’ compia la verifica di cui sopra.
2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1117 e 1102 c.c.
La sentenza e’ oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha riconosciuto la natura condominiale del muro perimetrale. Si sostiene che non ci sono i presupposti per l’operativita’ della presunzione di cui all’articolo 1117 c.c., perche’ il muro originario delimita soltanto locali di proprieta’ dell’attuale ricorrente ed e’ circondato da aree di proprieta’ esclusiva dello stesso. Si sostiene ancora che, anche prima dell’intervento edilizio in questione, il convenuto non aveva alcuna possibilita’ di godere del muro perimetrale originario, con la conseguenza che non puo’ sussistere violazione dell’articolo 1102 c.c. per mancanza dei presupposti.
2.1 Il motivo e’ infondato.
I muri perimetrali degli edifici in cemento armato (cosiddetti pannelli di rivestimento o di riempimento) sono compresi fra i muri maestri definiti comuni dall’articolo 1117 c.c., n. 1 giacche’, pur non avendo funzione portante, la quale negli edifici anzidetti e’ assolta principalmente dai pilastri e dagli architravi, costituiscono parte organica ed essenziale dell’intero immobile che, senza la delimitazione da essi operata sarebbe uno “scheletro vuoto” privo di qualsiasi utilita’ (Cass. n. 2773/1992).
E’ stato chiarito che l’espressione “muro maestro” contenuta nell’articolo 1117 c.c. non va riferita solamente all’intelaiatura di pilastri e di architravi che costituisce l’ossatura dell’edificio costruito in cemento armato, ma anche ai pannelli in muratura di mattoni o di altro materiale che riempiono all’esterno i vani e compongono l’insieme dell’edificio, che, senza di essi, sarebbe un vuoto scheletro privo di funzionalita’ pratica. Le predette murature, concorrendo a formare i muri perimetrali, non servono solo a delimitare i singoli appartamenti, ma costituiscono parte organica ed essenziale dello intero fabbricato condominiale, del quale completano la struttura e la linea architettonica, onde vale anche per esse la presunzione legale di comunione (Cass. n. 776/1982; n. 2773/1982).
La Corte d’appello, nel riconoscere la proprieta’ comune del muro, ha fatto corretta applicazione di tali principi. E’, per contro, infondata la tesi del ricorrente, il quale rivendica la proprieta’ esclusiva del muro in forza di considerazioni che non contraddicono minimamente il carattere comune del muro stesso. In particolare, e’ improprio il richiamo ai principi del c.d. condominio parziale. Invero, tale fattispecie, che rinviene il fondamento normativo nell’articolo 1123 c.c., comma 3, e’ automaticamente configurabile “ex lege” tutte le volte in cui un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato oggettivamente al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio, venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarita’ necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass. n 791/2020).
Una tale situazione non ricorre rispetto al muro perimetrale, il quale, avuto riguardo alla sua funzione, come sopra delineata, costituisce oggetto di comunione pro indiviso per tutta la sua estensione (Cass. n. 1414/1967), in quanto determina la consistenza volumetrica dello edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici e delineandone la sagoma architettonica (Cass. n. 839/1978; conf. n. 5372/1978; n. 4978/2007; n. 11288/2018). Si spiega pertanto la regola secondo cui il giudice puo’ ravvisare la violazione dell’articolo 1102 c.c. nella pura e semplice demolizione di un muro perimetrale dell’edificio condominiale da parte del singolo condomino, senza essere tenuto ad accertare quali facolta’ di uso sono state impedite, in concreto, agli altri condomini per effetto della demolizione stessa. Una siffatta, ulteriore, indagine deve essere compiuta dal giudice solo nella ipotesi in cui il singolo condomino, senza alterarne la destinazione, proceda ad una utilizzazione particolare della cosa comune senza distruggerla (Cass. n. 839/1978).
3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2058 c.c. e dell’articolo 2697 c.c.
La sentenza e’ oggetto di censure nella parte in cui la Corte d’appello ha riconosciuto l’esistenza di un danno in favore del (OMISSIS) nonostante la mancata prova del pregiudizio subito, tenuto conto che il muro, sia prima sia dopo l’intervento edilizio, non era suscettibile di godimento comune.
Il motivo e’ assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
4. Il quarto motivo denuncia violazione dell’articolo 2697 c.c.
La sentenza e’ oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha condannato l’attuale ricorrente all’eliminazione delle crepe. Queste non dipendevano dagli interventi realizzati dal ricorrente, ma da altre cause e, precisamente, dal precario stato di conservazione del fabbricato, dai pregressi approssimativi interventi di manutenzione eseguiti dal (OMISSIS).
Il motivo e’ infondato. La violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e’ configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimita’, entro i ristretti limiti del “nuovo” articolo 360 c.p.c., n. 5) (Cass. n. 13395/2018; n. 18092/2020).
Nel caso di specie, la Corte d’appello non invertito l’onere probatorio, ma ha riconosciuto, sulla base della consulenza tecnica, che anche il tipo di fessurazioni, qualificate di tipo “B”, fossero in relazione causale con i lavori eseguiti dal (OMISSIS). Sotto la veste della violazione di legge, pertanto, e’ oggetto di censura l’apprezzamento in fatto operato dalla corte d’appello: cio’ in cassazione non e’ consentito (Cass., S.U., n. 34476/2019).
5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 948, 1102, e 2697 c.c.
La sentenza e’ oggetto di censura laddove la corte d’appello ha riconosciuto il carattere di proprieta’ comune dell’area sulla quale il ricorrente ha realizzato le opere a servizio delle nuove autorimesse.
Si sostiene che la corte d’appello avrebbe dovuto qualificare la domanda quale esercizio dell’azione di rivendicazione e commisurare di conseguenza l’onere probatorio a carico del (OMISSIS) ai fini dell’affermazione di proprieta’ comune di quella stessa porzione.
Il motivo e’ infondato. Il rigore del principio secondo il quale chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza sull’asserito dominio sulla cosa rivendicata risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento della usucapione, si attenua allorquando i due contendenti pongano a base delle rispettive ragioni e difese il medesimo titolo di acquisto dello stesso dante causa, mancando in tal caso ogni contestazione sul diritto di proprieta’ di quest’ultimo e risolvendosi la controversia attraverso la verifica della validita’ dell’atto di acquisto a favore dell’uno o dell’altro degli stessi contendenti (Cass. n. 6359/1991; n. 3564/1995). In tale ipotesi, il rivendicante non ha l’onere di provare il diritto dei suoi autori sino ad un acquisto a titolo originario, ma solo che il bene medesimo abbia formato oggetto del proprio titolo di acquisto (Cass. n. 7081/1983).
Nel caso in esame puo’ darsi per acquisito che l’originaria appartenenza dell’intero fabbricato a un unico proprietario, comune dante causa. Cio’ e’ enunciato fin dalle prime battute della sentenza d’appello, che riprende nella parte narrativa la sentenza di primo grado; risulta inoltre dalla ricostruzione delle vicende dell’immobile proposto dalla Corte d’appello nella parte motiva, all’ultimo capoverso di pag. 6.
La Corte d’appello, quindi, laddove ha risolto il problema dell’appartenenza sulla base dell’esame dei titoli, non ha minimamente violato il criterio probatorio applicabile in tema di azione di rivendicazione.
6. Il sesto motivo denuncia violazione dell’articolo 1362 c.c. e articolo 950 c.c., comma 3, e omesso esame di un fatto decisivo riguardante la reale estensione di corte comune presuntivamente occupata dal (OMISSIS).
La sentenza e’ oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha riconosciuto che la porzione in contesa fosse comune sulla base dell’esame dei soli titoli, riconoscendo la prevalenza dei dati catastali rispetto alle indicazioni delle planimetrie. Si evidenzia che in base queste la porzione interessata dalle opere era compresa nel trasferimento in favore del dante causa dell’attuale ricorrente.
Si rimprovera ancora alla Corte d’appello di avere determinato la superficie occupata, per differenza, in base al raffronto fra la superficie indicata nel titolo e la porzione attualmente comune. Occorreva invece una verifica in loco volta ad accertare la reale misura dello sconfinamento, essendo la indicazione iniziale del titolo una misura catastale inattendibile.
Il motivo e’ fondato. I dati catastali, una volta indicati nel contratto, non assumono automaticamente un rilievo decisivo allo scopo di determinare con precisione l’oggetto della vendita (Cass. n. 3996/2017; n. 9896/2010), assumendo di regola valore indiziario, a meno che non siano assunti quali parti integranti dell’atto contrattuale cui vengono allegati, come tali idonee a determinare l’oggetto materiale del negozio (Cass.10611/1996; n. 6731/2000).
La Corte d’appello ha ritenuto che le parti comuni, in base al titolo originario, avessero l’estensione di mq 310, tale essendo la superficie catastale della particella che identificava le cose comuni. Secondo la Corte d’appello, tale indicazione, doveva essere assunta “quale precisa consistenza dell’area comune”. La conclusione e’ frutto di un esito interpretativo che costituisce petizione di principio: al fine di poter di poter assumere quella indicazione, che integrava con tutta evidenza un riferimento catastale, occorreva una specifica indagine volta a stabilire se l’indicazione della estensione catastale fosse, appunto, una semplice indicazione relativa al mappale che identificava la cose comuni oppure se quella indicazione palesava l’intenzione dei contraenti di lasciare in comune una estensione di eguale misura. La Corte d’appello ha riconosciuto che quella indicazione costituisse un dato insuperabile, tale da prevalere a priori sulla differente rappresentazione planimetrica della consistenza dell’area comune. La conclusione, in questi termini, e’ del tutto apodittica, perche’ si assume come insuperabile il dato catastale, senza la minima indagine sul significato del richiamo nell’ambito del titolo, tanto piu’ in presenza di una rappresentazione grafica difforme. Consegue che il procedimento per sottrazione, seguito dalla Corte di merito per identificare la superficie mancante, e’ viziato all’origine da un approccio interpretativo contrario ai principi di ermeneutica applicabili in tema di individuazione dell’oggetto contrattuale.
La sentenza deve essere cassata anche in relazione a tale motivo e il giudice di rinvio dovra’ procedere all’accertamento dell’esistenza di occupazioni di parti comuni in base ai criteri sopra indicati.
7. Il settimo motivo denuncia violazione dell’articolo 2058 c.c., comma 2. La Corte d’appello, con riferimento alle opere realizzate sulla corte comune, ne ha ordinato la demolizione, argomentando che non poteva, in questo caso, disporsi il risarcimento per equivalente, a causa dell’opposizione dell’interessato, laddove la norma non prevede invece tale requisito.
Il motivo e’ assorbito.
8. Il primo morivo del ricorso incidentale censura la sentenza nella parte in cui, in relazione al muro, la Corte d’appello ha disposto il risarcimento per equivalente in luogo della reintegrazione in forma specifica.
Il secondo motivo del ricorso incidentale censura la sentenza, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la Corte d’appello ha negato il danno medio tempore subito per effetto degli interventi eseguiti dal (OMISSIS), non coperti dal risarcimento in forma specifica.
I motivi del ricorso incidentale sono assorbiti.
9. In conclusione, devono essere accolto il primo motivo e il sesto motivo del ricorso principale; devono essere rigettati il secondo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale. Assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale.
La sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che liquidera’ le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo e il sesto motivo del ricorso principale; rigetta il secondo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano anche per le spese.