l’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo e’ tenuto, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., comma 1, a provare gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione. L’esistenza di un contratto di mutuo non puo’ essere desunta dalla mera consegna di somme di denaro (che, ben potendo avvenire per svariate ragioni, non vale di per se’ a fondare una richiesta di restituzione allorquando l’accipiens – ammessane la ricezione – non confermi anche il titolo posto dalla controparte a fondamento della propria pretesa ma ne contesti la legittimita’), essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, senza che la contestazione del convenuto (il quale, pur riconoscendo di aver ricevuto la somma ne deduca una diversa ragione) possa tramutarsi in eccezione in senso sostanziale e come tale determinare l’inversione dell’onere della prova.
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Corte di Cassazione|Sezione 6 2|Civile|Ordinanza|22 novembre 2022| n. 34294
Data udienza 20 ottobre 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6780/2022 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) per procura in calce al ricorso;
– controricorrente –
avverso SENTENZA n. 2015 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA, depositata il 18/5/2021;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO nell’adunanza in camera di consiglio del 20/10/2022.
FATTI DI CAUSA
1.1. La corte d’appello di Bologna, con la pronuncia in epigrafe, in accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS), ha rigettato la domanda con la quale (OMISSIS) aveva chiesto che la convenuta fosse condannata alla restituzione della somma di Euro 20.000,00 in quanto versata alla stessa, a mezzo di due assegni bancari, a titolo di mutuo.
1.2. La corte d’appello, in particolare, dopo aver premesso che: – la convenuta, sin dalla costituzione nel giudizio di primo grado, aveva contestato l’esistenza di un contratto di mutuo, affermando che le somme a lei erogate costituivano non un prestito da parte dell’allora convivente ma una spontanea elargizione di tali somme avvenuta per mero spirito di liberalita’; – la deduzione da parte del convenuto di un diverso titolo della datio non esonera l’attore dall’onere di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, e cioe’ che la consegna era avvenuta in base ad un titolo che ne impone la restituzione; ha ritenuto che l’attore non aveva fornito in giudizio la prova del titolo giuridico che implica l’obbligazione restitutoria, non avendo dimostrato ne’ “il fatto storico che ha costituito il fondamento del prestito”, ne’ che “l’accipiens si era impegnata alla restituzione” della somma ricevuta.
1.3. La corte, sul punto, ha, tra l’altro, rilevato: – innanzitutto, la mancanza di qualsivoglia documento, sottoscritto dalla (OMISSIS), nel quale sia stato formalizzato che le somme consegnate costituivano un prestito in suo favore, con la previsione dei termini e delle modalita’ della relativa restituzione; – in secondo luogo, l’irrilevanza della prova orale raccolta in giudizio, trattandosi di dichiarazioni rese da un testimone, e cioe’ il fratello dell’attore, che ha riferito de relato actoris, che non era presente agli incontri durante i quali quest’ultimo avrebbe manifestato la volonta’ di mutuare la somma alla convenuta, all’epoca sua convivente, e che, soprattutto, non era presente nel momento in cui l’attore le aveva consegnato gli assegni, dovendosi, pertanto, escludere che il testimone abbia avuto una conoscenza diretta della formazione della volonta’ contrattuale e, dunque, del contratto concluso, e che potesse, quindi, riferire sulla volonta’ espressa dalle parti, rimanendo, per contro, irrilevante che lo stesso abbia, in diverse occasione, assistito alla richiesta postuma di restituzione delle somme in precedenza versate.
1.4. Peraltro, ha aggiunto la corte, dall’atto di denuncia querela presentata dalla (OMISSIS) presso la questura di Forli’-Cesena il 28/5/2010, a seguito della quale veniva pronunciata ordinanza per l’applicazione al (OMISSIS) della misura cautelare personale del divieto di avvicinamento, emerge che il (OMISSIS) aveva costretto la (OMISSIS) alla restituzione delle chiavi dell’auto dalla stessa utilizzata, delle chiavi di casa, del bancomat e della carta di credito nonche’ della biciletta: ma non che aveva preteso la restituzione della somma a suo tempo versata, come avrebbe, invece, certamente fatto, anche in costanza di convivenza, se avesse ritenuto che la somma corrisposta costituisse effettivamente un prestito.
1.5. Le circostanze evidenziate, ha concluso la corte, costituiscono elementi gravi, precisi e concordanti che, unitamente all’istruttoria compiuta, inducono a ritenere che non vi fosse, al momento dell’erogazione delle somme, alcun accordo per la relativa restituzione, essendo, piuttosto, emersa la volonta’ del (OMISSIS) di aiutare la allora convivente, con prestazione spontanea e proporzionale all’entita’ del patrimonio dell’appellante, ad intraprendere un’attivita’ commerciale.
1.6. (OMISSIS), con ricorso notificato in data 28/2/2022, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza.
1.7. (OMISSIS), dal suo canto, ha resistito con controricorso notificato il 19/3/2022.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2697 e 1813 c.c. nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’attore non aveva dimostrato in giudizio che la somma era stata versata a titolo di mutuo e che l’accipiens era, dunque, obbligata alla relativa restituzione, senza, tuttavia, considerare che, al contrario, le prove raccolte dimostrano la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del contratto di mutuo.
2.2. Ed infatti, ha osservato il ricorrente, contrariamente
a quanto ritenuto dalla corte d’appello, la prova testimoniale resa da (OMISSIS) non era de relato ma diretta avendo il testimone dichiarato di aver personalmente ed in piu’ occasioni assistito a discorsi tra le parti in causa vertenti sulla restituzione del denaro prestato.
2.3. D’altra parte, ha aggiunto il ricorrente, anche dalle testimonianze rese dei testi indicati dalla convenuta, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello, emergere che la dazione della somma di denaro e’ avvenuta a titolo di mutuo e non di liberalita’.
2.4. Illogica, infine, ha concluso il ricorrente, e’ la valutazione che la corte territoriale ha fatto della denuncia querela poiche’ la (OMISSIS) non avrebbe avuto alcun interesse ad ammettere il prestito della somma versatale cosi’ ledendo la propria posizione.
2.5. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2034 c.c. e articoli 112 e 345 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto, pur in assenza di specifica domanda in tal senso, la sussistenza di un’obbligazione naturale, senza, tuttavia, considerare che l’obbligazione naturale non puo’ essere riscontrata quando costituisce fonte di arricchimento esclusivo di un convivente e non dell’intera famiglia.
2.6. Con il terzo motivo, il ricorrente lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 783 c.c. e articoli 112 e 345 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata li’ dove la corte d’appello non ha dichiarato l’inammissibilita’ della domanda con la quale la convenuta solo nel giudizio d’appello ha chiesto l’accertamento della donazione di modico valore, trattandosi di domanda nuova e, in ogni caso, priva di fondamento.
3.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
3.2. Il ricorrente, in effetti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge sostanziale o processuale, ha lamentato, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, li’ dove, in particolare, questi, ad onta delle asserite emergenze delle stesse, hanno escluso che la convenuta avesse ricevuto dall’attore la somma di Euro 20.000 a titolo di mutuo e che la stessa avesse, quindi, l’obbligo di restituirla.
3.3. La valutazione delle prove raccolte, pero’, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attivita’ riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio (nel caso in esame neppure invocato come tale) consistito, come stabilito dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o piu’ fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia (Cass. SU n. 8053 del 2014), rimanendo, per contro, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si e’ formato, a norma dell’articolo 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilita’ delle fonti di prova. L’omesso esame di elementi istruttori non da’ luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora gli accadimenti fattuali rilevanti in causa, quali fatti costitutivi del diritto azionato ovvero fatti estintivi, modificativi ovvero impeditivi dello stesso, siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. SU n. 8053 del 2014; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.).
Nel quadro del principio, espresso nell’articolo 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben puo’ apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e cosi’ escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017). La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilita’ dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017).
Il compito di questa Corte, del resto, non e’ quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e piu’ appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non piu’ se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioe’, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual e’ reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, com’e’ in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
3.4. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha ritenuto – prendendo cosi’ in esame i fatti rilevanti ai fini della decisione sulla domanda proposta (e cioe’ il versamento della somma di denaro dall’attore alla convenuta ed il titolo dello stesso) e indicando le ragioni del convincimento espresso in ordine agli stessi in modo nient’affatto apparente, perplesso o contraddittorio, che non era emersa la prova che la somma era stata versata dall’attore alla convenuta a titolo di mutuo.
Ed una volta escluso, come la corte ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato censurato (nell’unico modo possibile, e cioe’, a norma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di una o piu’ circostanze decisive, che l’attore avesse dimostrato in giudizio il fatto di aver versato alla convenuta la somma invocata con l’obbligo in capo alla stessa di eseguirne la restituzione entro un certo termine, non si presta, evidentemente, a censure la decisione che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioe’, a fronte della mancanza del mutuo, il rigetto della domanda proposta dall’attore, in quanto volta, appunto, alla restituzione della somma versata.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, invero, l’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo e’ tenuto, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., comma 1, a provare gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione. L’esistenza di un contratto di mutuo non puo’ essere desunta dalla mera consegna di o somme di denaro (che, ben potendo avvenire per svariate ragioni, non vale di per se’ a fondare una richiesta di restituzione allorquando l’accipiens – ammessane la ricezione – non confermi anche il titolo posto dalla controparte a fondamento della propria pretesa ma ne contesti la legittimita’), essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, senza che la contestazione del convenuto (il quale, pur riconoscendo di aver ricevuto la somma ne deduca una diversa ragione) possa tramutarsi in eccezione in senso sostanziale e come tale determinare l’inversione dell’onere della prova (Cass. n. 180 del 2018, in motiv.).
La violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, e’, del resto, configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece, come pretende il ricorrente, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimita’, entro i ristretti limiti dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 13395 del 2018).
3.5. Nello stesso modo, poiche’ l’articolo 116 c.p.c. prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 e’ concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, cosi’ falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso, oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi (Cass. n. 26965 del 2007; in senso conforme: Cass. n. 20119 del 2009; n. 13960 del 2014; Cass. 11892 del 2016).
La violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’, dunque, al piu’ idonea ad integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4 ma solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato, in assenza di diversa indicazione normative, secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonche’, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 1606 del 2017).
Tale violazione, pertanto, non puo’ essere ravvisata, come invece pretende il ricorrente, nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove”. In tema di ricorso per cassazione, infatti, la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 n. 5 cit., ma nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione (Cass. SU n. 20867 del 2020).
3.6. Nello stesso modo, per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 c.p.c. e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare, come invocato dal ricorrente, nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598 del 2016). In tema di ricorso per cassazione, in definitiva, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. non puo’ porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229 del 2019).
4. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato in quanto manifestamente infondato.
5. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
6. La Corte da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bisse dovuto.
P.Q.M.
La Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.
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