Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilita’ medica, e’ onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario e’ stata, secondo il criterio del “piu’ probabile che non”, causa del danno, sicche’, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata”.
Corte di Cassazione|Sezione 6 3|Civile|Ordinanza|31 dicembre 2021| n. 42104
Data udienza 28 settembre 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24550-2020 proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS),
pec: mariagrazia.russo.ordincavvocatinventia.eu
nicoladipierro.ordineavvocatiroma.org
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del procuratore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATO (OMISSIS), ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in (OMISSIS),
Pec: micheleroma.ordineavvocatiroma.org;
– controricorrente –
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1636/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNA MOSCARINI.
CONSIDERATO
che:
1. (OMISSIS), con atto di citazione del dicembre 2005, atteso che il Dott. (OMISSIS) l’aveva sottoposta ad un intervento di implantologia dal quale erano derivati fenomeni infettivi ed infiammatori e che lo stesso medico, pur non riuscendo a debellare l’infezione, l’aveva comunque sottoposta ad un secondo intervento paradontale ed infine alla rimozione degli impianti, convenne il dentista davanti al Tribunale di Bologna per sentirlo condannare, previo accertamento della sua responsabilita’ professionale, al risarcimento del danno.
Il (OMISSIS) si costitui’ contestando le pretese della (OMISSIS), affermo’ di aver eseguito l’intervento a regola d’arte ed ottenne la chiamata in giudizio della propria compagnia di assicurazioni (OMISSIS) SpA (poi (OMISSIS) SpA). Nelle more del giudizio, deceduto il Dott. (OMISSIS), il giudizio fu riassunto nei confronti del figlio, (OMISSIS).
2. Il Tribunale adito dispose lo svolgimento di una consulenza tecnica d’ufficio, e all’esito, rigetto’ la domanda ritenendo che l’attrice non avesse dato prova, in base al criterio del “piu’ probabile che non”, del nesso causale tra l’operato del sanitario e la sofferenza patita.
3. A seguito di appello della (OMISSIS), la Corte d’Appello di Bologna, disposta una seconda consulenza tecnica d’ufficio che ando’ a confermare pienamente la prima sia in merito alla correttezza dell’operato del professionista sia in ordine all’assenza di prova del nesso causale tra gli impianti eseguiti e l’infezione patita, ha, con sentenza del 12/6/2020, rigettato l’appello.
4. Avverso la sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Ha resistito (OMISSIS) SpA con controricorso.
Il ricorso e’ stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli articoli 375, 376 e 380-bis c.p.c. La proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., e’ stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memoria.
RITENUTO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta che la corte territoriale abbia interpretato erroneamente le risultanze istruttorie ed abbia ritenuto che ella non avesse ottemperato all’onere della prova del nesso causale quando, invece, vi sarebbe stata evidenza sia del fatto che la paziente era sana prima di ogni intervento del (OMISSIS) sia che l’infezione era conseguenza immediata e diretta degli interventi eseguiti dal medesimo.
2. Con il secondo motivo – omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato una serie di circostanze di fatto allegate nel corso dei giudizi di merito e sempre ritenute insufficienti a provare il nesso causale in base al criterio del “piu’ probabile che non”. 1-2 Il ricorso e’ inammissibile per plurimi e distinti profili.
Occorre ricordare che la Corte d’Appello ha ritenuto, alla luce di quanto evidenziato dai CTU e dai sanitari intervenuti, che la tesi dell’appellante secondo la quale l’infezione sarebbe stata conseguenza della contaminazione nell’ambito della manovra chirurgica, era rimasta priva di ogni fondamento cosi’ come era rimasta indimostrata l’eziologia del dolore dalla realizzazione dell’impianto protesico. Ha conseguentemente applicato il principio, piu’ che consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale “Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilita’ medica, e’ onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario e’ stata, secondo il criterio del “piu’ probabile che non”, causa del danno, sicche’, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata” (Cass., 3, n. 18392 del 26/7/2017; Cass., 3 n. 26824 del 14/11/2017; Cass., 3, n. 26825 del 14/11/2017; Cass., 3, n. 3704 del 15/2/2018).
Ora, a fronte di tale consolidato indirizzo, il ricorso e’ inammissibile sia per violazione dell’articolo 360 bis c.p.c. in quanto il provvedimento ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, sia perche’ esso si situa del tutto al di fuori del perimetro delineato da questa Corte per prospettare la violazione dell’articolo 116 c.p.c., sia perche’ prospetta inammissibilmente, nei termini della violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, una contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice del merito si e’ formato in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto.
Come e’ noto la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione (Cass., S.U. n. 20687 del 30/9/2020).
Ma esula dal vizio di legittimita’ ex articolo 360 c.p.c., n. 5 qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si e’ formato, ex articolo 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio, essendo esclusa una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimita’ (Cass., 3, n. 15276 dell’1/6/2021).
Orbene, nel caso in esame la ricorrente si e’ limitata a prospettare confusamente che il giudice non abbia ben valutato le prove e che abbia escluso il nesso di causalita’ sulla base di dati asseritamente suscettibili di una diversa valutazione, sicche’ le censure non rispettano ne’ le condizioni per la deducibilita’ della violazione dell’articolo 116 c.p.c. ne’ quelle della violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
3. Il ricorso e’ dichiarato inammissibile.
La ricorrente e’ condannata a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di una somma, a titolo di contributo unificato, pari a quella versata per il ricorso, se dovuta.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3000 (oltre Euro 200 per esborsi), piu’ accessori e spese generali al 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processualli per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.