In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorche’ il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilita’ per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e cio’ con modalita’ procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignita’ della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorche’ la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identita.

Corte di Cassazione|Sezione 1|Civile|Ordinanza|9 agosto 2021| n. 22497

Data udienza 15 luglio 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33282/2019 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Trieste e Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione;

– intimati –

avverso il decreto n. cronol. 63/2019 della Corte d’appello di Trieste, depositato il 9/8/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/07/2021 da IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Trieste, con decreto n. crono1.63/2019, depositato il 9/8/2019, ha respinto il reclamo proposto da (OMISSIS) avverso il decreto del Tribunale di Trieste, emesso nel 2018, con il quale, nel procedimento promosso dalla (OMISSIS) (nata a (OMISSIS) e successivamente adottata, a seguito di mancato riconoscimento da parte dei genitori naturali e di dichiarazione della madre di non volere essere nominata nell’atto di nascita, per “accesso alle origini”, L. n. 184 del 1983, ex articolo 28, al fine di conoscere l’identita’ della propria madre biologica con successivo interpello per l’eventuale esercizio, da parte della madre, della facolta’ di rimuovere il segreto sulla propria identita’, e la verifica della persistente volonta’ di non essere nominata nell’atto di nascita, era stata respinta la sua richiesta.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che la decisione della madre della reclamante, chiara e consapevole (essendo stata effettuata allorche’ la stessa era ultratrentenne), di parto con anonimato era stata mantenuta “per oltre cinquant’anni”, non avendo essa in alcun modo palesato un intendimento difforme o intrapreso azioni volte alla ricerca della figlia non riconosciuta, ed inoltre, sulla base di accertamenti disposti dal Comando Provinciale dei Carabinieri, su delega del Tribunale per i minorenni, anche presso i Servizi Sociali ed operatori sanitari, era stato accertato, oltre l’identita’ dell’anziana madre naturale, “anche che la stessa oggi e’ in eta’ veneranda essendo ormai quasi novantenne e soprattutto con un grave e deficitario suo stato di salute, anche psichico, che e’ unito a grosso deperimento fisico (tanto da avere comportato il riconoscimento di invalidita’ civile al 100%)”, trattandosi di un’anziana signora che soffre tra l’altro anche di depressione bipolare e vive assistita dai famigliari con continuato intervento domiciliare degli operatori sociali, in condizioni di “forte vulnerabilita’”, pur non essendo stata oggetto di procedure di interdizione, inabilitazione ovvero per la nomina di amministratore di sostegno, e “debolezza personale”, che giustificava ogni cautela.

Ad avviso della Corte di merito doveva quindi essere confermata la statuizione del primo giudice, condividendosi il giudizio circa l’incapacita’ della madre maturale “di esprimere il consenso a rivelare la propria identita’ alla figlia”, di guisa che, persistendo il mancato consenso di detta madre biologica ad essere nominata, non poteva essere accolta la richiesta di accesso alle origini, “anche nella forma subordinata” della reclamante.

Avverso la suddetta pronuncia, (OMISSIS) propone ricorso straordinario per cassazione, ex articolo 111 Cost., comma 7, notificato il 13-18/11/2019, affidato a otto motivi, nei confronti dei Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Venezia e presso la Corte Suprema di Cassazione, che non svolgono difese.

Il PG non ha formulato conclusioni.

La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta:

a) con il primo motivo, la nullita’ del procedimento e del provvedimento, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, per violazione del diritto al contraddittorio (articolo 111 Cost.) sulle risultanze istruttorie e del diritto di difesa (articolo 24 Cost.), stante la lunga e secretata istruttoria nel procedimento di interpello, pur potendosi garantire la riservatezza dei dati con l’oscuramento degli elementi atti ad identificare la madre biologica;

b) con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 183 del 1984, articolo 28, il cui comma 7 (frutto della sostituzione della disposizione previgente operata dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 177, comma 2, c.d. Codice della Privacy, e poi oggetto di intervento additivo da parte della Corte Costituzionale) non poteva essere applicato, in quanto abrogato dal Decreto Legislativo n. 101 del 2018, articolo 27, comma 1, lettera e, n. 3), cosicche’ avrebbero dovuto applicarsi l’articolo 28, commi 5 e 6, che prevedono il diritto dell’adottato, raggiunta l’eta’ di 25 anni, di accedere alle informazioni riguardanti la sua origine e l’identita’ dei propri genitori biologici, senza alcuna limitazione;

c) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 184 del 1983, articolo 28, comma 7, nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 278/2013, con abnormita’ del provvedimento impugnato, stante l’omesso interpello della madre biologica, nonostante la stessa non risultasse legalmente incapace o incapace di discernimento, il che, a fronte del diritto fondamentale del figlio alla conoscenza delle proprie origini connesso al dritto all’identita’ personale e del progressivo affievolimento del diritto della madre a partorire in anonimato, avrebbe potuto giustificare solo il ricorsi ad opportune cautele nelle modalita’ di espletamento dell’interpello della made biologica, unico soggetto legittimato ad effettuare la scelta in ordine alla rimozione o meno dell’anonimato;

d) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 184 del 1983, articolo 28, comma 7, nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 278/2013, e dell’articolo 3 Cost., per irragionevole disparita’ di trattamento di situazioni analoghe, quale l’ipotesi di decesso della madre biologica, avendo il provvedimento impugnato cristallizzato la scelta per l’anonimato nonostante l’affievolimento delle ragioni di protezione della scelta della madre di partorire in anonimo;

e) con il quinto motivo, la nullita’ del procedimento di interpello, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, per violazione della L. n. 184 del 1983, articolo 28, comma 7, nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 278/2013, non potendo gli accertamenti, al di fuori delle attivita’ di ricerca della madre biologica, essere compiuti dalla polizia giudiziaria, i cui operanti sono sprovvisti delle qualifiche necessarie in considerazione della delicatezza della situazione, essendo deputati all’interpello della donna unicamente i Servizi sociali ed il giudice onorario delegato;

f) con il sesto motivo, la violazione o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 132 c.p.c., comma 4, e articolo 111 Cost., per vizi di motivazione del provvedimento impugnato consistenti nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, in relazione sia alla ritenuta autonomia e consapevolezza della scelta, negli anni âEuroËœ60, della madre mantenere il proprio anonimato, sia alla impossibilita’ per la madre biologica, in ogni caso, di intraprendere iniziative giudiziarie volte alla ricerca della figlia, poiche’ la dichiarazione di anonimato e’ considerata dall’ordinamento irreversibile, prima di una richiesta del figlio di eventuale revoca, che comunque non poteva intervenire in epoca anteriore alla sentenza della Corte Costituzionale del 2013;

g) con il settimo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 184 del 1983, articolo 22, comma 7, e articolo 28, comma 7, e articolo 32 Cost., in relazione al rigetto della domanda subordinata di accesso alle sole informazioni di carattere sanitario della madre biologica (riguardanti le anamnesi famigliari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’esistenza di malattie ereditarie trasmissibili), nonostante le stesse abbiano natura non disponibile da parte di quest’ultima e tale accesso poteva avvenire con oscuramento dei dati relativi alla identita’ della madre biologica; h) con l’ottavo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 132 c.p.c., comma 4, e articolo 111 Cost., per vizi di motivazione del provvedimento impugnato in relazione al rigetto della domanda subordinata di accesso alle sole informazioni di carattere sanitario, sorretto da motivazione apparente, avendo la Corte di merito ritenuto la domanda assorbita entro quella principale respinta, con vizio di infrapetizione.

2. Appare necessario premettere alcuni cenni sul quadro normativo e giurisprudenziale avente ad oggetto la questione centrale del giudizio, il giusto bilanciamento tra diritti fondamentali, il diritto dell’adottato all’accesso alle proprie origini e il diritto all’anonimato esercitato dalla madre naturale al momento del parto.

3. Con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (sottoscritta il 20 novembre 1989 e ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176), prima, e con la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale (sottoscritta il 29 maggio 1993 e ratificata con L. 31 dicembre 1998, n. 476, poi, nella nostra legislazione ordinaria, e’ stato preso in considerazione il diritto di ciascuno di conoscere le proprie radici.

L’impegno assunto in sede internazionale ha trovato attuazione con la modifica della L. n. 184 del 1983, articolo 28, ad opera della L. 28 marzo 2001, n. 149, articolo 24, (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonche’ al titolo VIII del libro primo del codice civile).

Nel nuovo testo, infatti, pur essendo conservato il divieto di ogni riferimento all’adozione nelle attestazioni dello stato civile, e’ stato consentito all’adottato di accedere, seppur in presenza di specifiche condizioni, alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identita’ dei genitori biologici. Il menzionato articolo 28, commi 5 e 6, cosi’ recitano: “5. L’adottato, raggiunta l’eta’ di venticinque anni, puo’ accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identita’ dei propri genitori biologici. Puo’ farlo anche raggiunta la maggiore eta’, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica.

L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza. 6. Il tribunale per i minorenni procede all’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l’accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l’istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste”.

Il successivo comma 7, come introdotto per effetto della L. 28 marzo 2001, n. 149, (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonche’ al titolo VIII del libro primo del codice civile), sanciva, tuttavia, che “L’accesso alle informazioni non e’ consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo”.

Nel nuovo testo della disposizione in esame, quindi, pur essendo conservato il divieto di ogni riferimento all’adozione nelle attestazioni dello stato civile, si e’ consentito all’adottato di accedere, seppur in presenza di specifiche condizioni, alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identita’ dei genitori biologici.

Ed il comma 7, in particolare, aveva suscitato non pochi dubbi interpretativi, specialmente con riguardo alla parte della disposizione normativa che si riferiva al genitore di sangue che “abbia dichiarato di non voler essere nominato”: si obiettava, in riferimento al divieto di accesso alle informazioni la’ dove la madre non avesse riconosciuto il figlio alla nascita, che la soluzione adottata dal legislatore fosse eccessivamente rigida, non essendo mitigata dalla possibilita’ di un ripensamento rispetto ad una volonta’ di anonimato.

Il diritto all’anonimato, dopo il richiamo nella L. 4 maggio 1983, n. 184, articolo 28, in tema di adozioni, e’ stato ulteriormente ribadito, sia dal Decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, articolo 30, (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), in cui testualmente si riconosce, in relazione alla dichiarazione di nascita, “l’eventuale volonta’ della madre di non essere nominata”), sia dal Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 93, commi 2 e 3, (Codice in materia di protezione dei dati personali, in cui si afferma la validita’ della dichiarazione della madre di non voler essere nominata e si consente l’accesso “al certificato di assistenza del parto ed alla cartella clinica”, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata solo dopo un secolo dalla loro formazione, ovvero prima, durante il periodo di cento anni, solo osservando le opportune cautele per evitare che l’identificazione della madre).

Il comma 7 del piu’ volte menzionato articolo 28 e’ stato quindi modificato dalla L. n. 196 del 2003, articolo 177, comma 2, (“7. L’accesso alle informazioni non e’ consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, articolo 30, comma 1”). La norma richiamata dispone, a sua volta: “La dichiarazione di nascita e’ resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volonta’ della madre di non essere nominata”.

Il nostro legislatore, quindi, ha scelto di tutelare senza limitazioni il diritto all’anonimato della madre, in quanto veniva precluso a chiunque e, quindi, anche al figlio, di accedere alle informazioni riguardanti la propria origine, e stabilita, altresi’, l’impossibilita’ di chiedere il rilascio del certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, comprensivi dei dati personali della madre, se non trascorsi cento anni dalla formazione dello stesso documento.

L’articolo 93, comma 3, (“certificato di assistenza al parto”), del codice in materia di protezione dei dati personali, prevede infatti che, prima dei cento anni dalla formazione del documento (termine da cui l’accesso al testo integrale e’ consentito a chiunque vi abbia interesse), “la richiesta di accesso al certificato o alla cartella puo’ essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”.

Il Decreto Legislativo n. 101 del 2018, (Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento UE/2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche’ alla libera circolazione di tali dati) ha, con l’articolo 27, abrogato il Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 177, non incidendo invece sul dettato dell’articolo 93 citato.

Tuttavia, tale abrogazione non spiega alcun rilievo nel presente giudizio (a confutazione di quanto invece esposto dalla ricorrente nel secondo motivo), in quanto l’articolo 28, comma 7, nella stesura successiva alla 1.196/2003 (Nuovo Codice della Privacy) – il cui articolo 177 e’ ora abrogato per effetto del Decreto Legislativo n. 101 del 2018 – con il quale si segnava il limite assoluto all’accesso alle origini in caso di parto anonimo era stato gia’ caducato dall’intervento della Consulta del 2013, che, come si esporra’ nel successivo paragrafo, con pronuncia di declaratoria di illegittimita’ costituzionale cd. additiva di principio, ha altresi’ introdotto il principio secondo il quale il figlio possa chiedere al giudice di interpellare la madre ai fini della revoca della dichiarazione di anonimato, a suo tempo fatta.

Il legislatore non e’ ancora intervenuto per assicurare piena attuazione al riconoscimento del diritto alle origini del figlio adottivo, attraverso la regolamentazione della procedura di accesso alle origini da parte dell’adottato nato da madre che abbia scelto l’anonimato.

4. Avuto, quindi, riguardo alla giurisprudenza, dopo alcune pronunce negative della Corte Costituzionale, la Corte di Strasburgo, con sentenza del 25 settembre 2012 (Godelli c. Italia, sulla scia della sentenza Odievre c. Francia n. 42326 del 13/2/2003 (con pronuncia reiettiva del ricorso dell’interessato)), pur non negando il diritto della donna di partorire nell’anonimato e, di conseguenza, la legittimita’ del limite all’accesso alle informazioni sull’identita’ della madre biologica dell’adottato, ha criticato la legislazione italiana nella parte in cui non prevedeva un meccanismo di bilanciamento (analogo a quello francese) dei due opposti interessi, entrambi meritevoli di tutela.

Cio’ faceva si’ che la normativa in materia fosse in contrasto con l’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui e’ sancito il “rispetto della vita privata e familiare”, che si declina nel rispetto all’identita’ personale intesa anche come possibilita’ di conoscere le proprie origini o, almeno, di acquisire informazioni ad esse relative.

Invero, il diritto alla conoscenza biologica delle proprie origini segue una logica anzitutto identitaria, rappresentando quello all’identita’ personale un diritto fondamentale riconosciuto a ciascun essere umano, ma puo’ nascere anche da un bisogno di salvaguardia della salute e della vita del richiedente, sotteso alla necessita’ di individuare, ad esempio, particolari patologie di tipo genetico, per le quali sia necessaria un’anamnesi familiare.

Con la sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013 e’ stata dichiarata “l’illegittimita’ costituzionale della L. 4 maggio 1983, n. 184, articolo 28, comma 7, (Diritto del minore ad una famiglia), come sostituito dal Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 177, comma 2, (Codice in materia di protezione dei dati personali), nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilita’ per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, articolo 30, comma 1, (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma della L. 15 maggio 1997, n. 127, articolo 2, comma 12) – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione”.

La Corte Costituzionale ha evidenziato l’irragionevolezza dell’irreversibilita’ del segreto conseguente alla scelta di anonimato operata dalla madre partoriente, che risulta in contrasto con gli articoli 2 e 3 Cost..

La Corte ha, tuttavia, precisato che sara’ rimesso al legislatore di ” introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualita’ della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalita’ di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si e’ detto”; per tale ragione, l’articolo 28, comma 7, in esame, e’ stato dichiarato incostituzionale – nella parte in cui non prevede la possibilita’ per il giudice, in tal senso richiesto dal figlio adottivo, di interpellare la madre che aveva scelto di rimanere anonima (al fine di verificarne l’eventuale perdurante volonta’) – ma con la rilevante precisazione che le modalita’ dell’interpello dovranno essere definite secondo “un procedimento stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza”, in ordine alla verifica da effettuare.

La Corte ha fatto ricorso alla tecnica della cd. pronuncia additiva di principio, dichiarando l’illegittimita’ costituzionale della disposizione oggetto del giudizio (L. n. 184 del 1983, articolo 28, comma 7) “nella parte in cui non” (come nelle additive “classiche”) prevede la possibilita’ di interpellare la madre “attraverso un procedimento stabilito dalla legge”, ma ha indicato il principio generale cui rifarsi nel riempire di contenuti la lacuna riscontrata, rivolgendo al legislatore l’invito a predisporre una disciplina atta a recepire quanto dalla stessa enunciato.

Le Sezioni Unite (Cass. 1946/2017), intervenute su questione di primaria importanza (occorrendo chiarire se, a seguito della pronuncia additiva della Consulta, fosse effettivamente necessario un successivo intervento del legislatore recante la disciplina del procedimento di interpello riservato, in assenza della quale il tribunale per i minorenni, sollecitato dal figlio interessato a conoscere i suoi veri natali, non potrebbe procedere a contattare la madre per verificare se intenda tornare sopra la scelta per l’anonimato fatta al momento del parto o se, al contrario, il principio somministrato dalla Corte Costituzionale con la citata pronuncia, in attesa della organica e compiuta normazione da parte del Parlamento, si presti ad essere, per l’intanto, tradotto dal giudice comune in regole sussidiariamente individuate dal sistema, ancorche’ solo a titolo precario), hanno enunciato il seguente principio di diritto, nell’interesse della legge:

“In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorche’ il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilita’ per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e cio’ con modalita’ procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignita’ della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorche’ la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identita’”.

Si e’ rimarcato che la norma dichiarata costituzionalmente illegittima nella specie, l’implicita esclusione di qualsiasi possibilita’ per il figlio nato da parto anonimo di attivare, dinanzi al giudice, un procedimento atto a raccogliere l’eventuale revoca, da parte della madre naturale, della dichiarazione originaria – ha cessato di avere efficacia, non potendo piu’ “avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, cosicche’ il giudice non potrebbe “negare tout court al figlio l’accesso alle informazioni sulle origini per il solo fatto che la madre naturale aveva dichiarato, al momento della nascita, di voler essere celata dietro l’anonimato”, avendo la Corte Costituzionale introdotto, in via di addizione, il principio secondo il quale il figlio possa chiedere al giudice di interpellare la madre ai fini della revoca della dichiarazione di anonimato, a suo tempo fatta. Cosi’, “per effetto della dichiarazione di illegittimita’ costituzionale, la disposizione dell’articolo 28, comma 7, non e’ rimasta invariata, ma vive nell’ordinamento con l’aggiunta di questo principio ordinatore, capace di esprimere e di fissare un punto di equilibrio tra la posizione del figlio adottato e i diritti della madre”.

Secondo le Sezioni Unite, il procedimento utilizzabile, al fine di rendere l’additiva di principio suscettibile di seguito giurisdizionale conforme e’ quello di volontaria giurisdizione, previsto dalla L. n. 184 del 1983, articolo 28, commi 5 e 6; un procedimento in camera di consiglio che “- previ i necessari adattamenti, necessari ad assicurare in termini rigorosi la riservatezza della madre, che si impongono in virtu’ delle indicazioni contenute nel principio esplicitato dalla sentenza di illegittimita’ costituzionale – ben puo’ adattarsi al caso del figlio che richiede al giudice di autorizzare le ricerche e il successivo interpello della madre biologica circa la sua volonta’ di mantenere ancora fermo l’anonimato, e cosi’ rappresentare il “contenitore neutro” (cfr. Cass., Sez. U., 19 giugno 1996, n. 5629) di un’interrogazione riservata, esperibile una sola volta, con modalita’ pratiche nel concreto individuate dal giudice nel rispetto dei limiti imposti dalla natura dei diritti in gioco, reciprocamente implicati nei loro modi di realizzazione”.

Si e’ fatto quindi richiamo, come criterio utile, all’articolo 93 del codice in materia di protezione dei dati personali, all’epoca vigente, disposizione che consente, in ogni tempo, la comunicabilita’ delle informazioni “non identificative” ricavabili dal certificato di assistenza al parto o dalla cartella clinica, tuttavia ancorandola all’osservanza, ai fini della tutela della riservatezza della madre, delle relative “opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”. Le Sezioni Unite hanno quindi evidenziato che il citato articolo 28, comma 6, (che prevede che l’accesso per l’adottato alle notizie sulla sua origine e l’identita’ dei genitori biologici avvenga con modalita’ tali da evitare “turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente”), fornisce altra utile indicazione normativa che vale per tutte le posizioni coinvolte nella vicenda, non solo per il figlio ma anche per la madre, cosicche’ la ricerca e il contatto ai fini dell’interpello riservato devono essere “gestiti con la massima prudenza ed il massimo rispetto, oltre che della liberta’ di autodeterminazione, della dignita’ della donna, tenendo conto della sua eta’, del suo stato di salute e della sua condizione personale e familiare”.

Le Sezioni Unite si sono fatti carico di esaminare le linee-guida dettate da alcuni Tribunali per i minorenni ritenendole virtuose e soddisfacenti:

“Un Tribunale per i minorenni, una volta ricevuto il ricorso del figlio, forma il relativo fascicolo, secretato sino alla conclusione del procedimento e anche oltre; alla luce della visione del fascicolo della vicenda che porto’ all’adozione, incarica la polizia giudiziaria di acquisire, presso l’ospedale di nascita, notizie utili alla individuazione della madre del ricorrente; ove la madre risulti in vita, incarica il servizio sociale del luogo di residenza di questa (per via consolare, in caso di residenza all’estero) di recapitare, esclusivamente a mani proprie dell’interessata, una lettera di convocazione per comunicazioni orali, indicando diverse date possibili nelle quali le comunicazioni verranno effettuate, presso la sede del servizio o, ove preferito, al domicilio di quest’ultima.

Le linee guida di quel Tribunale prevedono inoltre che: ove la madre biologica, in sede di notificazione, chieda il motivo della convocazione, l’operatore del servizio sociale dovra’ rispondere “non ne sono a conoscenza”, osservando in ogni caso il piu’ stretto segreto d’ufficio; il servizio notificante informa il giudice delle condizioni psi- co-fisiche della persona, in modo da consentire le cautele imposte dalla fattispecie; il colloquio avviene nel giorno e nel luogo scelto dall’interessata, tra quest’ultima – da sola, senza eventuali accompagnatori – e il giudice onorario minorile delegato dal giudice togato.

A questo punto, secondo le direzioni pratiche, l’interessata viene messa al corrente dal giudice che il figlio che mise alla luce quel certo giorno ha espresso il desiderio di accedere ai propri dati di origine, e viene informata che ella puo’ o meno disvelare la sua identita’ e puo’ anche richiedere un termine di riflessione.

Se la donna non da’ il suo consenso al disvelamento, il giudice ne da’ semplice riferimento scritto al Tribunale, senza formare alcun verbale e senza comunicare il nome del richiedente; se invece la persona da’ il suo consenso, il giudice redige verbale, facendolo sottoscrivere alla persona interessata, solo allora rivelando a quest’ultima il nome del ricorrente.

Le linee guida di altri Tribunali per i minorenni prevedono la convocazione, da parte del giudice, del rappresentante dell’Ufficio provinciale della pubblica tutela, che consegna la busta chiusa contenente il nominativo della madre: il rappresentante dell’Ufficio della pubblica tutela viene fatto uscire dalla stanza; il giudice apre la busta e annota i dati della madre, inserendoli in altra busta, che chiude e sigilla, redigendo un verbale dell’operazione; la prima busta viene nuovamente sigillata e, siglata dal giudice con annotazione dell’operazione compiuta, viene riconsegnata al rappresentante dell’Ufficio, a questo punto fatto rientrare e congedato.

Tramite l’Ufficio dell’anagrafe, il giudice verifica la permanenza in vita della madre e individua il luogo di residenza. Il fascicolo rimane nell’esclusiva disponibilita’ del giudice ed e’ indisponibile per il ricorrente, che non potra’ compulsarlo, essendo abilitato soltanto a estrarre copia del suo ricorso. Ove la madre sia individuata, il giudice, avuta nozione delle caratteristiche del suo luogo di residenza, considerando le caratteristiche personali, sociali, cognitive della donna, prende contatto telefonico con il soggetto ritenuto piu’ idoneo nel caso concreto (responsabile del servizio sociale o comandante della stazione dei carabinieri), senza comunicare il motivo del contatto e chiedendo solo di verificare la possibilita’ di un colloquio con la madre in termini di assoluto riserbo.

Solo ove sia concretamente possibile l’interpello in termini di assoluta riservatezza, viene delegato il responsabile del servizio sociale (ovvero un giudice perche’ si rechi in loco) al contatto della madre e alla manifestazione a questa della pendenza del ricorso da parte del figlio. Il responsabile del servizio o il giudice raccolgono a verbale la determinazione della madre, di conferma ovvero di revoca dell’anonimato; solo ove la madre revochi la originaria opzione per l’anonimato, il ricorso, sussistendo le altre condizioni di cui alla L. n. 184 del 1983, articolo 28, viene accolto, e il ricorrente accede al nominativo materno”.

In conformita’ alle menzionate linee operative, questa Corte (Cass. 6963/2018) ha successivamente ribadito che “l’adottato ha diritto, nei casi di cui alla L. n. 184 del 1983, articolo 28, comma 5, di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l’identita’ dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignita’ dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto”.

Con la sentenza n. 15024/2016, si e’ poi affermato che sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identita’ personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine di cento anni, dalla formazione del documento, per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre, sul rilievo che cio’ determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta, anche dopo la sua morte, e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la reversibilita’ del segreto e l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre, proprio in ragione della revocabilita’ di tale scelta (in sintesi, secondo questa pronuncia, se il diritto della madre a non essere nominata in occasione del parto ha la funzione principale di contrastare l’opzione abortiva, questo diritto e’ pieno solo al momento della nascita del bambino, “dopo la nascita (…) il diritto all’anonimato diventa strumentale a proteggere la scelta compiuta dalle conseguenze sociali e in generale dalle conseguenze negative che verrebbero a ripercuotersi (…) sulla persona della madre.

Non e’ il diritto in se’ della madre che viene garantito ma la scelta che le ha consentito di portare a termine la gravidanza” (conf. Cass. 22838/2016, ove si e’ riconosciuto, inoltre, che il diritto ad accedere ad informazioni identificative in caso di morte della madre naturale non possa essere esercitato indiscriminatamente, in quanto, se alla morte della donna consegue l’estinzione del diritto personalissimo alla riservatezza, la procedura di accesso alle origini dovra’ pur sempre essere informata al rispetto dei canoni di liceita’ e correttezza senza pregiudizio di “terzi eventualmente coinvolti”, i quali possono legittimamente vantare un diritto a essere lasciati soli, ovvero all’oblio, e, diversamente, a reclamare che l’accesso a dati avvenga senza cagione di pregiudizio; Cass. 3004/2018).

Questione diversa e’ poi quella dell’accesso alle informazioni sanitarie sulla salute della madre per la tutela della vita o della salute del figlio o di un suo discendente, essendo necessario consentire l’accesso alle informazioni sanitarie, con modalita’ tali, pero’, da tutelare l’anonimato della donna erga omnes, anche verso il figlio.

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 278/2013 ha dichiarato “che debba, inoltre, essere assicurata la tutela del diritto alla salute del figlio, anche in relazione alle piu’ moderne tecniche diagnostiche basate su ricerche di tipo genetico”.

Le modalita’ procedimentali vanno, in tale ipotesi, desunte dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 93, Codice in materia di protezione dei dati personali, secondo cui, ai sensi del comma 3, prima del decorso dei cento anni, la richiesta di accesso al certificato di assistenza al parto (ora “attestazione di avvenuta nascita”) o alla cartella clinica della partoriente puo’ essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata, “osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”; si tratta di informazioni, non identificative, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili.

5.Tanto premesso, venendo all’esame del ricorso, il primo motivo e’ inammissibile.

Con esso, la ricorrente deduce del tutto genericamente, la violazione del diritto al contraddittorio ed al proprio diritto di difesa, adducendo la lunga e secretata istruttoria nel procedimento di interpello.

Ora, la garanzia della assoluta riservatezza delle informazioni acquisite dall’Ufficio giudiziario comporta necessariamente, come evidenziato anche dalle Sezioni Unite, che il fascicolo sia trattato con peculiari modalita’, in fase di istruttoria, rimanendo nell’esclusiva disponibilita’ del giudice ed essendo indisponibile per il ricorrente, che non potra’ compulsarlo, essendo abilitato soltanto a estrarre copia del suo ricorso. 6. Il secondo motivo e’ infondato, per le ragioni gia’ espresse al paragrafo 3, in quanto l’abrogazione, ad opera del Decreto Legislativo n. 101 del 2018, articolo 27, (Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento UE/2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche’ alla libera circolazione di tali dati), del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 177, non spiega rilievo nel presente giudizio, poiche’ l’articolo 28, comma 7, nella stesura conseguente alla sostituzione disposta con la 1.196/2003 (Nuovo Codice della Privacy), il cui articolo 177, e’ ora abrogato per effetto del Decreto Legislativo n. 101 del 2018, che contemplava un limite assoluto all’accesso alle origini in caso di parto anonimo, era stato gia’ inciso dall’intervento della Consulta n. 278 del 2013, con pronuncia additiva di principio.

La ricorrente sostiene che, una volta “venuta meno la disciplina derogatoria nei confronti del nato da parto anonimo”, per effetto dell’abrogazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2006, articolo 177, comma 2, che aveva introdotto il testo del comma 7 della norma in esame, discenderebbe “la necessita’ di applicare al caso di specie la disciplina generale di cui all’articolo 28, commi 5 e 6, i quali prevedono il diritto dell’adottato, raggiunta l’eta’ di 25 anni, di accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identita’ dei propri genitori biologici”, diritto “sostanzialmente potestativo”, da esercitare senza piu’ alcuna limitazione.

L’assunto non e’ corretto, in quanto trascura sia il fatto che la L. n. 184 del 1983, articolo 28, comma 7, era stato gia’ introdotto con la Riforma del 2001, che introduceva comunque un limite all’accesso alle informazioni in questione (“L’accesso alle informazioni non e’ consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato), sia l’intervento “additivo di principio” della Corte Costituzionale.

E, in ogni caso, la necessita’ di un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza della madre in caso di parto anonimo ed il diritto di conoscere le proprie origini, vale a dire tra il segreto materno successivo al parto anonimo ed il diritto del figlio biologico ad accedere alle informazioni sulla madre e sulla famiglia biologica, tali da permettere una ridefinizione del proprio paradigma identitario, permane, malgrado l’abrogazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 177, in quanto il parto anonimo riceve ancora tutela nel nostro ordinamento ed il disposto del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 93, sia pure come interpretato da questa Corte, non e’ stato modificato dal Decreto Legislativo n. 101 del 2018.

7. Il terzo ed il sesto motivo sono infondati.

Va invero ribadito che l’esigenza, evidenziata all’articolo 28, comma 6, legge adoz., di evitare che l’accesso alle notizie sulle proprie origini biologiche non procuri “grave turbamento dell’equilibrio psico-fisico del richiedente” (l’adottato), non puo’ che riguardare anche la madre biologica. L’indicazione normativa, infatti, deve valere per tutte le posizioni coinvolte nella vicenda, cosicche’ la ricerca della madre naturale e il contatto con la stessa ai fini dell’interpello riservato devono essere gestiti “con la massima prudenza ed il massimo rispetto, oltre che della liberta’ di autodeterminazione, della dignita’ della donna, tenendo conto della sua eta’, del suo stato di salute e della sua condizione personale e familiare” (SU 2017, cit.). In sostanza, lo stato di salute e l’eta’ della madre naturale, che aveva, al momento del parto, scelto l’anonimato, sono fattori determinanti ai fini dell’esame dell’istanza di interpello della stessa.

Ora, la Corte di merito ha, con motivazione logica e coerente, ritenuto che, a fronte dell’accertamento sulle condizioni di eta’ e stato di salute psichica dell’anziana madre naturale (trattandosi di persona “ormai quasi novantenne” e soprattutto con grave e deficitario stato di salute, anche psichico, unito a grosso deperimento fisico, tanto da avere comportato il riconoscimento di “invalidita’ civile al 100%”, soffrendo la stessa, tra l’altro, anche di depressione bipolare e vivendo assistita dai famigliari con continuato intervento domiciliare degli operatori sociali, in condizioni di “forte vulnerabilita’”, pur non essendo stata oggetto di procedure di interdizione, inabilitazione ovvero per la nomina di amministratore di sostegno, e “debolezza personale”) doveva essere condiviso il giudizio, gia’ espresso in primo grado, di incapacita’ della madre maturale “di esprimere il consenso a rivelare la propria identita’ alla figlia”.

Non e’ quindi corretto e conforme a diritto quanto indicato dalla ricorrente in ordine al fatto che il controllo giurisdizionale puo’ solo attenere alla fase, successiva all’autorizzazione dell’interpello della madre che ha scelto l’anonimato, della disciplina delle sue modalita’ esecutive e delle opportune cautele, senza alcuna rilevanza delle condizioni psico-fisiche della madre biologica nella fase anteriore.

La scelta del segreto sull’identita’ della madre, in sostanza, e’ ormai certamente divenuta una scelta reversibile e non piu’ assoluta, per effetto dell’intervento della Corte Costituzionale del 2013, ma e’ ancora una scelta che riceve tutela dal nostro ordinamento, occorrendo operare il giusto bilanciamento tra il diritto della madre all’anonimato ed il diritto del figlio a conoscere le proprie origini.

In particolare, il vizio di nullita’ della decisione impugnata per assoluta illogicita’ o contraddittorieta’, e’ infondato.

Le Sezioni Unite, in un recente arresto (Cass. 22232/2016), hanno precisato che “la motivazione e’ solo apparente, e la sentenza e’ nulla perche’ affetta da “error in procedendo”, quando, benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture”.

In ultimo, giova altresi’ ribadire che “la conformita’ della sentenza al modello di cui all’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, non richiede l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di soddisfare l’esigenza di un’adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per se’ sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l’iter” seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. 8294/2011).

Nella specie, la sentenza non risulta viziata da motivazione apparente o contraddittoria, avendo la Corte d’appello affermato, essenzialmente, che l’istanza di interpello, L. n. 184 del 1983, ex articolo 28, era infondata in diritto perche’, alla luce delle risultanze istruttorie, la madre naturale risultava essere un soggetto che, per eta’ e condizioni di salute, non era ormai in grado di esprimere una scelta consapevole in ordine alla revoca dell’anonimato, espressa oltre cinquant’anni prima.

8. Il quarto motivo e’ infondato.

La diversita’ di trattamento, tra l’ipotesi in cui la madre naturale che aveva scelto l’anonimato al momento del parto sia ancora in vita e quella in cui la stessa sia deceduta, al momento dell’istanza di accesso alle origini del figlio, e’ coerente con quanto ha avuto ad affermare questa Corte in ordine alla conoscenza delle proprie origini da parte del figlio adottivo, in caso di parto anonimo. Solo la madre vivente puo’ manifestare il proprio dissenso alla richiesta del figlio, nell’esercizio di propri personalissimi diritti soggettivi; in caso di decesso, invece, il figlio puo’ essere liberamente autorizzato dal Tribunale minorile ad accedere alle informazioni riservate sull’identita’ della propria madre, senza particolari ostacoli (Cass. civ., 21 luglio 2016, n. 15024; Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838; Cass. civ.,S.U., 25 gennaio 2017, n. 1946).

9. Il quinto motivo, con il quale si denuncia un vizio di nullita’ del procedimento, per violazione di legge, non potendo gli accertamenti, al di fuori delle attivita’ di ricerca della madre biologica, essere compiuti dalla polizia giudiziaria, i cui operanti sono sprovvisti delle qualifiche necessarie in considerazione della delicatezza della situazione, e’ inammissibile.

Anzitutto, il procedimento non e’ regolato per legge, ma, come chiarito dalle Sezioni Unite nel 2017, dalle prassi virtuose dei Tribunali e delle Corti d’appello che hanno colmato, allo stato, la lacuna legislativa.

In ogni caso, la sentenza impugnata da’ atto del fatto che l’attivita’ istruttoria e’ stata condotta attraverso accertamenti disposti dal Comando Provinciale dei Carabinieri, su delega del Tribunale per i minorenni, anche presso i Servizi Sociali ed operatori sanitari.

Oltretutto, l’affermazione, in ricorso, circa l’inidoneita’ della Polizia Giudiziaria, che si avvale di nuclei specializzati, e’ basata su mera petizione di principio.

10. Il settimo e l’ottavo motivo, da trattare unitariamente in quanto connessi, sono invece fondati.

Invero, il vizio denunciato di motivazione apparente, in relazione al rigetto della domanda subordinata di accesso alle sole informazioni di carattere sanitario, avendo la Corte di merito ritenuto la domanda da respingere al pari di quella principale, di accesso alle origini, respinta, e’ fondato.

Come gia’ rammentato al par.4, la domanda di accesso alle informazioni sanitarie sulla salute della madre, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili, e’ ulteriore e distinta rispetto a quella di puro accesso alle origini, avendo come finalita’ la tutela della vita o della salute del figlio adottato o di un suo discendente.

Il diritto va garantito, con modalita’ tali, pero’, da tutelare l’anonimato della donna erga omnes, anche verso il figlio, che potranno essere desunte dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 93, Codice in materia di protezione dei dati personali, secondo cui, ai sensi del comma 3, prima del decorso dei cento anni, la richiesta di accesso al certificato di assistenza al parto (ora “attestazione di avvenuta nascita”) o alla cartella clinica della partoriente puo’ essere accolta relativamente ai soli dati sanitari, non identificativi, relativi alla madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata, “osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”.

La Corte di merito non ha motivato in ordine alle ragioni del diniego, se non con il richiamo alle condizioni di eta’ e di salute della madre biologica ed alla sua incapacita’ di esprimere il consenso a rivelare la propria identita’ alla figlia, il che e’ del tutto inconferente. In sostanza, la richiesta di consultazione, meramente cartolare, dei dati sanitari, quali ricavabili dal certificato di assistenza al parto o dalla cartella clinica della partoriente, potra’ comportare, non potendosi consentire un accesso indiscriminato al documento sanitario in oggetto, un diritto di accesso sulla base di un quesito specifico, non esplorativo, relativo a specifici dati sanitari e con l’osservanza di tutte le cautele necessarie a garantire la massima riservatezza e quindi la non identificabilita’ della madre biologica.

10. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei soli motivi sette ed otto del ricorso, respinti o inammissibili gli altri, va cassato il decreto impugnato, in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il settimo e l’ottavo motivo del ricorso, respinti gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente procedimento, alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.

Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52 siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.