il possesso dei beni ereditari previsto dall’articolo 485 c.c. per l’acquisto della qualita’ di erede puro e semplice nel caso di mancata redazione dell’inventario nei termini di legge non deve necessariamente riferirsi all’intera eredita’, essendo sufficiente il possesso di un solo bene (nella specie, un letto ed alcuni effetti personali) con la consapevolezza della sua provenienza; ne’ deve manifestarsi in una attivita’ corrispondente all’esercizio della proprieta’ dei beni ereditari, esaurendosi in una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all’eredita’, e cioe’ in una situazione di fatto che consenta l’esercizio di concreti poteri su beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario.

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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 14 febbraio 2019, n. 4456

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 6241 – 2014 R.G. proposto da:

(OMISSIS), – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in virtu’ di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in virtu’ di procura speciale autenticata per notar (OMISSIS) in data 10.4.2014 dall’avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS).

– controricorrente –

e

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), CURATORE del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s..

– intimati –

avverso la sentenza della corte d’appello di Bari n. 21/2013;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 18 settembre 2018 dal consigliere dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Mistri Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;

udito l’avvocato (OMISSIS) per la ricorrente;

udito l’avvocato (OMISSIS) per la controricorrente.

FATTI DI CAUSA

Con atto in data 8.11.1982 (OMISSIS) citava a comparire innanzi al tribunale di Trani la madre, (OMISSIS) (deceduta nel prosieguo), i germani (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ la “(OMISSIS)” s.a.s..

Chiedeva farsi luogo alla divisione dell’eredita’ relitta dal padre, (OMISSIS), deceduto ab intestato il (OMISSIS), e che nell’asse ereditario fosse ricompresa l’azienda industriale denominata “(OMISSIS)”, siccome in forma fittizia alienata alla “(OMISSIS) ” s.a.s..

Con sentenza non definitiva n. 636/1987 – passata in giudicato – l’adito tribunale dichiarava la simulazione della vendita del complesso aziendale e ne disponeva la ricomprensione nel patrimonio relitto.

Con sentenza non definitiva n. 1138/1998 l’adito tribunale dichiarava prescritto il diritto di (OMISSIS) e di (OMISSIS) di accettare l’eredita’ e disponeva che l’asse ereditario fosse diviso tra gli eredi (OMISSIS) e (OMISSIS) ed il curatore del fallimento di (OMISSIS), quest’ultimo, nelle more, dichiarato fallito.

Con sentenza n. 1102/2000 la corte d’appello di Bari – in riforma della sentenza n. 1138/1998 – dava atto dell’intervenuta interruzione della prescrizione e dichiarava (OMISSIS) erede avente diritto di partecipare alla divisione dell’asse ereditario.

Con sentenza n. 2202/2004 questa Corte di legittimita’ cassava la sentenza n. 1102/2000 della corte di Bari ed affermava il principio per cui “la prescrizione del diritto di accettazione non e’ soggetta ad interruzione per il riconoscimento del coerede avvantaggiato dal mancato esercizio” (cosi’ ricorso, pag. 3).

Con atto di citazione notificato in data 24/31.12.2004 (OMISSIS) attendeva alla riassunzione del giudizio innanzi alla corte d’appello di Bari.

Resisteva (OMISSIS).

Non si costituivano e venivano dichiarati contumaci (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s..

Con sentenza non definitiva n. 732/2008 la corte d’appello di Bari rigettava il motivo del gravame – esperito da Anna Sabina (OMISSIS) – concernente la ritualita’ dell’eccezione di prescrizione e con separata ordinanza disponeva per il prosieguo istruttorio.

Interveniva in giudizio (OMISSIS), acquirente della quota ereditaria di spettanza di (OMISSIS).

All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza definitiva n. 21/2013 la corte d’appello di Bari accoglieva il gravame di (OMISSIS) ed, in riforma della sentenza n. 1138/1998 del tribunale di Trani, rigettava l’eccezione di prescrizione sollevata da (OMISSIS) e dichiarava (OMISSIS) avente diritto di partecipare alla divisione dell’eredita’ relitta da (OMISSIS); condannava (OMISSIS) a rimborsare ad (OMISSIS) le spese del primo giudizio di appello definito con sentenza n. 1102/2000, le spese del giudizio definito da questa Corte con sentenza n. 2202/2004 e le spese del giudizio di rinvio.

Evidenziava la corte che le risultanze istruttorie erano atte a confermare che (OMISSIS), a seguito della morte del padre, aveva convissuto con la famiglia fino al 1983 e conseguentemente che aveva avuto il compossesso della casa familiare, dei mobili che l’arredavano e del fondo di proprieta’ del de cuius.

Evidenziava segnatamente che rilevava in tal senso la mancata comparizione senza giustificato motivo – e dunque la mancata risposta – dei convenuti, (OMISSIS) e (OMISSIS), all’udienza fissata per l’assunzione dell’interrogatorio formale ad essi deferito, mancata risposta quale corroborata dalle dichiarazioni rese, in sede di interrogatorio formale, dal convenuto (OMISSIS).

Evidenziava segnatamente che la circostanza della coabitazione rinveniva conferma alla luce delle dichiarazioni, precise e circostanziate, rese dalla teste (OMISSIS); che del tutto generiche e prive di qualsivoglia valenza erano viceversa le dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS).

Evidenziava segnatamente, con riferimento alla certificazione dell’I.N.P.S. attestante che (OMISSIS) aveva lavorato a Reggio Calabria dal febbraio 1973 al dicembre del 1974, che l’appellante aveva si’ prestato lavoro all’epoca dell’apertura della successione fuori (OMISSIS), nondimeno tale circostanza non ostava al possesso da parte sua dei beni ereditari; che invero per nulla risultava che ad (OMISSIS) fosse stato precluso l’utilizzo del beni relitti dal de cuius, “allorche’, pur lavorando a Reggio Calabria, tornava a (OMISSIS) per trascorrere le festivita’ o le ferie” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 7); che analoghi rilievi erano da formulare anche relativamente al periodo successivo al dicembre 1974, giacche’ doveva presumersi che l’appellante, nubile, terminato il periodo di lavoro a Reggio Calabria, fosse tornata a Barletta presso l’abitazione del padre.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS); ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

(OMISSIS) ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s. non hanno svolto difese.

La controricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione ed erronea applicazione dell’articolo 476 c.c.; l’insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto degli atti di accettazione tacita dell’eredita’.

Deduce, per un verso, che non puo’ reputarsi acquisita prova della “coabitazione” di (OMISSIS); per altro verso, che la coabitazione occasionale e discontinua, coincidente con festivita’ e ferie, e’ priva di univoco significato.

Deduce inoltre che “l’abitazione familiare e’ collocata in un immobile escluso dall’asse ereditario” (cosi’ ricorso, pag. 8); che non vi e’ prova che gli arredi, ai quali pur e’ stato riferito il compossesso, siano appartenuti al de cuius.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione ed erronea applicazione dell’articolo 1140 c.c.; l’insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto del compossesso dei beni ereditari.

Deduce che il patrimonio ereditario, oltre all’azienda industriale denominata “(OMISSIS)”, comprende un fondo agricolo ed un fondo urbano e quindi non comprende alcun immobile destinato ad uso abitativo, sicche’ ” (OMISSIS) non puo’ aver partecipato al possesso della casa familiare” (cosi’ ricorso, pag. 10).

Deduce altresi’ che la corte di merito non ha chiarito di quale fondo di proprieta’ del de cuius (OMISSIS) abbia avuto il compossesso.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 116 c.p.c.; l’insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della valutazione delle prove.

Deduce che la corte distrettuale ha valutato in modo del tutto parziale le risultanze probatorie; che non e’ dato comprendere in che termini la coabitazione in una comune residenza valga quale esplicazione di un potere su altri immobili ricompresi nell’asse ereditario.

Deduce che del tutto erronea e’ la valutazione della testimonianza di (OMISSIS), della certificazione anagrafica rilasciata dal Comune di Barletta e della certificazione I.N.P.S..

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 480 c.c.; l’insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della prescrizione del diritto di accettazione dell’eredita’.

Deduce che la corte territoriale “non ha per nulla considerato che la successione si e’ aperta nel 1974, la coabitazione dei chiamati e’ cessata nel 1980 (anno del matrimonio di (OMISSIS)), che il cambio di residenza della stessa e’ stato registrato nel 1983, che la prima rivendicazione dei diritti ereditari e’ stata avanzata da (OMISSIS) nel 1992 (a distanza di diciotto anni dal decesso del padre e di dodici anni dalla fine della coabitazione)” (cosi’ ricorso, pag. 13).

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 91 c.p.c., comma 1; l’omessa motivazione sul punto della condanna alle spese processuali.

Deduce che ella ricorrente e’ risultata soccombente nel primo giudizio di appello “per un fondamentale errore del collegio giudicante” (cosi’ ricorso, pag. 14); che anzi alla stregua della decisione n. 2202/2004 di questa Corte di legittimita’ e’ risultata vittoriosa e nel primo giudizio d’appello e nel susseguente giudizio innanzi a questa Corte.

Deduce quindi che in sede di regolamentazione delle spese di lite, regolamentazione del tutto priva di motivazione, si sarebbe senz’altro imposta una parziale compensazione.

Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono strettamente connessi. Se ne giustifica percio’ la disamina contestuale. I medesimi motivi comunque sono privi di fondamento e vanno respinti.

Va debitamente premesso che l’impugnata statuizione, ancorche’ con formulazione non particolarmente esplicita, ha esaustivamente e congruamente riscontrato non gia’ l’accettazione tacita ex articolo 476 c.c., sibbene l’accettazione “presunta”, ex lege, dell’eredita’ paterna da parte di (OMISSIS).

Se ne trae conferma, nonostante l’assenza di qualsivoglia espresso riferimento nel testo dell’impugnato dictum alla previsione dell’articolo 485 c.c., alla stregua del passaggio iniziale della motivazione, ove si afferma che aveva errato il tribunale di Trani, con la gravata sentenza, a “non ammettere le prove che furono richieste dall'(…) appellante per provare l’avvenuta accettazione ex lege dell’eredita’” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 5).

Ne discende che non si correlano alla ratio decidendi, propriamente alla “costruzione” in diritto dell’impugnata statuizione, e la rubrica del primo mezzo di impugnazione – ove e’ richiamo all’articolo 476 c.c. ed all’accettazione tacita dell’eredita’ – e l’argomentazione veicolata dallo stesso mezzo, a tenor della quale la “coabitazione” “non soddisfa il requisito del compimento di “un atto che presuppone necessariamente la volonta’ di accettare”, previsto dall’articolo 476 c.c., per configurare l’accettazione tacita di eredita’” (cosi’ ricorso, pag. 6).

Si rappresenta d’altro canto che i motivi di ricorso de quibus agitur, sono, al fondo, diretti a censurare il giudizio “di fatto” cui la corte di Bari ha atteso ai fini dell’accertamento in capo ad (OMISSIS) del presupposto del possesso dei beni ereditari postulato dall’articolo 485 cod. civ. allo scopo dell’accettazione “presunta” (“il ragionamento della Corte territoriale (…), anche per la sommaria ed incongrua valutazione delle prove orali acquisite, si rivela del tutto fallace (…)”: cosi’ ricorso, pag. 6; “l’indagine dei Giudici di appello quindi avrebbe dovuto rivolgersi alle volonta’ desumibili dai comportamenti considerati e non fermarsi alle esteriorita’ dei fenomeni”: cosi’ ricorso, pag. 9; “la Corte di Appello di Bari ha fondato la sua decisione sulle circostanze di fatto della (…). Da queste circostanze ha fatto conseguire la sua convinzione che (…)”: cosi’ ricorso, pag. 9).

Sicche’ si qualificano, essenzialmente se non esclusivamente, in rapporto alla previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (si condivide dunque il rilievo della controricorrente, a tenor del quale “tutti i motivi di gravame si presentano soltanto apparentemente nelle forme di cui all’articolo 360, comma 1, n. 3 (…), ma in realta’ contengono censure alla motivazione della sentenza”: cosi’ controricorso, pag. 6).

Del resto e’ propriamente la previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Ovviamente gli asseriti vizi veicolati dai motivi in esame sono da vagliare in rapporto della novella formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla fattispecie ratione temporis (la sentenza della corte pugliese e’ stata depositata il 31.1.2013), e nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

Ebbene, in quest’ottica, si rappresenta ulteriormente quanto segue.

Per un verso e’ da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” (“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”) destinate ad acquisire significato nel solco della pronuncia a sezioni unite teste’ menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di merito ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte distrettuale ha – siccome si e’ premesso – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Per altro verso la corte territoriale ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa, ovvero ha atteso al riscontro del possesso rilevante ai fini di cui all’articolo 485 c.c. in capo alla controricorrente.

Si rappresenta in ogni caso che l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte barese risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

In relazione al primo profilo (correttezza giuridica) si rimarca quanto segue.

Questa Corte spiega da tempo che il possesso dei beni ereditari previsto dall’articolo 485 c.c. per l’acquisto della qualita’ di erede puro e semplice nel caso di mancata redazione dell’inventario nei termini di legge non deve necessariamente riferirsi all’intera eredita’, essendo sufficiente il possesso di un solo bene (nella specie, un letto ed alcuni effetti personali) con la consapevolezza della sua provenienza; ne’ deve manifestarsi in una attivita’ corrispondente all’esercizio della proprieta’ dei beni ereditari, esaurendosi in una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all’eredita’, e cioe’ in una situazione di fatto che consenta l’esercizio di concreti poteri su beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario (cfr. Cass. 14.5.1994, n. 4707; Cass. 5.5.2008, n. 11018; Cass. 5.4.1977, n. 1301).

E spiega ancora che sia gli articoli 959 e 960 c.c. del 1865 sia la corrispondente norma del codice civile vigente (articolo 485), nel riferirsi all’erede o al chiamato all’eredita’ che si trovi nel possesso dei beni ereditari “al momento dell’apertura della successione”, danno rilevanza alla sussistenza ma non alla durata del possesso (cfr. Cass. 24.2.1984, n. 1317, ove si soggiunge che, di conseguenza, nessun effetto negativo dell’attribuzione di quel titolo puo’ derivare dalla circostanza che, dopo aver posseduto anche per un solo giorno i beni ereditari, il chiamato perda tale possesso, rimanendo sempre a carico del predetto il compimento in tre mesi dell’inventario (o la rinunzia all’eredita’) e cosi’, in caso di inottemperanza, l’attribuzione della qualita’ di erede puro e semplice con la correlativa possibilita’ di trasmettere in via successoria i beni ereditari).

In questi termini del tutto ingiustificata e’ la prospettazione della ricorrente secondo cui “dalla lettura delle emergenze istruttorie (…) non puo’ certamente trarsi che (OMISSIS) abbia esercitato sul patrimonio ereditario “un potere che si manifesta in un’attivita’ corrispondente all’esercizio della proprieta’”” (cosi’ ricorso, pag. 10).

In questi termini del tutto ingiustificata e’ la prospettazione della ricorrente secondo cui nessuna disposizione consente l’attribuzione della qualita’ di erede al chiamato “per il solo fatto di aver condiviso l’abitazione della famiglia con gli altri chiamati, accettanti, per un tempo limitato” (cosi’ ricorso, pagg. 12 – 13).

In questi termini, contrariamente all’assunto della ricorrente, la “coabitazione con i propri familiari in occasione di festivita’ e ferie” (cosi’ ricorso, pag. 7) riveste significato concludente.

In questi termini ampiamente si stempera l’assunto della ricorrente secondo cui non vi e’ riscontro che i beni mobili costituenti l’arredo dell’abitazione fossero di proprieta’ del de cuius, si’ che possa ipotizzarsi che la sorella ne abbia avuto il compossesso (cfr. ricorso, pag. 10).

Eloquente e’ il riferimento al “letto e ad alcuni effetti personali del de cuius”, di cui alla pronuncia n. 4707/1994 di questa Corte dapprima citata.

In relazione al secondo profilo (congruita’ ed esaustivita’ della motivazione) si rimarca quanto segue.

Innanzitutto, nel vigore del nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e’ esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

Altresi’, nel nel vigore del nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non e’ piu’ configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullita’ della sentenza ai sensi del medesimo articolo 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’articolo 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) e’ idonea ad integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Da ultimo, la ricorrente censura – precipuamente con il terzo ed il quarto motivo – l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa.

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Destituito di fondamento e’ pur il quinto motivo di ricorso.

E’ sufficiente reiterare, da un canto, l’insegnamento di questo Giudice del diritto, debitamente richiamato dai controricorrenti (cfr. controricorso, pagg. 28 – 29), secondo cui il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (cfr. Cass. (ord.) 13.3.2013, n. 6369; Cass. 29.9.2011, n. 19880; Cass. 11.1.2008, n. 406).

Ovviamente il principio trova applicazione anche nel caso in cui il giudizio venga definito – siccome nel caso di specie – in sede di rinvio a seguito di cassazione pronunciata su ricorso della parte che, infine, rimane soccombente (cfr. Cass. 14.12.2000, n. 15787).

E’ sufficiente reiterare, d’altro canto, l’insegnamento di questo Giudice del diritto secondo cui, in tema di spese processuali solo la compensazione deve essere sorretta da motivazione, e non gia’ l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, percio’, non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta (cfr. Cass. 23.2.2012, n. 2730; Cass. 2.4.1979, n. 1868).

Una puntualizzazione finale si impone.

Nessuna contraddizione si scorge, nonostante il mero sovrabbondante riferimento al giudizio di primo grado, in punto di regolamentazione delle spese alla stregua del criterio della soccombenza nella motivazione dell’impugnata decisione: quivi sono regolate, univocamente, esclusivamente, cosi’ come nel dispositivo, “le spese del precedente giudizio di appello, del giudizio di cassazione, e del presente giudizio di appello” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 8).

In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente, (OMISSIS), va condannata a rimborsare alla controricorrente, (OMISSIS), le spese del presente giudizio di legittimita’. La liquidazione segue come da dispositivo.

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s. non hanno svolto difese. Nessuna statuizione pertanto va assunta nei loro confronti in ordine alle spese.

Si da’ atto che il ricorso e’ datato 4.3.2014. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto altresi’ della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’articolo 13, comma 1 bis Decreto del Presidente della Repubblica cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, (OMISSIS), a rimborsare alla controricorrente, (OMISSIS), le spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’articolo 13, comma 1 bis cit..

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.