La presunzione di possesso iniziale non elide la natura delittuosa dall’impossessamento, onde la protrazione del rapporto di fatto con la res che vi succede diverrà rilevante ai fini dell’usucapione solo quando perderà i caratteri iniziali di violenza e clandestinità, come delineati nell’art. 633 del codice penale, ai sensi dell’art. 1163 cc; ne consegue che si presume possessore chi ha iniziato a detenere la cosa, ma tale possesso non produrrà l’effetto di cui all’art. 1158 c.c. se non dal momento in cui perderà i caratteri di violenza e clandestinità di cui all’art. 1163 cc, con l’estinzione del diritto di querela attribuito al proprietario dagli artt. 633 cp, 120 cp, 124 cp.
Tribunale Taranto, Sezione 2 civile Sentenza 11 gennaio 2019, n. 78
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Taranto, Seconda Sezione Civile in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Alberto Munno, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta nel ruolo generale affari contenziosi sotto il numero d’ordine 1726 dell’anno 2010, assegnata alla cognizione del giudice dott. Alberto Munno con decreto emesso il 16 aprile 2018 dal Presidente f.f. della Seconda Sezione Civile del Tribunale di Taranto, e
vertente
TRA
Ca.Co. in qualità di impresa individuale esercitata sotto la ditta “Mi.Le.An. di Ca.Co.” (p. iva (…)), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Ma.De. (…)sito alla Via (…) in Taranto, e da questi rappresentato e difeso come da mandato in atti; successivamente elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Da.Ga. (…) sito in Taranto al Corso (…), e da questa rappresentato e difeso come da atto di costituzione di nuovo difensore e pedissequo mandato; successivamente Ca.Ri. (…) nella dichiarata qualità di unica erede di Ca.Co. deceduto il 24 luglio 2017, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Da.Ga. e da questa rappresentata e difesa come da mandato a margine della comparsa di costituzione per la riassunzione del processo interrotto;
Attore, convenuto in riconvenzionale
CONTRO
Ci.Gi. (…), elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Ma.Mi. (…) sito alla Via (…) in Taranto, e da questi rappresentato e difeso come da mandato in atti; e successivamente Ci.Ro. (…), Ci.Vi. (…), Ci.Ma. (…), Ci.Sa. (…), tutti nella dichiarata qualità di successori di Ci.Gi., tutti elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Ma.Mi. (…) sito alla Via (…) in Taranto, e da questi rappresentati e difesi come da mandato allegato alla comparsa di costituzione datata 17 settembre 2015;
Co. s.r.l. (…) corrente in Taranto alla Via (…), elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Ma.Mi. (…) sito alla Via (…) in Taranto, e da questi rappresentata e difesa come da mandato in atti;
Convenuti, attori in riconvenzionale
Ca.Al. nato (…);
Ca.Ca. nato (…), residente in San Giuseppe di San Marzano (TA) in Piazza (…);
Ca.Ma. nata (…), residente in Roma alla Via (…);
Convenuti contumaci
Ove all’udienza del 05 ottobre 2018 le parti precisavano le conclusioni come da relativo verbale; con ordinanza emessa in udienza il Tribunale riservava la causa per la decisione assegnando i termini consecutivi del 04 dicembre 2018 e del 24 dicembre 2018 ai sensi degli artt. 281bis, 189 e 190 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I. – Il procedimento è stato assegnato alla cognizione del giudice dott. Alberto Munno con decreto emesso il 16 aprile 2018 dal Presidente f.f. della Seconda Sezione Civile del Tribunale di Taranto, e dal magistrato assegnatario subito rinviato per la precisazione delle conclusioni previa comparizione interlocutoria delle parti innanzi a sé.
II. – La presente sentenza viene redatta senza la concisa esposizione dello svolgimento del processo e con una motivazione consistente nella succinta enunciazione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi, così come previsto dagli artt. 132 n. 4) c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c., nel testo introdotto rispettivamente dagli artt. 45 e 52 della legge n. 69 del 18-06-2009, trattandosi di disposizioni applicabili anche ai procedimenti pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della legge (cioè il 04-07-2009) ai sensi dell’art. 58 comma 2 della predetta legge.
Pur se superflua, perché la sentenza semplificata è l’effetto di una disposizione legislativa, tale premessa appare opportuna, trattandosi di una innovazione recente, che modifica la tecnica diffusa di far ricorso a moduli compilativi più complessi, anche nella parte in fatto solitamente denominata come “svolgimento del processo”.
Ovviamente la redazione della motivazione obbedisce innanzitutto al dovere di ossequio verso l’art. 111 della Costituzione che al comma 6 della vigente formulazione dispone “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”, così facendo obbligo di esplicitare i punti fondamentali del processo logico – giuridico che ha condotto alla decisione, ed al consequenziale obbligo imposto dall’art.112 c.p.c. al giudice di pronunciare su tutti i capi autonomi di domanda e su tutte le eccezioni ritualmente sollevate dalle parti su questioni non rilevabili di ufficio; purché, naturalmente, i primi e le seconde siano entrambi proposti entro i termini imposti dalla maturazione delle c.d. preclusioni assertive, coincidenti con lo spirare della fase di trattazione della causa di cui all’art. 183 c.p.c., essendo la tardiva proposizione rilevabile anche d’ufficio e pur in assenza di opposizione della controparte, mentre il mancato rilievo non integra il vizio di omessa pronuncia poiché nessun potere – dovere incombe sul giudice per effetto della formulazione di domande inammissibili.
Nella stesura della motivazione si è altresì tenuto conto dell’insegnamento giurisprudenziale secondo cui questa deve consistere nella esposizione delle argomentazioni in fatto ed in diritto
poste a fondamento della adottata decisione, fedelmente riproduttive dell’iter logico – giuridico seguito dal giudice, senza necessità di soffermarsi nella disamina di tutte le argomentazioni sviluppate dalle parti3, che debbono così intendersi come ritenute non pertinenti e non risolutive ai fini della definizione del giudizio qualora non espressamente richiamate nei motivi della decisione.
Ugualmente è a dirsi in relazione all’obbligo di motivare sulla valutazione del materiale probatorio raccolto, che non deve certamente avvenire passando analiticamente in rassegna tutte le risultanza istruttorie ma, in un ordinamento giuridico che non conosce una gerarchia tra i mezzi di prova e che limita a poche ipotesi i casi di c.d. prova vincolante, consentendo la formazione del libero convincimento del giudice anche sulla base di una prova meramente presuntiva che sia in contrasto con le altre acquisite, e anche sulla scorta del solo comportamento processuale ed extraprocessuale della parte, deve consistere nella semplice indicazione degli elementi che hanno condotto il giudicante al convincimento esternato nella decisione, dovendosi ritenere implicitamente disattesi quelli non espressamente richiamati e che con i primi siano incompatibili.
Dalla inconfigurabilità di un obbligo di confutare analiticamente ogni argomentazione in fatto e diritto sviluppata dalle parti di causa, discende la insussistenza di ogni ipotesi di omessa pronuncia quando il giudice adotti nel dispositivo una statuizione di accoglimento o rigetto su di un autonomo capo di domanda, formulandola anche solo implicitamente merce l’assorbimento in altre statuizioni decisorie incompatibili, e pur in assenza di una apposita argomentazione nella parte motiva.
III. – Con la domanda introduttiva Ca.Co., nella qualità di titolare di omonima impresa individuale esercitata sotto la ditta “Mi.Le.An. Ideal Ceramiche di Ca.Co.”, evocava in giudizio i convenuti epigrafati deducendo: 1) di aver iniziato nel 1988 l’attività commerciale sul suolo di proprietà di Ca.Le. e Ni.Ma. sito in agro di Taranto ed allibrato al mappale fg. (…), p.lla (…), utilizzando tuttavia altra porzione fondiaria confinante con detta particella (…) (oltre che con le particelle (…) e (…)) e sito all’interno della particella 502 del medesimo mappale fg. 206, già da egli in precedenza utilizzato per raggiungere la strada pubblica; 2) che il predetto fondo veniva di seguito recintato; 3) di aver così esercitato il possesso pacifico, pubblico, continuo ed ininterrotto manifestato con la recinzione del fondo alla particella 150 di proprietà dei sigg.ri Ca.Le. e Ni.Ma.; 4) di aver così maturato il diritto a sentirsi riconoscere proprietario del predio per compiuta usucapione. Rassegnava conclusioni conformi chiedendo altresì il favore delle spese di lite.
Si costituiva con comparsa di risposta Ci.Gi. opponendosi alla domanda e deducendo: 1) la nullità dell’atto introduttivo del giudizio per mancata identificazione della cosa oggetto della domanda; 2) l’insussistenza dei presupposti per ritenere maturata la pretesa usucapione del cespite; 3) l’esercizio dei poteri inerenti lo status di proprietario per 1/4 della particella 502 del foglio di mappa 206; 4) la datazione al 22 marzo 1990 dell’inizio dell’attività di impresa esercitata dall’attore.
Concludeva chiedendo la reiezione della domanda attrice e, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore al rilascio in proprio favore del fondo de quo; il tutto col favore delle spese di lite.
Si costituiva pure la Co. s.r.l. opponendosi anch’essa alla domanda e deducendo di essere proprietaria per V del fondo de quo, mentre per 1/2 del diritto erano titolari Ca.Al., Ca.Ca. e Ca.Ma.; formulava per il resto difese analoghe a Ci.Gi., come pure analoghe erano le conclusioni.
IV. – L’attore esercita l’azione di accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione del predio allibrato col mappale fg. (…) p.lla (…); assume di averlo posseduto per oltre venti anni dopo essersene impossessato.
L’impossessamento, tuttavia, è un fatto astrattamente riconducibile nel novero dei fatti illeciti penalmente sanzionati e, quindi, vietati da norma penale incriminatrice, avente natura di norma di ordine pubblico come tutte le norme penali che, vietando la commissione di determinati fatti, comminano una pena criminale, la massima sanctio publica cui l’ordinamento giuridico fa ricorso solo per la proibizione di fatti che ritiene intollerabili per la stessa convivenza civile, e verso i quali esprime il massimo disvalore.
E così l’art. 633 del codice penale dispone: “Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da E 103 a E 1032. Le pene si applicano congiuntamente e si procede d’ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi”.
Con la domanda introduttiva del presente giudizio l’attore ha così posto a fondamento della propria pretesa la commissione di un fatto punito dalla legge come illecito penale.
Come fatto palese dalla formulazione della norma incriminatrice:
a) oggetto della tutela è il diritto di proprietà ed il possesso esercitato sull’immobile secundum legem ai sensi dell’art. 1140 del codice civile11;
b) sono tutelati tutti gli immobili, siano terreni che edifici, siano di appartenenza pubblica che privata;
c) l’azione incriminata, ancorché sia descritta come “invasione”, non richiede affatto l’uso di mezzi coercitivi contro le persone, non essendo necessarie né la cd violenza persona e né la cd violenza reale, invece elementi costitutivi della fattispecie di reato composto previsto nell’art. 423 del codice penale Za., essendo sufficiente la mera introduzione “arbitraria”, ovvero priva di una “copertura giuridica”, nell’immobile oggetto della altrui proprietà o possesso, accompagnata dalla intenzione di occuparlo per un tempo apprezzabile e trarvi un qualunque profitto;
d) l’illecito si perfeziona quando l’immobile, terreno od edificio altrui, pubblico o privato, sia assoggettato per un tempo pur breve ma apprezzabile, al potere di fatto dell’agente che vi sia introdotto “arbitrariamente”, ovverosia senza titolo giustificativo legittimante l’ingresso, restando escluse dalla qualificazione di illiceità le sole occupazioni oggettivamente transitorie ed occasionali;
e) l’illecito, ovverosia in il fatto criminoso contrario a norma di ordine pubblico, ha natura permanente, e si protrae sino a quando perdura l’occupazione e l’esercizio del potere di fatto da parte dell’occupante;
f) è perseguibile da parte del possessore privato del potere di fatto dall’agente mediante proposizione di querela sino a quando dura la fase della permanenza; L’illiceità della occupazione di immobile demaniale trova inoltre speciale sanzione per i beni del demanio marittimo ai sensi dell’art. 1161 del codice della navigazione che, sotto la rubrica “abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata” dispone:
“chiunque arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo o aereonautico o delle zone portuali della navigazione interna, ne impedisce l’uso pubblico o vi fa innovazioni non autorizzate, ovvero non osserva le disposizioni degli artt. 55, 714 e 716, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a Lire un milione, sempre che il fatto non costituisca più grave reato”.
L’azione criminosa del reato di cui all’art. 1161 c.n. è così simile, ma non identica, a quella del delitto di cui all’art. 633 cp:
a) nell’art. 633 cod. pen. l’azione consiste nel fatto di chi “…invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”;
b) nell’art. 1161 cod. nav. l’azione consiste nel fatto di chi “arbitrariamente occupa uno spazio del demanio..”;
L’avverbio “arbitrariamente” connota così come elemento normativo della fattispecie l’azione delittuosa, in ambo le ipotesi l’introduzione nell’immobile dovendo avvenire senza un titolo giuridico legittimante, costituendo l’elemento cd “unificante” di due fattispecie che possono anche concorrere, in quanto l’art. 633 cp: rappresenta un delitto a dolo specifico ove per il perfezionamento non si richiede la effettiva instaurazione della occupazione, risultando così notevolmente anticipata la cd barriera della punibilità; tutela indifferentemente gli immobili pubblici e privati, mentre l’art. 1161 cod.nav. tutela solo una particolare categoria di immobili pubblici, quali quelli appartenenti al demanio marittimo od aereonautico (Così il Tribunale di Taranto Sezione Agraria, Pres. Dott. G.Co., Rel. ed Est. dott. Al.Mu., sentenza emessa il 06 giugno 2016 nel procedimento n. 1983/2015 RGT)
Decaduta oramai il convenuto dall’esercizio del diritto di querela per decorso del termine di cui all’art. 124 del codice penale (“Salvo che la legge disponga altrimenti il diritto di querela non può essere esercitato decorsi tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato”), la permanenza del fatto illecito deve ritenersi cessata proprio con lo spirare del termine per la proposizione della querela da parte dell’offeso, identificabile in mancanza di altri elementi certi allegati dalle parti con la notifica dell’atto introduttivo del giudizio diretto a conseguire l’acquisto del diritto per usucapione.
Con la cessazione della permanenza dell’illecito penale il possesso da delittuoso diviene pacifico, venendo meno la violenza e la clandestinità ai sensi dell’art. 1163 cc: “Il possesso acquistato in modo violento o clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata”.
III. – “III. – Perché si abbia acquisto per usucapione del diritto di proprietà o di altri diritti reali di godimento su beni immobili “…è necessaria la sussistenza di un possesso continuato, ininterrotto, pacifico e pubblico esercitato coscientemente nel senso previsto dall’art. 1140 cod. civ., cioè concretantesi in un potere che si manifesta in una attività intenzionale del possessore corrispondente all’esercizio di un diritto dominicale sull’immobile…” (Cass. Civ. Sez. II sent. n. 4436 del 11-05-1996, Cass. Civ. Sez. II sent. n. 1019 del 10-04-1974).
Il sedicente usucapiente, per tanto, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ. deve dare prova dei requisiti del proprio possesso protrattosi per il tempo necessario al compimento della prescrizione acquisitiva, incluso quello della “continuità” del medesimo, mentre a carico del proprietario incombe l’onere di provare la esistenza di atti interruttivi del corso della prescrizione acquisitiva.
In quanto potere di fatto esercitato sulla cosa ad immagine della proprietà – o di altro diritto reale minore -, il possesso deve essere analizzato sotto entrambi gli aspetti nei quali si articola: l’elemento materiale, il corpus possessionis, ovverosia la relazione materiale con la res, che può essere anche identica pur in presenza di differenti situazioni giuridiche legittimanti in forza delle quali viene esplicata; l’elemento psicologico o spirituale, l’animus rem sibi habendi, ovverosia la ferma intenzione di esercitare il potere materiale ad immagine dello ius excludendi omnes alios, con la esclusione di ogni attività esercitata o esercitabile da parte di terzi che sia incompatibile con la pienezza ed esclusività che caratterizzano le facoltà dominicali ai sensi dell’art. 832 cod.civ., o di quelle del diritto reale minore ad immagine del quale è esplicato sulla cosa il corrispondente potere di fatto.
Il mero godimento del bene, pur estrinsecatosi nelle facoltà di fruizione ed uso che normalmente questo offre secondo una valutazione di normalità, non può così ritenersi elemento ex se sufficiente a far ritenere che quella attività materiale costituisca davvero possesso ex art. 1158 cod. civ., soprattutto se il proprietario, anche in difetto di un vero e proprio atto interruttivo della prescrizione acquisitiva ex art. 1165 cod. civ., comunque continui a manifestare il proprio interesse verso il bene, e la propria opposizione avverso la altrui attività.
Tanto deriva dalla fondamentale disposizione di cui all’art.1165 cod. civ. (“Le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e d’interruzione e al computo dei termini si osservano in quanto applicabili, rispetto all’usucapione”) che, rinviando alla disciplina generale sulla prescrizione, estende alla prescrizione acquisitiva la componente bifasica strutturale della prescrizione estintiva delineata dall’art. 2934 cod.civ., laddove configura la prescrizione dei diritti come fatto estintivo integrato non già dal mero decorso del tempo fissato dalla legge, ma connotato dalla inerzia del titolare del diritto che si vuole dichiarare estinto, con la conseguenza di vedere l’inazione del titolare quale elemento costitutivo dell’eccezione di prescrizione estintiva.
Chi eccepisce la prescrizione estintiva ex art. 2934 cod. civ. deduce quindi quale elemento costitutivo del fatto estintivo l’inerzia del titolare del diritto, ovverosia il mancato compimento di fatti di esercizio del potere giuridico protetto dalla norma astratta configuratrice della situazione giuridica soggettiva di vantaggio munita della c.d. tutela ordinamentale.
Costituendo l’inazione un fatto negativo, non può tuttavia. essere oggetto di prova da parte dell’eccipiente in adempimento dell’onere imposto dall’art. 2697 cod. civ., in quanto il fatto negativo per l’eccipiente corrisponde logicamente alla mancanza del fatto positivo compiuto da colui contro il quale l’eccezione è diretta, ed è così riconducibile alla di lui sfera giuridica come ritenuto in materia di ripartizione dell’onere della prova.
L’apparente contraddizione è così risolta configurando la c.d. controeccezione di interruzione della prescrizione come mera difesa, e consentendo al giudice di rilevare anche d’ufficio il fatto interruttivo del corso della prescrizione, purché introdotto nella fase assertiva e probatoria; ne consegue che il fatto interruttivo del corso della prescrizione estintiva diviene un elemento costitutivo di valenza negativa nella configurazione tipica della fattispecie estintiva, così come, ad esempio, nella teoria generale del reato l’assenza di scriminanti rappresenta elemento costitutivo della configurazione del fatto illecito che il giudice deve verificare d’ufficio, per cui l’eccezione di prescrizione estintiva include l’assenza di atti di esercizio del diritto da parte del suo titolare.
Per il rinvio disposto dall’art.1165 c.c. siffatta struttura logica si estende alla prescrizione acquisitiva ed è rafforzata dalla normale imprescrittibilità del diritto di proprietà.
Ne consegue che il sedicente usucapiente deve allegare non solo il corpus possessionis, ovvero l’esercizio del potere di fatto sulla cosa ad immagine del diritto ai sensi dell’art. 1140 cod. civ., ma anche l’assenza di atti di esercizio del diritto da parte del proprietario, la cui presenza integrerebbe una sorta di “scriminante” nella configurazione della “fattispecie illecita” costituita dall’acquisto a titolo originario con “estinzione” del diritto del dominus, essendo l’inerzia del dominus elemento costitutivo della prescrizione acquisitiva proprio come nella prescrizione estintiva dei diritti di cui all’art. 2934 cod. civ.
L’armonia del sistema, e la consequenziale eliminazione delle contraddizioni rilevate, si attuano con il recupero e la valorizzazione degli elementi costitutivi del possesso ad usucapionem e, in particolare, rievocando la nozione di possesso legittimo data dall’art. 686 del codice civile italiano del 1865 laddove disponeva:
“Il possesso è legittimo quando sia continuo, non interrotto, pacifico, pubblico, non equivoco e con animo di tener la cosa come propria.”, in conformità all’art. 2229 del Code Napoleon 1804 (“Pour pouvoir prescrire il faut une possession continue et non interrompue, paisible, publique, non èquivoque, et à titre de propriètaire”), ed al successivo art. 2106 esigeva che “Per acquisire mediante la prescrizione è necessario un possesso legittimo.”, così fondando la prescrizione acquisitiva sulla presenza di tutti elementi costitutivi del possesso come identificati nell’art. 686 cod. civ. 1865.
La norma inopportunamente non è stata riprodotta nel codice civile del 1942, ma la sua portata precettiva può essere ripristinata grazie al vigente art. 1163 cod. civ. che, sotto la rubrica “vizi del possesso”, dispone: “Il possesso acquisito in modo violento e clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata”.
Il possesso “utile” per l’art. 1163 cod. civ. italiano del 1942 è così riconducibile al possesso “inequivoco” dell’art. 686 del cod. civ. italiano del 1865 e, ancor prima, dell’art. 2229 del Code Napoleon 1804, capace di proeittare ex se all’esterno l’immagine del dominio pieno con l’effetto di esclusione verso i terzi, denotando il suo carattere inequivoco di proiezione fattuale del diritto ad immagine del quale viene esercitato.
A tali conseguenze perviene, sia pure non del tutto consapevolmente, anche la giurisprudenza di legittimità, che riconosce la persistenza nell’ordinamento vigente dei requisiti del “possesso legittimo” di cui all’art. 686 del codice civile del 1865 (e, di conseguenza, del Code Napoleon 1804 )25 al fine di maturare l’usucapione ventennale ai sensi dell’art. 1158 cod. civ., distinguendo inoltre la mera volontà contraria del titolare del diritto, inidonea ex se ad impedire la maturazione della prescrizione acquisitiva in suo danno26, dall’inerzia del titolare del diritto, costitutiva della fattispecie acquisitiva 27, a sua volta distinta pure dall’atto di interruzione del corso della prescrizione acquisitiva, e rimettendo al giudice il compito di accertare la fondatezza della domanda mediante la ricognizione dei suoi elementi costitutivi, siano essi l’attività fattuale del possessore e l’inerzia del titolare del diritto estrinsecatasi nell’assenza di attività che denotino all’esterno l’esercizio del diritto dominicale.
E così rivivono anche nel vigente codice civile del 1942 le categorie dogmatiche elaborate sotto il vigore del codice del 1865, tra cui spicca la inequivocità del possesso perché possa ritenersi “legittimo” nei sensi degli artt. 6686 e 2106 cod. civ. 1865 (possessio ex actu aequivoco non praesumitur acquisita ), e che aveva indotto la dottrina francese formatasi nel vigore del Code Napoleon 1804 ad affermare “E1 essenzialmente equivoco o dubbio il possesso se a tratto o a tratto si mostra e si nasconde, non è esclusivo o non si scorge se avuto a titolo di proprietà ovvero di famigliarità, o s’ignora dal pubblico se il detentore possieda per se stesso od a profitto d’altri” (Troplong), “bisogna che il possessore possieda chiaramente cum animo domini pro suo, in modo insomma che non sia dubbio che abbia goduto come proprietario, perché ove si potesse in date circostanze supporre che abbia goduto quale enfiteuta, usufruttuario, colono, creditore anticretico e simili, non avrebbe prescritto qualunque sia stato il periodo del godimento” (Duranton), “è equivoca quella cosa, fatto o voce che serve ad indicare due o più idee od oggetti fra loro diversi, secondo i migliori lessici” (Pardessus);
ed il Tribunale di Brindisi Sez. Dist. di Fasano, G.U. in persona del medesimo giudice monocratico, nella Sentenza del 22 dicembre 2002 nel processo n. 5603/1998 ad affermare: “….Il che configura una attività materiale di godimento, sì, ma astrattamente riconducibile anche a diversi rapporti giuridici aventi ad oggetto la relazione materiale con la res; così la coltivazione e la cura di un fondo rustico possono avvenire in forza di un rapporto di comodato, di affittanza, oppure essere semplicemente tollerati dal proprietario per la esistenza di rapporti di amicizia, parentela, affinità; ipotesi, quest’ultima, allegata dal … – (omissis) -…. Il possesso, infatti, in quanto potere di fatto esercitato sulla cosa ad immagine della proprietà – o di altro diritto reale minore – deve essere analizzato sotto entrambi gli aspetti nei quali si articola: l’elemento materiale, il corpus possessionis, ovverosia la relazione materiale con la res che, come già visto, può essere anche identica pur in presenza di differenti situazioni giuridiche legittimanti in forza delle quali viene esplicata; l’elemento psicologico o spirituale, l’animus rem sibi habendi, ovverosia la ferma intenzione di esercitare il potere materiale ad immagine dello ius excludendi omnes alios, con la esclusione di ogni attività esercitata o esercitabile da parte di terzi che sia incompatibile con la pienezza ed esclusività che caratterizzano le facoltà dominicali ai sensi dell’art. 832 cod. civ. Di talché non può ritenersi il mero godimento del bene, pur estrinsecatosi nelle facoltà di fruizione ed uso che normalmente questo offre secondo una valutazione di normalità, elemento ex se sufficiente a far ritenere che quella attività materiale costituisca davvero possesso ex art. 1158 cod. civ., soprattutto se il proprietario, anche in difetto di un vero e proprio atto interruttivo della prescrizione acquisitiva ex art. 1165 cod. civ., comunque continui a manifestare il proprio interesse verso il bene, e la propria opposizione avverso la altrui attività”.
Non è pertanto sostenibile che la mera attività di coltivazione di un fondo sia di per sé idonea all’acquisto del diritto di proprietà per compimento della prescrizione acquisitiva ventennale, qualora non disgiunta dal disinteresse del proprietario per la cosa esplicitato dall’assenza totale di atti di gestione uti dominus che rivelino ex se la permanenza dell’interesse protetto dalla situazione giuridica soggettiva di vantaggio, essendo l’inerzia del proprietario della cosa costitutiva della fattispecie acquisitiva a titolo originario, esattamente come per la prescrizione estintiva dei diritti ex art. 2934 cod. civ. lo è il mancato esercizio per il tempo richiesto dalla legge del diritto che l’eccipiente chiede sia dichiarato estinto” (Il presente paragrafo è tratto da Tribunale di Taranto G.U. dott. Alberto Munno, sentenza emessa l’11 ottobre 2013 nel procedimento n. 5369/2008 RGT).
IV. – La natura delittuosa dell’impossessamento fa si che l’inerzia del proprietario inizi a diventare rilevante quando egli decade dal diritto di proporre querela ai sensi dell’art. 124 del codice penale.
Da tale momento, con la cessazione della permanenza che caratterizza il reato, il possesso diviene pacifico ai fini di cui all’art. 1163 del codice civile del 1942, perdendo i caratteri di violenza e clandestinità, e l’inerzia del proprietario, vittima di un reato estinto, costitutiva della fattispecie
civilistica dell’acquisto per usucapione del diritto di proprietà.
Non vi è così alcuna incompatibilità tra l’istituto della usucapione di cui agli artt. 1158 e ss. c.c. e la configurazione dell’impossessamento come fatto penalmente illecito.
La correttezza di siffatta interpretazione è coonestata dai principi generali del diritto, che prevedono la tutela del diritto di proprietà, riconosciuto dalla legge e munito della garanzia fornita dall’art. 42 della Costituzione, che dichiarano imprescrittibile nel comma 3 dell’art. 948 c.c. laddove viene sancito: “L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione”.
L’usucapione è così solo un modo di acquisto della proprietà a titolo originario che ha come conseguenza riflessa l’estinzione del diritto del proprietario mediante la configurazione di una fattispecie estintivo – costitutiva: si estingue il precedente diritto, ne nasce ex novo un altro.
Le conclusioni che precedono non contrastano con la regola fondamentale dettata dall’art. 1141 cc: “Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione”.
La presunzione di possesso iniziale non elide la natura delittuosa dall’impossessamento, onde la protrazione del rapporto di fatto con la res che vi succede diverrà rilevante ai fini dell’usucapione solo quando perderà i caratteri iniziali di violenza e clandestinità, come delineati nell’art. 633 del codice penale, ai sensi dell’art. 1163 cc; ne consegue che si presume possessore chi ha iniziato a detenere la cosa, ma tale possesso non produrrà l’effetto di cui all’art. 1158 c.c. se non dal momento in cui perderà i caratteri di violenza e clandestinità di cui all’art. 1163 cc, con l’estinzione del diritto di querela attribuito al proprietario dagli artt. 633 cp, 120 cp, 124 cp.
Ugualmente confirmatoria delle conclusioni che precedono si appalesa l’art. 1168 c.c. laddove dispone:
“Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto
spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo…. – omissis – Se lo spoglio è clandestino il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio”.
Ne consegue che la vittima dell’impossessamento del terzo può proporre querela ex artt. 120 e 124 cp, esercitando l’azione civile per conseguire il rilascio dell’immobile ed il risarcimento del danno nello stesso procedimento penale ai sensi dell’art. 75 del c.p.p.
Diversamente può lasciare estinguere il diritto di querela e proporre entro l’anno l’azione di reintegrazione ex art. 1168 c.c. ai soli fini civili.
In via intermedia può proporre la querela ed agire contestualmente in sede civile ai sensi dell’art. 1168 cc, anche al fine di conseguire il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 703 c.p.c.
La configurazione come illecito penale dell’impossessamento rafforza la tutela del proprietario, che inizierà a subire la formazione progressiva della fattispecie estintiva del suo diritto solo quando avrà legale conoscenza dell’illecito altrui, con la possibile decadenza dall’esercizio del diritto di querela comminata dall’art. 124 del codice penale.
Appare così evidente come, mentre la tutela civile sia rimasta sostanzialmente inalterata nel codice civile del 1942 rispetto al codice civile del 1865, diversamente il codice penale Rocco del 1930 ha compiuto un notevole salto di qualità nella difesa del proprietario mediante l’introduzione della figura delittuosa dell’art. 633 cp, il cui ambito di operatività (“Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da E 103 a E 1032. Le pene si applicano congiuntamente e si procede d’ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi”) è sensibilmente maggiore rispetto a quella espletata dall’art. 423 del codice penale Za. del 1889 promulgato con Decreto Reale emesso il 30 giugno 1889, ed in vigore dal 01 gennaio 1890, che così disponeva: “Chiunque turba, con violenza verso le persone, l’altrui pacifico possesso sopra cose immobili è punito con la reclusione sino ad un anno o con la multa da Lire cento a duemila. Se il fatto sia commesso da più persone con armi, o da più di dieci persone ancorché senza armi, la pena è della reclusione da uno a tre anni o della multa da Lire duemila a cinquemila”.
Il possesso rilevante ai fini della maturazione della prescrizione acquisitiva inizia così a decorrere dalla cessazione della violenza o clandestinità nei confronti del soggetto spossessato.
Il fatto non è stato compiutamente allegato e provato dall’attore che non ha saputo introdurre le coordinate di tempo, luogo e persona in cui i soggetti spossessati hanno avuto consapevolezza della situazione in atto, con consequenziale decorso del termine per proporre querela.
In particolare tale momento non può essere identificato nel semplice inizio dell’attività di impresa in quanto non è stato provato che i procedimenti amministrativi diretti a conseguire gli atti permissivi dell’esercizio di tale attività si siano svolti in contraddittorio con i proprietari del suolo della cui usucapione si tratta; neppure è stato provato che la P.A. si sia doverosamente peritata di richiedere all’attore la prova dell’esistenza di un valido titolo giuridico che lo legittimasse a disporre della porzione fondiaria de qua per le finalità inerenti l’esercizio dell’attività di impresa, avendo essa P.A. l’obbligo giuridico di disattendere richieste di atti ampliativi della sfera giuridica di privati che li richiedano allegando a sostegno la commissione di un fatto previsto dalla legge come delitto, diversamente divenendo la stessa P.A. complice del reato di occupazione arbitraria di immobile altrui in danno dei legittimi proprietari abilitati a proporre contro la medesima P.A. le proprie istanze risarcitorie.
V. – La domanda attrice deve così essere rigettata.
VI. – In accoglimento delle domande riconvenzionali proposte da Ci.Gi., fatte proprie da coloro i quali si sono costituiti in sua vece, e da Co. s.r.l., l’attrice deve sentirsi condannare al rilascio in favore dei detti convenuti del fondo allibrato al mappale fg. 206 p.lla (…), libero e sgombero da persone e cose;
VII. – Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e sono poste a carico dell’attore.
P.Q.M.
a) rigetta la domanda attrice;
b) visto ed applicato l’art. 2668 comma 2 c.c. ordina al Sig. Conservatore dei RR.II. di procedere alla cancellazione della eventuale trascrizione della domanda giudiziale proposta da parte attrice;
c) in accoglimento della domanda riconvenzionale condanna Ca.Ri. al rilascio in favore degli eredi di Ci.Gi. e della Co. s.rl. del fondo allibrato al mappale fg. (…) p.lla (…), libero e sgombero da persone e cose;
d) condanna Ca.Ri. a rifondere spese e competenze di lite in favore dei convenuti,
liquidandole in Euro 7200,00 per compensi professionali, inclusa la maggiorazione del 20% per la parte ulteriore rispetto alla prima, oltre ad accessori come per legge, oltre a spese di registrazione della sentenza;
Così deciso in Monopoli l’8 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2019.