La privazione del possesso conseguente all’occupazione di un immobile altrui costituisce un fatto potenzialmente causativo di effetti pregiudizievoli ed idoneo a legittimare la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno, ben potendo il giudice successivamente liquidare in concreto il detto danno per mezzo di una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. che tenga conto, quale parametro di quantificazione, del valore reddituale del bene.
Corte d’Appello Genova, Sezione 2 civile Sentenza 21 marzo 2019, n. 427
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA
Sezione Seconda Civile
Composto dai Magistrati:
Dott. CARMELA ALPARONE – Presidente
Dott. RICCARDO REALINI – Consigliere
Dott. ANGELA LATELLA – Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado d’appello promossa da:
(…) (…) e (…), elettivamente domiciliati in VIA (…) 16121 GENOVA, presso l’avv. BO.AR., che li rappresenta unitamente all’avv. MU.GU. ((…)) per mandato in atti
APPELLANTE
contro
(…) (…) , in persona dell’amministratore pro tempore, (…), elettivamente domiciliata C/O AVV. RAFFO LUCA, PIAZZA (…), GENOVA, rappresentato dall’avv. MO.PI., per mandato in atti.
(…) (…) E (…) (…), elettivamente domiciliati in VIA (…) 16100 GENOVA, presso l’avv. BO.MA., che li rappresenta unitamente all’avv. RO.PA., per mandato in atti.
(…), elettivamente domiciliato/a in Genova VIA (…), presso l’avv. AN.MA. ((…)), che lo/la rappresenta unitamente all’avv. SA.CL. per mandato in atti.
(…) ed altri SRL (IN PERS. CURATORE FALLIMENTARE (…)),
contumaci
APPELLATI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 4971/2013, il Tribunale di Massa, premesso:
– che la (…) (CHR) aveva citato in giudizio (…) e (…), il Fallimento (…) Srl e la (…) Srl al fine di sentir determinare la linea di confine tra il proprio terreno sito in (…), distinta a catasto al foglio (…), mappale (…) sub. (…) e quello confinante di proprietà dei convenuti (…), identificato a catasto al foglio (…), mappale (…) sub. (…) nonché al rilascio della porzione di terreno illegittimamente occupato, eliminando e/o arretrando la recinzione eretta tra i due fondi;
– che i convenuti (…) si erano costituiti ed avevano eccepito sia il difetto di legittimazione attiva della CHR per non essere la stessa proprietaria dell’immobile, sia il difetto di legittimazione ad processum del geometra (…) in assenza di valida procura;
– che con vari atti successivi erano intervenuti nel giudizio autonomamente alcuni partecipanti della Comunione chiedendo l’accoglimento della domanda attorea e spiegando autonoma domanda di accertamento della proprietà di una quota del terreno censito al foglio (…) mappale (…) subalterno (…) del Catasto Terreni del Comune di Montignoso;
– che con provvedimento reso all’udienza del 23/4/2009 il G.I. aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (…) e (…) (mogli, rispettivamente, di (…) e di (…), comproprietarie insieme ai coniugi del terreno censito al foglio (…) mappale (…) subalterno (…)), che si erano costituite in giudizio con deposito di comparsa;
OSSERVAVA, quindi, che:
– le eccezioni sulla legittimazione attiva della (…) e sulla capacità processuale del geometra (…) erano infondate, perché la Comunione rappresentava la voce dei singoli comunisti e in quanto tale poteva svolgere tutte le domande a tutela della parte comune;
inoltre, era prodotta in atti la convenzione per regolamento dei rapporti di Comunione nella quale era stato conferito all’amministratore pro tempore il potere di rappresentare in giudizio la Comunione stessa;
il geometra (…), del resto, risultava essere amministratore della Comunione all’epoca della notifica dell’atto di citazione; ogni dubbio circa l’assenza di poteri processuali del geometra (…) era fugato dalla costituzione dei terzi comunisti, volontariamente intervenuti, svolgendo domanda adesiva a quella della Comunione;
– nel merito: l’azione proposta era qualificabile di regolamento di confini, ex articolo 950 c.c., essendo volta ad individuare la demarcazione tra fondi per rimuovere la relativa incertezza; nell’azione di regolamento di confini, i titoli non sono controversi e l’oggetto della domanda è esclusivamente l’eliminazione di un’incertezza circa il confine; lo stesso accertamento della proprietà su una parte di terreno in contestazione con il relativo effetto recuperatorio, consequenziale soltanto all’eliminazione dello stato di incertezza sul confine, non trasformava l’azione di regolamento di confini in azione di rivendica; in caso di incertezza soggettiva sul confine, la proposizione da parte del convenuto dell’eccezione o della domanda riconvenzionale di usucapione non valeva a snaturare in rivendica l’azione per regolamento di confini proposta dall’attore;
nel caso di specie, sussisteva un’incertezza in ordine al confine tra i due fondi almeno da un punto di vista soggettivo, poiché l’attrice sosteneva che il confine di fatto, ovvero la recinzione esistente, non corrispondeva con il confine previsto nei rispettivi titoli di acquisto della proprietà; la sentenza 823/2006 (citata dal c.t.u.) che aveva accertato l’usucapione in capo a (…) e (…) del terreno distinto al foglio (…) mappale (…) sub. (…), in applicazione della quale quest’ultima particella era stata frazionata in due porzioni, identificate con i mappali (…) e (…) sub. 4, non poteva essere presa in considerazione nella presente causa poiché non erano stati citati tutti i proprietari, ma solo il Fallimento (…) Srl e Fallimento (…) S.r.l.; in ordine alla domanda riconvenzionale di usucapione svolta dai convenuti (…), (…), (…) e (…) non era stata fornita la prova del possesso ultraventennale, per cui andava rigettata; in relazione alla domanda attorea di accertamento dei confini, non avendo le parti fornito elementi probatori a favore utili all’individuazione dell’esatto confine, poiché dai titoli dei provenienza e dai frazionamenti in essi richiamati risultava comunque incerto il confine tra le proprietà, occorreva fare riferimento alle mappe catastali;
il c.t.u. aveva accertato che il confine come materializzato dai convenuti in seguito alla realizzazione della recinzione non coincideva con quello desumibile dai titoli di acquisto ed accertava che “l’allineamento dei paletti prefabbricati esistenti in loco, posti nel lato nord ovest del mappale (…) sub. 4 (rilevati con i punti 119-115-116-117) e rappresentati nelle foto n. 21, 22,23, 24,25 e 26, individuava il confine oggetto di causa”;
che non vi era motivo per discostarsi dall’accertamento della c.t.u. non contestato; le domande svolte dai terzi intervenuti che oltre a quella di regolamento di confini miravano ad ottenere una specifica pronuncia di accertamento di un loro diritto di proprietà pro quota, svolgendo così domande nuove di rivendica, erano inammissibili; era fondata la domanda di condanna generica dei convenuti al risarcimento dei danni per mancato godimento della porzione di terreno abusivamente occupata; sussistevano giusti motivi di compensazione integrale delle spese, attesa la complessità degli accertamenti di fatto e delle questioni giuridiche affrontate.
Avverso tale sentenza, (…) e (…) hanno interposto appello, con atto dell’11/9/2014, con il quale hanno chiesto, per i motivi di cui infra, quanto in epigrafe trascritto.
Si è costituita ritualmente, con deposito di comparsa di risposta, resistendo all’appello di cui ha chiesto il rigetto, la (…), che ha altresì proposto appello incidentale, dolendosi dell’omessa pronuncia sulla domanda di eliminazione della recinzione abusiva realizzata dalle controparti e dell’erronea compensazione delle spese di lite.
Si sono costituiti altresi (…) e (…), rilevando la fondatezza dell’appello di cui hanno chiesto l’accoglimento.
Si è quindi costituita (…), chiedendo, in via preliminare, di dare atto dell’intervenuto decesso di G.M. prima dell’instaurazione del giudizio d’appello e di dichiarare l’interruzione o disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi, nel merito, il rigetto dell’appello infondato in fatto e diritto.
Con ordinanza del 20/5/2015, la Corte ha revocato l’ordinanza 26/11/2014 di interruzione, argomentando che solo nei giudizi instaurati, in primo grado, dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (mentre il presente giudizio è stato instaurato innanzi il tribunale di Massa nel 1992) con cui è stato modificato il comma 4 dell’articolo 300 c.p.c., la dichiarazione di morte del (…), non costituito nel presente grado, poteva essere effettuata dal difensore di altra parte, a nulla rilevando il fatto che il (…) fosse stato in primo grado difenso dal medesimo avvocato della (…), munito di procura anche per il presente grado di giudizio.
Precisate le conclusioni come in epigrafe all’udienza del 26/6/2018, la causa è stata trattenuta in decisione, alla scadenza dei termini per il deposito delle conclusionali e repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’appello, (…) e (…) censurano la sentenza per avere qualificato come di regolamento dei confini l’azione proposta, dal momento che in atto di citazione la Comunione aveva concluso formulando la domanda, “Previo accertamento che l’appezzamento di terreno censito al Comune di Montignoso fg. (…) mapp. (…) sub. (…) è di proprietà della (…), vuoi a titolo originario, vuoi a titolo derivativo”; il convenuto (…), costituendosi aveva espressamente contestato che il bene rivendicato fosse di proprietà dell’attore, eccepito di aver pieno diritto di continuare nella sua legittima occupazione e dichiarato di avvalersi del possesso indiscusso ed incontestato che vantava sull’immobile quale proprietario;
tutti gli intervenuti, poi, avevano chiesto l’accertamento che l’appezzamento di terreno in questione facesse parte dei beni di proprietà della Comunione;
così la chiamata in causa R., nel costituirsi a sua volta in giudizio, aveva chiesto “dichiararsi che le comparenti sono proprietarie dell’appezzamento di terreno sito in (…) (oggi foglio (…) mapp. (…) sub (…)) a titolo derivativo per averlo acquistato legittimamente”; il c.t.u. aveva accertato che il mappale (…) sub (…) non esisteva più ed era stato frazionato nei mappali (…) e (…) sub (…), l’appezzamento di terreno in contestazione è identificato dall’attore in quest’ultimo attuale mappale che ha un fronte di ben 17,24 ml per una profondità di circa 35 m ed una superficie quindi di circa 600 m.q.. Inoltre, esaminando la planimetria catastale 16/6/2008 si evince che l’appezzamento di terreno in contestazione ed identificato con il mappale (…) unitamente a quello confinante lato ponente e quindi esaminando la scrittura privata 12/10/89 autenticata dal Notaio F.C. si vede che con tale atto i comparenti unitamente ad altri avevano acquistato detto terreno.
In conclusione -sostengono gli appellanti- la controversia sull’interpretazione degli atti di provenienza e le dimensioni dell’appezzamento di terra in contestazione rendono evidente che tra le parti vi è contrasto non in ordine alla linea di confine, ma in merito alla proprietà di un vasto appezzamento di terreno.
Con il secondo motivo, gli appellanti si dolgono dell’affermata legittimazione ad agire dell’amministratore e della capacità processuale del geometra (…).
Sostengono che l’azione proposta ha natura reale essendo finalizzata non a tutela dei beni comuni, ma a far riconoscere la proprietà in capo ai comunisti di un determinato bene immobile da moltissimi anni in possesso di terzi. Non avendo la Comunione personalità giuridica, l’azione avrebbe dovuto essere proposta da almeno un comunista.
Quanto agli interventi volontari dei singoli comunisti, essendo adesivo/dipendenti, per cui gli intervenuti non potevano formulare domande autonome, gli stessi non avevano potuto sanare la carenza di legittimazione attiva e/o capacità processuale dell’amministratore.
Se dunque il (…) era ab initio carente di legittimazione attiva e/o di capacità processuale, le sue domande non potevano essere accolte, quelle formulate negli interventi adesivo/dipendenti non potevano trovare miglior sorte non potendo essere esaminate autonomamente.
Con il terzo motivo, gli appellanti censurano la sentenza laddove ha individuato il confine sulla base delle mappe catastali. Argomentano che l’azione doveva essere qualificata di rivendica e le domande dovevano essere respinte per mancanza di prova, il gravoso onere probatorio non era attenuato dalla proposizione della domanda riconvenzionale o dell’eccezione di usucapione, poiché chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio “possideo quia possideo” e nel caso di specie i comparenti erano pacificamente nel possesso del terreno rivendicato.
Il tribunale poi ha basato il proprio accertamento esclusivamente sulla base dell’elaborato peritale, ignorando che al c.t.u. era stato posto il quesito di individuare la linea di confine tra i mappale (…) sub (…) e (…) sub (…) del foglio (…) del NCEU del Comune di Montignoso. A prescindere dal fatto che il c.t.u. ha accertato che il mappale (…) sub (…) non era più esistente e che era stato frazionato nei mappale (…) sub (…) e (…), nessun accertamento era stato demandato al c.t.u. in ordine ai titoli di provenienza.
Ha errato, infine, il primo giudice nel recepire le conclusioni del c.t.u., senza considerare che il professionista aveva determinato la linea di confine tra i mappale (…) e (…) sub (…), mentre avrebbe dovuto determinare la linea di confine tra i mappali (…) sub (…) e (…) sub (…).
La cosa più eclatante è per gli appellanti che nella convenzione ed in tutti i contratti prodotti dagli intervenuti il mappale (…) sub (…) viene citato tra le coerenze e non tra i beni acquistati dalla Comunione dalla ex proprietaria (…) S.p.A.. Quindi non solo è contestata la titolarità del bene ma è addirittura provato che lo stesso non appartiene alla Comunione attrice.
Con il quarto motivo, gli appellanti censurano la sentenza per avere ritenuto priva di rilevanza nel presente giudizio la sentenza 823/2006 del Tribunale di Massa che aveva accertato l’avvenuta usucapione a favore dei (…) della proprietà dell’appezzamento di terreno di cui è causa. Sostengono che la sentenza era stata regolarmente trascritta il 27/2/2007 ed era passata in giudicato, mentre l’atto di citazione che ha originato la presente controversia non è mai stato trascritto; inoltre, le prove espletate nel giudizio conclusosi con quella sentenza avevano confermato che essi odierni appellanti avevano goduto del pieno, pacifico incontestato possesso uti domini dell’appezzamento di terreno a decorrere dal marzo 1980.
Il tribunale aveva accertato che la proprietà del terreno era delle società (…) e (…) e non della (…); il Conservatore dei registri immobiliari aveva accertato, in forza del principio della continuità delle trascrizioni, che l’immobile usucapito era intestato alla società convenuta, altrimenti non avrebbe potuto procedere alla trascrizione; l’atto di citazione introduttivo della causa di usucapione, trascritto, era stato notificato il 4/12/2000 e quello che ha dato origine alla presente controversia, non trascritto, il 27/9/2002.
L’affermazione del Tribunale che il giudizio che ha portato alla sentenza 823/2006 si sarebbe svolto in assenza di alcuni comproprietari è sfornito del benché minimo supporto. Il litisconsorte necessario pretermesso è legittimato a proporre opposizione di terzo contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva che pregiudichi i suoi diritti.
Con il quinto motivo, gli appellanti censurano la sentenza per aver rigettato per mancanza di prova la loro eccezione di usucapione, sostenendo che nel giudizio concluso con la sentenza 823/2006 erano state assunte le prove che avevano dato piena dimostrazione del possesso goduto da esso (…) e dalla di lui moglie per il periodo utile all’usucapione e che avrebbero potuto essere utilizzate in questo giudizio. Inoltre, essi avevano dedotto in memoria 184 c.p.c. capitoli di prova orale, che però non erano state espletate, pur dopo essere state in un primo momento ammesse, poi congelate e subordinate a una consulenza tecnica, quindi ignorate.
Con il sesto motivo, gli appellanti si dolgono della pronuncia di condanna al risarcimento del danno in via generica con riserva di quantificazione in separato giudizio, sostenendo che il danno non può ritenersi in re ipsa ed occorre che il danneggiato fornisca la prova dell’effettiva lesione del suo patrimonio.
Osserva la Corte che i primi tre motivi si fondano tutti sull’erronea qualificazione della domanda proposta dalla Comunione e, quindi, possono essere trattati congiuntamente.
I motivi sono infondati.
Nell’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio, infatti, la (…), dopo aver premesso di aver acquistato la proprietà del mappale (…) sub (…) foglio (…) nel 1989 e dopo aver allegato che ad ovest di detto appezzamento di terreno, i confinanti, (…) e F. avevano da qualche anno illegittimamente senza titolo occupato una larga porzione erigendovi una recinzione con pali e rete in modo da segnare un confine tra i fondi che non corrisponde a quello risultante dai rispettivi titoli di acquisto della proprietà e del possesso, aveva espressamente affermato che con il giudizio veniva “chiesto il regolamento dei confini”.
L’aver poi inserito l’inciso “previo accertamento che l’appezzamento di terreno censito al Comune di Montignoso fg. (…) mappale (…) sub-(…) è di proprietà della (…)” non comporta la trasformazione della domanda in quella di rivendica, ma individua esclusivamente un presupposto dell’azione di regolamento dei confini e cioè la qualità di proprietario del bene che si denuncia usurpato.
Non è privo di significato il comportamento processuale degli odierni appellanti che, di fronte alla formulazione del quesito al c.t.u. da parte del Tribunale del seguente tenore: “previo esame degli atti di causa e verificata la corrispondenza di tali atti con le risultanze degli Uffici Pubblici, accerti lo stato dei luoghi di causa con particolare riferimento all’individuazione della linea di confine tra i fondi confinanti di proprietà delle parti in causa (fg. 21 mapp. (…) sub (…) e mapp. (…) sub (…))”, non hanno sollevato alcuna opposizione, con ciò confermando che l’oggetto della controversia atteneva proprio al confine tra i fondi di loro proprietà individuati, rispettivamente, con il mappale (…) sub (…) e (…) sub (…) (come indicati nei rispettivi titoli di acquisto di cui si dirà), come è sostanzialmente richiesto dalla parte attrice.
Così si è espressa la Suprema Corte:
“In tema di azione di regolamento di confini, che presuppone l’assenza di demarcazione visibile (incertezza obiettiva) tra i fondi o la sua inidoneità a separarli in modo certo e definitivo (incertezza soggettiva), l’attribuzione a una delle parti della zona occupata dall’altra, che può costituire una naturale conseguenza naturale della determinazione del confine, non trasforma l’azione d regolamento di confini in quella di rivendicazione che postula invece la contestazione fra le parti dei rispettivi titoli di proprietà” (Sez. 2, Sentenza n. 11942 del 08/08/2003, Rv. 565763 – 01).
Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha richiamato tutti i principi da essa stessa espressi con orientamento consolidato al fine di individuare la linea di demarcazione delle due azioni, rivendica o regolamento di confini, così argomentando:
“reputa il Collegio che la domanda proposta non possa che essere fatta rientrare nel novero dell’azione di regolamento di confini di cui all’art. 950 c.c. In primo luogo non appare idonea a confutare la correttezza di tale inquadramento la circostanza che l’attore avesse avanzato anche richiesta di rilascio della porzione del fondo che asseriva essere oggetto di indebita occupazione ad opera della convenuta, essendosi reiteratamente affermato che (cfr. Cass. n. 6148/2016) nell’azione di regolamento di confini, compatibile con quella di rivendica, tanto da essere configurata come una “vindicatio incertae partis”, l’attore è dispensato dall’avanzare un’espressa domanda di rilascio della porzione di terreno indebitamente occupata dalla controparte, giacché implicita nella proposizione di detta azione, rappresentando un corollario del relativo accertamento.
Inoltre, se effettivamente va qualificata come azione di rivendica (cfr. Cass. n. 23121/2015) quella volta al rilascio di un fondo ed esercitata in base al titolo di proprietà dell’attore e all’assenza di titolo dell’occupante, viceversa (cfr. Cass. n. 28349/2011) deve ritenersi che ci si trovi al cospetto di un’azione di regolamento dei confini, volta ad individuare la demarcazione tra fondi per rimuovere la relativa incertezza, allorquando quest’ultima, oggettiva o soggettiva, cada sul confine tra due fondi, ma non sul diritto di proprietà degli stessi, anche se oggetto di controversia è la determinazione quantitativa delle rispettive proprietà.
In tal senso si è ribadito che (cfr. Cass. n. 15304/2006) poiché il discrimen tra le due azioni è la ricorrenza di una situazione di incertezza sul confine tra due fondi, ma non sul diritto di proprietà degli stessi, anche se oggetto di controversia è la determinazione quantitativa delle rispettive proprietà, l’azione di regolamento di confini non muta natura, trasformandosi in azione di rivendica, nel caso in cui l’attore sostenga che il confine di fatto non sia quello esatto per essere stato parte del suo fondo usurpato dal vicino.
In tal caso si afferma altresì che (così Cass. n. 12891/2006) la controversia tra proprietari confinanti in cui, senza porre in discussione i titoli di proprietà, si dibatta esclusivamente sulla estensione dei rispettivi fondi va qualificata come regolamento di confini, con l’effetto che l’onere della prova, diversamente da quanto avviene nel giudizio di rivendica, incombe su entrambe le parti e che il giudice, se esso non è compiutamente assolto, è comunque tenuto a provvedere nel merito, indicando il confine come delineato nelle mappe catastali.
A ciò deve aggiungersi che (Cass. n. 20144/2013) allorché il proprietario, convenuto con azione di regolamento dei confini, proponga un’eccezione di usucapione, con cui faccia valere una situazione sopravvenuta, idonea ad eliminare l’incertezza sul confine, senza con ciò mettere in discussione il titolo d’acquisto vantato dall’attore, non muta la natura di detta azione, come invece accade nell’ipotesi in cui il convenuto invochi un acquisto per usucapione anteriore all’acquisto dell’attore, del quale, in conseguenza, viene contestata la validità (conff. Cass. n. 18870/2013; Cass. n. 5899/2001).” (Sez. 2 – , Ordinanza n. 22645 del 25/09/2018, Rv. 650370 – 01).
Nel caso in esame, i (…) hanno semplicemente negato che la porzione di immobile di cui l’attore lamenta l’usurpazione non sia di sua proprietà, sostanzialmente negando l’esistenza di un confine diverso da quello tracciato con la recinzione. L’azione va dunque qualificata come regolamento di confini, con la conseguenza che l’attore non è gravato del rigoroso onere probatorio proprio del giudizio di rivendica.
Per quanto riguarda la legittimazione dell’amministratore a promuovere l’azione, si osserva che le doglianze degli appellanti sono infondate. Come risulta dalla “Convenzione per Regolamento di Rapporti di Comunione” sottoscritta dagli allora comunisti, (…) S.r.l. e (…) S.r.l. (che si erano rese acquirenti della proprietà per la quota indivisa di un mezzo ciascuna dell’immobile individuato a Catasto del Comune di La Spezia al foglio (…) mappale (…) subalterno (…), attualmente particella (…) e particella (…) subalterno (…), autenticate dal notaio I.T. il (…), trascritta in pari data, prodotta con l’atto di citazione in primo grado (DOC 1), all’amministratore era stata contrattualmente attribuita la rappresentanza della Comunione in giudizio, attivo o passivo. L’amministratore all’epoca della proposizione della domanda era proprio (…) come documentato dalla Delib. 24 marzo 2002 della Comunione prodotta da parte attrice. Con la medesima delibera tutti i comunisti presenti all’assemblea avevano dato mandato agli avvocati Mori e Conciani per promuovere “un’azione di regolamento di confini verso il Sig. (…) che risulta aver spostato i confini stessi sul terreno antistante”.
L’azione, del resto, è volta proprio a preservare un bene comune usurpato da altri.
I titoli poi sono chiari nell’individuare l’oggetto della compravendita per quanto riguarda l’odierna controversia. Infatti, mentre nell’atto di compravendita da (…) alle società “(…) S.r.l.” e “(…) S.r.l.”, scrittura privata datata 12/10/1989, con firme autenticate dal notaio (…), il bene oggetto di compravendita viene indicato come censito nel NCEU al foglio (…) mappale n. (…) sub-2, come da denuncia di variazione n. 5723 del 2/10/1989, nell’atto di compravendita a rogito del medesimo notaio (…), stipulato nella stessa data 12/10/1989, la stessa venditrice (…) vende a (…) e (…) (entrambi in regime di comunione dei beni con le rispettive mogli -le terze chiamate) il bene immobile censito al NCEU al foglio (…) mappale (…) subalterno (…) come da denuncia di variazione n. 5723 del 2/10/1989.
Il quarto motivo è inammissibile.
Gli appellanti non hanno, infatti, validamente contrastato l’affermazione del giudice secondo cui l’azione per far valere l’intervenuta usucapione era stata promossa quando i comproprietari non erano solo le due società fallite, ma anche altri soggetti, a cui non era opponibile la pronuncia.
L’azione per far accertare l’intervenuta usucapione del terreno oggi in contestazione era stata promossa dai (…) nei soli confronti dei fallimenti delle due società, (…) S.r.l. e (…) S.r.l., inizialmente acquirenti del mappale (…) sub-2 e non più uniche comuniste, per cui la sentenza pronunciata a definizione di quel giudizio non può essere opposta ai comproprietari non evocati in quel processo.
Il quinto motivo è infondato.
Le prove orali dedotte in primo grado appaiono comunque irrilevanti alla luce della prova documentale offerta da parte attrice.
Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del “corpus”, ma anche dell'”animus”; quest’ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà ed in tal caso sul convenuto grava l’onere di dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo (nella specie, un contratto di comodato) che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. (Sez. 2 – , Ordinanza n. 22667 del 27/09/2017, Rv. 645561 – 01, Sez. 3 – , Ordinanza n. 14272 del 08/06/2017, Rv. 644639 – 01, Sez. 2, Sentenza n. 14092 del 11/06/2010, Rv. 613396 – 01).
La Comunione ha infatti prodotto con l’atto di citazione sia la lettera del 30 aprile 98 dalla (…) inviata a (…) (doc. 14), con la quale si contestava l’abusiva collocazione della recinzione sul terreno di cui al foglio (…) particella (…) subalterno (…)-part. 1, con l’invito formale dell’amministratore a ripristinare immediatamente l’originaria situazione di confine, eliminando paletti e rete, rimuovendo anche tutto quanto abusivamente trasportato nel terreno (barca eccetera), sia la relativa risposta (doc. 15). Con lettera datata 6/5/1998, (…) rispose: “riscontro la sua del 30/4/98 a me diretta per precisarle come: 1) la recinzione non è assolutamente abusiva in quanto autorizzata personalmente dal Sig. D., 2) i miei diritti sul terreno si limitano ad un contratto verbale di comodato alla presenza di testimoni dal predetto Sig. D. nei nomi e a reciproco vantaggio perché continuamente provvedo alla pulizia del terreno, disinfestazione, derattizzazione.”.
Emerge chiaramente, che il convenuto, legato da strettissimi rapporti familiari con l’altro convenuto e le terze chiamate, tutti comproprietari del fondo confinante a quello della parte attrice, ha vantato come titolo per l’utilizzo del terreno un contratto di comodato, che alla luce dell’orientamento univoco della Suprema Corte esclude la presenza del secondo requisito necessario per l’acquisto della proprietà per usucapione e cioè l’animus possidendi.
Di fronte a tale confessione, pertanto, appare evidente l’inutilità dei capitoli di prova per testi dedotti sull’esistenza di un possesso del terreno con la convinzione di esserne proprietario sin dal 1980 in forza di atto notarile.
Anche il sesto motivo è infondato.
Con una recentissima pronuncia la Corte di Cassazione ha, infatti, affermato che:
“La privazione del possesso conseguente all’occupazione di un immobile altrui costituisce un fatto potenzialmente causativo di effetti pregiudizievoli ed idoneo a legittimare la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno, ben potendo il giudice successivamente liquidare in concreto il detto danno per mezzo di una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. che tenga conto, quale parametro di quantificazione, del valore reddituale del bene.” (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 31353 del 04/12/2018, Rv. 651796 – 01).
Correttamente, dunque, il primo giudice ha accolto la domanda di condanna generica formulata da parte attrice.
È infondata altresì la doglianza degli appellanti relativa all’omessa pronuncia del primo giudice sull’eccezione di estinzione del giudizio per mancato rispetto del termine di 10 giorni per il deposito dell’atto di chiamata. Infatti, secondo univoca giurisprudenza di legittimità, correttamente richiamata dall’appellata Comunione:
“Il termine di dieci giorni dalla notificazione, per il deposito dell’atto di chiamata in causa del terzo (nella specie, ad integrazione del contraddittorio), a differenza di quello previsto per la Costituzione dell’attore, ha natura ordinatoria, e, quindi, la sua inosservanza non incide sulla regolarità del rapporto processuale.” (Sez. 1, Sentenza n. 3448 del 10/07/1978, Rv. 392909 – 01), (Sez. 3, Sentenza n. 3441 del 26/05/1980, Rv. 407278 – 01), (Sez. 2, Sentenza n. 7341 del 12/12/1983, Rv. 431934 – 01).
La doglianza relativa all’ordinanza di remissione in termini dei coniugi (…) e (…) ed alla conseguente nullità delle prove ammesse è assorbita dalla mancata impugnazione della pronuncia di inammissibilità delle domande degli intervenuti volte all’accertamento della proprietà del mappale (…) subalterno (…).
Si dolgono, altresì, gli appellanti della mancata pronunzia sulla non integrità del contraddittorio nei confronti di tutti partecipanti alla comunione e denunciano il vizio di nullità della sentenza.
La doglianza è infondata.
Nelle comparse di costituzione e risposta davanti al Tribunale di Massa, (…), (…), (…) e (…) nella identiche parti espositive dei rispettivi atti, avevano affermato: “in via del tutto precauzionale e subordinata, eccepisce che nella più denegata delle ipotesi avrebbe acquistato la proprietà dell’immobile per intervenuta usucapione essendone al legittimo possesso -indisturbato, pacifico ed incontestato- da oltre 20 anni e cioè dal momento del suo acquisto avvenuto nel 1980”.
L’affermazione sembra volta a sollevare una mera eccezione riconvenzionale di usucapione, in relazione alla quale non sussiste la necessità dell’integrazione del contraddittorio, mai peraltro ventilata nel corso dell’annoso giudizio di primo grado.
L’appello principale è dunque infondato e deve essere respinto.
Con l’appello incidentale la (…) lamenta, con il primo motivo, l’omessa pronuncia sulla domanda di eliminazione della recinzione abusiva realizzata dai (…), con il secondo motivo l’erronea compensazione delle spese di lite.
Il primo motivo è fondato. Alla pronuncia di accertamento del confine e alla condanna di (…), (…), (…) e (…) all’immediato rilascio in favore dell’attrice della striscia di terreno abusivamente occupata, doveva necessariamente seguire l’accoglimento della domanda formulata dalla (…) della condanna dei medesimi a eliminare la rete di recinzione da loro realizzata. In tal senso va integrata la pronuncia del Tribunale di immediato rilascio della striscia di terreno di cui al foglio (…) particella (…) subalterno (…).
Anche il secondo motivo dell’appello incidentale è fondato.
I convenuti (…) e (…) e le terze chiamate (…) e (…) erano interamente soccombenti nei confronti della (…), per cui non vi erano ragioni per compensare le spese processuali e quelle di c.t.u..
Ai sensi dell’art. dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, occorre dare atto che ricorrono nel caso concreto i presupposti per il versamento, da parte degli appellanti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già versato.
P.Q.M.
LA CORTE D’APPELLO
definitivamente deliberando;
-rigetta l’appello principale;
-in accoglimento dell’appello incidentale, proposto dalla (…) ed in parziale riforma della sentenza gravata, condanna (…), (…), (…) e (…) a eliminare la rete di recinzione da loro realizzata e alla rifusione, in solido fra loro, a favore della (…) delle spese processuali del primo grado di giudizio, che liquida in Euro 484,87 per esborsi, Euro 6.200,00 per diritti ed Euro 7.100,00 per onorari, oltre accessori di legge; pone definitivamente a carico di (…), (…), (…) e (…) le spese di CTU nella misura già liquidata;
-dà atto che ricorrono nel caso concreto i presupposti ex art. 13 comma 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 per il versamento, da parte degli appellanti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già versato.
Così deciso in Genova il 19 febbraio 2019.
Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2019.