nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati, gli elementi valutati in concreto per la determinazione della specie e dell’entita’ della sanzione non attengono all’an od al quomodo della condotta, ma solamente alla valutazione della sua gravita’ e devono, in sostanza, reputarsi quali meri parametri di riferimento a questo solo scopo, in quanto tali analoghi a quelli previsti dall’articolo 133 c.p., e dall’articolo 133 bis c.p.; e, in quanto non integrano invece circostanze aggravanti in senso tecnico della fattispecie dell’illecito, vale a dire elementi accidentali, non indispensabili ai fini della sussistenza, della fattispecie sanzionatrice, quegli elementi di determinazione in concreto della sanzione sono di norma sottratti all’onere, per il titolare del potere sanzionatorio, di previa e specifica contestazione.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 7 maggio 2019, n. 11933

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f.

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sezione

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sezione

Dott. TRIA Lucia – Consigliere

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36866/2018 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

e contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI RIMINI, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 164/2018 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 29/11/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2019 dal Consigliere FRANCO DE STEFANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso con assorbimento dell’istanza cautelare;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Il Consiglio Nazionale Forense confermo’, con sentenza n. 164/2018 (pubblicata il 29/11/2018 e notificata il 05-11/12/2018), la sospensione dall’esercizio dell’attivita’ professionale per due mesi inflitta con decisione 13/10/2017 dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Bologna all’avv. (OMISSIS), riconosciuto responsabile di violazione dell’articolo 46 del codice deontologico forense vigente ratione temporis (a mente del quale “l’avvocato puo’ agire giudizialmente nei confronti della parte assistita per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, previa rinuncia al mandato”), “per avere… intrapreso, in data 08.09.2010, una procedura di pignoramento presso terzi a carico del proprio assistito signor (OMISSIS), per il recupero di un proprio compenso professionale, senza avere previamente rinunciato al mandato” in una causa giunta al grado d’appello ed ancora pendente.

2. In particolare, il (OMISSIS) aveva patrocinato il (OMISSIS), in uno alla figlia, nella causa da costoro intentata davanti al Tribunale di Roma per il risarcimento dei danni a seguito della morte del figlio del primo per poi, conseguita sentenza nel 2004 ritenuta non soddisfacente in ordine al quantum, interporre appello e, non corrisposte dal cliente le spese di lite nelle more corrisposte dalla compagnia assicuratrice, aveva ottenuto decreto ingiuntivo nel 2008 nei confronti del cliente ed avviato infruttuose procedure esecutive; inoltre, pure affiancato nel patrocinio da altro legale (coniuge del cliente), aveva depositato comparsa conclusionale e memoria di replica in appello tra il 21/12/2009 e il di 11/01/2010, ma azionando pure, in danno del cliente, pignoramento presso terzi in data 01-08/09/2010 (notificato il 22 successivo) per oltre Euro 74.000 sulle somme dovute allo stesso da parte dei convenuti soccombenti all’esito del giudizio di appello. A tanto erano seguiti la rinuncia al mandato del (OMISSIS) comunicata alla moglie dell’esponente quale suo condifensore il 03/10/2010 e l’esposto del 22/10/2010 del (OMISSIS) al COA di Rimini, il quale aveva trasmesso gli atti, rivestendo il (OMISSIS) la carica di componente di quel Consiglio, al COA distrettuale di Bologna.

3. Prodotta dall’incolpato copiosa documentazione a sostegno della propria protesta di non responsabilita’, fondata tra l’altro sulla circostanza di essere stato espressamente autorizzato a proseguire nella difesa del (OMISSIS) dalla di lui consorte, il procedimento era stato trasferito al Consiglio Distrettuale di Disciplina con decorrenza 01/01/2015 e dinanzi a questo si era protratto con l’escussione di numerosi testi, pure ridotte le relative liste, fino alla decisione del 13/10/2017: che il (OMISSIS) peraltro aveva impugnato, chiedendo in via preliminare la sospensione in attesa della decisione sull’istanza di legittima suspicione ex articolo 45 c.p.p., e formulando numerose istanze istruttorie, in estrema sintesi invocando accertarsi la sussistenza della rinuncia al mandato fin dal mese di aprile 2008 o di gennaio 2009 ed instando – in conclusione – per il proscioglimento da ogni incolpazione o per il riconoscimento della prescrizione o, in ulteriore subordine, per l’applicazione di una sanzione piu’ lieve.

4. Il Consiglio Nazionale Forense, con la qui gravata sentenza, respinse sia l’istanza di sospensione che quella di audizione dei nove presidenti dei Consigli dell’Ordine del Distretto e, per quel che qui ancora rileva:

– condivise le valutazioni del Consiglio Distrettuale di Disciplina sulla insussistenza di prova sulla collocazione temporale della spedizione della rinuncia nell’aprile 2008 (la relativa comunicazione integrando una mera riserva di rinuncia in caso di mancato pagamento, con rimessione al condifensore della decisione se proseguire o meno nel mandato; ed essendo anzi seguita da altre comunicazioni di attivita’ evidentemente incompatibili con la predicata rinuncia) e quindi sulla responsabilita’ del (OMISSIS);

– disattese la tesi della rilevanza della funzione di garanzia svolta dal condifensore, che avrebbe reso superflua la tutela (dal conflitto di interessi derivante dalla posizione dominante assunta dal legale con l’azione anche esecutiva) apprestata dall’articolo 46 codice deontologico;

– rigetto’ l’eccezione di prescrizione, ricostruendo la rinuncia come non anteriore al mese di ottobre 2010 e quindi non oltre cinque anni prima dalla formulazione del capo di incolpazione (avutasi da parte del Consiglio Distrettuale di Disciplina il 03/09/2015);

– condivise, infine, anche l’entita’ della sanzione inflitta, in considerazione delle modalita’ della condotta (tra cui l’avvio della procedura esecutiva subito dopo il deposito della favorevole sentenza di appello e prima ancora di avvertire il cliente) e della rivestita carica di componente del COA di Rimini, cui si richiedeva il massimo rigore nel rispetto delle regole deontologiche e di evitare atteggiamenti atti a recare disdoro all’istituzione rappresentata.

5. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso, con atto spedito per la notifica il 31/12/2018, il (OMISSIS), instando in via preliminare per la sospensione della sentenza di condanna (ai sensi della L. n. 247 del 2012, articolo 37, comma 7, e R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 56, comma 4) ed articolando cinque motivi; nessuno degli intimati resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente argomenta l’istanza di sospensione anche con eccezione di illegittimita’ costituzionale della relativa procedura ed in ragione dell’imminenza delle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine e delle negative conseguenze della condanna sulla sua eleggibilita’: e tuttavia, per essere pervenuta l’impugnazione alla decisione nel merito, non vi e’ piu’ luogo a provvedere ne’ sull’istanza di sospensione, ne’ sull’eccezione di illegittimita’ costituzionale della relativa procedura, quella essendo divenuta priva di rilevanza per non potere trovare applicazione quelle norme nella presente controversia.

2. Puo’ quindi passarsi alla disamina dei cinque motivi formulati dal (OMISSIS); e del primo – rubricato “nullita’ della sentenza e/o del procedimento per violazione di legge e/o incompetenza del C.N. F., per aver deciso in composizione D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, ex articolo 22, anziche’ per sezione disciplinare, prevista dalla L. n. 247 del 2012, articolo 61, comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4” – va rilevata l’infondatezza.

3. Il mezzo di censura, centrato sull’illegittimita’ delle sentenze pronunciate in materia disciplinare dal Consiglio Nazionale Forense e non invece dalla sua apposita sezione disciplinare prevista dal nuovo ordinamento della professione (L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 61, comma 1), si infrange infatti contro il principio gia’ espresso da queste Sezioni Unite – e dal quale non si ravvisa alcuna ragione di discostarsi – con sentenza 24/01/2019, n. 2084, a mente della quale “in tema di giudizi disciplinari innanzi al Consiglio nazionale forense, i quali hanno natura giurisdizionale, in quanto si svolgono dinanzi ad un giudice speciale istituito dal D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, articolo 21, (tuttora operante, giusta la previsione della VI disposizione transitoria della Costituzione), la spettanza al Consiglio – in attesa della costituzione, al suo interno, di un’apposita sezione disciplinare L. n. 247 del 2012, ex articolo 61, comma 1, – di funzioni amministrative accanto a quelle propriamente giurisdizionali, non ne menoma l’indipendenza quale organo giudicante, atteso che non e’ la mera coesistenza delle due funzioni ad incidere sull’autonomia ed imparzialita’ di quest’ultimo ne’, tanto meno, sulla natura giurisdizionale dei suoi poteri, quanto, piuttosto, il fatto che quelle amministrative siano affidate all’organo giurisdizionale in una posizione gerarchicamente subordinata, essendo in tale ipotesi (non riscontrabile nella specie) immanente il rischio che il potere dell’organo superiore indirettamente si estenda anche alle funzioni giurisdizionali”.

4. Col secondo motivo il (OMISSIS) lamenta “nullita’ della sentenza e/o del procedimento per omesso esame di un motivo di impugnazione, in violazione del Regio Decreto n. 1934 del 1937, articoli 63 e 64, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4”; ma tale censura, imperniata sull’illegittimita’ dell’omessa disamina di un motivo di impugnazione, fondato sulla mancata valutazione della persistenza del mandato defensionale dell’originaria coassistita (OMISSIS), non puo’ condurre alla cassazione della qui gravata sentenza.

5. Va invero fatta applicazione del principio generale da tempo (fin da Cass. 01/02/2010, n. 2313, seguita, tra le prime, da Cass. 17/06/2013, n. 15112, fino a Cass. 28/06/2017, n. 16171, ovvero a Cass. ord. 19/04/2018, n. 9693) affermato da questa Corte ed al quale e’ convinta opinione del Collegio essere doveroso assicurare continuita’, secondo cui, “alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’articolo 111 Cost., comma 2, nonche’ di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale articolo 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione puo’ omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello, determinando l’inutilita’ di un ritorno della causa in fase di merito, sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto”.

6. Al riguardo, gia’ in tesi – e cioe’ nella prospettazione dell’odierno ricorrente – la persistenza del mandato defensionale dell’originaria coassistita (figlia dell’esponente cliente destinatario dell’iniziativa esecutiva prima della rinuncia al mandato) e’, con ogni evidenza, irrilevante ai fini della presupposta riferibilita’ delle condotte oggetto di incolpazione indifferentemente ai due coassistiti e quindi anche a (OMISSIS), cliente nei cui confronti il (OMISSIS) aveva comunque avviato procedure di recupero senza previa rinuncia al mandato: pertanto, il motivo di impugnazione, quand’anche non espressamente esaminato o non qualificabile come assorbito dal complessivo impianto motivazionale, sarebbe stato inammissibile per non avere attinto la ratio decidendi del provvedimento del Consiglio Distrettuale di Disciplina. E tanto comporta, in applicazione del principio ricordato al precedente punto 5, che la qui gravata sentenza non puo’, sul punto, essere cassata, risultando conforme a diritto il dispositivo che rigetta il gravame pure quanto alla contestazione non esplicitamente presa in considerazione.

7. Alla disamina del terzo e del quarto motivo di ricorso (rispettivamente: di “eccesso di potere e/o violazione di legge (L. n. 247 del 2012, articolo 65, comma 5) in ordine all’applicazione della circostanza aggravante, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”; e di “nullita’ della sentenza per omesso esame della censura relativa alla mancata contestazione delle circostanze aggravanti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, per violazione della L. n. 247 del 2012, articolo 59, comma 1, lettera d), n. 2. Nullita’ della sentenza per motivazione apparente, incomprensibile e dunque in violazione dell’articolo 111 Cost., sempre in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4. Violazione di legge ed eccesso di potere per aver ritenuto comportamento rilevante ai fini della aggravante, la condotta difensiva nel procedimento disciplinare dell’incolpato, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”), occorre premettere la ricostruzione della contestazione e la disamina, sul punto, della motivazione della gravata sentenza.

8. Quest’ultima condivide la valutazione dell’impugnata decisione in punto di gravita’ della condotta in considerazione delle modalita’ di questa (tra cui l’avvio della procedura esecutiva subito dopo il deposito della favorevole sentenza di appello e prima ancora di avvertire il cliente) e della carica di componente del COA di Rimini rivestita dall’incolpato, cui si sarebbe invece richiesto il massimo rigore nel rispetto delle regole deontologiche e di evitare atteggiamenti atti a recare disdoro all’istituzione rappresentata.

9. Invero, al ricorrente era stata contestata la fattispecie di cui all’articolo 46 del codice deontologico vigente al momento dei fatti (cioe’ quello approvato il 17/04/1997, con le successive modifiche ed integrazioni, tra cui quelle introdotte il 16/10/1999, il 26/10/2002, il 27/01/2006, il 18/01/2007, il 12/06/2008, il 15/07/2011 e il 16/12/2011), a mente del quale “l’avvocato puo’ agire giudizialmente nei confronti della parte assistita per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, previa rinuncia al mandato”.

10. Il medesimo codice, al suo articolo 2 (richiamato dallo stesso ricorrente), rimetteva con grande ampiezza alla discrezionalita’ dell’organo disciplinare la concreta determinazione della pena, coi soli limiti dell’adeguatezza alla gravita’ dei fatti e della considerazione delle specifiche circostanze, soggettive ed oggettive, che avevano concorso a determinare l’infrazione: e tanto in coerenza con un sistema in cui era marcata la non vigenza del principio di stretta tipicita’ dell’illecito (Cass. Sez. U. 16/12/2013, n. 27996), con conseguente esclusione – tranne il solo caso, che con ogni evidenza qui non sussiste, di assenza di motivazione – di un controllo in sede di legittimita’ sulla sanzione in concreto determinata (Cass. Sez. U. 01/08/2012, n. 13791; Cass. Sez. U. 23/01/2004, n. 1229).

11. Orbene, puo’ prescindersi dall’effettiva qualificazione del sistema previgente come piu’ favorevole – e quindi da applicare in concreto, riguardando il principio costituzionale della retroattivita’ della lex mitior la fattispecie incriminatrice e la pena (Cass. Sez. U. 16/07/2015, n. 14905) – rispetto a quello del codice deontologico successivo (approvato il 31/01/2014 e pubbl. in G.U. S.G. n. 241 del 16/10/2014), il cui articolo 21 ridisegna la potesta’ disciplinare con piu’ compiuta descrizione dei parametri di determinazione della sanzione, limitandosi a disciplinare e tipizzare, al capoverso del successivo articolo 22, le relative valutazioni “nei casi piu’ gravi” a piu’ piena garanzia dell’incolpato.

12. E’ invero evidente come il Consiglio Nazionale Forense non abbia fatto altro che applicare i parametri di determinazione della sanzione previsti anche dall’articolo 2 del codice deontologico vigente al momento dei fatti (2010): in tal modo, il suo riferimento ad una norma del sopravvenuto codice deontologico rimane in sostanza irrilevante, perche’ non decisivo, ovvero in ogni caso inidoneo ad inficiare la correttezza delle argomentazioni sviluppate, essendosi la gravata sentenza limitata ad applicare una normativa corrispondente anche a quella previgente ed a scegliere la sanzione entro i limiti di graduazione previsti sia da questa che da quella successiva.

13. Di conseguenza, la motivazione della gravata sentenza sulla piena sussistenza delle condizioni per l’irrogazione della sanzione piu’ afflittiva, siccome compiutamente e partitamente esaminate, non incorre in alcun errore di diritto e rimane, per il resto, incensurabile in questa sede e, quand’anche emendato dal richiamato riferimento all’aggravamento della sanzione previsto dal codice deontologico successivo, resiste alle critiche rivolte col terzo motivo.

14. Gli elementi valutati in concreto dalla qui gravata sentenza per la determinazione della specie e dell’entita’ della sanzione non attengono, poi, all’an od al quomodo della condotta, ma solamente alla valutazione della sua gravita’ e devono, in sostanza, reputarsi quali meri parametri di riferimento a questo solo scopo, in quanto tali analoghi a quelli previsti dall’articolo 133 c.p., e dall’articolo 133 bis c.p.; e non integrano invece circostanze aggravanti in senso tecnico della fattispecie dell’illecito, vale a dire elementi accidentali, sia pure non indispensabili ai fini della sussistenza, della fattispecie sanzionatrice, limitando la propria incidenza sulla sua gravita’ e la propria rilevanza esclusivamente in quanto indici di questa.

15. Del resto, nel procedimento disciplinare non si ha diritto ad una contestazione articolata in una minuta, completa e particolareggiata esposizione delle modalita’ dei fatti che integrano l’illecito, tanto che l’indagine volta ad accertare la correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non va fatta alla stregua di un confronto meramente formale, ma deve dare piuttosto rilievo all’iter del procedimento ed alla possibilita’ per l’incolpato di conoscere l’addebito e di discolparsi (tra le altre, Cass. Sez. U. 22/08/2007, n. 17827).

16. Neppure qui ricorre l’eccezione di una loro rilevanza a fini di configurazione di fattispecie sanzionatrice ontologicamente diversa, sicche’ quegli elementi sono sottratti all’onere – per il titolare del potere sanzionatorio – di previa e tanto piu’ specifica contestazione (come espressamente sanciscono le sezioni penali di questa Corte quanto alle condizioni economiche dell’imputato, ricondotte appunto tra i criteri di determinazione della pena ex articolo 133 bis c.p.: Cass. pen. 08/10-08/11/1996, n. 9575, imp. Paterno ed altro; Cass. pen. 04-24/11/2004, n. 45482, imp. Zheng).

17. Il quarto motivo, sulla base delle precisazioni teste’ svolte sul terzo, e’ pertanto infondato, in applicazione del seguente principio di diritto: “nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati, gli elementi valutati in concreto per la determinazione della specie e dell’entita’ della sanzione non attengono all’an od al quomodo della condotta, ma solamente alla valutazione della sua gravita’ e devono, in sostanza, reputarsi quali meri parametri di riferimento a questo solo scopo, in quanto tali analoghi a quelli previsti dall’articolo 133 c.p., e dall’articolo 133 bis c.p.; e, in quanto non integrano invece circostanze aggravanti in senso tecnico della fattispecie dell’illecito, vale a dire elementi accidentali, non indispensabili ai fini della sussistenza, della fattispecie sanzionatrice, quegli elementi di determinazione in concreto della sanzione sono di norma sottratti all’onere, per il titolare del potere sanzionatorio, di previa e specifica contestazione”.

18. Ad ogni buon conto, di tutti gli elementi tenuti presenti per la determinazione in concreto della sanzione e’ stata assicurata e svolta adeguata trattazione nel corso del procedimento dinanzi al Consiglio Distrettuale di Disciplina ed idonea considerazione da parte del Consiglio Nazionale Forense, non rilevando lievi scostamenti nella presa in esame dell’uno e dell’altro; e gli altri profili del quarto motivo attengono poi a valutazioni di merito, incensurabili, per quanto piu’ su detto, nella presente sede di legittimita’.

19. Il quinto motivo, con cui il (OMISSIS) denuncia “violazione di legge ed eccesso di potere riguardo la mancata declaratoria dell’intervenuta prescrizione R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, ex articolo 51, comma 3, oltre per l’articolo 115 c.p.c., in riferimento dall’articolo 360 c.p.c., n. 3”, e’ infine inammissibile: non compie alcun errore di diritto – ed e’ sorretta da una valutazione di risultanze di fatto incensurabile nella presente sede di legittimita’ – la qui gravata sentenza concludendo per la decorrenza del termine prescrizionale in tempo successivo al deposito della sentenza di appello (01/09/2010), perfino ove si potesse attribuire rilevanza alla pure irrituale comunicazione al condifensore in data 03/10/2010, oltretutto non rilevando le dichiarazioni del (OMISSIS), siccome tutte le circostanze dedotte dall’incolpato sono riferite non gia’ alla rinuncia al mandato, ma alla cessazione dell’attivita’ professionale, circostanza intuitivamente ben differente dalla rinuncia.

20. In conclusione, il ricorso e’ rigettato, ma non vi e’ luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimita’, non avendovi alcuna controparte del ricorrente svolto attivita’ difensiva.

21. Va peraltro dato atto – mancando la possibilita’ di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione e’ vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da essa proposta, a norma del detto articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.