ai fini dell’opponibilita’ alla massa del credito derivante da una prestazione d’opera professionale resa in pendenza della procedura, la qualificazione dell’incarico come atto eccedente l’ordinaria amministrazione, ai sensi dell’articolo 167 L. Fall., comma 2, deve aver luogo in base al duplice criterio della pertinenza ed idoneita’ dell’incarico stesso rispetto alle finalita’ della procedura, nonche’ dell’adeguatezza funzionale della prestazione alle necessita’ risanatorie dell’azienda, da valutarsi con giudizio ex ante, con la conseguenza che deve escludersi la predetta opponibilita’ ogni qualvolta l’incarico, non autorizzato dal giudice delegato, risulti conferito per esigenze personali e dilatorie.
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Corte di Cassazione|Sezione 6 1|Civile|Ordinanza|16 settembre 2019| n. 23004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17855/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.R.L., in persona del curatore p.t. Prof. Dott. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Latina depositato il 30 maggio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 giugno 2019 dal Consigliere Guido Mercolino.
RILEVATO
che l’Avv. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, illustrati anche con memoria, avverso il decreto emesso dal Tribunale di Latina il 30 maggio 2017, che ha rigettato l’istanza d’insinuazione tardiva al passivo del fallimento della (OMISSIS) S.r.l., con cui egli aveva fatto valere un credito di Euro 53.333,33 a titolo di compenso per l’attivita’ professionale prestata in favore della societa’ fallita ai fini della presentazione di una nuova proposta concordataria, in virtu’ dell’incarico conferitogli in pendenza della procedura di concordato preventivo che aveva preceduto la dichiarazione di fallimento, e conclusasi con la revoca dell’ammissione al concordato, per insussistenza dei requisiti di fattibilita’ giuridica della proposta;
che il curatore del fallimento ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
CONSIDERATO
che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 167 L. Fall., comma 2, e dell’articolo 116 c.p.c., osservando che, nel ritenere che l’incarico professionale fosse inopponibile al fallimento, in quanto non autorizzato dal Giudice delegato, il decreto impugnato ha richiamato soltanto in parte la motivazione della sentenza di rigetto del reclamo proposto dalla societa’ fallita avverso la revoca dell’ammissione al concordato;
che, nell’escludere l’utilita’ della prestazione professionale, in virtu’ della considerazione che la modifica della proposta concordataria non aveva apportato alcun elemento di novita’, il Tribunale si e’ infatti limitato a conferire rilievo alle critiche mosse dalla predetta sentenza alle modalita’ del ricorso alla finanza esterna, all’ammontare del debito per IVA ed alla riduzione del fondo per i crediti prededucibili, senza tenere conto dell’accoglimento dei motivi di reclamo concernenti l’eliminazione della suddivisione dei creditori in classi e l’insussistenza di atti di frode;
che inoltre, nell’evidenziare l’incidenza economica dell’incarico professionale, il decreto impugnato ha erroneamente ritenuto che l’inclusione del corrispettivo nel piano concordatario fosse in grado di pregiudicare la riuscita del percorso di ristrutturazione dell’impresa;
che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 111 L. Fall., comma 2, e degli articoli 1173, 1176, 1218, 2229 e 2697 c.c., affermando che, nel desumere l’inutilita’ del conferimento dell’incarico dal mancato raggiungimento del risultato della prestazione professionale, il decreto impugnato ha confuso la funzionalita’ di quest’ultima con l’inadempimento, trascurandone il nesso di occasionalita’ con il concordato, testimoniato dal conferimento dell’incarico in pendenza della procedura, ed attribuendo rilievo ad un profilo inconferente, peraltro valutato ex post;
che inoltre, nel ritenere non esattamente adempiuto l’incarico professionale, il Tribunale non ha considerato che ad esso ricorrente incombeva esclusivamente l’onere di provare l’avvenuto adempimento dello stesso secondo il grado di diligenza richiesto per la tipologia dell’obbligazione, mentre spettava al curatore, conformemente alle regole generali, la prova che l’adempimento non era conforme alla diligenza;
che i predetti motivi devono essere esaminati congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente correlate;
che, nel rigettare la domanda di ammissione al passivo, il decreto impugnato si e’ puntualmente attenuto al principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimita’ in tema di amministrazione controllata, ma riferibile anche al concordato preventivo, secondo cui, ai fini dell’opponibilita’ alla massa del credito derivante da una prestazione d’opera professionale resa in pendenza della procedura, la qualificazione dell’incarico come atto eccedente l’ordinaria amministrazione, ai sensi dell’articolo 167 L. Fall., comma 2, deve aver luogo in base al duplice criterio della pertinenza ed idoneita’ dell’incarico stesso rispetto alle finalita’ della procedura, nonche’ dell’adeguatezza funzionale della prestazione alle necessita’ risanatorie dell’azienda, da valutarsi con giudizio ex ante, con la conseguenza che deve escludersi la predetta opponibilita’ ogni qualvolta l’incarico, non autorizzato dal giudice delegato, risulti conferito per esigenze personali e dilatorie (cfr. Cass., Sez. I, 8/11/2006, n. 23796);
che, nell’escludere la sussistenza dei predetti requisiti, il Tribunale ha conferito preminente rilievo alle conclusioni cui erano pervenuti i commissari giudiziali in epoca anteriore al conferimento dell’incarico, secondo cui erano venute definitivamente meno le condizioni di fattibilita’ che avevano giustificato la dichiarazione di ammissibilita’ della proposta concordataria, ponendole in relazione con l’inadeguatezza delle modifiche prospettate dalla debitrice, per desumerne lo scopo meramente dilatorio dell’iniziativa e la conseguente estraneita’ dell’incarico professionale alle esigenze di risanamento dell’azienda;
che, in tale contesto, il richiamo alle considerazioni svolte nella sentenza con cui era stato rigettato il reclamo proposto dalla societa’ fallita avverso la revoca della dichiarazione di ammissibilita’ del concordato e la dichiarazione di fallimento non puo’ considerarsi indice di una valutazione ex post dell’utilita’ della prestazione professionale, suonando piuttosto come un’ulteriore conferma dell’inidoneita’ originaria dell’incarico a consentire il superamento delle criticita’ rappresentate dai commissari giudiziali e dell’intento della debitrice di ostacolare o ritardare la conclusione della procedura;
che il riferimento agli oneri economici connessi al conferimento dell’incarico rappresenta a sua volta un aspetto del giudizio negativo espresso in ordine al rapporto di funzionalita’/strumentalita’ con le finalita’ della procedura, ponendosi in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui la valutazione in ordine al carattere di ordinaria o straordinaria amministrazione dell’atto posto in essere senza l’autorizzazione del giudice delegato, ai fini dell’eventuale dichiarazione di inefficacia ai sensi dell’articolo 167 L. Fall., dev’essere compiuta tenendo conto delle utilita’ reali che ne derivano per la massa dei creditori, le quali devono risultare prevalenti sui vincoli ed i pesi imposti al patrimonio del debitore, restandone altrimenti pregiudicata la consistenza o compromessa la capacita’ di soddisfare le ragioni dei creditori (cfr. Cass., Sez. I, 29/05/2019, n. 14713; Cass., Sez. V, 10/04/2009, n. 8764; Cass., Sez. I, 20/10/2005, n. 20291);
che non risulta pertinente, in contrario, il richiamo del ricorrente ad una recente pronuncia di legittimita’, secondo cui il pagamento di crediti dei professionisti nominati dall’imprenditore per la predisposizione della domanda di concordato preventivo ovvero in occasione della relativa proposta, effettuato a seguito del deposito del ricorso di cui all’articolo 161 L. Fall., comma 6, senza autorizzazione del tribunale, non comporta necessariamente la declaratoria d’inammissibilita’ del concordato, ai sensi dell’articolo 173 L. Fall., in ragione dell’automatica classificazione di tali pagamenti tra gli atti di straordinaria amministrazione, quali crediti non prededucibili in mancanza del decreto di ammissione al concordato suddetto (cfr. Cass., Sez. I, 10/01/2017, n. 280);
che tale principio, oltre a riferirsi ad una questione diversa da quella in esame, non nega affatto, ma anzi conferma che la qualificazione dell’incarico come atto di ordinaria amministrazione postula la valutazione dell’utilita’ della prestazione professionale, limitandosi a precisare, in proposito, che “costituiscono normalmente atti di ordinaria amministrazione le operazioni richieste dalla legge e ragionevolmente proprie di una prassi attinente al corredo obbligatorio della domanda di apertura della procedura concorsuale”, e ponendo conseguentemente a carico del curatore che ne invochi l’eccedentarieta’ rispetto a tale scopo l’onere di dimostrarne la superfluita’, ma non escludendo la possibilita’ di ritenerla provata, ove la stessa, come nella specie, emerga dagli elementi acquisiti agli atti;
che inconferente risulta altresi’ la sottolineatura da parte del ricorrente del nesso di occasionalita’ tra il conferimento dell’incarico e la procedura di concordato, il quale viene in considerazione esclusivamente ai fini della collocazione in prededuzione del credito derivante dall’espletamento della prestazione professionale, mentre non assume alcun rilievo ai fini dell’autorizzazione del giudice delegato, richiesta dall’articolo 167 L.F. proprio in ragione del compimento dell’atto in pendenza della procedura, nonche’ delle limitazioni che ne derivano per la capacita’ dispositiva del debitore;
che, nel ritenere esattamente adempiuto l’incarico professionale conferito al ricorrente, in virtu’ della mancata informazione della cliente in ordine al probabile esito negativo dell’iniziativa da assumere, il decreto impugnato si e’ infine attenuto puntualmente all’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ in tema di responsabilita’ professionale, secondo cui l’obbligo di diligenza previsto dall’articolo 1176 c.c., comma 2, e dall’articolo 2236 c.c., imponendo al professionista, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, pone a suo carico l’onere di provare di aver rappresentato a quest’ultimo tutte le questioni ostative al raggiungimento del risultato previsto, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi, nonche’ di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso, e di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire iniziative dall’esito probabilmente sfavorevole (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2016, n. 13007; 20/11/2009, n. 24544; Cass., Sez. II, 30/07/2004, n. 14597);
che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.