il promissario acquirente di un immobile, che, immesso nel possesso all’atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l’obbligazione del prezzo, da versarsi prima del definitivo, e provochi la risoluzione del contratto preliminare, e’ tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimita’ originaria del possesso viene meno a seguito della risoluzione lasciando che l’occupazione dell’immobile si configuri come sine titulo. Ne consegue che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti ne’ dal pagamento del prezzo ne’ dal godimento dell’immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all’intera durata dell’occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8924

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18179/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio del difensore;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 98, depositata il 26 gennaio 2017.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28 settembre 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.

RITENUTO IN FATTO

– il Tribunale di Paola ha accolto la domanda proposta da (OMISSIS) contro (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione a due preliminari di vendita di altrettanti appartamenti con posto auto, pronunciando la risoluzione dei contratti stessi per inadempimento dei promissari acquirenti nel pagamento integrale del prezzo entro le scadenze convenute;

– oltre alla risoluzione e alla conseguente condanna dei convenuti al rilascio dei beni, il tribunale ha pronunciato la condanna degli stessi convenuti al risarcimento del danno, determinato in ragione di un importo mensile per ogni mese di occupazione illegittima a decorrere dalla immissione in possesso e fino al rilascio;

– la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza;

– per la cassazione della sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso, affidato a sei motivi, cui l’intimato ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

– il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c.;

– la sentenza e’ oggetto di censura nella parte in cui la corte ha negato l’ammissione dei documenti prodotti dagli attuali ricorrenti nel giudizio d’appello;

– si sostiene che il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello si riferisce alle prove costituende, non a quelle costituite, e quindi non esclude la produzione dei documenti;

– in ogni caso i documenti avrebbero dovuto essere ammessi in quanto indispensabili ai fini della decisione;

– il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo;

– la corte di merito ha ritenuto che fosse a carico dei promissari convenuti per la risoluzione del contratto l’onere di provare l’esatto adempimento;

– si sostiene che e’ invece la parte contrattuale che agisce per la risoluzione a dover dare la prova dell’inadempimento;

– il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1218 c.c.;

– ai fini della risoluzione occorre in ogni caso la colpa, mentre la corte di merito ha omesso ogni valutazione al riguardo, senza considerare che i convenuti, in sede di interrogatorio formale, avevano negato l’inadempimento;

– il quarto motivo denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della decisione;

– la corte di merito, ai fini della risoluzione, avrebbe dovuto valutare l’importanza dell’inadempimento, mentre ha affermato che tale requisito, riguardando una obbligazione primaria, doveva ritenersi in re ipsa;

– il quinto motivo denuncia omessa motivazione sull’eccezione con degli appellanti di genericita’ della domanda di controparte;

– il sesto motivo si duole della condanna alle spese di lite, in presenza di motivi idonei a giustificare la condanna della controparte o quanto meno a disporre la compensazione delle spese stesse;

– il primo motivo e’ inammissibile;

-la corte ha ritenuto di non dover dar corso alla produzione documentale operata in grado d’appello non perche’ l’abbia ritenuta inammissibile ex articolo 345 c.p.c., ma per una ragione diversa;

– essa ha evidenziato che la produzione fu dichiarata inammissibile con propria ordinanza interlocutoria del 2 febbraio 2012 (la stessa ordinanza con la quale furono rigettate le istanze istruttorie non accolte dal primo giudice);

– quindi ha ritenuto che le relative istanze dovessero “intendersi rinunciate”, in base al rilievo la parte interessata ha chiesto la revoca della suddetta ordinanza non in sede di precisazione delle conclusioni, ma tardivamente solo con la comparsa conclusionale;

– tale ratio decidendi non e’ attinta dal motivo di ricorso, interamente calibrato sulla violazione dell’articolo 345 c.p.c., di cui la corte di merito, pero’, non ha fatto applicazione;

– il secondo motivo e’ infondato;

– esso, sotto impropria rubrica, denuncia in realta’ una violazione di legge sul riparto dell’onere probatorio in tema di azione di risoluzione del contratto per inadempimento;

– ma e’ facile replicare che la corte di merito, nell’individuare i convenuti quale parte gravata, ha fatto applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la importante sentenza n. 13533/2001, richiamata dalla sentenza impugnata in motivazione;

– e’ infondato anche il terzo motivo;

– la colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, e’ presunta sino a prova contraria e tale presunzione e’ superabile solo da risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l’uso della normale diligenza, non e’ stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili (Cass. n. 2853/2005);

– la corte, pertanto, posta la presunzione di cui all’articolo 1218 c.c., non doveva aggiungere alcunche’ in ordine a tale aspetto;

– del resto la mancanza di colpa e’ identificata nel motivo nella pura convinzione soggettiva dei promissari acquirenti di avere saldato l’intero prezzo, dichiarata nel corso dell’interrogatorio formale;

– il quarto motivo e’ infondato.

– la corte di merito ha ritenuto la gravita’ dell’inadempimento in re ipsa, ma comunque dopo avere espresso una valutazione di “non scarsa importanza” dell’inadempimento in cui erano incorsi i convenuti;

– tale valutazione, sufficiente da solo a sorreggere la decisione negativa, non ha costituito oggetto di censura;

– resta da aggiungere che in materia di responsabilita’ contrattuale, la valutazione della gravita’ dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’articolo 145 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione e’ rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimita’ ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6401/2015);

– al riguardo i ricorrenti rimproverano alla corte di merito di aver ritenuto inadempimento grave il mancato versamento di Lire 9.800.000 sul prezzo complessivo di Lire 42.500.000;

– tuttavia la sentenza ha ricostruito i fatti in modo diverso, determinando nella maggiore somma di Lire 26.670.000 l’importo non pagato;

– tale diversa determinazione del quantum, che prelude a un inadempimento di ben diverse proporzioni, non ha costituito oggetto di censura;

– il quinto motivo e’ infondato;

– secondo la giurisprudenza di questa Corte “il promissario acquirente di un immobile, che, immesso nel possesso all’atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l’obbligazione del prezzo, da versarsi prima del definitivo, e provochi la risoluzione del contratto preliminare, e’ tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimita’ originaria del possesso viene meno a seguito della risoluzione lasciando che l’occupazione dell’immobile si configuri come sine titulo. Ne consegue che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti ne’ dal pagamento del prezzo ne’ dal godimento dell’immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all’intera durata dell’occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale” (Cass. n. 24510/2011; conf. n. 30594/2017);

– la corte di merito, dopo avere qualificato sine titulo l’occupazione posta in essere dai promissari, ha richiamato e fatta propria la liquidazione del quantum operata dal tribunale;

– pertanto il solo profilo di censura oggetto del motivo (carenza di motivazione sulla deduzione con cui i convenuti avevano eccepito la genericita’ della domanda) allude a una carenza inesistente;

– il sesto motivo e’ inammissibile;

– esso infatti non contiene alcuna censura, risolvendosi nella richiesta rivolta alla Corte di una diversa regolazione delle spese di lite;

– resta da aggiungere che la corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza, essendo, d’altro canto insindacabile in cassazione la valutazione dell’opportunita’ di disporre la compensazione delle spese di lite “sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi” (Cass. n. 8421/2017);

– in conclusione il ricorso e’ rigettato con addebito delle spese del giudizio di legittimita’ in solido;

– poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012 articolo 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.