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il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento e’ privo di attitudine al giudicato e non e’ configurabile una preclusione da cosa giudicata, bensi’ una mera preclusione di fatto, in ordine al credito fatto valere, alla qualita’ di soggetto fallibile in capo al debitore ed allo stato di insolvenza dello stesso, di modo che e’ possibile, dopo il rigetto, dichiarare il fallimento sulla base della medesima situazione, su istanza di un diverso creditore ovvero sulla base di elementi sopravvenuti, preesistenti ma non dedotti e anche di una prospettazione identica a quella respinta, su istanza dello stesso creditore.
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Corte di Cassazione, Sezione 6 1 civile Ordinanza 21 giugno 2018, n. 16411
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11018-2017 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 593/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 27/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/04/2018 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso depositato in data 25 luglio 2016 (OMISSIS) s.r.l. proponeva reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della societa’ resa dal Tribunale di Trapani in data 1 luglio 2016.
Nella resistenza della curatela il reclamo era respinto dalla Corte di appello di Palermo con sentenza depositata il 27 marzo 2017.
2. – Contro questa pronuncia la societa’ (OMISSIS) ricorre per cassazione; i motivi di impugnazione sono quattro. Gli intimati non hanno depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Assume l’istante che in violazione della L.Fall., articolo 6, la Corte territoriale aveva “dato ingresso, per la dichiarazione di fallimento, a soggetti privi di titolo di credito”, sicche’ si imponeva una pronuncia di inammissibilita’ dell’atto introduttivo della procedura.
Col secondo motivo e’ denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Sostiene la ricorrente che le pretese di due creditori avevano trovato integrale soddisfacimento; con riferimento agli altri creditori la societa’ aveva poi corrisposto la somma complessiva di Euro 8.000,00, al netto delle ritenute di legge. L’importo complessivo dei debiti si attestava, quindi, sotto la soglia di Euro 30.000,00 posta dalla L.Fall., articolo 15, u.c.. Con riferimento al debito tributario l’istante rileva che non poteva attribuirsi alcun rilievo all’accertamento effettuato da Riscossione Sicilia e che si ignorava se la somma di Euro 934.164,39 (a tanto ammontava il carico fiscale) si riferisse a crediti iscritti a ruolo o comunque immediatamente esigibili, o esattamente individuati. L’istante sottolinea, poi, che la legge le consentiva di dilazionare il pagamento in dieci anni. Assume, infine, che doveva ritenersi l’insussistenza dello stato di insolvenza mancando la prova di azioni esecutive, vincoli reali sui beni, cessazione dell’attivita’ di impresa, alienazione dell’azienda, assenza di introiti, levata di protesti.
Col terzo mezzo la sentenza impugnata e’ censurata per l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Vi si sostiene che la Corte territoriale non avrebbe valutato che il contratto di rent to buy concluso dalla societa’ fallita assicurava alla stessa un reddito mensile di Euro 6.000,00, che ben avrebbe permesso di fronteggiare la crisi del settore in attesa di piu’ propizie situazioni congiunturali.
2. – I tre motivi possono esaminarsi congiuntamente e non sono fondati.
La Corte di appello ha dato atto, e l’accertamento non e’ sindacabile nella presente sede, che dei creditori istanti (tutti lavoratori dipendenti della societa’ fallita) solo (OMISSIS) risultava essere stato integralmente soddisfatto: gli altri, pur avendo concluso l’11 settembre 2015 un accordo transattivo che prevedeva il pagamento mensile della somma di Euro 500,00, avevano ricevuto versamenti parziali. Da tale quadro la Corte di Palermo ha tratto la conclusione che i predetti istanti fossero titolari di diritti di credito e quindi pienamente legittimati a richiedere il fallimento della societa’.
Tale accertamento e’ contestato in modo del tutto generico nel primo motivo, mentre nel secondo viene riconosciuta una esposizione debitoria (per Euro 27.000,00) riferibile a tutti gli istanti tranne due, che avrebbero, a detta della ricorrente, desistito dall’istanza di fallimento.
La prospettata inammissibilita’ del ricorso per la declaratoria di fallimento (basata sul principio per cui, in caso di accertamento dell’insussistenza del credito in capo all’istante, la conseguente carenza di legittimazione di tale parte impone una pronuncia in rito di inammissibilita’, senza alcuna possibilita’ di ulteriore esercizio della giurisdizione: Cass. 11 febbraio 2011, n. 3472, pure citata dalla societa’ istante) non trova pertanto riscontro.
Per quanto attiene all’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare (che la societa’ assume essere inferiori alla soglia di Euro 30.000,00, posta dalla L.Fall., articolo 15, u.c.), deve rilevarsi che la Corte di merito ha valorizzato il debito tributario ammontante a complessivi Euro 934.164,39 (immediatamente esigibile, non essendo stata proposta domanda di rateizzazione). La contestazione di tale debito – contestazione che risulta priva di alcuna specificita’ non appare concludente e del resto, a dispetto da quanto indicato nella rubrica del secondo motivo, l’istante non indica quale sarebbe il fatto, di cui e’ mancato l’esame, che porterebbe ad escludere la suddetta esposizione debitoria.
Il valore di Euro 30.000,00 risulta peraltro comunque superato ove si consideri l’esigibilita’ del debito di Euro 3.212,50, portato da un decreto ingiuntivo menzionato a pag. 3 della sentenza impugnata: tale importo andrebbe infatti sommato a quello di Euro 27.000,00 riconosciuto dalla ricorrente a pag. 10 del ricorso (e di cui si e’ sopra accennato).
Per quel che concerne, poi, l’accertata situazione di insolvenza, essa e’ stata desunta dalla situazione di gravissimo e crescente indebitamento documentata dai bilanci: ha rilevato infatti la Corte distrettuale che le passivita’ ammontavano a Euro 2.151.233,00 alla data del 31 dicembre 2014 e a Euro 2.580.449,00 l’anno successivo. Essa e’ inoltre stata correttamente desunta dall’incapacita’, da paret della societa’ dichiarata fallita, di adempiere debiti anche di importo modesto. E’ qui da rimarcare come lo stato di insolvenza dell’impresa, da intendersi come situazione (in prognosi) irreversibile, e non gia’ mera temporanea impossibilita’ di regolare adempimento delle obbligazioni assunte, possa essere legittimamente desunto, nel contesto dei vari elementi, anche dal mancato pagamento di un solo debito (cfr. pure Cass. 30 settembre 2004, n. 19611; cfr. pure Cass. 15 gennaio 2015, n. 583, non massimata). Deve altresi’ sottolinearsi come ai fini della dichiarazione di fallimento, lo stato di insolvenza dell’imprenditore sia configurabile pure in assenza di protesti, pignoramenti e azioni di recupero dei crediti, i quali non costituiscono parametro esclusivo del giudizio sul dissesto, posto che invece e’ la situazione di incapacita’ del debitore a fronteggiare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni a realizzare quello stato, secondo la previsione della L.Fall., articolo 5, quali che siano gli inadempimenti in cui si concretizza e i fatti esteriori con cui si manifesta (Cass. 5 dicembre 2011, n. 25961; Cass. 28 aprile 2006, n. 9856).
E’ da escludere, inoltre, che la Corte territoriale abbia mancato di apprezzare il dato dei proventi che la societa’ fallita avrebbe potuto conseguire dal contratto di rent to buy, come dedotto col terzo motivo. La circostanza e’ specificamente menzionata nel corpo del provvedimento impugnato (pag. 4) e il giudice del reclamo ha osservato, in proposito, che solo una minima parte dei detti canoni era stata corrisposta al momento della dichiarazione di fallimento (risultando evidentemente non rilevante il versamento di quelli maturati nel periodo successivo). L’elemento fattuale in questione e’ stato quindi considerato dalla Corte di appello nel quadro della complessiva valutazione ad essa demandata quanto alla presenza o meno dello stato di insolvenza.
2. – Col quarto motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Rileva la societa’ istante che la Corte di merito aveva trascurato di considerare che il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento presentata in precedenza dagli stessi lavoratori era fondato sul rilievo per cui la societa’ era, all’epoca, afflitta da uno stato di illiquidita’ temporanea. Nonostante la situazione economica della societa’ fosse notevolmente migliorata dopo tale pronuncia e nonostante fossero state soddisfatte in misura consistente le pretese dei creditori istanti, il Tribunale, nel giudicare la seconda istanza di fallimento, aveva ritenuto sussistente lo stato di insolvenza.
Il motivo e’ infondato.
Questa Corte ha avuto modo di rilevare che il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento e’ privo di attitudine al giudicato e non e’ configurabile una preclusione da cosa giudicata, bensi’ una mera preclusione di fatto, in ordine al credito fatto valere, alla qualita’ di soggetto fallibile in capo al debitore ed allo stato di insolvenza dello stesso, di modo che e’ possibile, dopo il rigetto, dichiarare il fallimento sulla base della medesima situazione, su istanza di un diverso creditore ovvero sulla base di elementi sopravvenuti, preesistenti ma non dedotti e anche di una prospettazione identica a quella respinta, su istanza dello stesso creditore (Cass. 21 dicembre 2010, n. 25818; Cass. 14 ottobre 2009, n. 21834; in tema pure Cass. 10 novembre 2011, n. 23478).
Nella fattispecie, come osservato dalla Corte di appello, vi era stato un significativo mutamento della situazione tra la pronuncia reiettiva del fallimento e la successiva apertura della procedura concorsuale: ha rilevato infatti il giudice del reclamo che il Tribunale, nel rendere la seconda decisione, aveva valutato diversamente lo stato di insolvenza della societa’ alla luce del soddisfacimento solo parziale dei creditori istanti (che la fallita aveva promesso di soddisfare integralmente nel corso del primo procedimento) e dell’ingente debito verso l’Erario.
3. – Il ricorso e’ dunque respinto.
Non si deve provvedere in punto di spese, stante il mancato svolgimento di attivita’ processuale da parte degli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Motivazione Semplificata.