Corte di Cassazione, Sezione 4 penale Sentenza 7 giugno 2017, n. 28187
il contenuto della posizione di garanzia assunta dallo psichiatra deve essere circoscritto, tenendosi nel dovuto conto la contemporanea presenza di vincoli protettivi e pretese di controllo, unitamente alla particolare complessita’ della situazione rischiosa da governare: tra il perimetro della posizione di garanzia e il rischio consentito esiste infatti uno stretto collegamento, nel senso che e’ proprio l’esigenza di contrastare e frenare un determinato rischio per il paziente (o realizzato dal paziente verso terzi) che individua e circoscrive, sul versante della responsabilita’ colposa, le regole cautelari del medico. In questo quadro, peculiare rilevanza assume la selezione delle regole tecniche, delle raccomandazioni, che orientano l’attivita’ medica nella scelta del percorso terapeutico; selezione che si pone in termini ancor piu’ problematici con specifico riferimento alla scienza psichiatrica, giacche’ le manifestazioni morbose a carico della psiche sono ritenute tendenzialmente meno evidenti e afferrabili delle malattie fisiche, per cui l’individuazione del trattamento appropriato puo’ in certi casi diventare ancora piu’ incerta che non nell’ambito della attivita’ medica genericamente intesa.
Corte di Cassazione, Sezione 4 penale Sentenza 7 giugno 2017, n. 28187
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Presidente
Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea – rel. Consigliere
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/03/2016 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di PISTOIA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA MONTAGNI;
sentite le conclusioni del PG ROBERTO ANIELLO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS), per la parte civile (OMISSIS), che insiste nella richiesta d’accoglimento del ricorso;
Udito il difensore (OMISSIS), sostit. dell’avv. (OMISSIS), per il responsabile civile che chiede il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che chiede respingersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il G.i.p. del Tribunale di Pistoia con la sentenza ex articolo 425 c.p.p., indicata in epigrafe dichiarava non luogo a procedere nei confronti di (OMISSIS), perche’ il fatto non sussiste.
Al prevenuto si contesta, quale medico psichiatra responsabile dell’ufficio Salute Mentale (OMISSIS), che aveva in cura il paziente (OMISSIS), nonche’ quale psichiatra di riferimento del piano riabilitativo redatto per il richiamato paziente, di avere colposamente posto in essere, ai sensi dell’articolo 589 c.p., una serie di condotte attive ed omissive, da qualificarsi come condizioni necessarie perche’ il (OMISSIS) ponesse in essere il gesto omicidiario nei confronti di (OMISSIS), che unitamente all’imputato, era stato inserito nella struttura residenziale (OMISSIS), dell’Associazione “(OMISSIS)”, a bassa soglia assistenziale. (OMISSIS) infatti, in data (OMISSIS), ebbe a sferrare numerosi colpi al capo e al collo del (OMISSIS), con un’ascia lasciata incustodita presso la richiamata struttura, solo perche’ infastidito dal comportamento della persona offesa.
Il giudicante effettua primieramente considerazioni di ordine critico sulla stessa ammissibilita’ del concorso del reato colposo in quello doloso, pure considerando che tale configurazione trova cittadinanza nel diritto vivente.
Cio’ posto, il G.i.p. ripercorre dettagliatamente il vissuto clinico del (OMISSIS) dal mese di (OMISSIS) sino alla notte del (OMISSIS) in cui venne compiuto il gesto omicidiario, osservando che le scelte effettuate dallo psichiatra (OMISSIS), in ordine al passaggio dal regime di internamento del (OMISSIS) a quello della liberta’ vigilata ed alla riduzione del trattamento farmacologico, appaiono immuni da errori di diagnosi. Il giudice considera che a posteriori le scelte effettuate dall’odierno imputato sono risultate oggettivamente inadeguate a contenere la perdurante pericolosita’ del (OMISSIS), soggetto che sedici anni prima aveva commesso un altro omicidio. Non di meno, in sentenza si rileva che nella condotta dell’imputato non emergono profili di rimproverabilita’ colposa e che l’azione dello psichiatra non puo’ considerarsi come causa scatenante dell’imprevedibile gesto omicidiario.
2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), parte civile costituita, a mezzo del difensore.
Il ricorrente si sofferma sulla storia clinica del (OMISSIS), caratterizzata da abuso di sostanze stupefacenti, esplosioni di rabbia e da un fallito gesto suicidiario, in esito al quale ebbe a riportare gravi lesioni. L’esponente richiama poi le motivazioni e le efferate modalita’ dell’uccisione della fidanzata (OMISSIS) perpetrata dal (OMISSIS) nel 1998, sulla base delle lucide dichiarazioni rese dallo stesso al consulente del pubblico ministero. Cio’ posto, l’esponente propone considerazioni sull’ambito funzionale della sentenza liberatoria di cui all’articolo 425 c.p.p.. Quindi, con il primo motivo, la parte denuncia la violazione di legge. Al riguardo, il ricorrente rileva che il G.i.p. di Pistoia ha effettuato valutazioni che esulano dalla natura processuale della decisione di cui si tratta.
Con il secondo motivo la parte civile deduce l’inosservanza della legge penale, con riferimento al punto della sentenza in cui viene esclusa la configurabilita’ del concorso colposo nel reato doloso. Osserva che la giurisprudenza ha chiarito che risulta configurabile la responsabilita’ a titolo colposo dello psichiatra nel reato doloso del paziente, in riferimento alla posizione di garanzia assunta dal medico.
Con il terzo motivo l’esponente individua un ulteriore errore nella applicazione della legge penale, in relazione ai profili di colpa commissiva ed omissiva.
Con il quarto motivo viene denunciato il vizio motivazionale in ordine alla rilevanza della riduzione della terapia farmacologica. L’esponente osserva che il percorso argomentativo posto a fondamento della sentenza impugnata risulta manifestamente illogico, laddove il giudicante effettua affermazioni sulla incidenza da assegnare alla riduzione del farmaco antipsicotico.
Con ulteriore motivo il deducente censura la valutazione effettuata dal G.i.p. rispetto ai profili di colpa ascrivibili al (OMISSIS).
Sotto altro aspetto, la parte civile osserva che il giudicante ha sviluppato considerazioni di natura politica, piuttosto che giuridica, sulle possibilita’ riabilitative del malato di mente.
Infine, viene denunciato vizio motivazionale in ordine alla ritenuta imprevedibilita’ del gesto omicidiario. La parte sottolinea che dal vissuto del (OMISSIS) emergono plurimi indici premonitori al riguardo. E rileva che (OMISSIS) effettuo’ specifiche scelte terapeutiche, dopo aver estromesso altri professionisti che andavano di contrario avviso, riducendo la terapia farmacologica a fronte di un enorme aumento degli stimoli esterni ai quali il paziente veniva sottoposto. Si considera, infine, che l’espletamento di perizia, in sede dibattimentale, ben potrebbe contribuire a chiarire l’incidenza da assegnare alla riduzione del farmaco antipsicotico, rispetto all’azione omicidiaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato, nei sensi di seguito espressi.
2. Procedendo all’esame del primo motivo di ricorso, deve considerarsi che il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pistoia ha posto a fondamento della decisione oggi impugnata valutazioni sulla conducenza del compendio probatorio a sostenere l’accusa nel giudizio di merito, che risultano eccentriche rispetto alla regola di valutazione espressa dall’articolo 425 c.p.p., propria dell’udienza preliminare, come delineata dal diritto vivente. A tale riguardo e’ sufficiente rammentare brevemente che l’originaria formulazione della norma prevedeva che potesse essere adottata sentenza di non luogo a procedere solo nelle situazioni di evidenza probatoria per le formule di proscioglimento in fatto. Si trattava di regola di giudizio eccessivamente restrittiva, che inibiva al giudice un reale controllo sulla plausibilita’ dell’accusa; e che non era coerente con quella ben piu’ ampia prevista per l’archiviazione. La L. n. 479 del 1999, ha quindi ampliato significativamente la regola di giudizio: tra l’altro, puo’ essere emessa sentenza di non luogo procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Il lessico dell’articolo 425 c.p.p., nuovo comma 3, evidenzia che il legislatore ha voluto rendere omogenee le regole di giudizio sottese all’archiviazione ed alla sentenza di non luogo a procedere. Dunque, la sentenza di non luogo a procedere puo’ essere adottata quando si e’ in presenza di una situazione probatoria pacifica (esistenza della prova dell’innocenza; mancanza della prova della colpevolezza); quando il quadro probatorio e’ insufficiente o contraddittorio; infine quando non vi sono elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio. Tale ultima situazione individua un tertium genus rispetto alle due precedenti; ed implica una penetrante sintesi prognostica e valutativa che attiene alla potenzialita’ espansiva degli elementi di prova disponibili. Si tratta quindi di una norma di chiusura, che impone una ampia lettura critica circa la plausibilita’ dell’ipotesi accusatoria. Tale valutazione prognostica circa l’esito del giudizio dovra’ rapportarsi anche alle piu’ ampie risorse della formazione della prova nel dibattimento; e particolarmente alle potenzialita’ dell’accertamento giudiziale condotto con le regole del contraddittorio.
Su tale nuova regola di giudizio e’ intervenuta ripetutamente questa Corte rimarcando che la insufficienza o contraddittorieta’ delle acquisizioni probatorie va parametrata sull’inutilita’ del dibattimento (Sez. 6, sentenza n. 45275 del 16/11/2001, Acampora, Rv. 221303). Anche le Sezioni unite hanno affermato che l’obiettivo arricchimento qualitativo e quantitativo dell’orizzonte prospettico del giudice non gli attribuisce il potere di giudicare in termini di anticipata verifica dell’innocenza/colpevolezza, poiche’ la sua valutazione critica e’ sempre diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, la sostenibilita’ dell’accusa in giudizio e l’utilita’ della fase dibattimentale (Sez. U, sentenza n. 39915 del 30/10/2002, Vottari, Rv. 222602). La giurisprudenza successiva ha ribadito il delineato ambito funzionale dell’udienza preliminare, affermando che la regola di valutazione che deve osservare il giudice consiste nella prognosi di non evoluzione del materiale probatorio: lo scrutinio “del merito” demandato al giudice della udienza preliminare, cioe’, volgendo a soddisfare un ruolo processuale – tale essendo, infatti, la natura dell’epilogo decisorio (sentenza che, per l’appunto, si definisce di “non luogo a procedere”, ovvero decreto che dispone il giudizio) che contrassegna l’esito al quale tende l’udienza preliminare – deve raccordarsi con l’implausibilita’ di connotazioni evolutive del materiale di prova raccolto (Sez. 2, sentenza n. 14034 del 18/03/2008, D’Abramo, Rv. n. 239514; conforme Sez. 2, sentenza n. 45046 del 11/11/2008, Corona, Rv. 242222). Si e’ pure chiarito che, in sede di legittimita’, il controllo sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) o lettera e), non puo’ avere per oggetto gli elementi acquisiti dal pubblico ministero ma solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli e, quindi, la riconoscibilita’ del criterio prognostico adottato per escludere che l’accusa sia sostenibile in giudizio (Sez. 6, Sentenza n. 35668 del 28/03/2013, Abbamonte, Rv. 256605).
E bene, nel caso di specie, il giudicante ha dato atto del fatto che le parti avevano chiesto l’espletamento di perizia nelle forme garantite, proprio al fine di chiarire la conferenza, rispetto agli approdi offerti dalla letteratura clinica di settore, delle scelte terapeutiche effettuate dal sanitario, con riguardo al quadro patologico presentato dal (OMISSIS). In sentenza, sul punto, si afferma che l’espletamento della perizia deve ritenersi inutile – sia rispetto al tema della individuazione di profili di ascrivibilita’ colposa nella condotta dell’imputato, sia rispetto all’accertamento della riferibilita’ causale dell’evento all’azione del garante.
Tale valutazione deve essere censurata, giacche’ non tiene conto dell’insegnamento espresso dal diritto vivente rispetto all’apprezzamento della prova scientifica nel giudizio penale; e contraddice l’ambito cognitivo assegnato al giudice dell’udienza preliminare, qualificato dalla valutazione prognostica circa la possibile evoluzione del materiale di prova raccolto, come sopra chiarito. La sentenza, infatti, sebbene mossa dal commendevole proposito di valorizzare l’accresciuto ruolo decisorio dell’udienza preliminare, non si confronta in modo risolutivo con le molte questioni problematiche presenti nel giudizio ed esposte diffusamente dal ricorrente a proposito della lunghissima storia clinica dell’imputato e dei suoi drammatici vissuti; della prevedibilita’ della condotta omicidiaria alla luce di tale storia personale; della appropriatezza delle scelte in ordine alla collocazione residenziale del (OMISSIS) ed alla modulazione del trattamento farmacologico.
La pronunzia, inoltre, trascura di considerare l’importanza di una approfondita valutazione scientifica di casi problematici come quello in esame; e soprattutto non esprime una motivata e concludente valutazione in ordine all’utilita’ della sede dibattimentale, cui l’ordinamento processuale attribuisce una particolare valenza euristica, sia in considerazione dell’importanza del contraddittorio, sia in virtu’ dei poteri officiosi del giudice, particolarmente nella gestione della peculiare indagine costituita dalla perizia.
Le considerazioni ora svolte, di ordine dirimente, conducono all’annullamento della sentenza impugnata, vulnerata dalle evidenziate aporie argomentative, rispetto all’ambito funzionale dell’udienza preliminare, con rinvio al Tribunale di Pistoia, per l’ulteriore corso.
3. In vista delle rinnovate valutazioni demandate al Tribunale, non si puo’ fare a meno di prendere in esame alcune ulteriori questioni problematiche agitate nel ricorso, alle quali il giudice dovra’ prestare nuovamente attenzione.
In particolare, quanto ai temi affidati al secondo motivo di ricorso, occorre considerare che le perplessita’ espresse dal giudicante, in ordine alla stessa ammissibilita’ del concorso del reato colposo in quello doloso, non appaiono giustificate, alla luce della elaborazione giurisprudenziale.
Invero, ad una ormai risalente posizione critica assunta dalla giurisprudenza di legittimita’ rispetto alla configurabilita’ del concorso colposo nel delitto doloso (Sez. 4, Sentenza n. 9542 del 11/10/1996, De Santis, Rv. 206798), hanno fatto seguito ripetuti, condivisi arresti, ove si e’ ritenuto che il concorso colposo risulta configurabile anche rispetto al delitto doloso, purche’ il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella condotta siano effettivamente presenti tutti gli elementi che caratterizzano la colpa. In tale ambito ricostruttivo, si e’ chiarito che la regola cautelare violata deve essere necessariamente diretta a prevenire anche il rischio dell’atto doloso del terzo e che quest’ultimo deve risultare prevedibile per l’agente che risponde a titolo di colpa (Sez. 4, Sentenza n. 10795 del 14/11/2007, dep. 2008, Pozzi, Rv. 238957; Sez. 4, Sentenza n. 4107 del 12/11/2008, dep. 2009, Calabro’, Rv. 242830; Sez. 4, sentenza n. 34385 del 14.07.2011, Costantino, Rv. 251511; Sez. 4, n. 9855 del 27/01/2015, Chiappa, Rv. 262440). Come si vede, secondo diritto vivente, risulta astrattamente configurabile il concorso colposo nel delitto doloso; e pertanto, la valutazione prognostica circa la possibile evoluzione del materiale di prova raccolto, tale da giustificare il rinvio a giudizio dell’imputato, dovra’ essere effettuata tenendo concretamente presente tale approdo interpretativo.
4. Il giudizio si muove problematicamente pure attorno al ruolo ed alla responsabilita’ del professionista psichiatra. Anche a tale riguardo questa Corte e’ tenuta ad indicare gli approdi della nomofilachia, per evitare ulteriori fraintendimenti nella delicata materia, anche alla luce delle peculiarita’ del caso.
Occorre ricordare che la giurisprudenza si e’ sovente occupata della posizione di garanzia che grava sul medico psichiatra e sul contenuto dei conseguenti obblighi di protezione e controllo, rispetto alle condotte autolesive o lesive del paziente verso terzi (ad es. Sez. 4, Sentenza n. 48292 del 27/11/2008, Desana, Rv. 242390). Si tratta di un caso in cui la Corte regolatrice ha confermato l’affermazione di responsabilita’ del primario e dei medici del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per omicidio colposo in danno di un paziente che, ricoveratosi volontariamente con divieto di uscita senza autorizzazione, si era allontanato dal reparto dichiarando di volersi recare al piano superiore ed ivi giunto si era suicidato gettandosi da una finestra.
Il tema si intreccia con quello del concorso colposo nel delitto doloso sopra ricordato. La Corte regolatrice, infatti, ha affermato che e’ configurabile il concorso colposo nel delitto doloso proprio in riferimento al caso di un medico psichiatra, il quale, sospendendo in maniera imprudente il trattamento farmacologico cui era sottoposto il paziente ricoverato in una comunita’, ne aveva determinato lo scompenso psichico, ritenuto la causa della crisi nel corso della quale lo stesso paziente, poi ritenuto non imputabile, aveva aggredito ed ucciso uno degli operatori che lo accudivano (Sez. 4, n. 10795 del 14/11/2007 – dep. 2008, Pozzi, Rv. 238957, cit.).
Ai fini di interesse, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che l’obbligo giuridico che grava sullo psichiatra risulta potenzialmente qualificabile al contempo come obbligo di controllo, equiparando il paziente ad una fonte di pericolo, rispetto alla quale il garante avrebbe il dovere di neutralizzarne gli effetti lesivi verso terzi, e di protezione del paziente medesimo, soggetto debole, da comportamenti pregiudizievoli per se stesso (Sez. 4, n. 14766 del 04/02/2016, De Simone, Rv. 266831).
In argomento, non si e’ mancato di rilevare che il contenuto della posizione di garanzia assunta dallo psichiatra deve essere circoscritto, tenendosi nel dovuto conto la contemporanea presenza di vincoli protettivi e pretese di controllo, unitamente alla particolare complessita’ della situazione rischiosa da governare: tra il perimetro della posizione di garanzia e il rischio consentito esiste infatti uno stretto collegamento, nel senso che e’ proprio l’esigenza di contrastare e frenare un determinato rischio per il paziente (o realizzato dal paziente verso terzi) che individua e circoscrive, sul versante della responsabilita’ colposa, le regole cautelari del medico. In questo quadro, peculiare rilevanza assume la selezione delle regole tecniche, delle raccomandazioni, che orientano l’attivita’ medica nella scelta del percorso terapeutico; selezione che si pone in termini ancor piu’ problematici con specifico riferimento alla scienza psichiatrica, giacche’ le manifestazioni morbose a carico della psiche sono ritenute tendenzialmente meno evidenti e afferrabili delle malattie fisiche, per cui l’individuazione del trattamento appropriato puo’ in certi casi diventare ancora piu’ incerta che non nell’ambito della attivita’ medica genericamente intesa (Sez. 4, n. 14766 del 04/02/2016, De Simone, cit.). Come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimita’, in tali casi la regola cautelare delinea l’area dell’obbligo di garanzia, che a sua volta definisce la condotta omissiva tipica, alla quale assegnare idoneita’ salvifica, rispetto all’impedimento dell’evento, come in concreto verificatosi.
Deve in questa sede ribadirsi l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimita’, laddove si e’ evidenziato: che la moderna psichiatria mostra patologie che non di rado sono difficilmente controllabili completamente, anche in ragione dell’abbandono di deprecate pratiche di isolamento e segregazione del paziente psicotico, a favore di terapie rispettose della dignita’ umana che, tuttavia, non eliminano del tutto il rischio di condotte inconsulte; che, in tali casi, il giudice deve verificare, con valutazione ex ante, l’adeguatezza delle pratiche terapeutiche poste in essere dal sanitario a governare il rischio specifico, pure a fronte di un esito infausto sortito dalle stesse; che, in tale percorso valutativo, che involge la delimitazione del perimetro del rischio consentito insito nella pratica medica, vengono in rilievo le raccomandazioni contenute nelle linee guida, in grado di offrire indicazioni e punti di riferimento, tanto per il medico nel momento in cui e’ chiamato ad effettuare la scelta terapeutica adeguata al caso di specie, quanto per il giudice che deve procedere alla valutazione giudiziale di quella condotta (Sez. 4, sentenza n. 4391 del 22/11/2011, dep. 2012, Di Lella, Rv. 251941).
5. I cenni che precedono, circoscritti all’esame strutturale della posizione di garanzia assunta dallo psichiatra nell’ambito della relazione terapeutica, rendono evidente la peculiare rilevanza che, nel caso di specie, assume la verifica del rispetto, da parte dell’imputato, di eventuali codificate procedure formali ovvero di protocolli o linee guida: si tratta di parametri che possono svolgere un ruolo importante, quale atto di indirizzo per il medico e quindi nel momento della verifica giudiziale della correttezza del suo operato (Sez. 4, Sentenza n. 35922 del 11/07/2012, Ingrassia, Rv. 254618). Come si vede, l’analisi delle linee guida che risultino adeguate al caso concreto, assume certa rilevanza, nell’orizzonte del giudice chiamato a celebrare nuovamente l’udienza preliminare, in sede di giudizio di rinvio. Le linee guida, invero, offrono al giudice un estrinseco parametro di riferimento, che garantisce maggiore tassativita’ nella valutazione degli eventuali profili di colpa del sanitario. E d’altra parte alle linee guida affida uno speciale, riconosciuto ruolo il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, che, come sara’ meglio esposto nel prosieguo, pur essendo stato abrogato, trova ancora applicazione ai sensi dell’articolo 2 c.p., essendo piu’ favorevole rispetto alla normativa sopravvenuta.
6. Infine, sempre nell’ottica delle rinnovate valutazioni richieste al giudice, posto che il quadro normativo di riferimento, rispetto al tema della responsabilita’ per colpa del sanitario e’ stato interessato da plurimi interventi da parte del legislatore, nell’arco dell’ultimo lustro, occorre soffermarsi sulla portata della recente novellazione, anche al fine di dirimere le questioni di diritto intertemporale derivanti dalla intervenuta successione di leggi penali nel tempo.
La questione e’ altamente problematica, come sara’ meglio esposto nel prosieguo sicche’ occorre ripercorrere, sia pure in estrema sintesi, gli snodi concettuali che hanno attraversato l’elaborazione giurisprudenziale degli ultimi anni, rispetto al tema di interesse.
Sino agli anni ottanta del secolo scorso la giurisprudenza limitava la responsabilita’ penale del medico, rispetto ai delitti di omicidio colposo e di lesioni colpose, alle ipotesi di colpa grave, in conformita’ a quanto previsto, in tema di responsabilita’ civile, dall’articolo 2236 del codice civile, in riferimento alle prestazioni professionali comportanti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta’ (Sez. 4, sentenza n. 6650 del 27/01/1984, Ricolizzi, Rv 165329; Sez. 4, sentenza n. 9410 del 25/05/1987, Tomei, Rv. 176606; Sez. 2, sentenza n. 11695 del 23/08/1994, Leone, Rv. 199757). Il limite della colpa grave veniva solitamente riferito alla sola imperizia (quella cioe’ derivante dalla violazione delle leges artis), mentre rispetto alla negligenza e all’imprudenza si riteneva che la valutazione dell’attivita’ del medico dovesse essere improntata a criteri di normale severita’.
Sul punto, occorre rilevare che la Corte Costituzionale, chiamata a stabilire se tale orientamento fosse compatibile con il principio di uguaglianza, ha affermato in una risalente pronuncia che la richiamata deroga alla disciplina generale della responsabilita’ penale per colpa, nei casi previsti dalla disposizione di cui all’articolo 2236 c.c., aveva una adeguata ragione d’essere, dovendo essere applicata solo ai casi in cui la prestazione professionale comportava la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’ ed essendo contenuta entro il circoscritto tema della perizia (Corte Costituzionale, sentenza n. 166 del 1973).
Tale indirizzo e’ stato pero’ messo in discussione, successivamente, dalla stessa giurisprudenza di legittimita’, la quale ha negato l’applicabilita’ del principio di cui all’articolo 2236 c.c., al diritto penale, affermando che nella materia devono trovare esclusivo accoglimento gli ordinari criteri di valutazione della colpa di cui all’articolo 43 c.p., secondo il parametro consueto dell’homo eiusdem professionis et condicionis, arricchito dalle eventuali maggiori conoscenze dell’agente concreto (Sez. 4, sentenza n. 11733, del 2/06/1987, Fora Boschi, Rv. 177085; Sez. 4, sentenza n. 11007, del 28/04/1994, Archilei, Rv. 200387). La giurisprudenza successiva ha quindi costantemente rilevato che nella valutazione in ambito penale della colpa medica non trova applicazione la richiamata disciplina di favore di cui all’articolo 2236 c.c.. La graduazione della colpa assume eventuale rilievo solo ai fini della determinazione della pena (Sez. 4, sentenza n. 46412, 28/10/2008, Rv. 242251).
La distinzione tra culpa levis e culpa lata ha acquisito una nuova considerazione alla luce della disposizione, in tema di responsabilita’ sanitaria, contenuta nel Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, comma 1, convertito, con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, ove era tra l’altro stabilito: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attivita’ si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”. Si tratta di disposizione oggi abrogata, come subito si vedra’.
Secondo la Corte regolatrice, la citata novella del 2012 aveva escluso la rilevanza penale della colpa lieve, rispetto alle condotte lesive coerenti con le linee guida o le pratiche terapeutiche mediche virtuose, accreditate dalla comunita’ scientifica. In particolare, si era evidenziato che la norma aveva dato luogo ad una abolitio criminis parziale degli articoli 589 e 590 c.p., avendo ristretto l’area penalmente rilevante individuata dalle predette norme incriminatrici, alla sola colpa grave (Sez. 4, Sentenza n. 11493 del 24/01/2013, Pagano, Rv. 254756; Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, Rv. 255105; Sez. 4, Sentenza n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, Rv. 260739). La modifica normativa aveva riportato, quindi, all’attualita’ i concetti di colpa lieve e di colpa grave, destinati ad intrecciarsi con l’ulteriore questione posta dalla novella del 2012, afferente all’impiego, in sede giudiziaria, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica.
Nell’ermeneusi della riferita disposizione, la giurisprudenza di legittimita’ era giunta all’approdo in base al quale il terapeuta complessivamente avveduto ed informato, attento alle raccomandazioni contenute nelle linee guida, potesse ritenersi rimproverabile solo nel caso in cui fosse incorso in colpa grave nell’adeguarsi a tali direttive. In tale ambito ricostruttivo, le linee guida accreditate assumevano valenza di direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie; e la loro osservanza costituiva uno “scudo protettivo” contro istanze punitive non giustificate.
7. Il tema della responsabilita’ dell’esercente la professione sanitaria, per i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose e’ stato oggetto di un ulteriore intervento normativo, con il quale il legislatore ha posto mano nuovamente alla materia della responsabilita’ sanitaria, anche in ambito penale. Il riferimento e’ alla L. 8 marzo 2017, n. 24, recante Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonche’ in materia di responsabilita’ professionale degli esercenti le professioni sanitarie, pubblicata in G.U. Serie Generale n. 64 del 17.3.2017, entrata in vigore in data 01.04.2017.
Ai fini di interesse, viene in particolare rilievo la citata L. n. 24 del 2017, articolo 6, che ha introdotto l’articolo 590 sexies c.p., rubricato Responsabilita’ colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario.
L’articolo 590 sexies c.p., stabilisce:
“Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590, sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal comma 2.
Qualora l’evento si e’ verificato a causa di imperizia, la punibilita’ e’ esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificita’ del caso concreto”.
L’articolo 6, comma 2, citato, dispone l’abrogazione del Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 novembre 2012, n. 189.
La novella manifesta la volonta’ di una rifondazione della disciplina penale della responsabilita’ in ordine ai reati di omicidio e lesioni colpose in ambito sanitario, come plasticamente si desume dalla creazione di una nuova incriminazione.
Tuttavia la lettura della nuova norma suscita alti dubbi interpretativi, a prima vista irresolubili, subito messi in luce dai numerosi studiosi che si sono cimentati con la riforma. Si mostrano, in effetti, incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la stessa razionale praticabilita’ della riforma in ambito applicativo. Ancor prima, si ha difficolta’ a cogliere la ratio della novella.
Si legge che non e’ punibile l’agente che rispetta le linee guida accreditate nei modi che si vedranno in appreso, nel caso in cui esse risultino adeguate alle specificita’ del caso concreto. L’enunciato, come e’ stato da piu’ parti sottolineato, attinge la sfera dell’ovvieta’: non si comprende come potrebbe essere chiamato a rispondere di un evento lesivo l’autore che, avendo rispettato le raccomandazioni espresse da linee guida qualificate e pertinenti ed avendole in concreto attualizzate in un modo che “risulti adeguato” in rapporto alle contingenze del caso concreto, e’ evidentemente immune da colpa. Da questo punto di vista, dunque, nulla di nuovo.
La disciplina, tuttavia, risulta di disarticolante contraddittorieta’ quando l’ovvio enunciato di cui si e’ detto si ponga in connessione con la prima parte del testo normativo. Vi si legge, infatti, che il novum trova applicazione “quando l’evento si e’ verificato a causa di imperizia”. La drammatica incompatibilita’ logica e’ lampante: si e’ in colpa per imperizia ed al contempo non lo si e’, visto che le codificate leges artis sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato (“risultino adeguate alle specificita’ del caso concreto”) all’esito di un giudizio maturato alla stregua di tutte le contingenze fattuali rilevanti in ciascuna fattispecie.
La contraddizione potrebbe essere risolta sul piano dell’interpretazione letterale, ipotizzando che il legislatore abbia voluto escludere la punibilita’ anche nei confronti del sanitario che, pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate; pure quando esse siano estranee al momento topico in cui l’imperizia lesiva si sia realizzata.
Un esempio tratto dalla prassi puo’ risultare chiarificatore. Un chirurgo imposta ed esegue l’atto di asportazione di una neoplasia addominale nel rispetto delle linee guida e, tuttavia, nel momento esecutivo, per un errore tanto enorme quanto drammatico, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia un’arteria con effetto letale. In casi del genere, intuitivamente ed al lume del buon senso, non puo’ ritenersi che la condotta del sanitario sia non punibile per il solo fatto che le linee guida di fondo siano state rispettate. Una soluzione di tale genere sarebbe irragionevole, vulnererebbe il diritto alla salute del paziente e quindi l’articolo 32 Cost., si porrebbe in contrasto con i fondanti principi della responsabilita’ penale. Tali ragioni che rendono impraticabile la letterale soluzione interpretativa di cui si discute devono essere debitamente, analiticamente chiarite.
7.1 Il diritto penale e’ nel presente profondamente permeato e modellato dal principio costituzionale di colpevolezza. L’adeguamento ad esso costituisce impresa cui la giurisprudenza attende, consapevole dell’alta posta in gioco. Si tratta di connettere la sfera punitiva ad un ben ponderato rimprovero, in primo luogo attraverso il rimodellamento delle figure del dolo, della colpa e della preterintenzione.
Non e’ qui il caso di proporre una compiuta analisi della vasta materia. E’ sufficiente richiamare l’approdo ultimo (Sez. U, sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261105) che, in accordo con precedenti arresti giurisprudenziali e con i contributi di autorevole dottrina, ha inteso ridefinire i distinti connotati della colpevolezza dolosa e di quella colposa.
In particolare, per cio’ che riguarda la colpa, si e’ chiarito che si tratta di una forma di colpevolezza che non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione di una prescrizione, ma e’ limitata ai risultati che la regola mira a prevenire. Prevedibilita’ e prevenibilita’ hanno un importante ruolo nell’individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto il giudizio. Si tratta di identificare una norma specifica posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti; e di identificare misure atte a scongiurare o attenuare il rischio. L’individuazione di tale nesso consente di sfuggire al pericolo di una connessione meramente oggettiva tra regola violata ed evento; di una configurazione dell’evento stesso come condizione obiettiva di punibilita’. Si richiede, altresi’, la evitabilita’ dell’evento; cioe’ che il comportamento diligente abbia apprezzabili, significative possibilita’ di scongiurare il danno. Tali ineludibili coordinate della colpa si atteggiano con sfumature diverse in relazione ai diversi contesti ed alle differenti caratteristiche delle regole imposte; ma, nel loro nucleo, costituiscono espressione del principio costituzionale di colpevolezza, giacche’ racchiudono i tratti tipici del rimprovero che fonda l’affermazione di responsabilita’. Tutto cio’ si rinviene sotto le insegne del principio della “causalita’ della colpa” fatto proprio da questa Corte nella citata sentenza delle Sezioni unite ed in numerose altre pronunzie.
Tali considerazioni rendono chiaro che non e’ consentita l’utilizzazione di direttive non pertinenti rispetto alla causazione dell’evento, non solo per affermare la responsabilita’ colpevole, ma neppure per escluderla.
Per esemplificare nel modo piu’ triviale, il conducente di un’auto che impegni un incrocio con semaforo rosso determinando un incidente mortale non potrebbe invocare l’esonero da responsabilita’ per il solo fatto di aver rispettato il limite di velocita’ vigente in quel tratto di strada. Ed un atto normativo che prevedesse una disciplina del genere si esporrebbe a censure ben evidenti, sul piano della razionalita’, della coerenza con le fondamentali esigenze di difesa della vita e della salute, del rispetto del principio di colpevolezza.
7.2 I principi indicati, naturalmente, trovano applicazione, con tutti gli adattamenti del caso, anche nel contesto in esame, in cui le regole si presentano come “raccomandazioni” da modellare su ciascun caso concreto. Il tema richiede qualche chiarificazione a proposito delle linee guida e della loro utilizzazione.
Questa Corte ha ripetutamente avuto modo di chiarire che le linee guida – alla stregua delle acquisizioni ad oggi consolidate – costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche. Si tenta di oggettivare, uniformare le valutazioni e le determinazioni; e di sottrarle all’incontrollato soggettivismo del terapeuta. I vantaggi di tale sistematizzata opera di orientamento sono tanto noti quanto evidenti. Tali regole, di solito, non danno luogo a norme propriamente cautelari e non configurano, quindi, ipotesi di colpa specifica. Esse, tuttavia hanno a che fare con le forti istanze di determinatezza che permeano la sfera del diritto penale. Infatti, la fattispecie colposa ha necessita’ di essere eterointegrata non solo dalla legge, ma anche da atti di rango inferiore, per cio’ che riguarda la concreta disciplina delle cautele, delle prescrizioni, degli aspetti tecnici che in vario modo fondano il rimprovero soggettivo. La discesa della disciplina dalla sfera propriamente legale a fonti gerarchicamente inferiori che caratterizza la colpa specifica costituisce peculiare, ineliminabile espressione dei principi di legalita’, determinatezza, tassativita’. La fattispecie colposa, col suo carico di normativita’ diffusa, e’ per la sua natura fortemente vaga, attinge il suo nucleo significativo proprio attraverso le precostituite regole alle quali vanno parametrati gli obblighi di diligenza, prudenza, perizia.
Dunque, le linee guida hanno contenuto orientativo, esprimono raccomandazioni; e vanno distinte da strumenti di “normazione” maggiormente rigidi e prescrittivi, solitamente denominati “protocolli” o check list. Esse non indicano una analitica, automatica successione di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti; e, dunque, vanno in concreto applicate senza automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificita’ di ciascun caso clinico. Potra’ ben accadere che il professionista debba modellare le direttive, adattandole alle contingenze che momento per momento gli si prospettano nel corso dello sviluppo della patologia e che, in alcuni casi, si trovi a dovervi addirittura derogare radicalmente.
Chiarito il ruolo delle linee guida, va aggiunto che esse non esauriscono la disciplina dell’ars medica. Da un lato, infatti, vi sono aspetti delle medicina che non sono per nulla regolati da tale genere di direttiva. Dall’altro, pure nell’ambito di contesti che ad esse attingono, puo’ ben accadere che si tratti di compiere gesti o di agire condotte, assumere decisioni che le direttive in questione non prendono in considerazione, come evidenziato dall’esempio del chirurgo che si e’ sopra proposto (par. 7). In tali situazioni la considerazione della generica osservanza delle linee guida costituisce – si confida sia ormai chiaro – un aspetto irrilevante ai fini della spiegazione dell’evento e della razionale analisi della condotta ai fini del giudizio di rimproverabilita’ colposa. Insomma, razionalita’ e colpevolezza ergono un alto argine contro l’ipotesi che voglia, in qualunque guisa, concedere, sempre e comunque, l’impunita’ a chi si trovi in una situazione di verificata colpa per imperizia.
7.3 Peraltro, anche ulteriori ragioni militano contro l’ipotesi interpretativa prospettata. Occorre rammentare che le incriminazioni di cui si discute costituiscono un primario, riconosciuto strumento di protezione dei beni della vita e della salute. E’ ben vero che l’ambito terapeutico e’ un contesto che giustifica, nell’ambito della normazione e dell’interpretazione, un peculiare governo del giudizio di responsabilita’, anche in chiave limitativa. Ne sono testimonianza l’articolo 2236 cod. civ., la richiamata sentenza costituzionale n. 166 del 1973, la giurisprudenza di questa Corte, da ultimo il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, comma 1, convertito, con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189. E pure in ambito internazionale si mostrano soluzioni differenziate, prevalentemente caratterizzate dalla limitazione della responsabilita’ alla colpa grave o dal favore per strumenti propri del diritto civile. A tali esperienze non e’ estranea l’esigenza di scoraggiare la cosiddetta medicina difensiva. Un’istanza sottolineata dalla gia’ evocata sentenza costituzionale, secondo cui dagli articoli 589, 42 e 43 c.p., e dall’articolo 2236 c.c., e’ ricavabile una particolare disciplina in tema di responsabilita’ degli esercenti professioni intellettuali, finalizzata a fronteggiare due opposte esigenze: non mortificare l’iniziativa del professionista col timore d’ingiuste rappresaglie in caso d’insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso. Tale particolare regime, che implica esenzione o limitazione di responsabilita’, pero’, e’ stato ritenuto applicabile ai soli casi in cui la prestazione comporti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’ e riguarda l’ambito della perizia e non quello della diligenza e della prudenza. Considerato che la deroga alla disciplina generale della responsabilita’ per colpa ha un’adeguata ragion d’essere ed e’ contenuta entro il circoscritto tema della perizia, la Corte ha ritenuto che non vi sia lesione del principio d’eguaglianza.
Per contro la soluzione interpretativa sin qui esaminata, implicando un radicale esonero da responsabilita’, e’ priva di riscontri in altre esperienze nazionali. Essa rischierebbe di vulnerare l’articolo 32 Cost., implicando un radicale depotenziamento della tutela della salute, in contrasto con le stesse dichiarate finalita’ della legge, di protezione del diritto alla salute di cui si dira’ anche in appresso. Tale soluzione, inoltre, stabilirebbe uno statuto normativo irrazionalmente diverso rispetto a quello di altre professioni altrettanto rischiose e difficili.
7.4 Il tema del diritto punitivo impone di allargare l’orizzonte agli aspetti civilistici della nuova disciplina. Qui si rinviene una norma che alimenta ulteriormente e radicalizza i dubbi in ordine alla praticabilita’ dell’interpretazione di cui si discute. La L. n. 24 del 2017, articolo 7, comma 3, recita che “…. il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’articolo 5 della presente legge e dell’articolo 590 sexies c.p….”.
Dunque, per effetto di tale richiamo della disciplina civile a quella penale, il solo fatto dell’osservanza di una linea guida, anche quando non rilevante ai fini del giudizio di responsabilita’, non solo escluderebbe la responsabilita’ penale, ma limiterebbe pure la quantificazione del danno. Insomma, neppure l’ambito civilistico consentirebbe alla vittima di ottenere protezione e ristoro commisurati all’entita’ del pregiudizio subito; e l’esonero da responsabilita’ si amplierebbe ulteriormente. E’ ben vero che gia’ la citata L. n. 189 del 2012 recava una norma analoga, ma nell’ambito di quella disciplina il rinvio alla materia penale aveva implicazioni ben piu’ ristrette e ragionevoli: l’applicabilita’, in ambito risarcitorio, dei criteri per la graduazione della colpa, alla stregua della fondamentale distinzione tra colpa lieve e grave.
Insomma, la soluzione che qui si critica colliderebbe frontalmente con l’istanza di tutela della salute che costituisce il manifesto della nuova normativa.
7.5 L’impraticabilita’ dell’interpretazione sin qui esaminata induce questa Corte a percorrere un itinerario alternativo. Sovviene la considerazione delle finalita’ della nuova legge: sicurezza delle cure “parte costitutiva del diritto alla salute”, corretta gestione del rischio clinico, utilizzo appropriato delle risorse. Funzionale a tali finalita’ e’ l’articolo 5, che reca un vero e proprio statuto delle modalita’ di esercizio delle professioni sanitarie: “Gli esercenti le professioni sanitarie…. si attengono, salve le specificita’ del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida” accreditate, espresse cioe’ da istituzioni individuate dal Ministero della salute. Tali linee guida sono sottoposte a verifica dell’Istituto superiore di sanita’ in ordine alla conformita’ a standard predefiniti ed alla rilevanza delle evidenze scientifiche poste a supporto delle raccomandazioni. In mancanza di tali raccomandazioni, i professionisti si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali.
Le coordinate e le finalita’ di tale disciplina emergono nitidamente. Da un lato, e’ chiara la consapevolezza che si tratta di direttive di massima, che devono confrontarsi con le peculiarita’ di ciascuna situazione concreta, adattandovisi. Dall’altro, emerge la recisa volonta’ di costruire un sistema istituzionale, pubblicistico, di regolazione dell’attivita’ sanitaria, che ne assicuri lo svolgimento in modo uniforme, appropriato, conforme ad evidenze scientifiche controllate. Tale istituzionalizzazione vuole senza dubbio superare le incertezze manifestatesi dopo l’introduzione della legge n. 189/2012 a proposito dei criteri per l’individuazione delle direttive scientificamente qualificate. La disciplina intende stornare il pericolo di degenerazioni dovute a linee guida interessate o non scientificamente fondate; e favorire, inoltre, l’uniforme applicazione di direttive accreditate e virtuose.
La normativa assicura all’Istituzione sanitaria il governo dell’attivita’ medica; ma ha un altrettanto rilevante impatto sul professionista, che e’ tenuto ad attenersi alle raccomandazioni, sia pure con gli adattamenti propri di ciascuna fattispecie concreta. Lo stesso professionista, per converso, ha la legittima, coerente pretesa a vedere giudicato il proprio comportamento alla stregua delle medesime direttive impostegli.
Questo quadro d’insieme chiarisce il significato della L. n. 24 del 2017, articolo 6, e della nuova fattispecie incriminatrice. Tale disciplina penale fornisce un inedito inquadramento precettivo, focalizzato sulle modalita’ di svolgimento dell’attivita’ sanitaria e di accertamento della colpa; e dunque reca pure precise indicazioni al giudice in ordine all’esercizio del giudizio di responsabilita’.
8. Entrando nei dettagli.
8.1 La normativa si riferisce ad eventi che costituiscono espressione di condotte governate da linee guida accreditate nei modi che si sono sopra riferiti. Perche’ sia esclusa la responsabilita’ si richiede, altresi’, che le linee guida siano appropriate rispetto al caso concreto; e cioe’ che non vi siano ragioni, dovute solitamente alle comorbilita’, che suggeriscono di discostarsene radicalmente. Chiara, in tal senso la formulazione dell’articolo 5: “Gli esercenti le professioni sanitarie…. si attengono, salve le specificita’ del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida….”.
Insomma, quando le linee guida non sono appropriate e vanno quindi disattese, l’articolo 590-sexies cit. non viene in rilievo e trova applicazione la disciplina generale prevista dagli articoli 43, 589 e 590 c.p..
8.2 Ancora, la novella trova applicazione quando le raccomandazioni generali siano pertinenti alla fattispecie concreta. Qui si trattera’ di valutare se esse “risultino adeguate” e siano cioe’ state attualizzate in forme corrette, nello sviluppo della relazione terapeutica, avuto naturalmente riguardo alle contingenze del caso concreto. Entro queste coordinate, l’agente ha diritto a vedere giudicata la propria condotta alla stregua delle medesime linee guida che hanno doverosamente governato la sua azione. Si tratta di un novita’ di non poco conto, se si considerano le divergenze di opinioni e di valutazioni solitamente espresse dagli esperti nei giudizi di merito, alimentate solitamente proprio da differenti approcci tecnico-scientifici ad una medesima questione. Insomma, il professionista si trovera’ ad agire in una situazione di ben maggiore determinatezza rispetto al passato; e sara’ giudicato alla stregua dei medesimi, definiti parametri che hanno regolato la sua attivita’.
8.3 I nuovo paradigma non dispiega i suoi effetti in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di relazione terapeutica governata da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo. Sovviene nuovamente, a tale riguardo, l’esempio dell’errore del chirurgo sopra esposto (par. 7).
9. Tale ricostruzione da’ conto anche dell’espressione “a causa di imperizia” di cui e’ stata sopra mostrata la potenziale incoerenza con la restante parte dell’articolo 590 sexies c.p.. Il legislatore, con scelta sovrana, ma con espressione lessicalmente infelice, ha ritenuto di limitare l’innovazione alle sole situazioni astrattamente riconducibili alla sfera dell’imperizia, cioe’ al profilo di colpa che involge, in via ipotetica, la violazione delle leges artis. Si sono volute troncare le discussioni e le incertezze verificatesi nelle prassi, anche quella di legittimita’, in ordine all’applicabilita’ della L. n. 189 del 2012, alle linee guida la cui inosservanza conduce ad un giudizio non di insipienza tecnico-scientifica ma di trascuratezza, e quindi di negligenza. A tale riguardo e’ sufficiente rammentare che questa Corte, dapprima contraria, aveva da ultimo ritenuto che la L. n. 189 del 2012, potesse riferirsi pure ad aree diverse da quelle dell’imperizia (Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, Rv. 266904).
In breve, la nuova norma tronca in radice i dubbi: si e’ voluto mettere in chiaro che l’articolo 590-sexies si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata imputazione di colpa per imperizia.
10. Il nuovo assetto, naturalmente, si riverbera considerevolmente sulla configurazione della colpa in ambito sanitario. Questa Corte ha avuto occasione di porre in luce le peculiarita’ di tale forma dell’imputazione soggettiva: figura vuota ed umbratile, dalla forte impronta normativa, bisognosa di eterointegrazione. E, come si e’ accennato, si e’ pure rimarcata la grande importanza del sapere tecnico-scientifico per colmare i vuoti e per conferire maggiore determinatezza al precetto. Al contempo, sono stati enunciati i pericoli connessi all’utilizzazione di raccomandazioni provenienti da soggetti non indipendenti o non sufficientemente qualificati. In tale quadro risalta, nella riforma, l’importante progetto di “codificazione” ed “istituzionalizzazione”, nonche’ di continuo adeguamento delle direttive a tutela della “sicurezza delle cure” e dei giudizi a cio’ pertinenti.
Va aggiunto, per ulteriore chiarificazione, che il catalogo delle linee guida non puo’ esaurire del tutto i parametri di valutazione. E’ ben naturale, infatti, che il terapeuta possa invocare in qualche caso particolare quale metro di giudizio anche raccomandazioni, approdi scientifici che, sebbene non formalizzati nei modi previsti dalla legge, risultino di elevata qualificazione nella comunita’ scientifica, magari per effetto di studi non ancora recepiti dal sistema normativo di evidenza pubblica delle linee guida di cui al richiamato articolo 5. Si tratta di principio consolidato nella scienza penalistica: le prescrizioni cautelari ufficiali possono essere affiancate da regole non codificate ma di maggiore efficienza nella prospettiva della ottimale gestione del rischio.
D’altra parte, il legislatore ha stornato il pericolo di stallo nell’applicazione delle novella, ponendo in campo, in via residuale, le buone pratiche clinico-assistenziali. Anche in questo campo e’ stato perseguito un progetto di emersione, codificazione e monitoraggio delle buone pratiche attraverso l’istituzione di un Osservatorio nazionale (articolo 3).
Tuttavia, e’ ragionevole prevedere ed auspicare che il catalogo delle linee guida accreditate sara’ rapidamente attuato, in conformita’ all’alto interesse ed alla centralita’ del tema nel quadro della riforma voluta dalla legge. Dunque, in questa prima analisi della riforma e’ sufficiente soffermarsi sul nucleo della novella, costituito, appunto, dal regime delle raccomandazioni “ufficiali”.
Tutto quanto esposto, naturalmente, ha rilevanti ricadute nella gestione del giudizio penale. Come si e’ rilevato, gia’ la L. n. 189 del 2012, aveva posto in luce l’importanza delle direttive consacrate dalla comunita’ scientifica, ma la doverosa attenzione alla volonta’ del legislatore impone di sottolineare, valorizzare e tradurre in chiave operativa l’istanza di determinatezza, chiarezza, prevedibilita’ che promana dalla riforma. Cio’ implica che nel futuro le valutazioni demandate agli esperti dovranno muoversi precipuamente attorno ai nuovi parametri di cui si e’ detto. Si trattera’ di un passaggio ineludibile che dovra’ rifluire nella finale ponderazione demandata al giudice.
10.1 La soluzione interpretativa indicata appare l’unica possibile, dopo ben ponderata riflessione, alimentata anche dai preziosi contributi dottrinali che, come si e’ accennato, non hanno mancato di porre in luce le difficolta’ proposte dal testo normativo. Essa, in breve, coglie nella riforma il virtuoso impulso innovatore focalizzato sulla selezione e codificazione di raccomandazioni volte a regolare in modo aggiornato, uniforme, affidabile, l’esercizio dell’ars medica; e, al contempo, ad ancorare il giudizio di responsabilita’ penale e civile a costituti regolativi precostituiti, con indubbi vantaggi in termini di determinatezza delle regole e prevedibilita’ dei giudizi.
Tale lettura che, in fin dei conti, scorge nella riforma una nuova regola di parametrazione della colpa non e’ vulnerata dal fatto che il testo allude all’osservanza delle linee guida come causa di esclusione della punibilita’. Occorre al riguardo considerare che tale espressione si rinviene in molti testi normativi ed anche nel codice con significati diversi e non di rado atecnici; cioe’ non riconducibili propriamente alla sfera dell’esclusione della pena pur in presenza di un reato, per ragioni istituzionali, personali, di opportunita’.
Basti considerare la disciplina dell’imputabilita’ di cui all’articolo 85 c.p. e ss.. La non imputabilita’ esclude la punizione e per converso, nella visione del codificatore, l’imputabilita’ e’ capacita’ di pena, in aderenza al noto modello del doppio binario di sanzione e misura di sicurezza. Orbene, la teoria del reato ha da allora subito un cosi’ profondo rimodellamento che l’imputabilita’ viene ora riconosciuta senza incertezze, sia in dottrina che in giurisprudenza, come parte o presupposto del principio di colpevolezza normativa e dunque e’ collocata all’interno del reato.
Discorso non dissimile puo’ esser fatto, sempre in via esemplificativa, quanto ai casi di non punibilita’ previsti dall’articolo 388 c.p., nell’ambito dei delitti contro l’amministrazione della giustizia. Tali ipotesi sono ricondotte, sia in dottrina che in giurisprudenza, ad un peculiare stato di necessita’ o ad una causa di esclusione della colpevolezza per inesigibilita’; e dunque sicuramente fuori dalla sfera della mera punibilita’.
Del resto, la stessa L. n. 189 del 2012, articolo 3, parlava di esclusione della responsabilita’: espressione atecnica che questa Corte, come si e’ visto, ha collocato nella dogmatica della colpa.
Parimenti, nel caso in esame l’evocazione della punibilita’ va intesa come un atecnico riferimento al giudizio di responsabilita’ con riguardo alla parametrazione della colpa di cui si e’ detto sopra.
11. La proposta ricostruzione della novella implica problemi di diritto intertemporale con riferimento ai fatti commessi in epoca anteriore. Anche a tale fine, occorre sintetizzare i passaggi di maggior rilievo dell’analisi sin qui prospettata.
Dunque, la nuova disciplina non trova applicazione negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida; e neppure nelle situazioni concrete nelle quali tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarita’ della condizione del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate.
Inoltre, il novum non opera in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo. Nuovamente, per semplificazione, si richiama il caso dell’errore di esecuzione dell’atto chirurgico (par. 7).
Il metro di valutazione costituito dalle raccomandazioni ufficiali e’ invece cogente, con il suo gia’ indicato portato di determinatezza e prevedibilita’, nell’ambito di condotte che delle linee guida siano pertinente estrinsecazione.
Occorre pure tener conto dell’abrogazione del Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, comma 1, convertito, con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, che aveva operato la nota distinzione tra colpa lieve e colpa grave. Questa Corte, come si e’ accennato (par. 6), aveva interpretato tale riforma nel senso piu’ ampiamente aderente al principio di colpevolezza; ritenendo che, nei contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica, si fosse verificata la decriminalizzazione delle condotte connotate da colpa lieve. In conseguenza, si e’ ravvisato che, sempre nell’ambito indicato, residuasse la responsabilita’ colpevole solo per colpa grave: interpretazione aderente alle movenze della riflessione dottrinale e consonante con l’orientamento di altre normative nazionali.
L’abrogazione della legge del 2012 implica la reviviscenza, sotto tale riguardo, della previgente, piu’ severa normativa che, per l’appunto, non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa. Infatti la novella del 2017 non contiene alcun riferimento alla gravita’ della colpa. Naturalmente, ai sensi dell’articolo 2 c.p., il nuovo regime si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma.
Per i fatti anteriori, come quello in esame, sempre in applicazione dell’articolo 2 c.p., puo’ trovare applicazione, invece, quando pertinente, la ridetta normativa del 2012, che appare piu’ favorevole con riguardo alla limitazione della responsabilita’ ai soli casi di colpa grave.
Il giudice, in conseguenza, pur nell’ambito della gia’ indicata regola di giudizio dell’udienza preliminare, potra’ ben prendere in considerazione le problematiche afferenti alle linee guida (come disciplinate dalla ridetta legge del 2012) che, come si e’ sopra esposto, hanno un pregnante rilievo nell’ambito del delicato tema della responsabilita’ dello psichiatra per i fatti commessi da soggetti in cura.
11.1 Per completezza, nel tentativo di ricomporre i frammenti della disciplina, conviene infine rammentare ancora che nel recente passato questa Corte si e’ nuovamente confrontata con il risalente tema dell’applicabilita’, in ambito penale, della disciplina dell’articolo 2236 c.c., pervenendo alla conclusione che tale norma, sebbene non direttamente esportabile nel diritto penale, sia comunque espressione di un principio di razionalita’: situazioni tecnico scientifiche nuove, complesse o influenzate e rese piu’ difficoltose dall’urgenza implicano un diverso e piu’ favorevole metro di valutazione. In tale ambito ricostruttivo, si e’ infatti considerato che il principio civilistico di cui all’articolo 2236 c.c., che assegna rilevanza soltanto alla colpa grave, puo’ trovare applicazione in ambito penalistico come regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficolta’ (da ultimo cfr. Sez. 4, Sentenza n. 12478 del 29/11/2015, dep. 2016, Barberi, Rv. 267814; Sez. 4, Sentenza n. 4391 del 22/11/2011, dep. 2012, Di Lella, Rv. 251941). Tale giurisprudenza ha ancora attualita’ e, si confida, potra’ orientare il giudizio in una guisa che tenga conto delle riconosciute peculiarita’ delle professioni sanitarie.
12. Per tutte le considerazioni svolte, si impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Pistoia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Pistoia.