la disciplina delle immissioni moleste in “alienum” nei rapporti fra privati va rinvenuta nell’art. 844 c.c., alla stregua delle cui disposizioni, quand’anche dette immissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice che tenga conto delle particolarità della situazione concreta.
Tribunale|Roma|Sezione 5|Civile|Sentenza|1 luglio 2019| n. 13796
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
– SEZIONE QUINTA CIVILE –
in composizione monocratica, nella persona del
dott. PAOLO D’AVINO – Giudice
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 24230 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014 e vertente
tra
(…) (cod. fisc. (…)), in qualità di erede di (…) (cod. fisc. (…)), residente in R., Via (…),
elett.nte dom.to in Roma, Via (…), presso lo studio dell’avv.to Gi.Be., e rappresentato e difeso dagli avv.ti Lo.De. e Vi.Gr., anche disgiuntamente fra loro, per procura speciale in calce al ricorso per riassunzione del processo interrotto,
e
(…) (cod. fisc. (…)) e (…) (cod. fisc. (…)), in proprio e quali eredi di (…) (cod. fisc. (…)), residenti entrambe in R., Via (…) della C. n. 146, elett.nte dom.te in Roma, Via (…), presso lo studio degli avv.ti Gi.Pi. e St.La., che le rappresentano e difendono, anche disgiuntamente fra loro, per procure speciali a margine della comparsa di costituzione e risposta in riassunzione scambiata il giorno 22.5.2018,
OGGETTO: rimozione o arretramento manufatti realizzati in violazione delle distanze dal confine fra le proprietà; negatoria servitutis e risarcimento dei danni
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato in data 7.4.2014 (…), proprietaria esclusiva del villino (in catasto urbano al foglio (…), p.lla (…)), con accesso al civico 146 – interno 46 di Via del F. della C., R., nel complesso edilizio denominato “Consorzio V. 73”, ha esposto che:
– a confine e a ridosso del muro perimetrale tra la sua proprietà e il villino (in catasto urbano al foglio (…), p.lla (…), sub. (…) e sub. (…)), con accesso al civico 146 – interni 44 e 44/A della ridetta Via del F. della C., appartenente, in piena comproprietà, a (…); in nuda comproprietà, a (…) e, in usufrutto, a (…), è stato realizzato “un nuovo sistema di smaltimento dei fumi dell’impianto privato di riscaldamento e produzione di acqua calda” (con relativi vano caldaia e canna fumaria metallica);
– il nuovo impianto viola la normativa sulle distanze nelle costruzioni (artt. 873 e ss. cod. civ.) e di fabbriche e depositi nocivi o pericolosi dal confine (art. 890 cod. civ.); il decoro architettonico; la normativa sui vincoli paesaggistici e ambientali e il divieto di immissioni intollerabili e menoma il libero e pieno godimento della proprietà da parte dell’attrice e della sua famiglia (riducendo l’amenità, la salubrità e il soleggiamento dell’immobile; imponendo la chiusura delle finestre prospicienti gli impianti e impedendo l’uso dell’area cortilizia antistante).
Ciò premesso, la B. ha chiesto al Tribunale, previo accertamento delle violazioni lamentate, sia di ordinare la demolizione dei nuovi manufatti illecitamente realizzati e la restituzione dei luoghi nel pristino stato sia di condannare le convenute, in solido fra loro, al risarcimento, anche in via equitativa, dei danni patiti, quantificati nella misura di Euro 10.000,00 (o in quella, comunque diversa, ritenuta di giustizia), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Costituitesi in giudizio con comparsa scambiata il 13.10.2014 (giorno stesso dell’udienza di prima comparizione, fissata dal Giudice ex art. 168-bis, quinto comma, cod. proc. civ.), le convenute hanno resistito alle avverse domande, eccependo la necessità e l’urgenza di sostituire l’originario impianto di scarico fumi (siccome vetusto – essendo stato realizzato all’epoca stessa della costruzione dell’edificio, nell’anno 1980 – rispetto alle esigenze tecniche dei nuovi bruciatori delle caldaia, nonché alle vigenti disposizioni UNI 10683 e 7129, e realizzato con materiale in amianto);
la conformità della nuova opera alla legge (siccome eseguita “in sostituzione e sovrapposizione alla canna fumaria già esistente, … sul muro perimetrale … comune, ma, comunque, all’interno della proprietà” delle comparenti e “in aderenza al muro divisorio posto sui rispettivi confini”, senza violazione delle “distanze né … dell’uso spettante sulle parti comuni”).
La causa, respinte le richieste di prove orali; acquisita una consulenza tecnica d’ufficio (dopo il chiesto scambio delle memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.) e interrotta e riassunta a seguito del decesso sia della convenuta (…) (in data 9.10.2015) sia dell’attrice (…) (in data 19.2.2016), è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni definitive all’udienza indicata in epigrafe, in esito alla quale viene ora in decisione, alla scadenza degli assegnati termini di legge per lo scambio degli scritti conclusionali e di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va respinta l’eccezione d’improcedibilità delle domande, poiché il lamentato ritardo dell’allora attrice nel promuovere il tentativo di mediazione obbligatoria non ha comportato alcuna dilatazione dei tempi del giudizio.
Inoltre, sul piano della legittimazione, ritenuto che “si possono far valere solo diritti che si affermano come propri e la cui titolarità passiva si affermi in capo a colui contro il quale si proponga la domanda”, è incontroversa quella attiva e, quanto a quella passiva delle convenute (committenti delle opere assunte come lesive e, nel contempo, proprietarie e usufruttuaria dell’immobile sul quale le stesse sono state realizzate), si deve osservare che l’azione per ottenere così il rispetto delle distanze legali come quello del divieto di propagazioni è modellata sullo schema dell’actio negatoria servitutis, essendo rivolta non già ad accertare il diritto di proprietà sul fondo preteso servente, bensì a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù (cfr. Cass., 23 gennaio 2012, n. 871);
quando, poi, all’affermazione di tali limitazioni giuridiche (a resistere alla contestazione delle quali è legittimato in via esclusiva il preteso titolare del diritto che le giustificherebbe) si accompagnino anche turbative o molestie di fatto, allora può essere chiamato in giudizio, al fine di imporgli un dovere di astensione ovvero di ottenere da lui il ristoro dei danni, anche colui (di solito il possessore o detentore del fondo preteso dominante) che ne sia l’autore: ciò però non significa che legittimato passivamente rispetto alla negatoria servitutis sia il (mero) detentore del fondo (in quanto tale), sibbene che, insieme con l’azione di accertamento negativo di diritto reale nei confronti del proprietario del fondo medesimo, può essere utilmente esercitata contro terzi un’azione personale risarcitoria che in quell’accertamento trovi il suo presupposto logico e giuridico (sicché, in tema di distanze, la legittimazione passiva, fra il proprietario dell’immobile e l’autore materiale dell’edificazione in violazione dei limiti di buon vicinato, va stabilita in base al petitum – cfr. Cass., 29 aprile 2005, n. 8999 – e, perciò, a differenza dell’azione risarcitoria per equivalente – che, essendo diretta alla tutela non già del diritto dominicale fondiario, ma dell’integrità anche economica del suo oggetto, può essere esercitata anche nei confronti dell’autore materiale dell’edificazione illegittima, al fine di ottenerne la condanna al ristoro del danno per gli effetti economicamente pregiudizievoli dell’illecito aquiliano – e di quella meramente “manutentiva” – con la quale si miri, cioè, a imporre un dovere di astensione -, l’azione ripristinatoria di natura reale, volta all’eliminazione fisica dell’abuso, deve essere proposta necessariamente nei confronti del proprietario della costruzione illegittima anche se materialmente realizzata da altri, potendo egli soltanto essere destinatario dell’ordine di compiere le modifiche strutturali del bene indispensabili per far cessare l’abuso medesimo ovvero dell’ordine di demolizione che il ripristino delle distanze legali tende ad attuare – cfr. Cass., 26 gennaio 2005, n. 1553; Cass., 1 marzo 2001, n. 2998; Cass., 14 giungo 1999, n. 5850 -).
Nella fattispecie, dunque, tanto le pretese ripristinatorie quanto quelle risarcitorie sono state legittimamente rivolte contro le convenute.
Nel merito, tuttavia, le domande medesime sono risultate tutte destituite di qualsivoglia fondamento.
Da un lato, infatti, non è stata contestata e superata l’eccezione secondo la quale la nuova caldaia e il nuovo impianto di dispersione dei fumi (la cui installazione in sostituzione dei preesistenti – risalenti alla costruzione dell’edificio – si assume sia stata resa necessaria sia da un grave guasto sia dalla vetustà sia, infine, dalle caratteristiche e dal deterioramento del vecchio materiale – cemento amianto – impiegato) sono stati realizzati in sovrapposizione e non hanno, quindi, immutato lo stato dei luoghi.
Del resto, la nuova canna fumaria risulta essere stata in seguito intubata in quella originaria in muratura, una volta bonificata.
Dall’altro lato, non è stata fornita alcuna apprezzabile evidenza non soltanto che il funzionamento del nuovo impianto fosse tale da provocare, se non veri e propri pregiudizi economici, lesioni del diritto alla salute (tanto dagli uni quanto dalle altre pure ben si potrebbe prescindere), ma nemmeno che se ne sprigionassero esalazioni comunque inaccettabilmente moleste (cfr. Cass. ord., 1 ottobre 2018, n. 23754):
“questa Corte … ha reiteratamente affermato che (cfr. Cass. n. 20198/2016) in tema di immissioni, nella specie acustiche, la differenziazione tra tutela civilistica e tutela amministrativa mantiene la sua attualità anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 208 del 2008, art. 6-ter, conv., con modif., dalla L. n. 13 del 2009, al quale non può aprioristicamente attribuirsi una portata derogatoria e limitativa dell’art. 844 c.c., con l’effetto di escludere l’accertamento in concreto del superamento del limite della normale tollerabilità, dovendo comunque ritenersi prevalente, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, il soddisfacimento dell’interesse a una normale qualità della vita rispetto alle esigenze della produzione.
E, invero (cfr. Cass. n. 1151/2003), la normativa che fissa per esigenze di carattere pubblico i livelli di accettabilità delle immissioni persegue interessi pubblici e opera nei rapporti cd. verticali fra privati e la pubblica amministrazione, al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete. In tal senso si veda anche Cass. n. 1069/2017, secondo cui, in materia di immissioni, il superamento dei limiti di rumore stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che disciplinano le attività produttive è, senz’altro, illecito, in quanto, se le emissioni acustiche superano la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione esse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, – ancor più esposto degli altri, in ragione della contiguità dei fondi, ai loro effetti dannosi – devono, per ciò solo, considerarsi intollerabili, ex art. 844 c.c., e, pertanto, illecite anche sotto il profilo civilistico.
Tuttavia, la disciplina delle immissioni moleste in “alienum” nei rapporti fra privati va rinvenuta nell’art. 844 c.c., alla stregua delle cui disposizioni, quand’anche dette immissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice che tenga conto delle particolarità della situazione concreta (conf. Cass. n. 17281/2005 che ribadisce che la valutazione compiuta sul punto, con particolare riguardo a quello del contemperamento delle esigenze della proprietà privata con quelle della produzione, costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità)”.
Neppure, poi, quanto all’invocato principio secondo il quale i camini (ma ciò vale anche per gli impianti di riscaldamento per uso domestico alimentati a nafta – nonché per le canne fumarie: cfr. Cass., 30 giugno 2016, n. 13449 -) “sono assoggettati alla disciplina posta dall’art. 890 cod. civ., che pone una presunzione legale di nocività e pericolosità che, però, è solo “relativa”, ed è quindi superabile con la prova che non esiste danno o pericolo per il fondo vicino” (cfr. Cass. ord., 26 settembre 2017, n. 22367; Cass., 23 maggio 2016, n. 10607; Cass., 22 febbraio 2011, n. 4286; Cass., 22 ottobre 2009, n. 22389), è risultato che non siano state osservate le distanze stabilite dai regolamenti o, in mancanza, quelle minime necessarie a preservare il fondo del vicino da danni alla solidità, salubrità e sicurezza.
Per altro, “solo qualora i regolamenti edilizi stabiliscano espressamente la necessità di rispettare determinate distanze dal confine, non può ritenersi consentita (salvo concreta, diversa previsione della norma regolamentare) la costruzione in aderenza o in appoggio, poiché l’imposizione di un distacco assoluto dal confine mira a tutelare interessi generali, quali l’assetto urbanistico di una certa zona, e non soltanto a evitare la formazione di intercapedini nocive all’igiene, alla salute e alla sicurezza (Sez. 2, Sentenza n. 14261 del 07/07/2005)”, mentre, come “anche di recente le Sezioni Unite … (Sez. Un., Sentenza n. 10318 del 19/05/2016) hanno ribadito, … il principio della prevenzione si applica anche nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore di quella ex art. 873 c.c. e, tuttavia, non imponga una distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all’intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874, 875 e 877 c.c.” (cfr. Cass., 24 agosto 2017, n. 20357).
Le prove orali offerte, infine, non sono concludenti, i fatti di causa non potendo essere dimostrati attraverso meri, opinabili apprezzamenti sensoriali e non potendo rilevare (siccome non idonei a integrare la soglia di sufficiente gravità e compromissione dei diritti lesi) singoli, circoscritti episodi, poiché la lesione (non patrimoniale) è risarcibile, in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ., soltanto (oltre che nei casi determinati dalla legge) in quello di grave e seria violazione di specifici diritti inviolabili della persona, mentre “sono palesemente non meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altro tipo di insoddisfazione concernenti gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale”, essendo doveroso per tutti, nel rispetto degli obblighi di convivenza, “un grado minimo di tolleranza” (cfr. Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972; vedi anche Cass., 8 febbraio 2019, n. 3720).
Spese di lite liquidate come in dispositivo e regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulle domande proposte da (…), con atto di citazione notificato in data 7.4.2014, contro (…), (…) e (…), convenute costituite, così decide:
a) Rigetta le domande;
b) Condanna la parte attrice a rimborsare alle convenute le spese del presente giudizio, che liquida, d’ufficio, in complessivi Euro 5.000,00, per competenze difensive, oltre oneri fiscali e previdenziali di legge.
Così deciso in Roma il 19 giugno 2019.
Depositata in Cancelleria l’1 luglio 2019.