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Su tale questione in dottrina ed in giurisprudenza, si sono affermati due orientamenti interpretativi.
L’indirizzo dottrinario maggioritario
Tale indirizzo sostiene che, l’amministratore è un rappresentante ex lege del condominio nelle liti contro quest’ultimo proposte, da un condomino o da un terzo, ed ha quindi una rappresentanza generale passiva dello stesso, in virtù della quale, può resistere in giudizio ed impugnare eventuali decisioni sfavorevoli senza l’autorizzazione dell’assemblea.
Ciò in quanto, essendo l’art. 1131 c.c., comma 2, finalizzato, a facilitare al massimo la vita del condominio e quella di chi deve avere rapporti giuridici con esso, deve, in virtù di ciò interpretarsi in senso ampio allargando al massimo i poteri rappresentativi sostanziali e processuali dell’amministratore.
Da tale interpretazione se ne discendere:
1) che l’amministratore ha il potere di impugnare la sentenza sfavorevole senza autorizzazione dell’assemblea;
2) che l’eventuale inadempimento dell’amministratore all’obbligo di riferire all’assemblea, ovvero di attenersi alle determinazioni di questa, ha rilievo esclusivamente interno, le cui conseguenze andranno a riverberarsi solo in ordine alla revoca ed all’eventuale risarcimento dei danni provocati al condominio per la propria scelta processuale inopportuna o dannosa, ma rispetto a colui che ha promosso il giudizio resta ferma la legittimazione passiva dell’amministratore e l’opponibilità della sentenza al condominio.
Quindi, secondo tale orientamento l’amministratore, ex art. 1131 c.c., comma 2, primo periodo, è deputato per legge non solo a ricevere l’atto di citazione in giudizio, bensì a costituirsi, tempestivamente, in giudizio e a proporre validamente tutte le eventuali impugnazioni, senza la necessità di alcuna preventiva delibera autorizzativa, limitatamente alle azioni concernenti le parti comuni dell’edificio promosse nei confronti del condominio, con il solo onere di darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini.
L’indirizzo giurisprudenziale maggioritario
Tale indirizzo, sostiene, che l’amministratore è titolare di una rappresentanza processuale passiva generale che non incontra limiti, in quanto, prevedendo l’art. 1131 c.c., che lo stesso può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio, deve essere interpretato nel senso che l’amministratore non necessita di alcuna autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni che si rendessero necessarie, compreso il ricorso per cassazione, in relazione al quale è legittimato a conferire procura speciale all’avvocato (in tal senso, Cassazione n. 8286/2005, Cassazione n. 7958/2003).
Non sussiste, quindi, alcuna distinzione tra, la capacità dell’amministratore di essere convenuto e quella di costituirsi nel giudizio, che riguardi, una materia non ricompressa nelle sue attribuzioni e di conseguenza, l’amministratore che sia stato convenuto in giudizio, quale rappresentante della comunità dei condomini, può sempre impugnare e proporre ricorso in cassazione avverso la sentenza sfavorevole al condominio senza bisogno di autorizzazione dell’assemblea.
L’amministratore ha il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di darne senza indugio notizia all’assemblea, obbligo sanzionato con la possibile revoca del mandato e con il risarcimento del danno (in tal senso Cassazione n. 9093/2007).
In definitiva secondo il citato orientamento (dottrinale e giurisprudenziale), per le controversie non rientranti nell’art. 1130 c.c. ma, relative alle parti comuni, l’amministratore che sia stato convenuto in giudizio, quale rappresentante della comunità dei condomini, può sempre impugnare e proporre ricorso in cassazione avverso la sentenza sfavorevole al condominio senza bisogno di autorizzazione dell’assemblea.