Nel contratto di prestazione di opera professionale il cliente puo’ sempre recedere dal contratto, pagando al prestatore d’opera le spese sostenute e il compenso per l’opera svolta (articolo 2237 c.c., comma 1). Il recesso del cliente, giustificato o meno, non incide sulla determinazione della misura del compenso, se non nel senso che il compenso e’ dovuto non per tutta l’opera commessa, ma solo per l’opera svolta. Pertanto, se vi e’ stata tra le parti una valida determinazione convenzionale del compenso, essa- salvo che le parti stesse abbiano manifestato una volonta’ contraria – rimane pur sempre applicabile anche nel caso di recesso del cliente, con la sola conseguenza che il compenso pattuito per l’intera opera dovra’ essere proporzionalmente ridotto in relazione all’opera prestata. Il compenso per l’opera svolta deve essere determinato secondo i criteri di cui all’articolo 2233: “sicche’, in caso di pattuizione forfettaria del corrispettivo, correttamente la parte di esso spettante per le prestazioni rese alla data del recesso viene determinata in misura proporzionale rispetto all’intero compenso”
Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|29 dicembre 2020| n. 29745
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10279/2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L., elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 786/2015 della Corte d’appello Di Lecce, depositata il 13/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
RITENUTO
che:
Un gruppo di tre professionisti ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) – premesso che avevano ricevuto dalla (OMISSIS) s.a.s. incarico finalizzato a fare ottenere alla societa’ le agevolazioni finanziarie previste da un bando della Regione Puglia;
che l’incarico comprendeva il mandato di seguire l’iter della pratica, sino all’ottenimento del provvedimento definitivo di concessione delle agevolazioni;
che, una volta predisposta e presentata la domanda, i professionisti avevano sollecitato la cliente a curare gli adempimenti a suo carico nei termini improrogabili assegnati dall’amministrazione, sotto pena di revoca delle agevolazioni gia’ concesse;
che la revoca delle agevolazioni era poi effettivamente intervenuta – chiedevano e ottenevano dal Tribunale di Lecce, citando nel giudizio la (OMISSIS) s.r.l., risultante dalla trasformazione della (OMISSIS) s.a.s., e (OMISSIS), la condanna in solido dei convenuti al pagamento del corrispettivo pattuito, pari al 2,5% del contributo assegnato.
La Corte d’appello di Lecce, nel confermare la sentenza di primo grado, rigettava in primo luogo il motivo d’appello avente ad oggetto il difetto di legittimazione passiva di (OMISSIS).
Al riguardo rilevava che il (OMISSIS) era stato convenuto in giudizio non in proprio, ma quale ex socio accomandatario della (OMISSIS) s.a.s., come poteva agevolmente desumersi dall’atto introduttivo della lite, tenuto conto che la condanna era stata chiesta in solido con la societa’ della quale egli era accomandatario al momento dell’assunzione della obbligazione.
La corte di merito aggiungeva, sul piano dei principi, che ai sensi dell’articolo 2500-quinquis c.c., la trasformazione della societa’ obbligata, da societa’ in accomandita semplice in societa’ a responsabilita’ limitata, non comporta la liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali sorte prima degli adempimenti previsti dell’articolo 2500 c.c., comma 3, se i creditori sociali non abbiano consentito alla trasformazione. Nel caso di specie, tale consenso non risultava essere stato prestato.
La corte d’appello ricostruiva poi l’iter della vicenda, quale risultava dai documenti prodotti, traendone la conclusione che la pratica cui si riferiva l’incarico aveva avuto esito favorevole, essendo state accordate le agevolazioni richieste.
Invero la revoca del beneficio era poi avvenuta per il mancato adempimento, nei termini improrogabili assegnati dall’amministrazione, degli adempimenti ulteriori a carico della societa’ committente.
Al riguardo essa precisava che la revoca del beneficio costituiva conseguenza di un comportamento negligente dell’interessata, che non poteva elidere gli effetti dell’avveramento della condizione in favore dei professionisti, verificatosi in concomitanza con la concessione delle agevolazioni.
Cio’ derivava dall’applicazione delle norme di cui agli articoli 1358 e 1359 c.c., che impongono di ritenere la condizione verificata quando sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa.
Nelle condizioni miste, quale quella in esame, costituisce comportamento imputabile, ex articolo 1359 c.c., non solo la condotta commissiva, ma anche quella omissiva, se la parte era tenuta a determinati comportamenti in relazione all’avveramento della condizione.
La corte d’appello aggiungeva che non occorreva nominare un consulente per accertare il quantum dovuto ai professionisti, in presenza di determinazione convenzionale del compenso.
Propongono ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) sulla base di due motivi.
I professionisti intimati resistono controricorso.
(OMISSIS) ha depositato il 21 ottobre 2020, una volta scaduto il termine accordato dall’articolo 380-bis.1.
CONSIDERATO
che:
1. Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’articolo 2313 c.c., in relazione all’articolo 2500-quinquies c.c., ed all’articolo 75 c.p.c., articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c.; contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia: articolo 360, nn. 3 e 5”.
Contrariamente da quanto sostenuto dalla corte d’appello, gli scritti difensivi avversari confermavano che il (OMISSIS) fu citato in giudizio in proprio e non nella qualita’ di ex socio accomandatario della (OMISSIS) s.a.s..
I ricorrenti censurano poi la sentenza per non avere la stessa corte d’appello considerato che, ai sensi dell’articolo 2500 quinquies c.p.c., nella trasformazione della societa’ di persone in societa’ di capitali, il consenso dei creditori alla liberazione si presume, ogni qual volta la trasformazione sia stata resa pubblica secondo le modalita’ di cui all’articolo 2504 c.c., a prescindere dalla spedizione della raccomandata.
Si richiama a sostegno della tesi Corte Cost. n. 47 del 20 febbraio 1995, evidenziando che, nella specie, c’erano le condizioni per ritenere operante tale presunzione, in quanto i professionisti, a conoscenza della trasformazione, non si erano opposti.
Cio’ risultava sia dalla corrispondenza da essi spedita prima della causa, che aveva come destinataria esclusiva la (OMISSIS) s.r.l., sia dal loro comportamento processuale.
Infatti, i professionisti, sui quali gravava l’onere di allegazione, non avevano contestato la trasformazione della societa’ di persone in societa’ di capitali, riconoscendone quindi le conseguenze.
2. Il motivo e’ infondato.
La trasformazione di una societa’ non libera i soci a responsabilita’ illimitata per le obbligazioni sociali anteriori alla iscrizione della delibera di trasformazione nel registro delle imprese, se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione.
Tale consenso si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata o con altri mezzi di comunicazioni che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento, non hanno espressamente negato la loro adesione nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione (articolo 2500 quinqies c.c.).
Secondo la Suprema Corte la comunicazione deve avere come oggetto specifico la trasformazione della societa’. Essa puo’ consistere nella semplice notizia della trasformazione, non essendo necessario portare a conoscenza del destinatario l’intero contenuto della deliberazione. Infatti, la comunicazione serve soltanto a metterlo in grado di tutelare i propri interessi, manifestando il proprio dissenso alla liberazione (Cass. n. 11994/2002).
Il ricorrente sostiene che il consenso voluto dalla legge puo’ essere espresso tacitamente, indipendentemente dalla spedizione di una raccomandata. Il rilievo confonde due problemi diversi: la necessita’ della raccomandata riguarda non la manifestazione di consenso dei creditori alla liberazione, ma la forma della comunicazione della trasformazione, che puo’ avvenire per lettera raccomandata o con altri mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento. La giurisprudenza gia’ ammetteva la notificazione a mani proprie a mezzo ufficiale giudiziario.
Quanto al consenso dei creditori alla liberazione, non si pone un problema di forma, perche’ questo si presume in conseguenza del semplice silenzio protratto per sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione. In verita’ il ricorrente, attraverso tali impropri riferimenti, vorrebbe accreditare la diversa idea che, ai fini della operativita’ della presunzione di consenso, possa supplire una conoscenza della trasformazione comunque acquisita da parte dei creditori.
Tale possibilita’ invece non sussiste, potendosi avere un consenso “presunto” esclusivamente per effetto della comunicazione che abbia quale oggetto specifico la trasformazione. Alla mancata comunicazione non possono supplire ne’ la conoscenza acquisita aliunde della stessa trasformazione da parte dei creditori (Cass. n. 8530/2008); ne’ l’invio di atti ai medesimi dai quali l’avvenuta trasformazione sia riconoscibile; tanto meno e’ sufficiente la notizia legale dell’avvenuta trasformazione che deriva dalla pubblicita’ della delibera, come infondatamente adombrano i ricorrenti.
Il richiamo di Cost. n. 47 del 1995 non apporta alcun argomento alla tesi del ricorrente. Nulla si legge in questa pronuncia che possa autorizzare la illazione che il termine accordato ai creditori per manifestare il dissenso verso la liberazione dei soci illimitatamente responsabili debba farsi decorrere non dalla comunicazione della trasformazione, ma dal compimento della pubblicita’ della relativa delibera.
3. I professionisti hanno agito nei confronti della societa’ di capitali, derivante dalla trasformazione della societa’ di persone (articolo 2498 c.c.) e nei confronti del socio illimitatamente responsabile della societa’ di persone che aveva effettuato la trasformazione.
La corte di merito, sulla base della interpretazione degli atti processuali, ha ritenuto che il (OMISSIS) fosse stato chiamato nel giudizio nella qualita’ di socio accomandatario e non in proprio. Contro tale interpretazione, i ricorrenti oppongono stralci degli scritti difensivi avversari e degli atti processuali che dovrebbero provare il contrario, ma che in realta’ non contraddicono l’assunto del giudice di merito.
E a un attento esame, non lo contraddicono perche’ i ricorrenti sollevano una questione priva di rilevanza, perche’ la qualita’ di (ex) socio accomandatario non attiene alla vocatio in ius, ma integra il fondamento giustificativo della domanda proposta dai creditori sociali nei confronti del (OMISSIS), i quali, appunto, hanno convenuto in giudizio la persona fisica in ragione della sua pregressa qualita’ di socio accomandatario della societa’ poi trasformata in societa’ di capitali.
Si ricorda che “la responsabilita’ del socio accomandatario per le obbligazioni sociali, prevista dall’articolo 2313 c.c., e’ personale e diretta, anche se con carattere di sussidiarieta’ in relazione al preventivo obbligo del creditore di escutere il patrimonio sociale (articoli 2304 e 2318 c.c.)” (cfr. Cass. n. 3022/2015; n. 18312/2007).
4. Il secondo motivo denuncia – violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 1353, 1358 e 1359 c.c., in relazione con gli articoli 1325, 1362, 1375 e con l’articolo 2233 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. in relazione agli articoli 2232 e 2233 c.c.; omessa e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia: articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5″.
Il motivo propone due censure:
a) La condizione prevista nel contratto, alla quale era subordinato il diritto dei professionisti al compenso, aveva per oggetto non il semplice ottenimento del beneficio, ma implicava l’erogazione del contributo: in assenza di erogazione non poteva ritenersi verificata. Non c’erano neanche i presupposti per l’operativita’ della finzione di avveramento, tenuto conto che il contenuto del dovere previsto dagli articoli 1358 e 1359 c.c., delineato con la clausola di buona fede, non puo’ essere inteso come obbligazione a far realizzare la condizione, “qualora uno specifico patto in tal senso non risulti dal contratto sottoposto a condizione”.
b) La corte d’appello era poi incorsa in un ulteriore errore di diritto, allorche’ ha riconosciuto come dovuto l’intero corrispettivo contrattuale, nonostante la prestazione fosse stata eseguita dai professionisti solo in parte. Infatti, l’incarico aveva un contenuto piu’ ampio, prevedendosi prestazioni ulteriori pacificamente non compiute a causa della revoca del beneficio (attivita’ di verifica e di rendicontazione dello stato di avanzamento dei lavori). La corte d’appello, percio’, avrebbe dovuto determinare la somma spettante per la prestazione effettivamente svolta, utilizzando quale criterio per la determinazione del compenso, la convenzione stipulata dalle parti. Essa, invece, si e’ limitata a dare atto che il compenso fosse quello pattuito (rigettando la richiesta di consulenza tecnica, unico mezzo di effettivo accertamento del dovuto), consentendo cosi’ ai professionisti una vera e propria locupletazione.
5. La prima censura e’ infondata.
La condizione “potestativa mista” – il cui avveramento dipende in parte dal caso o dal terzo e in parte dalla volonta’ di uno dei contraenti – e’ soggetta alla disciplina degli articoli 1358 e 1359 c.c., da intendersi riferita anche al segmento non casuale (Cass. n. 23014/2012; n. 7405/2014; n. 16501/2014).
La corte di merito ha ritenuto che la condizione si fosse verificata in dipendenza della concessione del beneficio, essendo la erogazione poi mancata per un comportamento negligente della societa’. Tale accertamento, di cui il giudice di merito ha dato congrua e razionale motivazione, implica un giudizio di fatto, da compiersi attraverso la valutazione delle risultanze di causa. Esso, percio’, non e’ suscettibile di sindacato in sede di legittimita’ (Cass. n. 4070/1974; n. 1468/1974).
6. La seconda censura di cui al motivo in esame e’ fondata.
Nel contratto di prestazione di opera professionale il cliente puo’ sempre recedere dal contratto, pagando al prestatore d’opera le spese sostenute e il compenso per l’opera svolta (articolo 2237 c.c., comma 1). Il recesso del cliente, giustificato o meno, non incide sulla determinazione della misura del compenso, se non nel senso che il compenso e’ dovuto non per tutta l’opera commessa, ma solo per l’opera svolta. Pertanto, se vi e’ stata tra le parti una valida determinazione convenzionale del compenso, essa- salvo che le parti stesse abbiano manifestato una volonta’ contraria – rimane pur sempre applicabile anche nel caso di recesso del cliente, con la sola conseguenza che il compenso pattuito per l’intera opera dovra’ essere proporzionalmente ridotto in relazione all’opera prestata (Cass. n. 1736/1968; n. 2558/1973; n. 1760/1980).
Il compenso per l’opera svolta deve essere determinato secondo i criteri di cui all’articolo 2233: “sicche’, in caso di pattuizione forfettaria del corrispettivo, correttamente la parte di esso spettante per le prestazioni rese alla data del recesso viene determinata in misura proporzionale rispetto all’intero compenso” (Cass. n. 10444/1998).
La sentenza non e’ in linea con tali principi.
In presenza della contestazione dei ricorrenti, i quali avevano eccepito che l’incarico comprendeva prestazioni ulteriori che supponevano la erogazione del beneficio e, quindi, pacificamente non compiute, la corte d’appello, una volta accertato che la condizione si era verificata, non poteva riconoscere automaticamente come dovuto l’intero corrispettivo contrattuale. In applicazione dei principi di cui sopra, essa avrebbe dovuto preventivamente verificare, avuto riguardo al contenuto e all’ampiezza dell’incarico, se l’esecuzione fosse stata o no integrale al momento della revoca.
7. La sentenza deve essere pertanto cassata in relazione al secondo motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, affinche’ determini il compenso in conformita’ ai principi di cui sopra.
La corte di rinvio liquidera’ le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo; rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione anche per le spese.