Ai fini della quantificazione del danno arrecato al patrimonio sociale è qui sufficiente richiamare quanto già affermato, nel senso che “il danno subito dai creditori a seguito di pagamenti preferenziali fatti in violazione della par condicio creditorum da amministratori e liquidatori di una società dopo che il patrimonio della medesima sia divenuto insufficiente rispetto alla massa dei creditori, è danno specifico e diretto corrispondente alla minore misura in cui ciascuno dei creditori potrà concorrere sull’attivo liquidato, che dà luogo al diritto di risarcimento di cui all’art. 2395 c.c.
Per una più completa ricerca di giurisprudenza in materia di diritto fallimentare, si consiglia di consultare la Raccolta di massime delle principali sentenze della Cassazione che è consultabile on line oppure scaricabile in formato pdf
Per ulteriori approfondimenti in materia di diritto fallimentare si consiglia la lettura dei seguenti articoli:
I presupposti per la dichiarazione di fallimento
Revocatoria fallimentare: elementi rilevati ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis.
La sorte del contratto di affitto di azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento.
Tribunale Milano, civile Sentenza 2 gennaio 2019, n. 6
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA “B”
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Angelo Mambriani – Presidente
dott. Guido Vannicelli – Giudice
dott. Maria Antonietta Ricci – Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 26684/2015 R.G. promossa da:
FALLIMENTO (…) S.R.L. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. MA.CL., elettivamente domiciliato in VIA (…) 20122 MILANO presso il difensore avv. MA.CL.
PARTE ATTRICE
contro
(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CA.MI., elettivamente domiciliato in VIA (…) 27029 VIGEVANO presso il difensore avv. CA.MI.
PARTE CONVENUTA
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Il Fallimento della S.r.l. (…), società che operava nel settore della produzione e commercializzazione di macchinari per materie plastiche, dichiarata fallita il 28 novembre 2011 e di cui erano soci:
– il convenuto (…), con partecipazione pari al 10%, e
– la società (…) s.r.l., con partecipazione pari al 90%, a sua vola controllata da (…), socio di maggioranza e amministratore unico, dichiarata fallita in data 11 marzo 2015, ha svolto azione di responsabilità ex art. 146 l.f. e artt. 2476, 2043, 2393, 2394, 2394-bis, e 2467 c. c. nei confronti di (…),
– amministratore unico dalla costituzione della società (5 maggio 2009)
– nonché liquidatore della stessa dal 19 aprile 2011,
svolgendo nei suoi confronti i seguenti addebiti:
1) aver illegittimamente percepito compensi d’amministratore, nonostante l’assenza di delibere assembleari di autorizzazione e determinazione del relativo ammontare, per i seguenti importi:
– 10.000,00 Euro nell’esercizio 2009,
– 32.500,00 Euro nell’esercizio 2010,
– 5.000,00 Euro nell’esercizio 2011,
per un totale di 47.500,00 Euro oltre ai relativi contributi ammontanti a 22.000,00 Euro versati dalla società;
2) di aver effettuato pagamenti preferenziali a favore del socio (…) S.r.l., mediante rimborso di somme versate dalla stessa a titolo di finanziamento soci, per complessivi 44.250,00 Euro, importo che avrebbe dovuto essere assoggettato alla disciplina della postergazione ai sensi dell’art. 2467 c.c.;
3) di aver omesso la consegna della cassa sociale, che alla data del fallimento risultava ammontare a 78.758,95 Euro (doc. 19);
quantificando il danno risarcibile nell’importo di complessivo di 193.193,95 Euro, “pari alla somma delle distrazioni sopra illustrate”.
(…) ha contrastato la domanda del Fallimento:
– eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva del curatore del fallimento, non essendo prevista nella disciplina delle società a responsabilità limitata un’azione di responsabilità contro gli amministratori esperibile dai creditori sociali e non sussistendo nella normativa una disposizione analoga a quella dettata dall’art. 2394 c.c. in materia di s.p.a.
– nel merito, quanto ai singoli addebiti svolgendo le seguenti difese:
1) l’esborso relativo agli emolumenti in favore dell’amministratore era stato regolarmente appostato nei bilanci, pertanto, seppur non preventivamente deliberato, era stato comunque implicitamente approvato dall’assemblea soci;
2) quanto al rimborso del finanziamento soci, ha sostenuto che “una corretta lettura ed applicazione della norma di cui all’art. 2467 c.c. comporta indefettibilmente che venga ex adverso fornita la prova che nel momento in cui è stato erogato il finanziamento la società (…) fosse consapevole che sarebbe stato impossibile da parte della (…) soddisfare tutti i crediti al momento della restituzione del finanziamento ricevuto” (cfr. comparsa di costituzione pag. 6);
3) quanto alla mancata consegna della cassa sociale, solo nella seconda memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. ha precisato che il saldo di cassa di 79.568,45 Euro era il frutto di errori di imputazione ed in particolare:
– per Euro 66.000,00 si riferisce all’incasso di una fattura emessa nei confronti di (…) s.r.l., che in realtà non aveva effettuato nessun pagamento in quanto “abbinata ad uno studio di progettazione di un nuovo macchinario che poi non si sarebbe concluso”;
– per 10.068,45 Euro si tratta di un accredito di ricariche di carte prepagate assegnate agli operatori per necessità e trasferte, erroneamente attribuite ad incremento del saldo cassa;
– il residuo di 3.500,00 Euro era messo a disposizione della curatela.
Il convenuto non ha formulato istanze istruttorie, mentre il Fallimento ha chiesto sia l’ammissione di CTU contabile al fine di accertare l’indice di liquidità e l’indice di indipendenza finanziaria della società al momento dell’erogazione dei finanziamenti e al momento della loro restituzione, sia prove orali sulla circostanza dell’effettivo pagamento della fattura n. (…) emessa da (…) nei confronti del socio (…) S.r.l.
Disattese le richieste istruttorie, la causa è stata quindi rinviata per la precisazione delle conclusioni e rimessa alla decisione del collegio sulle conclusioni delle parti come riportate in epigrafe.
Va in primo luogo affermata l’infondatezza dell’eccezione relativa alla carenza di legittimazione attiva in capo alla curatela del fallimento ad esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori di una società a responsabilità limitata esperibile dai creditori sociali, eccezione che ormai deve considerarsi del tutto superata alla luce dei numerosi contributi sia della dottrina che della giurisprudenza, volti tutti a superare la lacuna presente nel testo riformato dell’art. 2476 c.c. mediante il ricorso all’interpretazione in via analogica dell’art. 2394 c.c., norma dettata per le S.p.A. in tema di responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali “per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” una volta che quest’ultimo sia risultato insufficiente al soddisfacimento dei crediti (in tal senso in particolare Tribunale di Milano 22 dicembre 2010 in Le Società 7/2011; inoltre Tribunale di Milano 18 gennaio 2011, Tribunale di Milano 7 febbraio 2013, Tribunale di Milano 7 ottobre 2015, Tribunale di Milano 28 Ottobre 2015 e da ultimo Tribunale di Roma 21 Febbraio 2017, decisioni tutte reperibili sul sito (…)).
Orientamento suffragato anche dalla giurisprudenza di legittimità, che già da tempo ha affermato che “In tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, la riforma societaria di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, che pur non prevede più il richiamo, negli artt. 2476 e 2487 cod. civ., agli artt. 2392, 2393 e 2394 cod. civ., e cioè alle norme in materia di società per azioni, non spiega alcuna rilevanza abrogativa sulla legittimazione del curatore della società a responsabilità limitata che sia fallita, all’esercizio della predetta azione ai sensi dell’art. 146 legge fall., in quanto per tale disposizione, riformulata dall’art.130 del D.Lgs. n. 5 del 2006, tale organo è abilitato all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società, così confermandosi l’interpretazione per cui, anche nel testo originario, si riconosceva la legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 cod. civ.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17121 del 21 luglio 2010).
L’eccezione preliminare proposta dal convenuto deve dunque essere rigettata.
2. Passando ora ad esaminare il primo dei singoli addebiti di distrazione posti a fondamento dell’azione di responsabilità svolta nei confronti di (…), va sottolineato che l’ex amministratore unico non ha contestato di aver incassato le somme indicate nell’atto introduttivo a titolo di compensi per l’attività svolta nel corso degli esercizi 2009, 2010 e 2011 in assenza di delibere assembleari che ne determinassero debenza e ammontare.
Va osservato che (…) rivestiva anche la qualità socio della S.r.l., per cui nei suoi confronti non può ritenersi operante la presunzione di onerosità della prestazione resa a favore della società. L’ammontare del compenso (e prima ancora il riconoscimento del diritto ad un compenso) doveva essere deciso dall’assemblea dei soci. Pur in mancanza di tale statuizione, (…) si è attribuito (e versato prelevandoli dalle casse della società) 47.500,00 Euro a titolo di compensi, oltre ai relativi contributi per ulteriori 22.000,00 Euro, nel corso di tre esercizi.
Tale condotta si pone in evidente violazione di quanto previsto dall’art. 23 dello statuto sociale di (…) S.r.l., che riserva ai soci la facoltà (e dunque non l’obbligo) di determinare il compenso spettante agli amministratori (“I soci mediante deliberazione all’atto della nomina o con apposita decisione, possono assegnare una indennità annuale in misura fissa, ovvero un compenso proporzionale agli utili netti d’esercizio” cfr. doc. 3).
Né vale a giustificare la condotta dell’amministratore unico la circostanza – posta a fondamento delle difese del convenuto – che gli esborsi relativi ai compensi annuali percepiti risultassero regolarmente iscritti nei bilanci d’esercizio, approvati dall’assemblea dei soci senza che alcun rilievo sul punto, dal momento che il convenuto non ha provato (ed invero neppure allegato) che i soci in quella sede avessero espressamente discusso e valutato quella specifica posta.
Al riguardo giova richiamare il condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, invero già più volte seguito da questo Tribunale, in forza del quale “l’approvazione in sé del bilancio, pur se contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea (alla determinazione dei compensi degli amministratori), salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria non abbia espressamente discusso e approvato la posta di determinazione dei compensi degli amministratori” (così Cass. civ. sez. I, ord. 8 giugno 2016 n. 11779; nello stesso senso Cass. civile sez. un., 29 agosto 2008 n. 21933).
L’addebito è dunque fondato. (…) si è reso responsabile nei confronti della società (…) per i prelevi di somme dalle casse della società (per un importo complessivo di 69.500 Euro) in mancanza di un valido titolo giustificativo quale poteva essere solo una delibera assembleare secondo la previsione statutaria.
3. La seconda contestazione è connessa al rimborso effettuato a favore di (…) S.r.l. delle somme versate dalla stessa a titolo di finanziamento soci per complessivi 44.250,00 Euro. Secondo la prospettazione del Fallimento tale restituzione integrerebbe un’ipotesi di pagamento preferenziale, in quanto il credito della socia avrebbe dovuto essere assoggettato alla disciplina della postergazione ai sensi dell’art. 2467 c.c.
Sulla base della documentazione contabile prodotta in causa il finanziamento risulta essere stato effettuato a distanza di 10 giorni dalla costituzione della società (regolarmente iscritto nel primo bilancio chiuso al 31 dicembre 2009 – doc. 9) e risulta essere stato restituito in più tranches nel corso di un periodo compreso fra il 9 ottobre 2009 e il 30 marzo 2011 (doc. 18).
Il Fallimento ha inoltre ampiamente illustrato e documentato l’andamento economico finanziario della società nel corso dei primi anni e i risultati fortemente negativi registrati al termine degli esercizi 2010 e 2011 (con patrimonio netto negativo e totale erosione del capitale sociale fin dal 2010, l’esercizio si chiude infatti con una perdita di Euro 139.837,00 solo in parte ridotta nel 2011, anno del fallimento, cfr. tabella di cui a pag. 4 atto di citazione e doc. 10-14).
La situazione patrimoniale della società era dunque tale, sia al momento della erogazione sia nel periodo immediatamente successivo in cui sono avvenute le restituzioni, da ritenere pienamente operante nel caso di specie la previsione di cui all’art. 2467 c.c.
Debbono pertanto ritenersi fondate sia le valutazione del Fallimento sulla effettiva natura di tali erogazioni: “apporti” in conto capitale piuttosto che meri prestiti, dal momento che il socio è intervenuto a sostegno della società con erogazioni effettuate immediatamente dopo la sua costituzione, e dunque in una fase di avvio dell’attività che avrebbe reso del tutto ragionevole un conferimento.
In ogni caso, le restituzioni risultano essere state effettuate in un periodo immediatamente successivo all’erogazione e dunque quando ancora la società si trovava in una situazione di grave squilibrio patrimoniale, per cui debbono comunque considerarsi illegittime, in quanto effettuate in aperta violazione delle norme a tutela della par condicio creditorum (in questo senso da ultimo Cass. sez. I, 12 ottobre 2018 n. 25610).
Ai fini della quantificazione del danno arrecato al patrimonio sociale è qui sufficiente richiamare quanto già affermato, nel senso che “il danno subito dai creditori a seguito di pagamenti preferenziali fatti in violazione della par condicio creditorum da amministratori e liquidatori di una società dopo che il patrimonio della medesima sia divenuto insufficiente rispetto alla massa dei creditori, è danno specifico e diretto corrispondente alla minore misura in cui ciascuno dei creditori potrà concorrere sull’attivo liquidato, che dà luogo al diritto di risarcimento di cui all’art. 2395 c.c.” (Tribunale Milano 7 ottobre 2016).
Nel caso di specie il socio (…) non avrebbe percepito alcunché in sede di liquidazione fallimentare, dal momento che i debiti privilegiati della fallita (come risultano dallo stato passivo doc. 30) sono ben superiori sia al valore dell’attivo fallimentare (che di fatto coincide con il risultato positivo della presente azione) sia a quanto percepito da (…), sicché il danno deve ritenersi corrispondente all’intero importo del pagamento preferenziale, inteso quale misura della diminuzione della garanzia patrimoniale generica del debitore.
La domanda del fallimento deve dunque trovare pieno accoglimento anche su questo punto.
4. Infine anche l’ultimo addebito, relativo alla mancata restituzione del fondo cassa, risulta fondato.
A fronte della dettagliata ricostruzione contabile operata dal Fallimento con riguardo alla somma che doveva essere presente in cassa al momento dell’apertura della procedura concorsuale, l’ex amministratore unico convenuto in giudizio si è limitato ad affermare che il saldo risultante dai documenti fosse “frutto di errori di imputazione”; errori che peraltro ha specificato solo nella seconda memoria istruttoria.
Le spiegazioni offerte dall’ex amministratore non paiono plausibili, né idonee a scalfire il valore probatorio delle annotazioni che risultano sul “partitario cassa contanti e valori” di cui al documento n. 19 prodotto dal Fallimento. Si tratta peraltro di un documento redatto sotto la responsabilità dello stesso convenuto e che dunque fa piena prova contro di lui. In base alle risultanze di tali scritture nella cassa del fallimento doveva essere presente un importo pari a 78.758,95 Euro (doc. 19).
A fronte delle evidenze documentali, spettava al convenuto fornire prova contraria e in particolare addurre adeguate giustificazioni quanto all’impiego del denaro mancante e produrre idonei documenti a sostegno delle stesse.
In difetto di difese in tal senso, la domanda del fallimento deve trovare pieno accoglimento.
5. Conclusivamente, l’ex amministratore unico della società (…) S.r.l., (…), in accoglimento della domanda di risarcimento danni proposta dal Fallimento, deve essere condannato a pagare a titolo di risarcimento danni l’importo complessivo di Euro 193.193,95 oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali sulla somma rivalutata dalla data del fallimento (28 novembre 2011) al saldo effettivo.
6. In base al principio della soccombenza le spese di lite sono poste ad integrale carico del convenuto e sono liquidate, tenuto conto della natura della domanda e dell’attività processuale svolta, come da domanda in Euro 886,00 per contributo unificato e bolli, e in complessivi Euro 8.550,00 per compensi, oltre al 15% sul secondo importo, IVA e CPA.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di imprese, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 26684/2015 R.G., ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
– in totale accoglimento della domanda dell’attore FALLIMENTO (…) S.R.L. accerta la responsabilità del convenuto (…), per i fatti di cui in motivazione, liquida il danno derivatone all’attore in complessivi Euro 193.193,95 oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali;
– condanna il convenuto:
– al pagamento in favore dell’attore dell’importo Euro 193.193,95 oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali sulla somma rivalutata dal 28 novembre 2011 al saldo effettivo
– alla rifusione in favore dell’attore delle spese di lite, che liquida in Euro 886,00 per contributo unificato e bolli e in Euro 8.550,00 per compensi, oltre al 15% sul secondo importo, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Milano il 15 marzo 2018.
Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2019.