Né è possibile ascrivere la responsabilità dell’evento all’attrice per il solo fatto che la stessa, abitando nel medesimo quartiere dove si trova la via dell’incidente e conoscendo le condizioni del manto stradale in questione, avrebbe potuto evitare l’evento lesivo. La suddetta circostanza, non sarebbe comunque sufficiente ad esimere la PA dall’obbligo di manutenzione sulla stessa gravante. A nulla rileva, poi, che l’attrice potesse accorgersi dell’insidia, per le buone condizioni di visibilità (trattandosi di un pomeriggio soleggiato di marzo), essendo irrilevante, ai fini dell’attribuzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. il concetto di insidia elaborato dalla giurisprudenza in riferimento alla differente previsione dell’art. 2043 c.c. ed atta a connotare i presupposti di non visibilità ed imprevedibilità della situazione di pericolo. Di tal che nessun elemento è emerso che liberasse dalla responsabilità l’ente proprietario, custode delle strade cittadine, per avere rimosso o tempestivamente segnalato la presenza dell’anomalia.
Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo: La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle strade
Tribunale Roma, Sezione 13 civile Sentenza 9 novembre 2018, n. 21607
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE TREDICESIMA CIVILE
Il Tribunale, in persona del Giudice Unico, dott.ssa Vittoria Amirante, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I grado iscritta al n. 80527 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014 vertente
TRA
(…) nata a R. il (…) e res in R., L. S. n. 31, elettivamente domiciliata in Roma, Via (…), presso lo studio degli Avv.ti Ra. e Do.Co., che la rappresentano e difendono giusta procura a margine dell’atto di citazione
ATTRICE
E
ROMA CAPITALE in persona del Sindaco p.t. elettivamente domiciliato in Roma, Via (…) presso lo studio dell’Avv. Vi.Di., dal quale è rappresentata e difesa unitamente all’Avv. Ro.Mu. giusta procura in calce alla copia notificata della citazione
CONVENUTO
E
(…) S.r.l., n.q. di capogruppo dell’ATI (…) s.r.l – (…) s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliata in Roma, Via (…) presso lo studio dell’Avv. An.Fa. dalla quale è rappresentata e difesa giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta
TERZO CHIAMATO
OGGETTO: responsabilità ex artt. 2049, 2051, 2052 c.c.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 18.12.2014 (…) esponeva che:
– in data 1.3.2012 alle ore 15:45 circa, in Largo (…), mentre attraversava la strada dal civico 47 verso il lato opposto, sulle strisce pedonali occupate da vetture in sosta a spina, in prossimità del marciapiede e parallelamente all’asse stradale in seconda fila, cadeva rovinosamente a terra a causa di un rialzo del manto stradale di circa 6 cm di altezza, privo di segnalazione, di colore grigio come il resto della pavimentazione ed occultato dalle auto in sosta in prossimità dello stesso;
– a causa della caduta riportava lesioni personali e veniva trasportata a mezzo Autoambulanza presso il P.S. del Policlinico Umberto I dove veniva riscontrata “frattura del collo chirurgico e del trochide omerale spalla destra” con prognosi di giorni 30 e le veniva applicato un bendaggio rigido alla (…);
– del fatto veniva redatto verbale della Polizia Municipale di Roma Capitale che accertava la presenza del rialzo del manto stradale in questione;
– a seguito dell’incidente, viene aiutata quotidianamente nel compimento delle normali occupazioni quotidiane che prima svolgeva autonomamente e ha smesso di ballare e praticare nuoto e sci;
– nonostante formale richiesta di risarcimento del danno inoltrata al Comune di Roma ed alla (…) S.r.l., questi non vi provvedevano.
Deduceva la responsabilità del Comune di Roma quale ente proprietario delle strade pubbliche ai sensi dell’art. 2051 c.c. ovvero ex art. 2043 c.c. Citava, pertanto il Comune di Roma chiedendo che, accertata la responsabilità del convenuto, venisse condannato al risarcimento del danno patito, liquidato in Euro 72.722,93 oltre il maggior danno da ritardato pagamento, rivalutazione ed interessi, con vittoria di spese da distrarsi a favore dei difensori dichiaratisi antistatari.
Con comparsa di risposta si costituiva Roma Capitale già Comune di Roma, chiedendo in via preliminare di essere autorizzata a chiamare in causa la società (…) S.r.l. al fine di essere garantito e manlevato, in quanto all’epoca del sinistro era l’impresa responsabile della manutenzione e sorveglianza dell’area stradale in questione in forza di contratto di appalto, dunque unica responsabile. In via principale chiedeva il rigetto della domanda attorea in quanto infondata.
In via subordinata, chiedeva di ridurre l’ammontare del risarcimento ai sensi dell’art. 1227 c.c. in misura proporzionata all’apporto causale dell’attrice. Sempre in via subordinata di essere manlevata dalla società (…) S.r.l. Nel merito contestava gli avversi assunti sia sotto il profilo dell’an che del quantum, deducendo l’ascrivibilità del danno patito dall’attrice alla responsabilità della stessa danneggiata.
A seguito di differimento e chiamata in causa di terzo, la (…) s.r.l. si costituiva in giudizio, contestando sia l’an, per la mancata integrazione dei requisiti di cui all’art. 2051 c.c. che il quantum della pretesa.
All’esito dell’istruttoria, esperita prova per interpello e prova testimoniale e disposta CTU, il Giudice rinviava la causa per conclusioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Quanto alla legittimazione di Roma Capitale, va evidenziato che il contratto di appalto stipulato con l’impresa (…) S.r.l. relativo ai lavori di manutenzione ordinaria e di sorveglianza stradale non ha l’effetto di trasferire il bene nella disponibilità esclusiva della ditta appaltatrice e non esonera da responsabilità l’ente proprietario.
Insegna, infatti, la giurisprudenza prevalente che “la responsabilità dell’ente proprietario della strada è configurabile, a parte ogni problema di concorrente responsabilità dell’impresa appaltatrice dei lavori, anche quando i lavori di costruzione, manutenzione o restauro di una strada vengano dati in appalto, derivando dalla stessa titolarità della strada e dalla destinazione di essa al pubblico uso, circostanze, queste, per le quali l’ente è tenuto a far sì che quell’uso si svolga in condizioni di normalità e senza pericolo per gli utenti e, pertanto, in osservanza del principio del neminem laedere, nel consentirlo, deve eliminare ogni situazione di fatto contraria a quelle condizioni, rimanendo, dalle norme generali che impongono tali doveri, limitati i suoi poteri discrezionali” (Cass. 29.3.99, n. 2963; 16.4.87, n. 3771; 29.11.79, n. 6263; 9.11.78, n. 5133; 7.4.64, n. 782).
In due inequivocabili pronunce, la Suprema Corte ha chiarito, peraltro, che “il contratto d’appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale, costituisce soltanto lo strumento tecnico – giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell’ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell’art. 14 C.d.S. vigente, per cui deve ritenersi che l’esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell’art. 2051 c.c.” (Cass. n. 1691/2009; conformi Cass. n. 11511/2009 e Cass. n. 7763/2007) e che “con riferimento all’appalto di opere pubbliche, gli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza della P.A. nella esecuzione dei lavori, con la facoltà, a mezzo del direttore, di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi, escludono ogni esenzione da responsabilità per l’ente committente” (Cass. n. 4591/2008).
Va, peraltro, rilevato che laddove la cosa oggetto del contratto di appalto per la manutenzione venga delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode.
Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente (in tal senso Cass. n. 15882/2013; 12811/2012; n. 15383/2006; n. 12425/2008).
Recentissimamente la Suprema Corte ha ribadito che Nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c. che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l’evento lesivo (Cass n. 11671 del 14/05/2018).
Nella specie, è indubbio che l’area oggetto del contratto di appalto per la manutenzione della rete viaria non era interdetta al pubblico, tanto che la (…) ha patito l’incidente per cui è causa attraversando la strada in Largo (…).
L’attrice, dunque, ha correttamente instaurato il giudizio nei confronti dell’ente legittimato passivo, fatta salva ogni valutazione in ordine alla fondatezza nel merito della domanda anche sotto io profilo della prova del rapporto di custodia in concreto.
Passando, dunque, all’esame del merito della domanda, occorre preliminarmente evidenziare che la responsabilità contemplata dall’art. 2051 c.c. (responsabilità da cose in custodia) presuppone che il soggetto al quale la si imputa sia in grado di esplicare riguardo alla cosa un potere di sorveglianza, modificarne lo stato e di escludere che altri vi apporti modifiche (Cass. 20 novembre 2009 n. 24529).
S’è precisato in tal senso:
a) che per le strade aperte al traffico l’ente proprietario si trova in questa situazione una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa (e l’onere probatorio di tale dimostrazione grava, palesemente, sul danneggiato);
b) che è comunque configurabile la responsabilità dell’ente pubblico custode, salvo che quest’ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno;
c) che l’ente proprietario non può far nulla quando la situazione che provoca il danno si determina non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza della strada ma in maniera improvvisa, atteso che solo quest’ultima (al pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto) integra il caso fortuito previsto dall’art. 2051 c.c., quale scriminante della responsabilità del custode.
Si ritiene, in sintesi, che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo la P.A. liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode (Cass. n. 6703 del 19/03/2018).
La responsabilità ha natura oggettiva, in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l’effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode.
Tale responsabilità prescinde, altresì, dall’accertamento della pericolosità della cosa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale idonea ad interrompere del tutto il nesso causale fra cosa ed evento dannoso o ad affiancarsi ad esso come ulteriore contributo utile nella produzione del pregiudizio.
A tal proposito, è opportuno precisare che la nozione di caso fortuito – che è qualificazione incidente sul nesso causale e non sull’elemento psicologico dell’illecito – individua un fattore riconducibile ad un elemento esterno avente i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità.
Il suddetto giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno alla produzione del danno deve, tuttavia, essere funzionale alla natura della cosa, sicché quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente di quest’ultimo.
Ne consegue, in termini probatori, che incombe sul danneggiato la prova – anche a mezzo di presunzioni – dell’evento lesivo e del suo rapporto eziologico con il bene in custodia; sul custode, invece, la prova dell’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
Tale prova liberatoria del caso fortuito non può ritenersi soddisfatta né dalla mera allegazione, da parte del custode, della circostanza che è rimasta ignota la causa remota dell’evento né dalla semplice allegazione di una violazione di norme di condotta imputabile al danneggiato, essendo necessario che il custode fornisca in concreto la prova dell’interruzione del nesso causale tra il bene e l’evento.
Nel caso di specie si ritiene che, benché il demanio stradale di Roma Capitale sia di notevole estensione, sia individuabile un rapporto di custodia in relazione alla strada ove si è verificato il sinistro (Largo (…)) alla luce del fatto che si tratta di strada posta in pieno centro urbano e che la concreta possibilità da parte dell’amministrazione di manutenere la stessa appare confermata dall’intervento sul posto di operai che, come riferito dal teste (…), a distanza di circa 10 – 15 giorni dall’incidente hanno eseguito dei lavori di livellamento della strada e successivamente ne hanno rifatto interamente la pavimentazione.
Ciò posto nel caso di specie deve ritenersi provato, in base all’istruttoria testimoniale esperita, la sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno patito dalla (…), atteso che i testi escussi, (…) e (…), entrambi testimoni oculari del sinistro poiché si trovavano ad attraversare la stessa strada pochi metri dietro la (…), hanno riferito la medesima dinamica dell’evento che vedeva la (…) cadere, mentre passava vicino all’auto parcheggiata in seconda fila, inciampando proprio sul rialzo presente sul manto stradale. In particolare le suddette testimoni hanno dichiarato di aver visto la (…) cadere a terra lateralmente tanto che la stessa lamentava il dolore al braccio ed alla spalla destra, e di aver notato il rialzo, dato da un rifacimento dell’asfalto, peraltro dello stesso colore del manto stradale, dopo essersi avvicinate alla danneggiata, descrivendolo di misura pari a 40-50 cm di larghezza e 5-6 cm di altezza.
Dall’escussione si evince inoltre che la visibilità era ridotta in quanto sul luogo del sinistro erano presenti auto parcheggiate in seconda fila parallelamente all’asse stradale ed in particolare una di esse occupava interamente le strisce pedonali e che l’attrice non guardava per aria, né parlava al telefono. Infine entrambe le testimoni hanno dichiarato che il rialzo non era segnalato e che una decina di giorni dopo l’incidente hanno visto degli operai che provvedevano a livellare il manto stradale e successivamente a rifare la pavimentazione di tutta la strada.
Tale stato di dissesto, oggetto di rilievi fotografici allegati da parte attrice, è stato accertato anche dalla pubblica autorità (v. verbale della Polizia di Roma Capitale fascicolo dell’attrice) che dopo aver effettuato un sopralluogo sul tratto dove si è verificato l’incidente, in data 12.3.2014 riscontrava (11 giorni dopo l’incidente) la presenza di uno scalino di circa 6 cm, al centro della corsia di marcia con direzione Piazza (…), provocato dall’erosione dell’asfalto posizionato per colmare un avvallamento del manto stradale in basolati (sanpietrini).
Pertanto, in ordine alla responsabilità ex art. 2051 c.c., può ritenersi dimostrato che la cosa custodita ebbe piena efficienza causale sull’evento dannoso e tanto basta per derivarne la presunzione di colpa in capo al soggetto che di fatto ne era il custode, e che può liberarsi soltanto fornendo la dimostrazione del caso fortuito, e cioè dell’assenza di colpa, e quindi che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza. Era, dunque, sulla P.A. convenuta che incombeva l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare l’evento dannoso occorso a parte attrice, fornendo la prova liberatoria che il danno ebbe a verificarsi in modo non prevedibile né evitabile con lo sforzo diligente dovuto in relazione alle circostanze del caso specifico.
Detta prova non risulta, nel caso che ci occupa, neppure offerta da Roma Capitale. Né può riconoscersi alcun pregio all’eccezione spiegata relativa alla condotta della danneggiata, la cui inosservanza delle regole di prudenza ed accortezza avrebbe cagionato (o concorso a cagionare) il sinistro, che è rimasta del tutto indimostrata.
Infatti, nessuna prova è stata adeguatamente offerta e nessun elemento è emerso, tale da lasciare intendere che la (…) stesse procedendo distrattamente o stesse tenendo un comportamento contrario a diligenza, tale da concorrere alla determinazione dell’evento dannoso, creando le condizioni per non avvedersi dell’anomalia o non evitarla e non potendole richiedere un contributo di attenzione esclusivamente e costantemente polarizzato sulle condizioni del manto stradale che devono presumersi e pretendersi in condizioni ottimali.
Né è possibile ascrivere la responsabilità dell’evento all’attrice per il solo fatto che la stessa, abitando nel medesimo quartiere dove si trova la via dell’incidente e conoscendo le condizioni del manto stradale in questione, avrebbe potuto evitare l’evento lesivo. La suddetta circostanza, peraltro non confermata dai testi che hanno escluso la frequentazione di Largo Somalia da parte dell’attrice, non sarebbe comunque sufficiente ad esimere la PA dall’obbligo di manutenzione sulla stessa gravante.
A nulla rileva, poi, che l’attrice potesse accorgersi dell’insidia, per le buone condizioni di visibilità (trattandosi di un pomeriggio soleggiato di marzo), essendo irrilevante, ai fini dell’attribuzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. il concetto di insidia elaborato dalla giurisprudenza in riferimento alla differente previsione dell’art. 2043 c.c. ed atta a connotare i presupposti di non visibilità ed imprevedibilità della situazione di pericolo. Di tal che nessun elemento è emerso che liberasse dalla responsabilità l’ente proprietario, custode delle strade cittadine, per avere rimosso o tempestivamente segnalato la presenza dell’anomalia.
Dunque, non essendo stata in concreto fornita la prova della sussistenza del caso fortuito (l’unica, si ribadisce, che avrebbe esentato il custode dalla responsabilità per l’occorso), non può essere esclusa la responsabilità ex art. 2051 c.c. di Roma Capitale.
Passando all’esame del danno patito dall’attrice si osserva che adottando l’ormai pacifica interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (delineata dalla ormai nota sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 26972 del 11.11.2008), come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, il sistema della responsabilità aquiliana va riportato nell’ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), deve, dunque, ritenersi che al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge sia possibile ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale laddove sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona qualificabile come “ingiustizia costituzionalmente qualificata” laddove il diritto sia stato leso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio.
Ne consegue che, laddove dalle lesioni personali, sia scaturito un danno biologico, all’importo determinato in risarcimento di tale voce di danno, deve essere aggiunta una somma idonea a compensare le eventuali conseguenze non patrimoniali ulteriori, ove ricorrano gli estremi del pregiudizio morale, esistenziale, estetico, ecc., e, a tale scopo, non occorre che il danneggiato proponga fin dall’atto di citazione una specifica domanda risarcitoria relativa ad ognuno degli aspetti considerati, essendo sufficiente che egli manifesti inequivocamente la volontà di ottenere il risarcimento di “tutti i danni non patrimoniali”, purché egli specifichi, nel corso del giudizio, i peculiari aspetti che tali danni abbiano concretamente assunto nel suo particolare caso ed essi risultino, ancorché presuntivamente, provati o, comunque, attendibili.
Alla luce della predetta giurisprudenza, dunque, va esaminato il profilo della quantificazione dei danni patiti dalla (…) tenendo presente la bipolarità tra danno non patrimoniale (nella suddetta ampia accezione) e danno patrimoniale.
All’esito della CTU – le cui valutazioni appaiono pienamente condivisibili alla luce della esaustiva analisi della documentazione allegata – risulta accertato che l’attrice ha subito a seguito del sinistro “frattura del collo dell’omero destro con interessamento del trochite omerale”. Del tutto condivisibilmente peraltro il CTU non ha tenuto conto nella determinazione della percentuale di invalidità delle asserite lesioni al gomito ed al polso di destra, atteso che “tali strutture articolari non sono state in alcun modo interessate dal trauma per cui è causa, tanto da non essere mai anche solo menzionate nella documentazione depositata in atti” e che “l’interessamento delle strutture tendinee della spalla concorre a limitare la stessa funzione”.
In conclusione deve ritenersi che dal sinistro in esame sono conseguiti giorni 30 (trenta) di ITT ed ulteriori giorni 60 (sessanta) di ITP al 50% e postumi permanenti invalidanti in misura del 10% (dieci per cento).
Risultano spese mediche documentate per Euro 1.199,88 che appaiono riconducibili al danno come accertato, in quanto relative a visite specialistiche, volte a verificare gli esiti della frattura e lo stato di guarigione, nonché ad esami strumentali RX ed RMN della spalla destra interessata dall’incidente. Altrettanto vale per le spese sostenute per la fisioterapia in quanto eseguita su prescrizione medica depositata in atti.
Circa il “quantum”, che parte attrice chieda sia liquidato applicando le Tabelle del Tribunale di Milano, questo Tribunale non ignora il contenuto della sentenza della Cassazione, n. 12408/2011 secondo la quale la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell’integrità psico – fisica presuppone l’adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto.
Fermo restando l’adesione di questo giudice al principio fondante tale pronuncia, ossia essere l’equità non soltanto “regola del caso concreto” ma anche “parità di trattamento” e preso atto che la soluzione adottata dalla Cassazione, come espressamente affermato dalla stessa pronuncia, deriva da una operazione di natura sostanzialmente ricognitiva, il Tribunale, in attesa del consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sul punto, reputa però adeguato a perseguire lo scopo indicato, liquidare il danno accertato sulla base delle tabelle elaborate dal Tribunale di Roma.
In particolare, giova osservare che il fondamento dello strumento della tabella è la media dei precedenti giudiziari in un dato ambito territoriale e la finalità è quella di uniformare i criteri di liquidazione del danno: i dati in essa contenuti, peraltro, non devono essere applicati automaticamente, bensì con apprezzamento anche delle c.d. condizioni personalizzanti, tenendo conto della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, anche per evitare l’eventualità che possa giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie (Cass. civ., Sez. III, 25 maggio 2007, n. 12247; Cass. civ., Sez. III, 11 gennaio 2007, n. 392; Cass. civ., Sez. III, 25 agosto 2006, n. 18489; Cass. civ., Sez. III, 20 marzo 2006, n. 6088; Cass. civ., Sez. III, 30 gennaio 2006, n. 1877).
Nello specifico, la tabella adottata presso il Tribunale di Roma risulta elaborata in relazione alla media dei risarcimenti liquidati in loco, secondo un sistema di risarcimento (non standardizzato, come quello milanese, con limitati spazi di personalizzazione) in cui viene individuato un valore base del danno biologico (secondo indici parametrati all’età e i postumi riportati) che rimane fisso e che viene tuttavia integrato, in un’ottica ampia di personalizzazione, attraverso il potere equitativo del giudice esplicato sulla base delle circostanze del caso concreto, ossia dei fatti allegati e provati nel procedimento.
Giova peraltro osservare che la Corte di Cassazione, (cfr. sent. n. 5243/2014) ha evidenziato l’incompatibilità tra i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (espressi segnatamente dalle sentenze gemelle) e l’utilizzo di tabelle diverse dalle milanesi non in assoluto, bensì nelle precipue ipotesi in cui non venga indicata la provenienza delle tabelle applicate o esse non consentano una liquidazione omnicomprensiva del danno non patrimoniale, ossia laddove si basino su un sistema di liquidazione che non consideri tutte le componenti non patrimoniali del danno, tra cui il c.d. danno morale.
Si sottolinea, in tale contesto, come le tabelle elaborate presso il Tribunale di Roma soddisfino appieno l’esigenza suddetta: per la liquidazione della componente di danno non patrimoniale ulteriore rispetto al biologico il sistema prevede infatti una forbice percentuale progressiva a scaglioni di dieci punti in dieci punti, sicché ad ogni punto di invalidità è riferibile il valore finale e omnicomprensivo del ristoro, secondo parametri oggettivi (fondati naturalmente sull’età e sui postumi) suscettibili del necessario adeguamento alle caratteristiche del caso concreto in base alla valutazione equitativa del giudicante.
Alla luce delle tabelle normalmente in uso presso questo Tribunale del 2017, dunque, il danno risarcibile è pari ad Euro 15.493,29 per IP al 10%, Euro 3.246,00 ITA ed Euro 3.246,00 per ITP al 50% per un totale di Euro 21.985,29.
Per quanto, invece, riguarda i danni non patrimoniali diversi lamentati dall’attrice occorre richiamare i principi esposti dalle quattro sentenze gemelle delle Sezioni Unite della Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 28 novembre 2008, n. 26972-73-74 e 65), le quali nel riportare l’intero sistema nell’ambito della bipolarità tra danno patrimoniale e non patrimoniale e nel respingere qualsiasi ulteriore sottocategoria se non quali mere sintesi descrittive di singoli pregiudizi, hanno individuato, sul piano operativo, due contrapposti principi che il Giudice deve tenere entrambi sempre in considerazione, per operare la corretta liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, trovando il giusto punto di equilibrio.
Il principio secondo il quale l’ampia nozione di danno non patrimoniale desumibile dall’interpretazione costituzionalmente orientata dall’art. 2059 c.c. impone la considerazione di tutte le singole conseguenze pregiudizievoli (c.d. danno – conseguenza) derivanti dalla lesione dell’interesse (danno – evento o danno ingiusto) e, pertanto, non solo le mere sofferenze psichiche che venivano in passato qualificate come danno morale c.d. soggettivo ma anche le ripercussioni sull’esistenza delle persone, con riguardo al “non poter più fare”, ricondotte in passato sotto le categorie del danno biologico o del danno esistenziale.
Il principio secondo il quale vanno evitate con cura tutti i rischi di duplicazioni risarcitorie, ossia il rischio di risarcire due volte la stessa conseguenza pregiudizievole, ossia lo stesso danno, mediante l’espediente di definirlo in modo diverso.
Pertanto nell’ambito della suddetta dicotomia danno non patrimoniale/danno patrimoniale può dirsi che la categoria del danno non patrimoniale può risultare composta da una somma di pregiudizi o “voci” risarcitorie che, benché non possano assurgere ad autonome categorie, devono essere tutte considerate ai fini della liquidazione integrale del danno (vedi Cass. n. 21716 del 23/09/2013, Cass. n. 18641 del 12/09/2011).
La Suprema Corte ha ulteriormente chiarito (con la recentissima sentenza n. 901/2018) che “La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, come predicata dalle sezioni unite della S.C., deve essere interpretata, rispettivamente, nel senso di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica e come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, procedendo ad un accertamento concreto e non astratto, dando ingresso a tutti i mezzi di prova normativamente previsti, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni” e con la sentenza 7513/2018 che “Non costituisce duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico – legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico – legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico – legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione”.
In altre parole il ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore potrà (e dovrà) continuare ad influire sulla concreta liquidazione del danno, sotto forma di adeguamento del danno non patrimoniale genericamente inteso, unitariamente considerato alla condizione che dette sofferenze siano allegate e provate, anche per presunzioni.
Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce infatti danno conseguenza e come tale deve essere sempre allegato e provato.
Sulla base delle allegazioni e delle prove acquisite al processo e/o delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, il giudice se reputa che la “voce” del danno non patrimoniale intesa come “sofferenza soggettiva” non sia adeguatamente ristorata, in considerazione del complessivo danno non patrimoniale subito dal soggetto, con la sola applicazione dei predetti valori monetari, è tenuto ad operare un'”adeguata personalizzazione” del danno non patrimoniale , liquidando, congiuntamente ai valori monetari di legge, una somma ulteriore che risarcisca integralmente il pregiudizio patito dalla vittima.
Tanto premesso, nella specie, applicando i principi ora esposti va evidenziato che nel caso de quo rivestendo il fatto gli estremi del reato, ontologicamente considerato, di lesioni colpose, compete alla danneggiata anche il ristoro del danno morale in relazione alle sofferenze ed ai disagi complessivamente patiti apprezzabili e valutabili anche in base a presunzioni tenendo conto, nel caso di specie della non modesta rilevanza dei postumi e della necessità di sottoporsi ad intervento chirurgico e lunghe terapie. Pertanto, in base alla valutazioni sopra svolte il danno deve essere personalizzato e adeguato al caso specifico. Si reputa pertanto di aumentare la somma come sopra indicata sino alla somma di Euro 26.382.
Quanto al dedotto danno “esistenziale”, esso è rimasto al livello di mera allegazione peraltro generica essendosi limitata la (…) a domandare una somma ulteriore a titolo di danno esistenziale per il peggioramento della qualità di vita non potendosi più occupare da sola delle normali occupazioni quotidiane, nèé ballare e praticare nuoto e sci e ciò anche alla luce della già cit. Cass. 7513/2018 che afferma che “costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del “danno biologico” e del “danno dinamico – relazionale”, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale)”.
Nulla può pertanto essere risarcito a tale titolo in via di personalizzazione del danno non patrimoniale come sopra valutato.
Sul totale dei danni non patrimoniali liquidati devalutato a marzo 2012, che si ottiene mediante ricorso al noto deflattore ISTAT per l’anno 2012 (mese di marzo data del sinistro), pari ad Euro 25.318,62 a cui debbono sommarsi le spese mediche sostenute di Euro 1199,88, per un totale di Euro 26.518,5 sono dovuti gli interessi a titolo di danno da lucro cessante ex art. 2056 c.c., secondo il più recente ed accreditato orientamento giurisprudenziale (cfr. SS.UU. Cass. del 17.2.1995 n. 1712), per il mancato godimento della somma equivalente al danno subito.
Tale danno può essere calcolato applicando gli interessi, nella misura, ritenuta congrua, del tasso legale (secondo le variazioni via via intervenute), non già alla somma rivalutata, bensì, in sintonia con il principio enunciato dalle SS.UU. della Suprema Corte (sent. del 17.2.1995 n. 1712), sulla “somma capitale” rivalutata di anno in anno, secondo i noti coefficienti ISTAT per un totale ad oggi di Euro 29.418,54.
Per quanto attiene alla posizione della (…) S.r.l. va ribadito quanto già sopra esposto, nel senso che, nel caso in cui la manutenzione delle strade sia data in appalto a ditte private, l’utente danneggiato da un’insidia stradale conserva l’azione ex art. 2051 c.c. nei confronti del Comune – proprietario, residuando a favore del Comune chiamato a rispondere dei danni subiti dall’utente, la possibilità di agire in rivalsa, ex contractu, nei confronti dell’impresa appaltatrice.
Nel caso di specie va peraltro rilevato che il contratto di appalto in vigore tra Comune di Roma e (…) S.r.l. aveva ad oggetto proprio la manutenzione ordinaria, sorveglianza e pronto intervento dell’area in cui è avvenuto l’incidente.
In base alla documentazione prodotta in giudizio da Roma Capitale (cfr. contratto di appalto e relativo capitolato e verbale di consegna lavori) è inequivocabilmente evincibile la sussistenza di uno specifico obbligo contrattuale di manutenzione e di diligente sorveglianza continuativa in capo all’impresa appaltatrice (a norma degli art. 2 del capitolato speciale).
Peraltro, come dedotto dalla PA convenuta, l’art. 29 del menzionato capitolato d’appalto prevede espressamente l’obbligo dell’impresa appaltatrice, ove non provveda la compagnia assicuratrice, di garantire e rilevare il Comune di Roma da qualunque pretesa o azione che possa derivargli da terzi per mancato adempimento degli obblighi contrattuali o per trascuratezza dell’adempimento dei medesimi (mancata manutenzione, sorveglianza o pronto intervento).
Atteso che la prova testimoniale esperita non è stata idonea a provare il corretto adempimento agli obblighi contrattualmente assunti, avendo il teste (…) affermato di aver eseguito l’abituale giro di sorveglianza sia il giorno dell’incidente che nei giorni precedenti in via (…) (e non anche in Largo (…), luogo dell’incidente) e che per ogni tipo di intervento venivano redatti rapportini, di cui non vi è tuttavia alcun riscontro documentale in atti, la (…) S.r.l. deve essere condannata a manlevare Roma Capitale in virtù del contratto di appalto di quanto dovuto dal convenuto a titolo di risarcimento del danno subito dall’attrice.
In conclusione la domanda svolta dalla (…) nei confronti di Roma Capitale va accolta e Roma Capitale va condannata al risarcimento del danno patito dall’attrice e liquidato in Euro 29.418,54 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.
Le spese di parte attrice seguono la soccombenza e vanno poste a carico di Roma capitale nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.
P.Q.M.
Il Giudice Unico del Tribunale definitivamente pronunciando, ogni contraria e diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede:
1. accoglie la domanda attorea e per l’effetto condanna Roma Capitale al risarcimento del danno in favore di (…) liquidato in Euro 29.418,54 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;
2. condanna (…) S.r.l. a manlevare e tenere indenne Roma Capitale da tutti gli effetti della condanna di cui al precedente capo 1);
3. condanna Roma Capitale alla rifusione in favore dell’attrice delle spese del giudizio che liquida in Euro 7.254 per compensi ed Euro 786,00 per spese oltre accessori come per legge da distrarsi a favore dei difensori;
4. condanna Roma Capitale alla rifusione in favore dell’attrice delle spese di ctu;
Così deciso in Roma il 30 ottobre 2018.
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2018.