la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone. La perdita di una “chance” favorevole non costituisce un danno di per sé, ma soltanto -al pari del danno da lucro cessante – se la “chance” perduta aveva la certezza o l’elevata probabilità di avveramento, da desumersi in base ad elementi certi ed obiettivi.
Tribunale Milano, Sezione 1 civile Sentenza 11 aprile 2019, n. 3598
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
PRIMA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Loreta Dorigo
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 17171/2017 promossa da:
(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. DO.MI., elettivamente domiciliato in VIA (…) 20123 MILANO presso il difensore avv. DO.MI.
ATTRICE
contro
(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CA.BI., elettivamente domiciliato in VIA (…) 20122 MILANO presso il difensore avv. CA.BI.
CONVENUTO
(…) SPA (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CO.VI., elettivamente domiciliato in VIALE (…) 20135 MILANO presso il difensore avv. CO.VI.
TERZO CHIAMATO
Oggetto: responsabilità professionale, risarcimento del danno.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I.
Con atto di citazione ritualmente notificato il 13/3/2017, (…) conveniva in giudizio l’avv. (…), allegando e deducendo che:
– aveva sottoscritto un contratto di collaborazione a progetto con I. srl con decorrenza dal 10/10/2010 e scadenza al 30/3/2012, avente ad oggetto la traduzione di 900 cartelle formate da schede di hotel;
– il 29/3/2012 veniva licenziata con intimazione orale di non recarsi più al lavoro;
– il rapporto, per tempi, modalità, prestazioni, doveva inquadrarsi nel rapporto di lavoro subordinato;
– il 22/5/2012 personalmente (con l’assistenza del Sindacato) aveva impugnato il licenziamento in via stragiudiziale;
– nel luglio 2012 si era quindi rivolta all’avv. (…) per agire giudizialmente al fine di veder riconosciute la natura subordinata del rapporto di lavoro, l’illegittimità del licenziamento e di ottenere il risarcimento del danno conseguente alla illegittima risoluzione del rapporto di lavoro; a tal fine rilasciava procura alle liti;
– l’avv. (…) ometteva di depositare il ricorso e lasciava decorrere il termine decadenziale di 270 giorni previsto per legge per l’impugnativa del licenziamento;
– la condotta professionale del convenuto era violativa delle regole di diligenza professionale e costituiva inadempimento del mandato difensivo ricevuto;
– il danno conseguente era quantificabile in Euro50.990,38 pari allo stipendio (commisurato al minimo contrattuale di categoria) che avrebbe percepito dalla data del licenziamento (29/3/2012) sino all’ammissione della società al concordato preventivo (15/5/2014), al TFR ed ai permessi retribuiti.
Tanto premesso, parte attrice chiedeva accertarsi l’inadempimento di controparte al mandato professionale ricevuto e la condanna al risarcimento del danno, quantificato come in narrativa, oltre al pagamento delle spese legali.
Si costituiva in termini l’avv. (…), eccependo e deducendo che:
– non aveva ricevuto da parte attrice alcun mandato per procedere giudizialmente avverso il datore di lavoro, avendo rilasciato in favore della medesima, inviata al proprio studio da un sindacalista, un parere negativo sulla possibilità di accoglimento di una eventuale impugnazione del licenziamento;
– “disconosceva” pertanto la procura sottoscritta dall’attrice, prodotta ex adverso sub doc. 6;
– dichiarava di voler profittare ex art. 1304 c.c. della transazione che controparte aveva sottoscritto con I. srl il 2/12/2015, dichiarando di non aver più nulla a pretendere in relazione al rapporto di lavoro intercorso;
– peraltro, l’impugnazione del licenziamento verbale non è soggetto a sbarramento temporale, fatto salvo quello del termine prescrizionale, quinquennale, del diritto;
– la quantificazione dei danni non era condivisibile, poiché, date le dimensioni dell’impresa, la parte non avrebbe avuto diritto alla reintegrazione, ma solo ad ottenere un indennizzo oscillante tra 2,5 e 12 mensilità; per altro verso, parte attrice non aveva dimostrato di avere fattivamente cercato un’altra occupazione e di non averla trovata;
– in forza della polizza n. (…) stipulata con (…) SpA, nel denegato caso di condanna avrebbe dovuto essere garantito dalla società assicuratrice di quanto tenuto a versare a controparte.
Tanto premesso, chiedeva preliminarmente di essere autorizzato alla chiamata del terzo indicato; nel merito, chiedeva il rigetto dell’avversa domanda; in subordine, in caso di condanna, insisteva affinchè la compagnia di assicurazione fosse tenuta a manlevare il convenuto di quanto dovuto all’attrice. Con vittoria delle spese di giudizio.
(…) SpA si costituiva ritualmente in giudizio, dispiegando allegazioni di merito sovrapponibili a quelle svolte dall’assicurato; eccepiva la non operatività della polizza per prescrizione del diritto di garanzia ex art. 2952, c.2-3, c.c., nonché l’intempestività della denuncia del sinistri da parte dell’avv. (…).
Chiedeva dunque il rigetto della domanda attorea e, in caso di condanna del convenuto al risarcimento, il rigetto della domanda di manleva.
Nelle more del procedimento la causa era assegnata in via definitiva a questo giudicante, come da provvedimento presidenziale in atti.
All’esito della trattazione, senza l’esperimento di attività istruttoria, potendo la causa essere decisa sulla base dei documenti depositati in atti dai contraddittori, la causa era decisa sulla precisazione delle conclusioni rassegnate dalle parti come in epigrafe.
II
Esaminati gli atti, ritiene il Tribunale che la domanda attorea di accertamento dell’inadempimento di parte convenuta sia fondata; non può tuttavia trovare accoglimento la domanda di risarcimento dei danni per le ragioni infra delineate.
Quanto alla domanda di accertamento dell’inadempimento di parte convenuta al mandato professionale ricevuto, si osserva quanto segue.
E’ noto che per le prestazioni rese nell’esercizio di attività professionali, è richiesto al professionista di osservare uno standard di diligenza corrispondente alla natura dell’attività esercitata, in conformità agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c.
Per quanto riguarda gli avvocati, in particolare, ad avviso di questo Tribunale, l’obbligo di diligenza – quale criterio determinativo, insieme al dovere di correttezza, del contenuto della prestazione- impone al professionista di compiere tempestivamente e con la necessaria sollecitudine gli atti che formano oggetto dell’incarico professionale e, prima del loro compimento, di consigliare adeguatamente il cliente, orientarlo e fornire le informazioni necessarie per consentirgli di assumere consapevoli decisioni in ordine alla tutela dei propri interessi.
Come è stato autorevolmente affermato “L’avvocato, i cui obblighi professionali sono di mezzi e non di risultato, è tenuto ad operare con diligenza e perizia adeguate alla contingenza, così da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente”, persino nell’ipotesi in cui una determinata interpretazione o un certo indirizzo giurisprudenziale non siano personalmente condivisi dal professionista (Cass. n. 4790/2014).
L’esecuzione della prestazione assegnata con il conferimento del mandato ad litem include, pertanto, in generale, la rappresentazione di tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque sorgenti, utili al raggiungimento del risultato, la richiesta degli elementi necessari o utili in possesso dell’assistito o di soggetti terzi e, soprattutto, l’adozione di ogni opportuna iniziativa processuale (Cass. Sez. III n. 6782/2015 e Cass. Sez. III n. 10289/2015).
Il Tribunale osserva, altresì, che in tema di responsabilità del professionista verso il cliente per la violazione degli obblighi contrattuali derivanti dalla prestazione di servizi professionali, l’assetto degli oneri di allegazione e dei temi di prova risulta così articolato: al cliente competono (a) la prova dell’incarico conferito al professionista; (b) l’allegazione dell’inosservanza degli obblighi che originano dalla relazione contrattuale; (c) la prova del pregiudizio sofferto; (d) la prova, in termini necessariamente probabilistici, dell’esistenza di un nesso di causalità tra l’inosservanza degli obblighi contrattuali e il danno sofferto.
Sul professionista incombe, invece, la prova di avere esattamente adempiuto le obbligazioni derivanti dall’incarico professionale nei termini che si sono fin qui riferiti.
Fatta applicazione dei principi regolatori richiamati, va affermato l’inadempimento dell’avv. (…) all’incarico ricevuto da (…), dovendosi considerare che il rapporto professionale con il difensore non trae origine dalla procura ad causam eventualmente conferita, ma dalla domanda iniziale posta dal cliente, definibile quale richiesta di consulenza sui fatti controversi, passaggio prodromico al rilascio del mandato ad litem che in tanto avrà luogo in quanto il difensore interpellato ravvisi gli estremi -ossia ragioni fondanti il potenziale accoglimento della domanda- per avviare una controversia.
Corre l’obbligo di esaminare per prime le allegazioni difensive svolte da parte convenuta.
L’avv. (…), infatti, contestava che la sig.ra F. avesse rilasciato un mandato ad causam (ed a tal fine “disconosceva” la copia della procura allegata ex adverso); ammetteva tuttavia di aver ricevuto da parte attrice l’incarico di esaminare il recesso/licenziamento orale subito, e di aver sconsigliato la cliente dall’intraprendere la causa in assenza di elementi fondanti il riconoscimento di un rapporto di lavoro di tipo subordinato.
E’ dunque provato il contratto d’opera intercorso tra le parti per ammissione dello stesso convenuto.
Che il parere espresso nell’occasione fosse errato lo dimostra l’esito del favorevole del contenzioso successivamente instaurato dalla sig.ra F. con il patrocinio di un altro difensore avverso I. srl (docc. 12 e 13, attrice).
La causa, promossa per vedere riconosciuta la natura subordinata della prestazione lavorativa resa dall’attrice si concludeva con una transazione favorevole, avendo il datore di lavoro accettato di transigere la controversia versando il 50% della somma richiesta. Nonostante il testo dell’accordo escludesse il formale riconoscimento dei reciproci diritti (nulla più che una clausola di stile, a fronte del pagamento di quanto richiesto), la circostanza assume peculiare significato probante, poiché la società era stata medio tempore ammessa a procedura concorsuale e il riconoscimento transattivo delle richieste della lavoratrice avveniva ad opera del liquidatore giudiziale, previo parere favorevole espresso all’unanimità dal comitato dei creditori.
Valutata la funzione pubblica esercitata dal curatore della società e dall’interesse, potenzialmente contrario, di cui era portatore il comitato dei creditori sociali, può affermarsi che le allegazioni documentali della richiedente offrivano prova adeguata dell’effettivo carattere subordinato delle mansioni lavorative svolte dall’attrice per I. srl.
Non pare seriamente contestabile la violazione da parte dell’avv. (…) dei doveri di diligenza e prudenza propri della professione esercitata, poiché avrebbe dovuto offrire un diverso consiglio alla cliente e procedere all’impugnazione giudiziale del licenziamento, oltre che alla richiesta di corresponsione della differenza contributiva dovuta alla lavoratrice per il periodo di lavoro svolto.
Nella prospettiva indicata perde di senso la diatriba che tanto coinvolgeva le parti sull’effettivo rilascio o meno della procura ad litem; ciò che si vuole dire è che, proprio in forza delle allegazioni difensive offerte dal convenuto, la violazione dei doveri di diligenza professionale appariva integrata dall’aver sconsigliato la cliente dall’agire giudizialmente per la tutela dei propri diritti.
Del resto, che la vicenda si fosse svolta secondo la ricostruzione offerta dal convenuto è provato non solo dalla inidoneità probatoria del documento prodotto sub (…) dall’attrice (trattandosi di copia contenente una procura rilasciata a margine di un foglio bianco, priva della sottoscrizione per accettazione ed autentica del difensore), quanto dal fatto che, in vista del dispiegamento dell’iniziativa giudiziale, ove fosse stato richiesto il rilascio di formale procura, il difensore verosimilmente avrebbe concordato un compenso e richiesto, secondo prassi, il rilascio di un fondo spese, evenienze neppure allegate dalla Difesa attorea.
III
Accertato l’inadempimento professionale di parte convenuta, occorre procedere all’esame del nesso causale tra la condotta inadempiente accertata ed il danno allegato dalla difesa attorea; orbene, ritiene il Tribunale che nel caso in esame non ricorra il legame eziologico tra l’inadempimento accertato (con riferimento al parere negativo espresso) e il danno allegato.
Non pare inutile ricordare che il danno derivante dalla violazione dei doveri di diligenza professionale, è ravvisabile ove, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, in presenza di una differente condotta processuale, il risultato positivo sarebbe stato conseguito.
Per tale motivo, al fine di affermare la responsabilità professionale del difensore, non è sufficiente accertare il solo elemento soggettivo della condotta colpevole del professionista, ossia la sua negligenza, imprudenza o imperizia, ma occorre altresì la dimostrazione di un nesso di causalità tra tale condotta e l’evento occorso, costituito dall’aver compromesso l’ottenimento di una pronuncia più vantaggiosa per il cliente. (cfr. Cass. Sez. Un. n.577/2008).
Posto che, in materia di responsabilità per colpa professionale, al criterio della certezza degli effetti della condotta si può sostituire, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta del professionista e l’evento, quello della probabilità di tali effetti e dell’idoneità della condotta a produrli, il rapporto causale sussiste solo alla condizione che, con un giudizio probabilistico ex ante, possa vantarsi che l’opera del professionista, se tempestivamente e adeguatamente svolta avrebbe avuto, se non la certezza, quanto meno serie ed apprezzabili possibilità di successo.
I principi richiamati trovano autorevole espressione nelle pronunce del S.C. laddove afferma che:
“in materia afferente la responsabilità dell’avvocato, la giurisprudenza di legittimità si è espressa nel senso che la responsabilità … non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2638 del 5/2/2013, Rv. 625017);
ancora, che la perdita di una “chance” favorevole non costituisce un danno di per sé, ma soltanto -al pari del danno da lucro cessante – se la “chance” perduta aveva la certezza o l’elevata probabilità di avveramento, da desumersi in base ad elementi certi ed obiettivi”.
Orbene, assumeva parte attrice che l’omissione del difensore convenuto aveva comportato l’avverarsi della decadenza dal termine perentorio di 270 giorni previsto dall’art. 32 L. n. 183 del 2010, applicabile nella formulazione vigente ratione temporis, per impugnare giudizialmente il licenziamento, chè tale avrebbe dovuto essere considerato il recesso esercitato dal datore di lavoro in limine alla scadenza naturale del contratto a progetto in forza della rilevata natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso.
Osserva il Tribunale che l’interpretazione posta da parte attrice non coglie nel segno, dimenticando che la fattispecie trattata afferiva un licenziamento orale.
Ora, è noto che il licenziamento orale è nullo per difetto di forma, essendo richiesta la forma scritta ad substantiam e, per costante giurisprudenza, ad esso non è applicabile il termine decadenziale sopra richiamato, potendo l’interessato chiedere giudizialmente l’accertamento della nullità nei limiti prescrizionali (quinquennali) del diritto (Cass. S.U. n. 5394/1982, orientamento mai riformato; Cass. n. 10697/1996; Cass. n. 22297/2017).
A confutazione dell’assunto non paiono dirimenti, né convincenti, le isolate pronunce di merito richiamate dalla Difesa attorea.
Tanto puntualizzato, si ricorda che parte attrice nel luglio del 2015 presentava ricorso ex art. 414 c.p.c. per ottenere il riconoscimento della natura subordinata del lavoro svolto ed il pagamento delle differenze retributive cui aveva diritto per i mesi di attività lavorativa svolta, formalmente, come collaboratrice a progetto.
Nell’occasione il nuovo difensore nominato dall’attrice ben avrebbe potuto dispiegare una concorrente domanda di accertamento di nullità del licenziamento orale e di risarcimento del danno, non essendo ancora spirati i termini prescrizionali, giungendo, presumibilmente, ad un accordo transattivo con la procedura concorsuale anche in ordine a tale secondo profilo di diritto.
L’aver esercitato le proprie ragioni in giudizio in relazione alla vicenda giuslavoristica in oggetto in osservanza dei termini prescrizionali con un diverso difensore, omettendo tuttavia di agire per ottenere declaratoria di illegittimità del licenziamento, è evento assorbente in grado di interrompere il nesso causale tra l’inadempimento dell’odierno convenuto con la produzione del danno lamentato in questa sede.
Si osserva, a margine, che lo stato di illiquidità del datore di lavoro si era manifestato, per amissione della stessa Difesa attorea, già all’epoca del licenziamento/recesso; ne deriva che -valutato il breve lasso di tempo corrente tra la cessazione del rapporto di lavoro e la presentazione della domanda di concordato- una più tempestiva azione giudiziaria non avrebbe verosimilmente condotto a maggiori benefici per la lavoratrice.
La società, in seguito ammessa al concordato e posta in liquidazione, a ragione del provato stato di risalenza della crisi, non avrebbe consentito all'(…) e poi al curatore margini di liquidità per offrire alla lavoratrice una somma maggiore di quella ottenuta in sede transattiva (a tacere del fatto che la crisi aziendale avrebbe fondato, ove assunto nelle forme di rito, un legittimo licenziamento della lavoratrice), né la Difesa attorea offriva prova documentale di segno contrario.
Spese di lite compensate ex art. 92 c.p.c.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così decide:
-rigetta la domanda di risarcimento del danno dispiegata da (…) con atto di citazione ritualmente notificato il 13/3/2017 avverso (…);
– spese di lite compensate.
Così deciso in Milano l’8 aprile 2019.
Depositata in Cancelleria l’11 aprile 2019.