un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire, quale, appunto, la scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo, esclude che il fumatore possa richiere il risarcimento dei danni derivanti da tale attività ai produttori e venditori di sigarette.
Corte d’Appello|Roma|Sezione 1|Civile|Sentenza|6 maggio 2021| n. 3376
Data udienza 22 dicembre 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dai magistrati:
CAPIZZI Dott. Ettore – PRESIDENTE
FANTI Dott. Lucia – CONSIGLIERE
CIMINI Dott. Biagio Roberto – CONSIGLIERE rel.
riunita nella camera di consiglio ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello, iscritta al numero 2574 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2016, riservata in delibazione all’udienza del 17. 6. 2020, svoltasi secondo le modalità previste dall’art. 83, 7 comma, lett. h) del D.L. n. 18 del 2020, così come convertito con modificazioni nella L. 24 aprile 2020, n. 27 ed ulteriormente modificato dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28;
TRA
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI(successore ex lege dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato – AAMS)(CF (…)), in persona del Direttore p. t., rappresentata e difesa, ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato(CF (…)), presso i cui uffici domicilia in Roma, Via (…) (fax (…); PEC (…)
APPELLANTE – APPELLATA INCIDENTALE
E
(…) s.p.a. (…)(CF (…)),già (…) s.p.a.(E.), in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa, in virtù di procura generale alle liti rilasciata per atto Notaio S. in (…), rep. n. (…), racc. n. (…), del 12. 9. 2008 e di procura speciale alle liti autenticata, dagli Avv.ti Fr.Ro. (CF (…)), An.At. (CF (…)) e Ja.Ba. (CF (…)), ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. At. in Roma, Piazza (…)
APPELLATA – APPELLATA INCIDENTALE
E
(…), rappresentato e difeso, in virtù di procura ad litem rilasciata su foglio separato ed allegato alla comparsa di costituzione ed appello incidentale, dall’Avv. Ni.Pr., ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. An.Gi. in Roma, Via (…)
APPELLATO – APPELLANTE INCIDENTALE
E
MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro p. t.
APPELLATO CONTUMACE
OGGETTO: Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose(art. 2050 c. c.) – Appello avverso la sentenza n. 20361/2015 emessa dal Tribunale Civile di Roma, sezione II civile, in data 12.10.2015
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza di cui in rubrica il Tribunale di Roma così provvedeva: Condanna la convenuta AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI quale successore di AAMS al pagamento, a titolo di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, della somma di Euro 328.715,61 a favore dell’attore (…);
Respinge la domanda proposta dall’attore (…) contro le parti convenute (…) s.p.a. e Ministero della Salute;
Condanna AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI DI STATO al pagamento delle spese di lite all’attore compensate nella misura del 50% in ragione della reiezione della domanda proposta contro il litisconsorte Ministero della Salute, liquidate in misura già ridotta in proporzione in Euro 300,00 per esborsi, Euro 15.000,00 per compensi forensi, oltre al 100% degli oneri di CTU anticipati e liquidati, CPA ed IVA come per legge, con distrazione ai procuratori antistatari; condanna l’attore al pagamento delle spese di lite a (…) s.p.a., liquidati in misura di Euro 21.000,00 oltre a CPA e IVA di legge.
La decisione del Tribunale riguardava la richiesta di risarcimento danno avanzata dal (…) in relazione al tumore polmonare diagnosticatogli nel 2006 quale effetto del fumo di combustione delle sigarette.
Il Tribunale all’esito dell’istruttoria espletata osservava che in base alla CTU espletata era emerso che il rischio di tumore polmonare dipendeva sia dal numero delle sigarette fumate ogni giorno dal fumatore, sia dall’età di inizio, sia dalla durata dell’abitudine al fumo.
Alla luce delle considerazioni in essa svolte affermava che doveva ritenersi possibile che il tumore polmonare diagnosticato nel 2006 al (…) fosse conseguenza, in via mediata ed indiretta, dell’assunzione di fumo di sigaretta nella quantità ed intensità corrispondente a quella di un fumatore, sin dalla giovane età, consumatore di almeno 20 sigarette al giorno, anche se doveva essere ritenuto un fattore di rischio determinante per lo sviluppo della neoplasia polmonare avente una percentuale di incidenza globale per la popolazione dei fumatori nell’ordine di oltre il 10 % con un rischio di 20/30 volte superiore rispetto ai non fumatori, tanto che si calcolava che la percentuale di 85 % dei tumori polmonari colpiva soggetti fumatori.
Rispetto alla storia clinica dell’attore il Tribunale riteneva che vi fossero indicazioni attendibili per affermare che si potesse collocare la decorrenza della cancerogenesi dall’anno 1994.
Inoltre, il Tribunale effettuava una ricognizione normativa circa la disciplina legislativa relativa alla diffusione della pubblicità antifumo, all’esito della quale assumeva che il (…) aveva modificato le proprie abitudini di fumatore passando a consumare le c. d. sigarette light dal 1994 al 2000, anno in cui avrebbe cessato di fumare.
Il passaggio dal consumo di sigarette normali marca (…) a quello delle c. d. light secondo il Tribunale sarebbe stato indotto da tale dicitura, che avrebbe consolidato nel (…) la convinzione di assumere un prodotto meno pericoloso e nocivo per la salute e di potere, quindi, consumare un numero più elevato di sigarette, fino ad arrivare ad un livello medio giornaliero di consumo prossimo alle trenta sigarette al giorno.
Al riguardo il Tribunale rilevava che i messaggi pubblicitari apposti sulle confezioni delle sigarette light, anche se corredati della indicazione del produttore attinenti ai contenuti di condensato e nicotina, e del riferimento all’art. 46 della L. n. 29 del 1990, all’esito della procedura istruttoria avviata in materia di pubblicità ingannevole dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in conformità alle previsioni legislative del D.Lgs. n. 74 del 1992 e 67/2000, non potessero essere ritenuti convincenti nel senso di indurre i destinatari a leggere i messaggi e le indicazioni per fondare un apprezzamento negativo per la salute anche del prodotto light, soprattutto presso la categoria dei fumatori abituali e di quelli di sigarette leggere.
Nel 35, 40% dei campioni di consumatori di tali categorie era risultato che tali soggetti tendevano ad associare la dicitura light non solo alla qualificazione di un prodotto connotato da un gusto diverso e più leggero rispetto alle sigarette normali e per un minor tenore di condensato e nicotina, ma anche ad una decodifica del prodotto come meno dannoso per la salute, e quindi meno pericoloso in termini di percentuale di rischio per lo sviluppo di gravi patologie, compresa la neoplasia polmonare.
Il Tribunale riteneva quindi che dovessero essere condivise le conclusioni relative alla decodificazione data dai consumatori alla dicitura light apposta sulle confezioni di sigarette, riferibili soprattutto ai campioni di consumatori abituali di prodotti manifatturieri composti da tabacco e dagli utilizzatori di sigarette c. d. leggere, che fino al 2003(quando tale terminologia era stata esclusa)erano stati condizionati da impressioni distorte recepite dalle presunzioni ingiustificate indotte da un messaggio deviante e pericoloso, rappresentativo di un’apprezzabile attenuazione della potenzialità nociva delle componenti del prodotto, nella realtà assicurata da una riduzione quantitativa e non qualitativa dei principi attivi più pericolosi(condensato e nicotina), ed erano stati sospinti verso determinazioni volontarie improntate a tale consapevolezza del minore rischio per la salute personale, di un aumento numerico delle sigarette anche considerevole, come nel caso di specie.
Il Tribunale al riguardo faceva riferimento, circa l’induzione in errore, alla delibera dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 13. 3. 2003, e concludeva nel senso che esistesse un collegamento causale tra la patologia tumorale diagnosticata al (…) ed il consumo delle sigarette light che si era accresciuto nel tempo dopo la conversione a tale tipologia di prodotto manifatturiero del tabacco in ragione della carenza di una pubblicizzazione adeguata e seriamente informativa delle essenziali avvertenze sanitarie occorrenti per rendere il pubblico dei consumatori, soprattutto quelli appartenenti alle categorie dei fumatori di sigarette ed in particolare di quelli delle c. d. leggere, edotto e consapevole del rischio e della pericolosità del prodotto anche nella versione light.
In considerazione di tali circostanze il caso in esame era riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 2050 c. c., costituente fonte di responsabilità oggettiva per il titolare dell’impresa commerciale ove non in grado di fornire la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare la produzione di esiti lesivi relativi alla fase successiva alla lavorazione e confezionamento e commercializzazione del particolare prodotto manifatturiero del tabacco e di avere trasmesso con misure idonee, corrispondenti al diligente ed esperto adempimento degli obblighi di legge in materia, un esauriente ed intellegibile messaggio di trasmissione al pubblico dei consumatori fumatori della permanenza della pericolosità del prodotto e della accentuazione del rischio di subire gravi patologie nella ipotesi ricorrente, dimostrata e sanzionata nel provvedimento inibitorio dell’Autorità Garante del 2003, con conseguente acquisizione di una consapevolezza di una falsa rappresentazione della realtà, da reputarsi distorsiva ed inconciliabile con la permanenza dei componenti attivi del prodotto condensati e nicotina, alla luce delle certezze scientifiche di potere assumere maggiori quantitativi di fumo attraverso un accrescimento del consumo numerico di sigarette light, senza affrontare i rischi di gravi patologie, prima per fatto notorio paventati quali conseguenze del consumo delle normali sigarette.
Il Tribunale indicava quale legittimata passiva l’odierna appellante e respingeva l’eccezione di prescrizione sollevata dall’odierna appellante, liquidando il danno nel quantum indicato nel dispositivo di cui in premessa.
Con atto ritualmente notificato l’odierna appellante proponeva appello avverso la sentenza di cui in rubrica per chiederne la riforma nel senso di vedere accolte le richieste indicate nell’atto di appello.
Si costituiva (…) s.p.a. per chiedere la conferma della sentenza impugnata laddove aveva dichiarato la sua carenza di legittimazione passiva, e nel merito di dichiarare prescritti i diritti azionati dall’attore nel giudizio di primo grado.
Si costituiva il (…) per eccepire in via preliminare, l’inammissibilità del gravame proposto dall’appellante per violazione degli artt. 342 e 348 bis c.p.c., nel merito il rigetto dell’appello proposto perché infondato in fatto e diritto e per spiegare appello incidentale chiedendo di accertare e dichiarare la legittimazione passiva non solo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, quale successore ex lege dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, nella persona del legale rappresentante p.t., ma anche di (…) S.p.A., sempre nella persona del legale rappresentante p.t., e, conseguentemente condannarle, nella persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., in solido tra loro o per quanto ciascuno di ragione, al pagamento, a titolo di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, della somma di Euro 328.715,61 (così come statuito nella sentenza di primo grado) in favore del sig. (…), oltre ulteriori interessi legali dalla data della sentenza di primo grado e fino all’effettivo soddisfo, ovvero nella misura determinata in via equitativa anche a mezzo di una rinnovata CTU e di accertare e dichiarare che le metastasi cerebrali erano state una conseguenza del tumore polmonare contratto dal sig. (…) e, pertanto, riconoscere al sig. (…) una percentuale di esiti permanenti superiore al 40% con conseguente condanna dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, quale successore ex lege dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, e (…) s.p.a., nella persona del legale rappresentante p.t., in solido tra loro, o per quanto ciascuno di ragione, al pagamento in favore del sig. (…), a titolo di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, di una somma superiore ad Euro 328.715,61 e, comunque, in quella somma ritenuta congrua dalla Corte di Appello; condannare l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, nella persona del legale rappresentante p.t., con vittoria di spese da attribuirsi al procuratore anticipatario.
Con decreto presidenziale in data 22. 4. 2016 la causa veniva assegnata all’odierno Consigliere relatore.
Con ordinanza in data 31. 1. 2017 veniva sospesa per metà dell’importo complessivo l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata.
All’udienza del 17. 6. 2020 la causa veniva trattenuta in decisione con la concessione dei termini di cui agli artt. 190 e 352 c. p. c.
Preliminarmente deve essere dichiarata la contumacia del Ministero della Salute.
L’appello principale è fondato e deve essere accolto.
Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal (…) ex artt. 342 e 348 bis c. p. c.
L’eccezione deve ritenersi infondata e non merita accoglimento.
Infatti, gli artt. 342 e 434 c. p. c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
Orbene, nel caso di specie l’appellante ha comunque prospettato le questioni ed i punti contestati della sentenza impugnata e le relative doglianze; conseguentemente le eccezioni sollevate non possono essere accolte.
L’appellante principale ha censurato la sentenza impugnata deducendo quattro motivi di gravame.
Con il primo ha lamentato l’erroneità dell’attribuzione della patologia tumorale al consumo di sigarette da fumo e l’errata individuazione del nesso causale ed il travisamento dei fatti.
Con il secondo motivo ha lamentato l’errata affermazione della responsabilità dell’appellante ai sensi degli artt. 2043 e 2050 c. c. e l’insussistenza della condotta illecita, del danno e del nesso di causalità.
Con il terzo motivo l’appellante ha dedotto in ordine al suo difetto di legittimazione passiva.
Con il quarto motivo è stata eccepita la prescrizione della pretesa risarcitoria del (…).
La Corte ritiene che la causa possa essere decisa facendo ricorso al “principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui “la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.” (v. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 363 del 09/01/2019).
I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente essendo strettamente connessi, sono fondati e devono essere accolti ai sensi della motivazione seguente.
La Corte ritiene che la decisione del Tribunale non possa essere condivisa, con la conseguenza che la domanda attrice deve essere respinta.
La Corte osserva che secondo la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. sentenza n. 11272/2018) nell’accertamento della responsabilità civile il primo presupposto da verificare è l’esistenza del nesso eziologico tra quello che si assume essere il comportamento potenzialmente dannoso ed il danno che si assume esserne derivato.
Una volta verificato che il nesso non sussiste non ha più rilevanza né l’accertamento di un’eventuale colpa, né l’accertamento di un’eventuale responsabilità c. d. speciale.
E rispetto al caso di specie in applicazione del principio della “causa prossima di rilievo”, costituito nel caso di specie da un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire, quale, appunto, la scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo, detto nesso causale non può ritenersi sussistente.
Conseguentemente, va considerato irrilevante il tema della prova liberatoria ai sensi dell’art. 2050 c. c., tema che si sarebbe dovuto affrontare ove il presupposto del nesso causale fosse stato in precedenza asseverato.
Affermata tale premessa, deve ritenersi che la circostanza evidenziata dal Tribunale relativa al fatto che le imprese produttrici pur essendo a conoscenza del grado di pericolosità delle sigarette e di assuefazione provocata dalla nicotina sulla libertà di interrompere la pratica del fumo, non avevano informato in modo adeguato i consumatori dei rischi collegati all’uso delle sigarette debba ritenersi assorbita dalla affermata insussistenza causale, che esclude anche la responsabilità ex art. 1218 c. c..
Nel caso di specie non può essere condivisa la valutazione operata dal Tribunale, essendo pacifico che l’attore avesse cominciato a fumare si da giovane età e che avesse costantemente fumato almeno 20 sigarette al giorno fino al 2000 quando aveva cessato di fumare.
In tale contesto il fatto che dal 1994 al 2000 avesse incrementato il proprio consumo di sigarette fino a 30 al giorno perché asseritamente indotto in errore dalla circostanza che la pubblicità delle sigarette c. d. light lo aveva spinto a ritenere che la dicitura light comportasse un’apprezzabile attenuazione della potenzialità nociva delle componenti del prodotto, che sarebbe stata assicurata da una riduzione quantitativa e non qualitativa dei principi attivi più pericolosi(condensato e nicotina), e che si sarebbe determinato ad aumentare numericamente le sigarette fumate perché convintosi del minore rischio per la salute personale, deve quindi ritenersi del tutto irrilevante, dovendosi tale valutazione ritenersi logicamente assorbita da quella che logicamente deve precederla nel senso in precedenza indicato.
Alla luce delle considerazioni che precedono deve quindi escludersi la sussistenza del collegamento causale tra la patologia tumorale diagnosticata al (…) ed il consumo delle sigarette light che si era accresciuto in ragione della asserita conversione a tale tipologia di prodotto per effetto della carenza di una pubblicizzazione adeguata e seriamente informativa.
Al riguardo deve rilevarsi che anche in Italia era conosciuta, dagli anni 70, la circostanza che l’inalazione da fumo fosse dannosa alla salute e provocasse il cancro, e poteva ritenersi un dato di comune esperienza; la circostanza che il fumo facesse male alla salute era un fatto socialmente notorio, anche se per ragioni culturali, sociali o di costume il vizio del fumo era più accettato.
Né può essere enfatizzato il ruolo dell’avvertenza introdotta dalla L. n. 428 del 1990, art. 46, che in concreto aveva un carattere riaffermativo di una nozione da lungo tempo di comune esperienza.
Peraltro, le chiare avvertenze, illustrate anche dal Tribunale, presenti anche sulle confezioni delle sigarette light, lasciavano pochi dubbi circa la loro nocività(ad es. nuoce gravemente alla salute, il fumo provoca il cancro, etc., ed indicazione dei contenuti di condensato e nicotina).
Senza contare che non può neanche sostenersi che la nicotina annulli la capacità di autodeterminazione del soggetto, “costringendolo” a fumare, senza possibilità di smettere, dai due ai quattro pacchetti al giorno.
Il comportamento del (…) in tale contesto, caratterizzato da uno smodato consumo di sigarette consente di escludere ogni responsabilità del produttore di sigarette, sia ai sensi dell’art. 2043 c.c., sia a norma dell’art. 2050 c.c., in ragione del fatto che nell’accertamento della responsabilità civile il primo presupposto da appurare è la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta lesiva e l’evento dannoso, ed una volta verificata l’insussistenza del nesso eziologico, non ha più alcuna rilevanza né l’accertamento di una eventuale colpa, né l’accertamento di un’eventuale responsabilità c.d. speciale.
Rispetto a tale ultima circostanza, la astratta configurazione di una responsabilità ex artt. 2043 o 2050 c.c. in capo al produttore, va ribadita la prevalenza logica della esclusione del nesso di causalità in applicazione del principio della causa prossima di rilievo in precedenza illustrata.
Ed il fatto che l’attore aveva costantemente fumato almeno 20 sigarette al giorno sin da giovane età deve ritenersi comportamento da solo sufficiente a determinare l’evento dannoso successivo.
Alla stregua di quanto sinora esposto il primo ed il secondo motivo sono fondati e devono essere accolti nei sensi di cui alla motivazione che precede; tutte le altre questioni devono ritenersi assorbite.
In ragione delle considerazioni che precedono l’appello principale proposto deve ritenersi fondato e deve essere accolto, con conseguente rigetto della domanda attrice; l’appello incidentale proposto dal (…), alla stregua delle argomentazioni in precedenza svolte, deve ritenersi infondato e deve essere respinto.
Le spese processuali del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, a norma delle tabelle allegate al DM 55 del 2014, tenuto conto della natura dell’affare e dell’attività professionale prestata, mentre non va disposto nulla in relazione al Ministero della Salute per le spese del presente grado di giudizio essendo rimasto contumace.
Atteso quanto previsto dall’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, quale introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del (…), dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto dall’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI avverso la sentenza n. 20361/2015 emessa dal Tribunale Civile di Roma, sezione II civile, in data 12. 10. 2015, così provvede:
A) In accoglimento dell’appello principale proposto ed in riforma della sentenza impugnata respinge la domanda proposta da (…);
B)Respinge l’appello incidentale proposto;
C)Condanna (…) al pagamento, in favore di ciascuna parte costituita, delle spese processuali del doppio grado di giudizio che si liquidano d’ufficio quanto al primo grado in complessivi Euro 20.000,00 ciascuna a titolo di compenso onnicomprensivo, oltre al rimborso forfettario delle spese, computato secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 2, Decreto del Ministero della Giustizia 10 marzo 2014 n. 55, ed agli oneri accessori legali, compresi quelli fiscali, e quanto al presente grado di giudizio in complessivi Euro 17.000,00 ciascuna a titolo di compenso onnicomprensivo, oltre al rimborso forfettario delle spese, computato secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 2, Decreto del Ministero della Giustizia 10 marzo 2014 n. 55, ed agli oneri accessori legali, compresi quelli fiscali;
D) Nulla sulle spese rispetto al Ministero della Salute;
E)Pone definitivamente a carico di (…) le spese di CTU;
F) Dà atto della sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 13, comma 1 quater, primo periodo, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma il 22 dicembre 2020.
Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2021.