la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, dovendosi accertare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni. Ne deriva quindi che, oltre alla verifica in ordine alla sussistenza degli addebiti ascritti alla parte convenuta, si dovrà valutare se vi sia prova del danno e del nesso di causalità tra la condotta del professionista ed il mancato risultato derivato al cliente.
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Tribunale|Milano|Sezione 1|Civile|Sentenza|16 giugno 2022| n. 5384
Data udienza 16 giugno 2022
Integrale
Responsabilità professionale – Limiti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
PRIMA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Serena Nicotra ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1710/2019 promossa da:
(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. BI.AL. e dell’avv. FA.FE. (…) VIA (…), 6268 00142 ROMA; FA.GI. (…) VIALE (…) 49 00144 ROMA;, elettivamente domiciliato in VIA (…) 20129 MILANO presso il difensore avv. BI.AL.
ATTORE
contro
(…) (C.F. (…)), contumace
CONVENUTA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) ha convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale l’avvocato (…) Sarno per sentire accertare la responsabilità professionale della convenuta per la grave violazione dei doveri di diligenza professionale e per ottenere la condanna alla restituzione delle somme ricevute a titolo di compensi ed al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, anche per perdita di chance, nella misura ritenuta di giustizia.
L’attore ha esposto di avere conferito all’avv. (…) incarico professionale volto ad assistere l’attore in sede penale e civile nei confronti del dott. (…) e della (…) S.p.A. per condotte negligenti ed omissive fonte di danni patrimoniali e non patrimoniali.
Con atto di citazione notificato in data 13.2.2013, l’attore, assistito dall’avv. (…), aveva convenuto in giudizio il dott. (…) e la (…) chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti, quantificati nella somma di Euro 2.057.546,00.
Con sentenza n. 4872/2016 depositata il 18.4.2016, il Tribunale di Milano aveva condannato i convenuti al pagamento della somma di Euro 41.575,00 a titolo di risarcimento del danno da invalidità temporanea, dedotta la provvisionale già liquidata in sede penale, rigettando le altre richieste risarcitorie svolte dall’attore. Con atto di appello datato il 13.10.2016, l’attore aveva svolto impugnazione della citata sentenza, formulando le seguenti censure:
a) erroneità della sentenza nella parte in cui aveva valutato il riparto dell’onere probatorio in base alla L. 189/2012, quando tale normativa non era applicabile alla fattispecie ratione temporis;
b) erroneità della sentenza nella parte in cui aveva qualificato la responsabilità del medico curante come extra contrattuale in luogo di contrattuale;
c) errata estensione del quesito demandato ai CTU, in presenza di un accertamento definitivo in sede penale del danno e del nesso causale;
d) erroneità della consulenza nella parte in cui aveva valutato l’omessa anamnesi del paziente come irrilevante, mentre le sentenze penali avevano accertato la grave negligenza del medico per non avere compiuto né un’indagine ex ante né ex post;
e) contraddittorietà della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che il ritardo diagnostico non aveva determinato il danno oncologico né il danno da perdita di chances, giungendo all’erronea conclusione che le conseguenze non sarebbero mutate, posto che al contrario le sofferenze patite per il ritardo diagnostico avevano aggravato la patologia depressiva da cui era affetto il paziente ed avevano quindi provocato il danno patrimoniale ed il danno da perdita di chance.
La convenuta, dopo la notifica del ricorso in appello, aveva tardivamente iscritto a ruolo la causa, il che aveva determinato la pronuncia di sentenza di improcedibilità dell’appello, con condanna dell’attore alla rifusione delle spese processuali in favore dei convenuti.
Secondo la prospettazione attorea, la condotta della convenuta configurava un grave inadempimento del contratto d’opera professionale, fonte dell’obbligo di risarcire i danni subiti, pari all’ammontare delle spese corrisposte alle controparti per effetto delle statuizioni contenute nella sentenza di appello e alla perdita di chance di accoglimento del gravame e di ottenere conseguentemente i maggiori danni richiesti.
Inoltre, l’attore ha chiesto la condanna della convenuta alla restituzione dei compensi versati, nonché al risarcimento del danno biologico, esistenziale e morale sofferto dall’attore in conseguenza della condotta negligente della convenuta e del suo successivo comportamento omissivo a fronte delle diffide inviate dall’attore.
La convenuta, pur regolarmente citata, non si è costituita in giudizio ed è stata dichiarata contumace. La causa, all’esito del deposito delle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., è stata ritenuta matura per la decisione e, dopo la riassegnazione del fascicolo, è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 190 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Per comodità espositiva si provvederà ad articolare la trattazione delle varie questioni dedotte in giudizio in paragrafi separati.
1. La materia del contendere.
L’attore ha chiesto accertarsi l’inesatto adempimento della convenuta alle obbligazioni nascenti dal conferimento dell’incarico professionale avente ad oggetto la proposizione di giudizio di appello avverso la sentenza n. 4872/2016 emessa dal Tribunale di Milano.
In particolare, l’addebito mosso all’avv. (…) riguarda la negligenza della professionista nella fase introduttiva, per avere iscritto tardivamente a ruolo la causa, con conseguente declaratoria della inammissibilità del gravame da parte della Corte di Appello.
Viene quindi in rilievo la responsabilità professionale dell’avvocato, cui si applicano le regole generali in tema di responsabilità contrattuale.
Come rilevato dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, dovendosi accertare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni (Cass. civ., III, 5 febbraio 2013 n. 2638, Cass. civ. III, 20 agosto 2015, n. 17016).
Ne deriva quindi che, oltre alla verifica in ordine alla sussistenza degli addebiti ascritti alla parte convenuta, si dovrà valutare se vi sia prova del danno e del nesso di causalità tra la condotta del professionista ed il mancato risultato derivato al cliente.
2. La valutazione dell’inadempimento dedotto in giudizio
Nella sentenza n. 2913/2017 la Corte di appello ha dichiarato improcedibile l’appello proposto dall’avv. (…) nell’interesse dell’attore in quanto l’iscrizione a ruolo è avvenuta oltre al termine di 10 giorni dalla prima notificazione previsto dagli artt. 347 e 348 c.p.c. ed ha condannato l’attore alla rifusione delle spese di lite in favore di ciascuno dei tre appellati, (…), (…) S.p.A. e (…) S.p.A.
Venendo quindi alla valutazione in ordine alla sussistenza del dedotto inadempimento, secondo quanto rilevato dalla Corte di Cassazione,
“in tema di responsabilità dell’avvocato verso il cliente, è configuratile imperizia del professionista allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito “ex ante” e non “expost”, sulla base dell’esito del giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità – in astratto o con riferimento al caso concreto – tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente” (Cass. civ., sez.. 3, 10 giugno 2016 n. 11906).
Nel caso in esame si ritiene che vi siano i presupposti per affermare la responsabilità della convenuta.
Invero la questione della decorrenza del termine di iscrizione a ruolo non presenta margini di opinabilità, sia alla luce delle disposizioni dettate dagli artt. 165 e 347 c.p.c., sia alla luce dell’univoco orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui, anche nel giudizio di appello, il termine per l’iscrizione a ruolo decorre dalla prima notificazione dell’atto introduttivo e non richiede necessariamente il deposito dell’originale, potendo essere effettuato mediante il deposito in cancelleria di una semplice copia (cfr. Cass. Sez. U., 10864/2011, Cass. n. 28411/2018).
In base al quadro sopra delineato, l’avv. (…) avrebbe dovuto prestare particolare attenzione a tale aspetto, in quanto direttamente incidente sulla ammissibilità dell’impugnazione e quindi sulla possibilità di ottenere un riesame del provvedimento impugnato.
Pertanto, si ritiene quindi che sia configurabile la dedotta responsabilità contrattuale della convenuta avv. (…) per violazione delle regole di perizia e di diligenza nell’espletamento del mandato professionale.
3. La sentenza impugnata Dall’esame della sentenza n. 4872/2016 emergono i seguenti dati:
a) il giudice di primo grado ha inquadrato l’azione di responsabilità e di risarcimento danni svolta da (…) nei confronti della (…) nell’ambito della responsabilità contrattuale, mentre ha ricondotto la responsabilità del medico dott. (…) alla fattispecie della responsabilità extra contrattuale, rilevando la assenza di allegazione e prova in ordine alla conclusione di un contratto d’opera professionale tra le parti e ritenendo discendente tale qualificazione dalle disposizioni della legge Balduzzi (n. 189/2012);
b) si è rilevato che la sentenza emessa nel processo penale a carico di (…) si era limitata a statuire solo sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al (…) e sul nesso eziologico in astratto, senza avere accertato in concreto il danno subito dalla parte ed il nesso causale con il comportamento del soggetto danneggiante, dato che non era stata disposta neppure una perizia nel corso del giudizio.
Per tale motivo, e considerato che l’azione aveva riguardato anche la struttura sanitaria che non era parte del giudizio, si è ritenuto di dovere utilizzare, ai fini del citato accertamento sull’esistenza del nesso di causa tra il comportamento dei convenuti ed i danni lamentati dall’attore, le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel giudizio civile;
c) in base alle emergenze della consulenza, si è in primo luogo ritenuto la correttezza i della scelta e della gestione chirurgica della patologia che affliggeva il (…), sia in occasione dello svolgimento dell’intervento di emorroidectomia con tecnica secondo (…) per risolvere il problema delle emorroidi sintomatiche e sanguinanti, sia del successivo intervento di prolassectomia secondo (…), per la risoluzione dell’insorta stenosi anale; si è inoltre rilevato che tale complicanza era dovuta a fenomeni cicatriziali e non ad errori nella esecuzione del primo intervento chirurgico;
d) sono invece state ritenute censurabili sia la condotta del (…) di suggerire l’utilizzo di dilatatori meccanici, affidandone la gestione al paziente, dopo l’insorgenza della complicanza, relativa alla stenosi anale post chirurgica, che è stata causa del successivo verificarsi di emorragia, sia la condotta dell’omessa esecuzione di anamnesi con richiesta al paziente di dati che avrebbero potuto, eventualmente, orientare diversamente le scelte relative agli accertamenti diagnostici da eseguire, sia l’omessa prescrizione di colonoscopia.
In relazione a tale ultimo aspetto, il giudice ha dissentito dalle valutazioni degli ausiliari, rilevando come la presenza di sanguinamento rettale fosse un elemento significativo che avrebbe dovuto indurre il convenuto ad approfondire gli esami diagnostici preliminari all’esecuzione dell’intervento;
e) con riferimento al nesso causale, si è rilevata la irrilevanza sul piano eziologico della omissione relativa all’omessa esecuzione di anamnesi, in quanto le linee guida dell’epoca prevedevano che solo la presenza di un familiare di primo grado affetto da cancro del colon avrebbe potuto assumere rilievo quanto all’opportunità di una procedura colonscopica, mentre nel caso dell’attore vi era stato un caso relativo ad un parente di secondo grado, ovvero la nonna dell’attore;
f) in relazione alla omissione della colonscopia, si è osservato che tale esame avrebbe consentito di diagnosticare la neoplasia con circa 9 mesi di anticipo, ma si è escluso, contrariamente alla prospettazione dei CTP dell’attore, che ciò avesse comportato la perdita della possibilità di evitare un intervento chirurgico molto demolitivo e di effettuare cicli di chemioterapia meno aggressivi, in base ai rilievi svolti dai CTU e condivisi dal giudice. In particolare, si è evidenziata la scarsa invasività dell’adenocarcinoma, in base a quanto riscontrato all’epoca dell’intervento eseguito presso l’Istituto dei Tumori e la sua classificabilità come un II stadio anche nel mese di maggio 2002, sicché il paziente sarebbe stato comunque trattato chirurgicamente mediante resezione del colon retto e sarebbe stato sottoposto prudentemente e doverosamente al medesimo ciclo di chemioterapia;
g) si è invece ritenuto che l’omessa tempestiva diagnosi abbia comportato un prolungamento della malattia di circa nove mesi.
Per tale motivo, si è ritenuto sussistente un danno non patrimoniale liquidato facendo applicazione del valore giornaliero di Euro 140,00, previsto per la liquidazione del danno da invalidità temporanea, in misura pressoché prossima a quella massima prevista, per un totale di Euro 37.800,00. A tale somma è stato aggiunto il periodo di invalidità temporanea quantificato dai CTU per il periodo di stenosi anale;
h) con riferimento alle altre voci di danno allegate dall’attore, si è ritenuto non risarcibile il danno patrimoniale, derivante dal decremento patrimoniale per le dimissioni e dalle negative conseguenze in termini di trattamento pensionistico, in quanto danno correlato, in via immediata e diretta, alla patologia che ha afflitto l’attore e non al comportamento dei convenuti, che non avrebbe mutato la tipologia di trattamento chirurgico e chemioterapico poi somministrata. Inoltre, in merito al danno da consenso informato, si è rilevato che l’attore si era limitato ad allegare di non essere stato correttamente informato di tutti i rischi e delle possibili complicanze legate all’intervento chirurgico eseguito nel maggio del 2002, senza avere svolto allegazioni specifiche sul pregiudizio che, all’esito di tale omissione, avrebbe subito e senza avere formulato una apposita domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno astrattamente richiesto.
4. La valutazione del nesso causale con il danno. La difesa degli attori ha allegato nell’atto introduttivo che le motivazioni esposte nell’atto di appello avrebbero condotto con elevata probabilità all’accoglimento del gravame e quindi alla riforma della sentenza di primo grado ed alla conseguente liquidazione di un risarcimento superiore.
Orbene, il giudizio prognostico sulle probabilità di accoglimento del gravame va quindi condotto valutando le specifiche censure svolte nell’atto di appello. Sul punto si svolgono i seguenti rilievi:
a) la doglianza relativa alla natura della responsabilità ascritta al medico ed al relativo onere probatorio appare fondata alla luce della pronuncia della Corte di Cassazione n. 28994 dell’11.11.2019, in cui si è affermato che le norme contenute nella legge Balduzzi, così come quelle contenute nella successiva L. 24/2017 non possono avere efficacia retroattiva ma sono volte a regolare fattispecie verificatesi successivamente alla loro entrata in vigore. Nel caso in esame, poiché i fatti risalgono al 2002, anche la responsabilità del sanitario ha natura contrattuale.
Tuttavia, occorre considerare che l’accoglimento di tale motivo di impugnazione non avrebbe comportato alcuna incidenza sulle statuizioni della sentenza di primo grado, atteso che la decisione è stata condizionata dal diverso regime probatorio, tant’è che il giudice è arrivato alla medesima conclusione sia nella valutazione della condotta del (…), sia nella valutazione della condotta della (…), che invece rispondeva per inadempimento contrattuale;
b) con riferimento alle critiche sull’estensione del quesito conferito dal giudice ai CTU e sul rapporto tra il giudizio civile e la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nel giudizio penale a carico del dott. (…), si rileva che nella motivazione della sentenza sono state richiamate in modo puntuale ed esaustivo le pronunce rese dalla giurisprudenza di legittimità in punto di portata ed effetti del giudicato penale di condanna ex art. 651 c.p.p..
In particolare, il Tribunale ha richiamato l’orientamento secondo cui: “la sentenza del giudice penale che, accertando l’esistenza del reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine all’affermata responsabilità dell’imputato, che non può più contestare in sede civile i presupposti per l’affermazione della sua responsabilità, quali, in particolare, l’accertamento della sussistenza del fatto reato, nonché la “declaratoria iuris” di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni” (Cass. 18352/2014). Sono poi state citate ulteriori sentenze di legittimità che hanno ribadito come “i principi e gli effetti del giudicato valgono, pertanto, solo se il giudice penale non si sia limitato a statuire solo sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al soggetto condannato e sul nesso eziologico in astratto, ma abbia accertato e statuito sull’esistenza in concreto di detto danno e del relativo nesso causale con il comportamento del soggetto danneggiato (tra le varie, cfr. Cass. 11 gennaio 2001, n. 329 e Cass. 16113/2009).
Tali principi sono stati mantenuti fermi anche dalla giurisprudenza successiva.
Al riguardo si richiama la sentenza n. 20786/2018, nella quale la Corte di Cassazione ha testualmente affermato: “ai sensi dell’art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, con esclusione della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile. Detta sentenza non è, inoltre, vincolante con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l’individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile”.
Inoltre, in base a quanto emerge dalla motivazione, si è valutato come, in base agli atti del processo penale ed al contenuto della sentenza del Tribunale penale, la fattispecie dedotta in giudizio rientrasse nel paradigma delineato da tali pronunce di legittimità, in quanto il giudice penale si era limitato a statuire solo sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al (…) e sul nesso eziologico in astratto, mentre non si era pronunciato sulla sussistenza in concreto del danno subito dal (…) e del relativo danno causale, elementi che non era neppure possibile valutare in assenza di una perizia. A fronte di ciò non emergono profili di erroneità della citata pronuncia né in punto di applicazione del diritto, né in punto di valutazione del fatto.
Peraltro, la difesa dell’attore non ha prodotto gli atti relativi al processo penale e la sentenza del Tribunale di Milano – di cui pure ha citato alcuni brani negli atti difensivi – il che preclude in questa sede una verifica autonoma in ordine alla portata del giudicato invocato dalla parte limitatamente alla posizione del dott. (…) (non avendo l’altro convenuto partecipato al processo penale), così come di valutare se, come allegato nell’atto di appello, le considerazioni esposte nella sentenza di condanna, e fondate sul confronto dei consulenti della parte civile e della difesa, si estendessero anche alla determinazione del danno risarcibile;
c) per quanto riguarda le critiche alla affermata irrilevanza del ritardo diagnostico sull’evoluzione della patologia tumorale e delle cure, la sentenza del Tribunale di Milano ha fondato il proprio convincimento sulle risultanze della consulenza tecnica.
Dall’esame dell’elaborato prodotto in giudizio si evince che i CTU hanno motivato in modo logico e preciso le conclusioni esposte e che hanno replicato alle osservazioni del CTP attore, richiamando ampi riferimenti bibliografici a sostegno della affermazione secondo cui il (…), anche in caso di diagnosi anticipata, sarebbe stato sottoposto a chemioterapia, ed evidenziando, quanto alla stadiazione, l’esito degli esami sui 33 linfonodi asportati nel corso dell’intervento (pag. 24 e 25 della relazione peritale). Inoltre, i CTU hanno ulteriormente sottolineato l’irrilevanza del dibattito sulla perdita di chances di sopravvivenza a fronte di un paziente ormai libero dalla malattia, essendo decorsi 12 anni dai fatti. Non si evincono quindi illogicità e contraddittorietà nel ragionamento dei consulenti ed il loro giudizio si fonda su criteri tecnici esplicitati e sorretti da conformi studi scientifici e linee guida.
d) in merito al dedotto aggravamento del danno psichico, come emerge dalla motivazione della richiamata sentenza, si è tenuto conto della sofferenza dell’attore e dell’evoluzione dello stato patologico preesistente, ovvero della depressione e degli attacchi di emicrania, nel periodo di ritardo diagnostico.
In base alle risultanze dell’elaborato peritale, l’attore era già in cura per sindrome ansioso-depressiva e aveva prodotto un primo certificato con diagnosi di depressione maggiore in data 15.4.2003, ovvero in epoca successiva all’intervento chirurgico di resezione della neoplasia e di prescrizione della terapia chemioterapica, nonché successive certificazioni dello stesso specialista nel corso del 2003 (cfr. pag 8 della relazione peritale).
Poiché una diagnosi più precoce della neoplasia non avrebbe influito sul percorso terapeutico e quindi avrebbe comportato l’esecuzione del medesimo intervento chirurgico e la somministrazione della chemioterapia, i consulenti tecnici hanno evidenziato come la attuale condizione menomativa del paziente non sia da ricondursi al ritardo diagnostico ma alla sola patologia di base del soggetto (cfr. pag. 20).
Tale conclusione è stata fatta propria dal Tribunale, nella parte in cui per l’appunto ha riconosciuto un danno di natura temporanea ma non ha attribuito alla condotta colposa del sanitario e della casa di cura un eventuale aggravamento dei postumi permanenti incidenti sulla integrità psico-fisica del paziente. Anche in tal caso, le doglianze svolte sul punto nell’atto di appello muovono dalla contestazione dell’assunto dell’invariabilità del percorso terapeutico affrontato dall’attore anche in caso di più tempestiva diagnosi e, quindi, investono un aspetto che, come già evidenziato, è stato ampiamente ed adeguatamente affrontato nella consulenza tecnica e nella sentenza e fondato su un ragionamento esente da profili critici;
e) quanto al danno patrimoniale, valgono le stesse considerazioni svolte nei paragrafi precedenti.
Anche qui, si è ritenuto in sentenza che il decremento patrimoniale derivante dalle dimissioni “concordate” di (…) e dalle correlate conseguenze in termini di trattamento pensionistico, sia un effetto immediato e diretto della patologia tumorale e non del comportamento dei sanitari, proprio in quanto l’anticipata diagnosi non avrebbe mutato l’iter clinico dell’attore nel trattamento della neoplasia. Le allegazioni difensive dell’attore ed il contenuto dell’atto di appello non mettono in evidenza obiettivi elementi che portino a dissentire da tale conclusione o volti ad evidenziare concrete lacune nella valutazione degli elementi di prova raccolti e della documentazione medica prodotta dall’attore. Ne deriva quindi che, anche in mancanza dell’errore professionale del convenuto, non è possibile compiere un giudizio prognostico favorevole sui motivi di censura fatti valere dall’attore e tali da ritenere che la parte avrebbero avuto, in caso di prosecuzione del giudizio di appello, concrete, serie e ragionevoli possibilità di accoglimento del gravame, volto ad ottenere la condanna dei convenuti al risarcimento del maggior danno quantificato nella somma di Euro 2.057.546,00.
4.La domanda di risarcimento dei danni formulati dall’attore. I rilievi svolti nel precedente paragrafo portano a ritenere infondata la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, posto che in base al giudizio prognostico compiuto ex ante, alla luce dei motivi di censura articolati dall’attore, non appare probabile la riforma della sentenza di primo grado in punto di determinazione delle conseguenze dannose ascrivibili al dott. (…) ed a (…) s.p.a..
Per gli stessi motivi non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno patrimoniale pari alle spese di lite corrisposte agli appellati per effetto della dichiarazione di improcedibilità dell’appello.
Invero, una volta esclusa la sussistenza di ragionevoli probabilità di accoglimento dell’impugnazione, il rigetto nel merito dell’appello avrebbe, secondo l’idquod plerumque accidit, comportato la liquidazione delle spese secondo il criterio della soccombenza, con conseguente statuizione di condanna dell’attore.
Al riguardo, il fatto che il giudice di appello avrebbe potuto ritenere fondata la censura sulla natura della responsabilità ascritta al dott. (…), non si reputa suscettibile di condurre a diverse conclusioni in punto di statuizioni sulle spese, atteso che, come si è già evidenziato, tale censura sarebbe stata ininfluente nella valutazione della fondatezza dell’impugnazione che, in base alle conclusioni dell’atto di appello, era diretta ad ottenere la riforma della sentenza in relazione al quantum debeatur, avendo l’attore richiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno quantificato in una somma superiore a 2 milioni di Euro.
Neppure si ritiene risarcibile il danno derivante dal pagamento del doppio del contributo unificato, in quanto ai sensi dell’art. 13 co.1/quater D.P.R. 115/2002, tale misura consegue anche alla pronuncia che respinge integralmente l’impugnazione.
Nel caso in esame, considerate le conclusioni dell’atto di appello, volte ad ottenere la condanna degli appellati al pagamento in favore dell’appellante della somma di Euro 2.057.546,00, e l’ininfluenza dell’aspetto della natura della responsabilità sulla statuizione di cui si chiede la riforma, è prospettabile che tale sanzione sarebbe stata comunque irrogata.
Si ritiene, al contrario, fondata la domanda di restituzione dei compensi pagati all’avv. (…). Come si è già evidenziato, era obbligo della convenuta svolgere l’incarico professionale conferito dall’attore in modo da ottenere una pronuncia che entrasse nel merito dei motivi di impugnazione svolti.
Il fatto che il vizio procedurale riscontrato dalla Corte di appello abbia comportato la declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione e la conseguente definitività della sentenza impugnata, costituiscono elementi che configurano il citato inadempimento come grave e portano a ritenere non dovuto il compenso per l’attività professionale svolta, in quanto del tutto inutile a realizzare l’interesse del cliente.
Risulta per tabulas che l’attore ha provveduto al pagamento della parcella emessa dall’avv. (…) relativa alla redazione dell’atto di appello ed alle attività di introduzione del giudizio (cfr. doc. 11 fascicolo attoreo). Ne deriva quindi la condanna della convenuta alla restituzione in favore dell’attore della somma di Euro 5.748,00 oltre ad interessi al tasso legale con decorrenza dalla domanda giudiziale al saldo.
Infine, non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale formulata dall’attore.
Da un lato, non si ravvisa la sussistenza di un danno da lesione della salute in rapporto causale con l’inadempimento della convenuta.
Le certificazioni prodotte dall’attore non si reputano sufficienti a dimostrare un peggioramento delle condizioni di salute della parte per effetto della condotta della convenuta, né la configurabilità dell’allegato “danno esistenziale”.
Inoltre, se è prospettabile che la notizia dell’improcedibilità dell’appello possa costituire fonte di ansia e turbamento per l’appellante, occorre però tenere conto delle osservazioni sopra svolte sul fatto che, in caso di decisione nel merito, non vi sarebbero state ragionevoli probabilità di accoglimento del ricorso. Pertanto, non è in sé l’esito dell’impugnazione valutabile come fonte di aggravamento, anche soltanto temporaneo, della patologia della sindrome ansiosa-depressiva dell’attore, in quanto, in base ai rilievi fin qui esposti, le aspirazioni dell’attore ad ottenere un maggiore risarcimento sarebbero state presumibilmente comunque frustrate.
Ciò che può venire in rilievo in questa sede è semmai il fatto che, come allegato dall’attore e come si desume dalla e-mail dell’avv. (…) del 25.9.2018, la convenuta non ha informato l’attore dell’esito dell’impugnazione ma l’attore ne è venuto a conoscenza al momento della notifica dell’atto di precetto da parte di (…) S.p.A..
Tuttavia, le certificazioni prodotte sembrano ricondurre la riacutizzazione della sintomatologia ansiosa all’esito dell’appello più che alla citata condotta contraria a buona fede della convenuta (cfr. doc. 12 e 13 fascicolo attoreo).
Dall’altro lato, si rileva che ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale, secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. n. 26972/2008) ai fini del riconoscimento del diritto al ristoro del pregiudizio non patrimoniale subito deve sussistere la lesione di un interesse del danneggiato in termini di ingiustizia costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa la risarcibilità del danno asseritamente subito.
Come chiarito nella citata pronuncia, si richiede un pregiudizio non futile e l’accertamento di una lesione che superi una certa soglia di offensività.
Nel caso in esame, non si ritiene che sussista la lesione di un interesse costituzionalmente qualificato, non potendosi ricondurre l’errore professionale della convenuta, costituita dal ritardo della convenuta nell’iscrizione a ruolo, ad una violazione del diritto costituzionale di difesa di cui all’art. 24 c.p.c..
6. Le spese
L’esito del giudizio, che vede una parziale soccombenza reciproca delle parti, dato l’accertamento della fondatezza della domanda di accertamento dell’inesatto adempimento della convenuta ed il rigetto della domanda della significativa domanda risarcitoria svolta, porta alla compensazione nella misura del 50% delle spese di lite.
Il residuo 50% delle spese va posto a carico della convenuta, data la sua prevalente soccombenza, in considerazione dell’accertamento della sua condotta inadempiente e dell’accoglimento della domanda relativa alla restituzione dei compensi.
Le spese si liquidano come da dispositivo, in applicazione del DM 55/2014, secondo il valore dell’accolto e in base ai parametri medi.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando sulle domande svolte dalle parti, ogni altra istanza, eccezione e difesa rigettata, così provvede:
– accertato l’inesatto adempimento della convenuta alle obbligazioni professionali nascenti dal mandato professionale, condanna (…) Elisabetta Piera al pagamento in favore dell’attore (…) della somma di Euro 5.748,00 oltre ad interessi al tasso legale con decorrenza dalla domanda giudiziale al saldo;
– rigetta le ulteriori domande di risarcimento danni svolte dall’attore;
– compensa nella misura del 50% le spese del giudizio e condanna la convenuta alla rifusione in favore dell’attore del residuo 50% delle spese che liquida, già al netto della compensazione in Euro 393,00 per spese vive, Euro 2417,50 per compensi, oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge.
Così deciso in Milano il 16 giugno 2022.
Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2022.
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