a mente dell’art. 2049 c.c., la responsabilità indiretta del committente per il fatto dannoso del dipendente postula l’esistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito e il rapporto che lega il committente e il dipendente, nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno, sempre che quest’ultimo abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali gli furono affidate le mansioni e non finalità di carattere personale, di fatto sostituite a quelle dell’ente pubblico di appartenenza ed anzi in contrasto con queste ultime.
Corte d’Appello Taranto, civile Sentenza 5 giugno 2018, n. 245
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI LECCE
SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO
La Corte d’Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto, composta dai magistrati:
DR. RICCARDO ALESSANDRINO – PRESIDENTE
DR. ETTORE SCISCI – CONSIGLIERE
DR. MARIA CAVALLERA – GIUDICE AUSIL. RELATORE
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile in grado d’appello, iscritta al numero 60 dell’anno 2016, riservata per la decisione all’udienza del 05/01/2018
TRA
(…) RAPPRESENTATO E DIFESO DALL’AVV. CA.ST.
APPELLANTE
E
(…) IN PERSONA DEL L.R.P.T. RAPPRESENTATA E DIFESA DALL’AVV. CA.FR.
APPELLATA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Taranto con sentenza n. 1771 del 24/11/2014, depositata il 26/11/2014, rigettava la domanda di risarcimento danni patrimoniali e non patrimoniali nella misura di Euro 2.500.000,oltre rivalutazione e interessi, subiti per effetto di condotte illecite, tenute dai dipendenti della convenuta (…), proposta da (…) nei confronti della predetta, in persona del suo l.r.p.t., con atto di citazione notificato l’11/06/2009, condannandolo alla rifusione delle spese di lite in favore della convenuta, nonché la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., avanzata da quest’ultima, la quale, costituendosi, contestava la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito e chiedeva il rigetto della domanda con vittoria delle spese di lite e la condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c., comma 1.
La causa veniva istruita a mezzo di acquisizione di pertinente documentazione, prodotta dalle parti, di prova per testi e di ctu medico – legale.
Ha interposto appello (…) con atto di citazione, notificato il 15/02/2016,chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento della domanda avanzata in primo grado, vinte le spese del doppio grado del giudizio.
Si è costituita l’AZIENDA (…), in persona del l.r.p.t., deducendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto e, per l’effetto, la conferma della sentenza impugnata, previa eccezione di inammissibilità dello stesso ex artt. 348 bis e 342 c.p.c., vinte le spese di lite del secondo grado.
All’udienza del 05/01/2018 la causa è stata riservata per la decisione sulle conclusioni delle parti,concessi i termini ex art. 190 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Posto che l’eccezione di inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. deve ritenersi superata e assorbita dall’attuale fase decisionale del giudizio, quella formulata ai sensi dell’art. 342 c.p.c., va disattesa in quanto con la recente sentenza n. 27199/16-11-2017 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha definitivamente statuito che gli artt. 342 e 434 c.p.c. vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnati e delle relative doglianze, di una parte volitiva e di altra argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris istantiae del giudizio d’appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
L’appello è infondato.
Con il primo motivo l’appellante si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c. e dell’illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione, che ne ha escluso l’operatività per non essere i fatti illeciti, posti in essere dai funzionari (…) e (…) in suo danno, pur riconosciuti come acclarati, non imputabili alla convenuta, per non essere riferibile all’amministrazione il comportamento lesivo, attuato dal proprio dipendente, il quale viene meno quando questi agisca come privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli del tutto estraneo all’amministrazione, in quanto sussistenti nella specie il fatto illecito dei dipendenti, l’esistenza di un rapporto di preposizione/lavoro, il collegamento tra le mansioni del preposto e il danno, fondanti la responsabilità ex art. 2049 c.c..
Considerato che la domanda di risarcimento, così come precisato nella sentenza appellata e non impugnato con specifica censura , è stata riferita dal (…) con la memoria ex art. 183, c. ma 6, n. 1 c.p.c. ai danni conseguenti all’ingiusta detenzione, subita nell’ambito del procedimento penale n.11651 RGNR T.Ta, e dal susseguente rinvio a giudizio e non a danni derivanti dalla sottoposizione al processo penale dibattimentale, conclusosi con la sentenza n. 1771/2008 del Tribunale Penale di Taranto, va condiviso con il giudice di primo grado l’orientamento della Corte di legittimità per il quale, a mente dell’art. 2049 c.c., la responsabilità indiretta del committente per il fatto dannoso del dipendente postula l’esistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito e il rapporto che lega il committente e il dipendente, nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno, sempre che quest’ultimo abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali gli furono affidate le mansioni e non finalità di carattere personale, di fatto sostituite a quelle dell’ente pubblico di appartenenza ed anzi in contrasto con queste ultime (fra le tante, oltre quelle citate in sentenza, Cass. Pen. 44760/2015,26285/2013, Cass. Civ. 21408/2014).
Invero, tutte le volte in cui il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico, estraneo agli scopi istituzionali dell’amministrazione o contrario ai fini dalla stessa perseguiti e che escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente, pur se effettuate con abuso di potere, viene meno la riferibilità all’amministrazione del comportamento del dipendente, la quale risiede nel rapporto di immedesimazione organica, giacché in tal caso cessa il rapporto organico tra l’attività del dipendente e la (…).
Tale nesso di occasionalità necessaria è escluso nel caso di specie dalle condotte della (…) e del (…), che indirettamente portarono all’incolpazione dell’appellante per i capi dai quali è stato assolto, in quanto le stesse, che possono sintentizzarsi, in attuazione di bramosia di esagerati arricchimenti, poi attuati, trovarono causa in finalità del tutto personali ed egoistiche, secondo quanto emerge dalla sentenza penale innanzi indicata.
Non è Condivisibile la natura di responsabilità oggettiva del committente, nel caso specifico in esame della (…), anche quando l’intento perseguito dal dipendente in nessun modo possa essere ricondotto a finalità istituzionale pubblica e, quindi, per il sol fatto che la condotta illecita sia stata resa possibile dal contesto di adempimento di una specifica mansione pubblica, in quanto prescindendo dalle finalità illecite personali del dipendente verrebbe meno il fondamento della responsabilità del preponente, come delineata dall’art. 2049 c.c., per la cui ratio il predetto è chiamato a rispondere di comportamenti del dipendente per lui utili rispetto a suoi fini, e non di quelli ai predetti del tutto estranei, ma agevolati, sotto il profilo della loro adozione, dalle mansioni conferite.
A riguardo della specifica responsabilità della P.A. il Consiglio di Stato con sentenza n. 1335 del 02/03/2011, ha statuito che “la p.a. non è responsabile dei danni cagionati a terzi dal proprio dipendente nella commissione di un reato. La condotta, accertata come penalmente rilevante, posta in essere dal dipendente per il perseguimento di un interesse personale del tutto avulso dalle finalità istituzionali dell’amministrazione, infatti, spezza il rapporto organico esistente tra questa e quello, con la conseguenza che quanto compiuto illegittimamente dal dipendente non può rifluire in capo all’amministrazione datrice di lavoro, neppure a titolo di cd. colpa d’apparato, considerato che questa risulta del tutto estranea al profilo psicologico dell’azione amministrativa, immediatamente produttiva di danno”.
Va, pertanto, disattesa la sopra esaminata censura, relativa alla principale argomentazione, posta dal giudice di primo grado a fondamento della decisione di rigetto della domanda, in quanto ulteriori ragioni, fondanti la stessa, quelle attinte dalle altre critiche, formulate con l’appello, di cui appresso.
Con il secondo motivo l’appellante censura la sentenza appellata nella parte in cui, pur riconoscendo efficienza causale della carcerazione ai reati di falso, in violazione degli artt. 40 e 41 c.p. per i quali “un evento è causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo ” nonché del criterio della causalità adeguata o regolarità causale, per il quale l’evento appare come una conseguenza non imprevedibile dell’antecedente, inteso come danno mediato e indiretto, il Tribunale ha ritenuto insussistente il nesso di causalità tra la condotta del responsabile e l’evento lesivo, in quanto l’antecedente, rappresentato dalla predetta è stato neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza delle indagini, svolte d’ufficio prima dalla Guardia di Finanza e poi dalla procuratore della Repubblica, titolare dell’azione penale, configurante attività pubblicistica che si sovrappone all’iniziativa dello stesso, la quale perde ogni efficacia causale tra tale iniziativa e il danno subito dal denunciato.
Invero la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente ritenuto che l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante togliendole ogni efficacia causale, salvo il contenuto calunnioso della denuncia, proprio in considerazione dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Cass. Civ.11155/2015 – 6554/2014 – e conff.
L’applicazione di tale principio nella fattispecie in esame è in ragione non della denuncia come fatto scatenante delle indagini e della detenzione da parte del (…), ma in considerazione del fatto che la stessa non ha trovato causa immediata nella condotta di (…) e (…), ma nell’iniziativa di natura pubblicistica delle indagini svolte.
Non è infine decisiva neppure l’ulteriore doglianza per la quale il Tribunale ha errato nell’evidenziare che i fatti, posti a base del rinvio a giudizio e della detenzione del (…), non rivestono neppure sul piano eziologico natura di condicio sine qua non, in quanto i predetti intervennero anche per reati per i quali è stata affermata la penale responsabilità dell’appellante considerato che lo stesso ha dedotto che i reati, per cui è stato poi condannato, vennero contestati con la richiesta di ordinanza cautelare, conseguendone che è solo opinabile che l’assenza di quelli compiuti dai soli (…) e (…) avrebbero escluso l’adozione del rinvio a giudizio e della detenzione in danno del (…) per i reati per cui lo stesso è stato condannato.
Alla stregua delle superiori considerazioni l’appello va rigettato e, per l’effetto, va confermata la sentenza appellata.
Le spese del grado d’appello ,liquidate in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto che per le cause avente ad oggetto pagamento di somme di danarosi valore della causa va individuato piuttosto in relazione alla somma accertata che a quella domandata, vanno poste a carico della parte soccombente.
Sussistono i presupposti ex art. 13,c,ma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento da parte dell’appellante di un ulteriore importo per contributo unificato pari a quello versato per l’impugnazione, ove dovuto in quanto il predetto ammesso in via provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per il grado d’appello, come da documentazione in atti.
P.Q.M.
la Corte, definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da (…) con atto di citazione, notificato il 15/02/2016,avverso la sentenza del Tribunale di Taranto n. 3551 del 24/11/2014, depositata il 26/11/2014,non notificata, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
1 rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata;
2 – condanna (…) alla rifusione in favore dell’appellata delle spese di lite del secondo grado che liquida per compenso in Euro 3.800,00,oltre gli accessori di legge;
Dà atto che sussistono i presupposti ex art. 13,c.ma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento da parte dell’appellante di un ulteriore importo per contributo unificato pari a quello versato per l’impugnazione, ove dovuto in quanto il predetto ammesso in via provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per il grado d’appello, come da documentazione in atti.
Così deciso in Taranto il 20 aprile 2018.
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2018.