la responsabilità precontrattuale trova fondamento nell’art. 1337 c.c., il quale impone alle parti di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. È pacifico che l’obbligo sancito dalla citata norma debba essere inteso in senso oggettivo, ossia come obbligo di correttezza, sicché non è necessario, affinché siano integrati gli estremi della responsabilità precontrattuale, che il comportamento della parte sia connotato da una condizione soggettiva di mala fede, consistente nell’intenzione di arrecare pregiudizio alla rispettiva controparte, ma è sufficiente anche una condotta non caratterizzata dal proposito di nuocere, sia essa volontaria o meramente colposa, purché oggettivamente contraria a buona fede. Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La responsabilità precontrattuale, peraltro, non è limitata al caso di rottura ingiustificata delle trattative, ma, consistendo l’art. 1337 c.c., in una clausola generale può risultare da ogni comportamento sleale o contrario a correttezza che abbia significativamente inciso sulle trattative. Sotto il profilo della sua natura giuridica, si deve ricondurla nell’alveo della responsabilità aquiliana, con la conseguenza per cui “qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede l’onere della prova che il proprio comportamento corrisponda ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esuli dai limiti della buona fede e correttezza.
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Tribunale|Latina|Sezione 1|Civile|Sentenza|3 gennaio 2023| n. 4
Data udienza 3 gennaio 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di LATINA
I Sezione CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Giuseppina Vendemiale ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 300444/2010 promossa da:
C.F., (c.f. (…)), elettivamente domiciliata in Terracina, (…), presso lo studio dell’avv. (…), che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
ATTRICE
Contro
S.L., (c.f. (…)), elettivamente domiciliata in Terracina, (…), presso lo studio dell’avv. (…) che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
CONVENUTA
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione, ritualmente notificato, C.F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Latina, ex sezione distaccata di Terracina, S.L., deducendo che:
1) la convenuta le aveva promesso in locazione il suo appartamento sito in T. alla via delle C. s.n.c. a partire dal 01/04/2010 in quanto, in pari data, avrebbe dovuto rilasciare l’immobile ove abitava;
2) l’appartamento promesso in locazione, tuttavia, era già occupato dal sig. A.M., giusta contratto di locazione stipulato il 24/12/2007 che, con raccomandata a.r., in data 30/12/2008 aveva comunicato di recedere dal contratto con effetto dal 01/07/2009;
3) nel mese di giugno 2009, il sig. M. richiedeva verbalmente alla locatrice una proroga di ulteriori sei mesi per il rilascio dell’immobile, accettata dalla medesima;
4) nel dicembre 2009, però, l’immobile non veniva liberato come pattuito e l’odierna convenuta accordava al suo conduttore ulteriori proroghe verbali nonostante l’impegno assunto;
5) in data 01/04/2010, giorno stabilito per la consegna dell’appartamento, l’immobile di proprietà della convenuta era ancora occupato dal sig. M., nonostante la S. fosse stata formalmente invitata a consegnare le chiavi dell’appartamento promesso in locazione;
6) a causa di tale negligente condotta, aveva subito notevoli disagi, nonché conseguenti danni patrimoniali e non patrimoniali, meritevoli di tutela risarcitoria.
Chiedeva, pertanto, l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, accertare e dichiarare l’illegittima condotta posta in essere dalla sig.ra L.S. e per l’effetto condannarla al risarcimento dei danni morali, esistenziali e non patrimoniali che possono quantificarsi in Euro 10.000,00 ovvero nella somma maggiore o minore ritenuta equa e di giustizia, nonché al risarcimento del danno patrimoniale subito dalla stessa per l’intermediazione dell’Immobiliare “C.” S.r.l. di T., pari ad Euro 700,00 e al pagamento della somma di Euro 4.320,00 per le spese di ristrutturazione sostenute. Con vittoria di spese, anche generali, competenze ed onorari di lite, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore che si dichiara antistatario ex art. 93 c.p.c.”
Si costituiva in giudizio S.L., contestando la fondatezza della pretesa attorea ed esponendo che:
1) tra le parti non era mai intercorso alcun tipo di rapporto anche solo preliminare finalizzato alla concessione dell’immobile di sua proprietà in locazione alla C., fatta salva una generica disponibilità a valutare l’esistenza delle condizioni per addivenire ad una futura e ipotetica stipula di un contratto di locazione;
2) stante l’inesistenza di un rapporto giuridico intercorrente tra le parti, nessun addebito comportamentale poteva esserle contestato;
3) a tutto voler concedere, la pretesa ex adverso azionata doveva essere qualificata in termini di responsabilità precontrattuale, ex art. 1337 c.c., con conseguente risarcibilità del solo interesse negativo;
4) peraltro, nessuna violazione del canone di buona fede rilevante ex art. 1337 c.c. poteva esserle imputata, essendo a sua volta stata costretta a subire le tempistiche impostele dal conduttore, e dovendosi considerare il ritardo di quest’ultimo nel rilascio dell’immobile quale “giusta causa” determinante il recesso dalle ipotetiche trattative dedotte dalla controparte.
Concludeva, pertanto, chiedendo l’integrale rigetto della domanda attorea.
C. i termini ex art. 183, 6 comma, c.p.c., la causa veniva istruita mediante interrogatorio formale delle parti e prova per testi, dopodiché, a seguito della soppressione della Sezione Distaccata di Terracina, veniva assegnata al Tribunale di Latina, rinviata per la precisazione delle conclusioni, da ultimo, all’udienza del 6.12.2022, svoltasi mediante modalità di trattazione scritta, e trattenuta in decisione a detta udienza senza concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per comparse conclusionali e repliche, come da concorde richiesta delle parti.
C.F. ha agito in giudizio per far dichiarare la responsabilità della convenuta S.L. per essere venuta meno all’impegno assunto di concederle in locazione l’immobile di sua proprietà, sito in T., Via delle C., con condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni subiti.
La domanda non merita di trovare accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
In primo luogo, occorre fornire il corretto inquadramento giuridico al rapporto intercorso tra le parti. Sul punto, viene in rilievo innanzitutto la lettera raccomandata prodotta sub. doc. n. 7 dell’atto di citazione, con cui l’odierna convenuta, in data 13.03.2010, intimava all’allora conduttore dell’immobile, M.A., di liberare l’appartamento entro il termine improrogabile del 31.03.2010, “atteso che l’abitazione già da tempo è stata promessa, nei modi di legge, alla Signora F.C. la quale dall’inizio dell’anno ha pazientato per i diversi rinvii, considerato che dal 1 aprile 2013 dovrà lasciare la casa dove attualmente abita”.
La suddetta scrittura non è mai stata disconosciuta dall’odierna convenuta, la quale, sentita in sede di interrogatorio formale all’udienza del 25.1.2012, ha confermato di averla inviata (“confermo in particolare il sollecito scritto del 13.3.2010”), così come pure la madre della S., escussa in qualità di teste, ha riconosciuto la firma della figlia apposta in calce alla citata lettera.
Tale evidenza documentale deve essere considerata unitamente alle dichiarazioni rese dalle parti e dai testi escussi.
La convenuta S., in particolare, ha riferito di non aver assunto alcun impegno formale nei confronti dell’odierna attrice, precisando come quest’ultima avesse intrattenuto rapporti esclusivamente con sua madre, e soggiungendo che a fronte dell’interesse manifestato dalla C. alla locazione dell’appartamento, da parte sua vi era stata una disponibilità a locare l’immobile a cui non aveva tuttavia fatto seguito l’assunzione di alcun preciso obbligo contrattuale. La lettera del 13.3.2010, poi, sarebbe stata inviata anche alla C. “per dimostrare la nostra buona fede nonostante non ci fosse alcun impegno preciso”.
Tali circostanze sono state confermate dalla teste M.A.V., madre della convenuta, la quale ha riferito di aver avuto dei contatti con la C. ai fini della possibile concessione in locazione dell’immobile una volta che fosse stato liberato dal precedente inquilino. In tal senso ha deposto anche il padre della convenuta, A.S..
Per contro, l’odierna attrice sostiene che, sin a partire dal mese di ottobre 2009, la S. avesse assunto un preciso obbligo nei suoi confronti, avente ad oggetto la locazione dell’abitazione a partire dal 1.4.2010.
Alla luce delle citate emergenze istruttorie, a prescindere dal fatto che i rapporti siano materialmente intercorsi direttamente tra la S. e la C. ovvero tra quest’ultima e i genitori della prima, non può disconoscersi che tra le parti fosse stata raggiunta un’intesa quantomeno verbale in ordine alla locazione dell’appartamento da parte della C.. In tal senso depone, soprattutto, il chiaro tenore della lettera raccomandata del 13.3.2010, in cui si faceva espresso riferimento ai pregressi accordi con la C..
Tuttavia, in proposito occorre precisare come, vertendosi in materia di locazione ad uso abitativo, un eventuale contratto preliminare di locazione avrebbe necessitato della forma scritta ad substantiam: tanto si ricava dal combinato disposto dell’art. 1, comma 4, della L. n. 431 del 1998, che impone il requisito della forma scritta per la validità dei contratti di locazione abitativa, e dell’art. 1351 c.c., a mente del quale il contratto preliminare deve rivestire la medesima forma prescritta per il definitivo.
Nel caso di specie, non essendo stato comprovata, né tantomeno dedotta, l’esistenza di un accordo scritto in tal senso, deve ritenersi che l’intesa raggiunta tra le parti non fosse ancora assurta al rango di contratto, e che cioè non fosse insorto, in capo all’odierna convenuta, l’obbligo giuridico di sottoscrivere con la C. il contratto di locazione dell’immobile di sua proprietà.
Ne consegue che il rapporto intercorso tra le parti deve essere correttamente ricondotto alla fase delle trattative, nell’ambito della quale una eventuale violazione del canone di buona fede, tale da determinarne l’ingiustificata interruzione, può costituire fonte di responsabilità precontrattuale.
Ciò posto, in punto di diritto occorre ricordare che, come noto, la responsabilità precontrattuale trova fondamento nell’art. 1337 c.c., il quale impone alle parti di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.
È pacifico che l’obbligo sancito dalla citata norma debba essere inteso in senso oggettivo, ossia come obbligo di correttezza, sicché non è necessario, affinché siano integrati gli estremi della responsabilità precontrattuale, che il comportamento della parte sia connotato da una condizione soggettiva di mala fede, consistente nell’intenzione di arrecare pregiudizio alla rispettiva controparte, ma è sufficiente anche una condotta non caratterizzata dal proposito di nuocere, sia essa volontaria o meramente colposa, purché oggettivamente contraria a buona fede. Una delle ipotesi più frequenti in cui la giurisprudenza tende a ravvisare la violazione del dovere precontrattuale di buona fede è rappresentata dal recesso senza giusta causa da trattative che siano giunte ad uno stadio tale da generare nell’altro contraente un legittimo affidamento circa la conclusione del contratto, affidamento che può reputarsi giustificato quando sussistano elementi oggettivi che facciano ritenere serie le trattative, per capacità delle parti, durata e stato della contrattazione e per la considerazione degli elementi essenziali del contratto da concludere. In particolare, come precisato dalla Suprema Corte di Cassazione, “Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto” (Cass. Civ., Sez. III, 14.3.2022, n. 8119).
La responsabilità precontrattuale, peraltro, non è limitata al caso di rottura ingiustificata delle trattative, ma, consistendo l’art. 1337 c.c., in una clausola generale può risultare da ogni comportamento sleale o contrario a correttezza che abbia significativamente inciso sulle trattative.
Sotto il profilo della sua natura giuridica, poi, la giurisprudenza prevalente tende a ricondurla nell’alveo della responsabilità aquiliana, con la conseguenza per cui “qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede l’onere della prova che il proprio comportamento corrisponda ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esuli dai limiti della buona fede e correttezza” (Cass. Civ., Sez. II, 3.10.2019, n. 24738).
Tanto chiarito in diritto, ritiene il Giudicante che nel caso di specie non siano ravvisabili gli estremi di una responsabilità precontrattuale in capo all’odierna convenuta.
Innanzitutto, non sussistono elementi idonei a far ritenere che le trattative tra le parti in ordine alla concessione dell’immobile in locazione fossero in uno stadio talmente avanzato da aver ingenerato nella parte attrice il serio e legittimo affidamento in ordine alla conclusione del contratto. L’unico dato in tal senso, infatti, è rappresentato dalla già citata lettera raccomandata del 13.3.2010, con cui la S. richiedeva formalmente al conduttore di rilasciare l’immobile in tempi utili da consentire la locazione in favore della C., mentre non risultano documentati scambi di corrispondenza o altri contatti tra le parti tesi a definire modalità e tempistiche di conclusione del contratto di locazione, così come pure non risulta che ne fossero stati concordati gli elementi essenziali.
Inoltre, si è già detto che la responsabilità precontrattuale è esclusa qualora sussistano fatti idonei ad escludere il ragionevole affidamento della parte nella conclusione del contratto: nel caso in oggetto, è pacifico che la C. fosse consapevole che, alla data del 13.3.2010 – ossia a distanza di sole tre settimane da quando ella avrebbe dovuto prendere possesso dell’appartamento – l’immobile era ancora occupato dal precedente inquilino, il quale aveva già richiesto svariate proroghe. Ed allora, deve ritenersi che detta circostanza fosse idonea ad escludere, in una persona di ordinaria diligenza, il ragionevole convincimento che il contratto sarebbe stato certamente stipulato entro il 1.4.2010. Peraltro, anche ove si ritenesse che le trattative svoltesi tra le parti avessero effettivamente raggiunto uno stadio avanzato, e che l’attrice avesse maturato un legittimo affidamento nella conclusione del contratto di locazione, non sarebbe comunque riscontrabile una condotta oggettivamente contraria a buona fede, nel senso sopra precisato, imputabile alla parte convenuta.
Come rilevato, invero, dalla qualificazione della responsabilità precontrattuale nell’alveo della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., deriva che spetta in capo a chi intende avvalersene l’onere di dimostrare che l’interruzione delle trattative sia dipesa dalla condotta scorretta e contraria a buona fede della controparte.
Ebbene, nella fattispecie che ci occupa l’odierna attrice non ha fornito elementi idonei a dimostrare che la mancata stipulazione del contratto di locazione sia stata effettivamente causata dalla negligenza della S..
Per converso, la stessa lettera raccomandata prodotta dall’attrice comprova come la convenuta si fosse attivata per far sì che l’immobile fosse liberato dal terzo a partire dal 1.4.2010 – come poi di fatto avvenuto, a distanza di soli due mesi, in data 10.6.2010 – mentre la circostanza che la S. abbia inteso riconoscere precedenti proroghe verbali all’inquilino non può certamente assurgere a comportamento contrario a buona fede, fonte di responsabilità precontrattuale, in assenza di qualsiasi evidenza da cui sia dato desumere in quale data abbiano avuto avvio tra le parti in causa le trattative per la locazione dell’immobile in questione.
Giova altresì precisare come la pronuncia della Corte di Cassazione n. 8671/2017, invocata dall’attrice a sostegno delle proprie pretese, non si attagli al caso di specie. Nella fattispecie sottoposta all’attenzione della Corte, infatti, era stato valorizzato lo scambio di corrispondenza intercorso tra le parti in merito al rinnovo del contratto di locazione, nonché la fissazione di un appuntamento per il rinnovo, a cui aveva fatto seguito l’ingiustificata interruzione delle trattative da parte del locatore. Orbene, nulla di tutto ciò risulta avvenuto nel caso oggetto di interesse in questa sede:
– non vi è prova di contatti ed accordi direttamente intercorsi tra le parti in merito alla concessione dell’immobile in locazione all’attrice, al di là della lettera raccomandata, indirizzata dalla convenuta all’inquilino, con cui quest’ultimo veniva invitato al rilascio dell’appartamento onde consentirne la consegna all’attrice;
– detta unica lettera, in assenza di qualsiasi altro elemento, non appare di per sé sufficiente a ritenere che le trattative tra le parti fossero pervenute ad uno stadio avanzato, non essendo peraltro emerso né che le parti avessero concordato gli elementi essenziali del contratto né che avessero fissato una possibile data per la stipula del contratto di locazione;
– l’odierna attrice era a conoscenza del fatto che l’immobile era ancora occupato dal precedente inquilino, circostanza questa idonea ad escludere il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto;
– in ogni caso, non risulta comprovato che la convenuta abbia ingiustificatamente receduto dalle trattative o comunque violato il canone di buona fede nella fase di formazione del contratto, essendosi la stessa finanche attivata affinché l’inquilino rilasciasse l’appartamento.
Dall’acclarata insussistenza di alcuna responsabilità imputabile all’odierna convenuta discende altresì il rigetto delle pretese risarcitorie avanzate dall’attrice.
Alla luce di tutto quanto esposto e considerato, si impone, in definitiva, il rigetto della domanda.
Le spese di lite seguono la soccombenza dell’attrice e sono liquidate in dispositivo secondo i criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1. rigetta le domande proposte da C.F.;
2. condanna C.F. al pagamento, nei confronti di S.L., delle spese di lite, che liquida in Euro 5.077,00 per compensi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. C.D.A., dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Latina, il 3 gennaio 2023.
Depositata in Cancelleria il 3 gennaio 2023.
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