La responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.
Tribunale Gorizia, civile Sentenza 31 ottobre 2018, n. 466
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI GORIZIA
in persona del Giudice dr.ssa Francesca Clocchiatti ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nelle causa civile iscritta al n. 1085/2015 di Ruolo Generale il 11.09.2015 vertente
tra
SI.AL. (…) – rappresentata e difesa, per mandato a margine all’atto di citazione in opposizione dall’avv. ZA.FA.
– parte attrice –
e
SI.PA. (…) – rappresentata e difesa, per mandato a margine della comparsa di risposta dall’avv. PE.AN.
– parte convenuta –
Oggetto: Mutuo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I)Con atto di citazione dd. 28/8/2015 la signora Al.Si. citava in giudizio il padre, signor Pa.Si., al fine di richiedere l’accertamento dell’esistenza di un contratto di mutuo verbale e la condanna dello stesso signor Pa.Si. al pagamento della somma di Euro 51.800,00 (cinquantunmilaottocento,00).
Si costituiva in giudizio il signor Pa.Si., il quale contestava integralmente la domanda della figlia e ne chiedeva la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
Alla prima udienza dd. 20/1/2016 il G.I. concedeva alle parti i termini ex art. 183, VI comma, c.p.c.
All’udienza dd. 10/11/2016 le parti insistevano come da memorie depositate e il G.I., con ordinanza dd. 18/11/2016, ritenuta inammissibile la prova per testi dedotta dalle parti e matura la causa per la decisione fissava udienza per la precisazione delle conclusioni.
All’udienza dd. 13/6/2018, dunque, le parti precisavano le rispettive conclusioni e il G.I. tratteneva la causa in decisione concedendo i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
II) La domanda attorea deve essere rigettata in quanto infondata.
L’attrice, infatti, non ha fornito adeguata prova, neppure presuntiva, della conclusione del contratto di mutuo del quale asserisce la stipula in forma orale.
Premesso che il convenuto nel costituirsi ha contestato l’avvenuta dazione delle somme a titolo di mutuo, e pertanto la conclusione stessa del contratto, la difesa attorea ha chiesto l’ammissione della prova orale su alcuni capitoli di prova articolati nella memoria ex art. 183 n. 2 Vi co. c.p.c.
Orbene, tale richiesta è stata rigettata perché i capitoli di prova così dedotti (capitoli da 5 a 8) erano stati formulati assolutamente generico senza indicazione delle circostanze di tempo e di luogo riferibili ai fatti che si chiedeva di provare.
A tal proposito merita ricordare che ” la specificità della prova richiede che l’istante ne definisca il contenuto attraverso tre elementi fondamentali: il dato storico (quando), il dato topico (dove), la concludenza della prova (relazione funzionale tra thema probandum e thema decidendum). Il difetto di uno dei citati elementi rende la prova inammissibile per violazione del diritto di difesa della controparte che, in tal modo, non può difendersi compiutamente, nel rispetto dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. (cfr. Cass. 9547/2009; Trib. Lodi, 1 aprile 2011). La giurisprudenza più recente ha, poi, chiarito che non è consentita la supplenza del giudice nelle attività processuali delle parti, cosicché “le istanze istruttorie devono avere ad oggetto circostanze il più possibile specifiche, nel senso che devono garantire il massimo grado di specificità consentita in relazione alla fattispecie concreta” (Trib. Milano, sez. IX civ, ordinanza 30 novembre 2015).
Del resto, nemmeno dai documenti versati in atti è possibile trarre convincimento circa l’avvenuta dazione del denaro.
Analizzando, infatti, il documento n. 8, al di là di ogni questione relativa al disconoscimento dello stesso ovvero all’incertezza della sua provenienza, si deve rilevare che vengono indicate le dazioni di denaro così come riferite dalla parte attrice.
Si ricorda, infatti, che la difesa attorea ha nell’atto di citazione dedotto che la dazione sarebbe avvenuta dal settembre 2009 all’agosto 2011 attraverso al corresponsione di ratei mensili pari a 1.800,00 Euro, dal settembre 2011 all’agosto 2012 pari a 800,00 Euro mensili, e per i mesi di gennaio e febbraio 2013 la somma di Euro 1.400,00.
Orbene, verificando le somme indicate nella colonna “avere” non si rinviene alcuna corrispondenza con quelle asseritamente consegnate al convenuto.
Né di tali dazioni vi è traccia nella missiva di accompagnamento del suddetto documento.
Si deve poi precisare che come già affermato dalla giurisprudenza di merito “L’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione; l’esistenza di un contratto di mutuo, infatti, non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro (che, ben potendo avvenire per svariate ragioni, non vale di per sé a fondare una richiesta di restituzione), essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa. In altre parole, la circostanza che il convenuto ammetta di aver ricevuto una somma di denaro dall’attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, si da invertire l’onere della prova; con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo a carico dell’attore l’onere di dimostrare che la consegna del denaro è avvenuta in base ad un titolo (mutuo) che ne imponga la restituzione” (Trib. Roma n. 16668 del 2018).
Nel caso di specie pertanto, difettando la prova della dazione del denaro e del titolo della stessa, la domanda attorea deve essere rigettata.
IV) Infine, in merito alla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. spiegata dal convenuto il giudicante rileva che la malafede processuale consiste nel comportamento di chi, consapevole del proprio torto o cosciente della infondatezza della propria domanda, agisce o resiste in mala fede in giudizio utilizzando i mezzi processuali in modo difforme dagli scopi stabiliti dalla legge.
Come stabilito dalla giurisprudenza di Cassazione, infatti, “La responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ. integra una particolare forma di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, per modo che non può farsi luogo all’applicazione della norma predetta quando siano riconosciute, sia pure parzialmente, le ragioni fatte valere dalla parte, venendo in tale ipotesi a mancare il presupposto della totale soccombenza, per altro accompagnato da un particolare stato soggettivi ” (cfr. Cass. Civ. 14/12/1992 n. 13181).
Ed ancora “L’affermazione della responsabilità processuale aggravata della parte soccombente, secondo la previsione dell’art. 96, 1 comma, c. p. c., postula – oltre al dolo ed alla colpa grave di quella ed alla dimostrazione dell’effettiva e concreta esistenza di un danno conseguente al di lei comportamento – il carattere totale, e non solo parziale, della soccombenza” (Cass. civ. Sez. III, 09/02/1991, n. 1341).
Premesso che il convenuto non ha dato prova del dolo o della colpa degli attori resistenti per aver proposto il presente giudizio di merito in quanto non sussistono i presupposti di responsabilità processuale aggravata in capo all’attrice.
A non diversa conclusione si deve giungere in merito ad un’eventuale e sollecitata condanna ai sensi dell’art. 96 3 comma c.p.c.
A tal proposito si ricorda che “La responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione” (Cassazione civile, sez. un., 20/04/2018, n. 9912).
Ritiene il giudicante che nel caso di specie non si possa ravvisare la sussistenza dei presupposti così come ricostruiti dalla giurisprudenza citata, anche considerato che il rigetto della domanda si è basato sulla valutazione e interpretazione dei documenti prodotti da parte attrice.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo l’effettivo scaglione di pertinenza della lite.
P.Q.M.
Il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa n. 1085/2015 R.G., ogni diversa domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1. rigetta la domanda;
2. condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta, delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 7.254,00 per compensi, oltre spese forfetarie, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Gorizia il 30 ottobre 2018.
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2018.